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Quando perdiamo un genitore, siamo improvvisamente costretti a crescere, a fare i conti con le ombre, condannati a cavarcela da soli. Parafrasando Tolstoj, esistono famiglie e dunque genitori normali, forse persino noiosi, ma siamo irresistibilmente attratti da quelli pieni di increspature, pur sapendo che a furia di andare in cerca delle loro tracce finiremo per farci del male.
Lo ha scoperto sulla propria pelle l’autrice del romanzo La più amata (edito da Mondadori) che scrive: “mi chiamo Teresa Ciabatti, ho quarantaquattro anni, mio padre è morto da ventisei, mia madre da quattro”.
Ma chi è davvero Lorenzo Ciabatti, “nato a Grosseto il 4 agosto 1928, primario chirurgo all’ospedale di Orbetello”? Lo chiamavano tutti il Professore, era un uomo temuto, un taccagno capace di sfarzosi regali e grandi sprechi, con i tre fratelli si spartiva un impero immobiliare e nei cassetti, in bella vista, teneva mazzette di banconote, lingotti d’oro e persino una pistola, sepolta fra la biancheria intima.
Questo libro racconta d’una fragorosa caduta, la fine dell’infanzia da principessa della protagonista – la più amata – e il suo traghettamento verso l’età adulta, passando dai fasti di una villa sontuosa ad Orbetello, all’adolescenza romana con la rottura fra i genitori e l’inizio del calvario di Teresa, di colpo invisibile fra le bellezze capitoline.
Ma chi era davvero suo padre? Dove sono finiti i suoi miliardi? Chi ha svuotato i suoi conti e ha fatto sparire quell’anello d’oro massiccio con zaffiro e con inciso un compasso, che ne dichiarava il ruolo di prestigio in una loggia massonica? Lasciandoli senza soldi e senza agi, il Professore li proteggeva o li puniva? E sullo sfondo si agitano figure ingombranti.
Licio Gelli e la sua Ferrari gialla, il golpe Borghese, l’amicizia con Ronald Reagan, il detective Tom Ponzi e un misterioso rapimento con cui si apre la narrazione: l’intera famiglia è in piscina quando un uomo armato di pistola incombe sulla scena. Il Professore, senza clamori, lo segue. Perché? Tante domande mediante le quali l’autrice si denuda davanti al lettore, passando senza soluzione di continuità dal ricordo alla rielaborazione sino all’invenzione pura, giocando con l’ironia, senza morbosità.
E come la vita insegna, sul piatto alla fine restano le briciole, le risposte o mancano o fanno troppo male per essere accettate. La più amata è certamente in pole per ottenere da Segrate la candidatura al Premio Strega e rilancerà la solita querelle sul valore dell’auto fiction. Ma a ben vedere, Ciabatti si è spinta un passo oltre. Non c’è traccia di voyeurismo nel suo modo di aprire i cassetti della memoria, anzi, con la sua ricerca a ritroso nel tempo riesce nel difficile compito di contagiare il lettore, infondendoci la sua stessa ossessione, quel desiderio inconfessabile di poter tirare una linea, mettendo da una parte i buoni e dall’altra i cattivi. Peccato sia impossibile farlo.
Un libro pieno di dolore e di vita, lusso e fragilità che reca un messaggio universale: siamo tutti figli imperfetti, resi unici dalle nostre cicatrici affettive. La parte più difficile è quella di voltarsi verso il futuro anziché continuare a rimirare il passato.
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