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C’è questo dipinto di René Magritte che si chiama La reproduction interdite in cui è ritratto un uomo visto di schiena che si guarda allo specchio, lo specchio invece di riflettere il suo volto mostra nuovamente l’uomo visto di schiena. La riproduzione vietata del titolo, l’impossibilità del ritratto del suo volto e della sua persona, è la condizione cui è destinato da sempre Éder Citadin Martins: il calciatore che non c’è.
Quando nel 2005 Pantaleo Corvino, nuovo direttore sportivo della Fiorentina, ambiziosa squadra appena ritornata in Serie A dopo il fallimento, vola fino al piccolo comune brasiliano di Criciúma per prendere quel giovane attaccante di cui i suoi osservatori dicono un gran bene, Éder non c’è. E’ appena passato all’Empoli, la squadra rivale. Nemmeno a Empoli però qualcuno si accorge dell’impalpabile presenza di Éder, nelle prime tre stagioni l’attaccante colleziona a malapena cinque presenze, non segna nessun gol. L’Empoli allora lo cede in comproprietà al Frosinone, in Serie B, dove finalmente comincia a giocare e a segnare. E’ il primo segno dell’esistenza di questo ragazzino timido e taciturno, con la faccia triste di quei brasiliani che al carnevale nessuno nota perché non cantano e non ballano, non bevono e non si divertono. Stanno semplicemente lì, ignorati. Dopo due anni al Frosinone torna a Empoli, e nella stagione 2009-10 mette a segno 27 reti in 40 presenze. I primi articoli di giornale a lui dedicati raccontano che il nome Éder gli è stato dato dal padre in omaggio a Éder Aleixo de Assis, la fantasiosa ala brasiliana al Mondiale di Spagna 1982, quello in Paolo Rossi con una tripletta “fece piangere il Brasile”, come dal titolo della sua autobiografia. Forse è per questo che Éder ha sempre la faccia triste, forse è per questo che nessuno si accorge di lui.
Forse è per questo che René Magritte avrebbe dipinto il suo riflesso di schiena, senza volto. Perché Éder è semplicemente il doppio di un altro calciatore. I surrealisti all’inquietante figura del doppio, all’altro da sé, hanno dedicato le loro opere migliori. Il pittore Alfred Kubin, precursore di questo movimento culturale, sull’impossibilità di rappresentare l’uomo che ha un doppio ha anche scritto un libro, L’Altra Parte, che è un omaggio a Le Avventure di Gordom Pym di Edgar Allan Poe: libro che misteriosamente appare in una mensola sotto lo specchio nel dipinto La reproduction interdite di René Magritte.
Prigioniero di questa sua condizione, Éder arriva finalmente a giocare in Serie A con il Brescia, prima di passare al Cesena dove per poche settimane d’estate incontra Giaccherini e poi gioca la stagione successiva con Parolo e Candreva. Ma nemmeno quel Cesena spina dorsale della odierna nazionale di Antonio Conte a Euro 2016 serve a farlo finalmente riconoscere, e come se non ci fosse mai stato Éder nel gennaio del 2012 torna in Serie B con la Sampdoria. Negli stessi giorni sbarca a Genova anche Graziano Pellè, i due giocano (poco) insieme per sei mesi e poi si lasciano per ritrovarsi solo in maglia azzurra agli Europei del 2016. Dopo l’immediata promozione in Serie A Pellè va al Feyenoord, mentre di Éder non si accorge nessuno e resta alla Sampdoria. Dopo una salvezza conquistata nelle ultime giornate con 30 presenze e 7 gol, all’inizio della stagione successiva l’allenatore Delio Rossi è esonerato e al suo posto è chiamato Sinisa Mihajlovic. Con il tecnico serbo, maestro di realismo e poco incline a ogni divagazione speculativa, Éder viene finalmente riconosciuto per quello che è, un buon attaccante e non il doppio di chicchessia. Le due stagioni con Mihajlovic sono le migliori per il calciatore brasiliano, che non è più il doppelgänger di un’ala brasiliana tutta tecnica e fantasia ma un infaticabile centravanti pronto a rientrare per dare una mano a centrocampo, ad allargarsi per favorire gli inserimenti da dietro o a correre in contropiede per infilare la porta avversaria. Éder Citadin Martins trova finalmente la sua dimensione. E’ un attaccante di fatica e di movimento, capace anche di segnare 12 gol la prima stagione (la seconda volta in carriera in doppia cifra, la prima in Serie A) e 9 gol la seconda.
Nel frattempo, nel marzo del 2015, il commissario tecnico Antonio Conte lo convoca per la prima volta in nazionale. Il piccolo paesino brasiliano di Criciúma fu infatti fondato alla fine del diciannovesimo secolo da emigranti veneti e friulani, e Éder era stato naturalizzato e aveva ottenuto un passaporto italiano in virtù delle sue discendenze famigliari nel 2010. Solo che, prima di Conte nessuno si era accorto di lui. Se ne accorgono tutti il giorno della sua convocazione in nazionale, più che altro per criticare la scelta del c.t. di affidarsi a un oriundo, il 43mo in maglia azzurra, quando il motto che si diffonde in un paese sempre più xenofobo e intollerante è “prima gli italiani”. Pochi sanno che l’ammissione degli oriundi in nazionale fu un escamotage di Benito Mussolini, che prima impedì l’arrivo degli stranieri nel campionato italiano e poi, resosi conto della povertà del nostro calcio, avviò le pratiche di naturalizzazione dei vari Orsi, Guaita, Demaria, Monti e Andreolo che ci permisero di vincere i Mondiali del 1934 e 1938. Al grido di sangue e patria, il più duro a scagliarsi contro la convocazione dell’oriundo Éder in nazionale è Roberto Mancini, allenatore dell’Inter che a gennaio, dopo che l’attaccante brasiliano ha segnato 12 gol in 19 partite con la Sampdoria, lo vuole a tutti costi all’Inter.
E così succede che nel gennaio del 2016 quando Claudio Ranieri, allenatore del Leicester City a sorpresa in testa alla Premier League, si reca a Genova per prendere quell’attaccante di cui i suoi osservatori dicono un gran bene, Éder non c’è. E’ appena passato all’Inter. La storia sembra ripetersi, e così anche il destino di Éder. Mentre il Leicester City vince il campionato, costruendo una delle imprese più indimenticabili della storia dello sport, il calciatore brasiliano sparisce. Con l’Inter gioca solo 14 partite, la maggior parte delle quali o viene sostituito o subentra nel finale dalla panchina, e segna un solo gol, al 90’ minuto della partita vinta 3-1 contro l’Udinese , dieci minuti dopo essere entrato in campo al posto di Mauro Icardi. Éder torna a essere il calciatore che non c’è.
“La vita mi ha servito delle mani perdenti, o magari non le ho sapute giocare (…) Ora volevo parlare, ma non avevo nessuno accanto a me: ero un fantasma, non vedevo nessuno, e nessuno vedeva me”. Così comincia il monologo di Ed Crane, barbiere protagonista di L’uomo che non c’era, film del 2001 dei fratelli Coen. Così avrebbe potuto cominciare anche il racconto di Éder Citadin Martins una volta arrivato in Francia come attaccante titolare della nazionale azzurra agli Europei 2016, ma nessuno vuole ascoltare il racconto di Éder, nessuno lo cerca per un’intervista, nessuno vuole dipingere il suo ritratto. Nella prima partita contro il Belgio svolge un oscuro lavoro di pressione sui centrocampisti, non si fa mai vedere in avanti prima di essere sostituito da Immobile. Nel celebrarne lo spirito di sacrifico, culminato da un cartellino giallo per un fallo fatto per impedire un contropiede avversario, unico momento della partita in cui è inquadrato dalle telecamere, il giornalista della Gazzetta dello Sport nelle pagelle scrive: “Sembrava dissolto, esaurito, evaporato”. Éder non c’è, non si vede. Nella seconda partita contro la Svezia è pure peggio, gli statistici notano che nel primo tempo non ha toccato nemmeno un pallone nell’area avversaria. Penalizzato da una squadra che lo cerca coi lanci lunghi contro i giganti scandinavi, non riesce nemmeno a fare lavoro di interdizione a centrocampo perché la Svezia tanto non attacca. Per novanta minuti Éder non c’è, non si vede. Poi, a due minuti dalla fine, la rimessa lunga di Chiellini, il colpo di testa Zaza, la palla arriva a Éder che appare dal nulla, scarta quattro difensori avversari e con il destro la infila in rete. E così oggi in Italia tutti si accorgono improvvisamente di lui.
Ma Éder Citadin Martins domani sparirà ancora. Perché il suo destino è quello di non esserci, prigioniero della sua condizione di doppelgänger di cui è impossibile fare ritratti, a meno che non si dipinga un uomo visto di schiena che si guarda allo specchio, dove lo specchio invece di riflettere il suo volto lo mostra nuovamente visto di schiena.
Twitter @ellepuntopi
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