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Il caso di Fausta Bonino, l’infermiera di Piombino accusata di aver ucciso tredici pazienti iniettando dosi così massicce di eparina (un anticoagulante) da farli morire dissanguati, è uno di quei casi che dovrebbero instillare dosi massicce di terrore in chiunque cerchi di ricostruire la faccenda. Terrore nei confronti della giustizia, dei medici, degli ospedali e dei giornalisti in ordine sparso. Partiamo dall’inizio. Nell’ospedale Villamarina di Piombino avvengono delle morti sospette. Lo sostiene un medico di laboratorio, Fabio Pini, il quale denuncia il fatto alla direzione. I suoi primi sospetti risalgono al 2012, nel 2014 denuncia altri casi di morti anomale ai vertici e l’ultima morte, da cui partirà l’indagine, è nel gennaio 2015.
Morale: sono dovuti morire in dieci dissanguati prima che qualcuno si decidesse a tamponare l’emorragia di morti sospette (altri tre muoiono durante le indagini). Magari il povero Pini fino a quel momento era stato considerato un paranoico che di notte sognava siringoni giganti e infermiere con ghigno malefico.
Partono le indagini. L’eparina non è cianuro: non agisce su tutti i pazienti nello stesso modo e non è facile stabilire chi l’abbia somministrata senza prove evidenti. Certo, si potrebbero mettere delle telecamere nel reparto per capire se c’è qualcuno che anziché rimboccare le coperte al paziente gli fa iniezioni sospette, ma in definitiva sta solo morendo della gente, le telecamere lasciamole negli asili nidi o nel reparto smistamento bagagli per scoprire chi ci ruba le mutande dalle valigie. Si decide che basta sapere chi fosse di turno durante le crisi di coagulazione dei pazienti poi deceduti. L’infermiera Fausta era sempre lì. Cioè, quasi, perché qualche volta lei quando il paziente ha la crisi non c’è, ma magari somministra eparina via bluetooth, chissà. Le mettono il telefono sotto controllo, solo che lei sa di essere sotto inchiesta e quindi, forse, prima di dire “Oh, oggi ne ho fatto fuori un altro così la smetto di cambiargli pannoloni”, ci pensa due volte. Si indaga sulla sua salute psichica. Se fa fuori la gente per hobby sarà matta come un cavallo. Ha sofferto di epilessia e prende dei farmaci che le causano sonnolenza, classico profilo del serial killer.
Fausta Bonino viene arrestata a marzo. Per i giornali è già “infermiera killer” e “angelo della morte” così come i pedofili sono “orchi” di default. Le intercettazioni riportate sono schiaccianti. “Io non me lo ricordo, gliel’ho fatto io o te il prelievo?”, detto a una collega o “Io me li sogno di notte, non è possibile che muoiano quando ci sono io”, detto a un’altra collega. Ma anche: “Ora le do un farmaco così dorme”. Roba da metterla dentro e buttare la chiave. Non la pensa così il Riesame che ordina la scarcerazione di Fausta dopo 21 giorni di galera e un’etichetta di quelle che fanno curriculum. Immagino che ora gli ospedali faranno a gara per averla in corsia. Le prove sono inesistenti, gli indizi non sono concordanti e neanche accuratissimi. La pistola fumante, ovvero quel “Ora le do un farmaco così dorme”, l’ha detto di una paziente che poi morirà, è vero, ma di infarto, non per problemi legati all’eparina. A nessuno risulta che Fausta soffra di problemi psichiatrici. Resta indagata ma al momento ci sono più prove dell’esistenza dell’uomo falena che della sua colpevolezza.
L’unica certezza, sia della procura sia del Riesame, al momento, è che gli omicidi su cui si indaga siano omicidi volontari causati da somministrazione massiccia di eparina, quindi un assassino c’è ma non si sa chi sia. Potrebbe essere Fausta, un collega, una collega, un medico, chissà, fatto sta che da quando è scoppiato il caso “infermiera killer” l’ospedale di Piombino ha visto aumentare i pazienti: o la gente non ha capito nulla del caso o ritiene che del caso non abbia capito nulla il Riesame o ritiene che rimossa Fausta da lì si sia rimosso il problema. Preoccupanti tutti e tre i casi. Intanto, torna alla mente un caso ben noto a chi ha studiato i più clamorosi errori giudiziari. Nel 2001, l’infermiera olandese Lucia De Berk fu arrestata con l’accusa di aver ucciso anziani e neonati somministrando aloperidolo. Venne condannata all’ergastolo. Scontò sette anni di carcere (e una gogna pubblica senza precedenti), sottoposta a trattamento psichiatrico, finché non fu riaperto il caso e non si stabilì che si era trattato di un errore giudiziario. Fu assolta e scarcerata.
Non so se Fausta sia una vittima o un’assassina, se sia Lucia De Berk o “un angelo della morte”. Nessuno di noi lo sa. Al momento è un’indagata. Ma tutta questa storia è un evidente caso mediatico e un fumoso caso giuridico in cui le emorragie non sono state solo quelle dei pazienti ma anche e soprattutto quelle di notizie, ricostruzioni, accuse e titoli a effetto che nessuno, neppure l’infermiera più esperta, potrà più tamponare.
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