
Nata ai bordi di periferia: “Da via Prenestina, Roma sembrava lontanissima. Intorno c’era campagna a perdita d’occhio e da bambina pensavo che a farmi ascoltare da quelli che nel mondo dello spettacolo contavano qualcosa, non sarei arrivata mai”. Lorella Cuccarini nota come “a cinquant’anni le cose si vedano meglio che a venti”.
L’età che aveva, nel 1986, quando accompagnando Pippo Baudo nella settima edizione di Fantastico, venne a sua volta scortata da venti milioni di persone e in ultimo tradotta – grazie a un celebre spot – nella gabbia di una definizione, di uno slogan, di un sentimento collettivo.
La più amata dagli italiani: “Un soprannome che mi ha perseguitato”, siede a un bar, beve un cappuccino e dice che fu tutto voluto, cercato, inseguito: “Frequentavo il corso di danza classica tre volte alla settimana, ma a un certo punto capii che avrei voluto esercitarmi tutti i giorni. Ero adolescente e per pagarmi le spese iniziai a lavorare da segretaria nella scuola stessa”. Seguì l’esperienza come assistente coreografa e poi l’esordio in Ma che sera di Gino Landi, nella primavera del 1978. Gli ultimi passi di Alighiero Noschese e Bice Valori in televisione, Raffaella Carrà che canta Com’è bello far l’amore da Trieste in giù e i sommozzatori dei carabinieri che in quei giorni di aprile scandagliano il lago della Duchessa alla vana ricerca di Aldo Moro: “C’erano caos e preoccupazione e in città parlavano tutti del sequestro, ma io avevo tredici anni e non riuscivo a pensare ad altro che al mio esordio. Poco più di una comparsata che però mi stravolse. Aver visto Raffaella Carrà a un metro, era come essere stati vicini alla Madonna. Tornata a casa, per l’emozione del debutto, mi coprii di bolle”. Quattro decenni e cinquanta programmi dopo, Lorella Cuccarini non ha dimenticato niente.
Che impressione le fa ricordare gli inizi?
L’impressione di chi non si sente solo fortunato, ma proprio miracolato. Ho fatto il mestiere che sognavo. Quello che non avrei mai pensato di riuscire a fare. Mi è andata benissimo.
Famiglia?
Matriarcale. Mio padre non c’era. È andato via presto e non posso certo dire che sia stato una figura di riferimento.
Sua madre sì?
È stata una grande lavoratrice e ha cresciuto me e i miei fratelli insegnandoci il valore dell’indipendenza. Voleva che ci emancipassimo in fretta, mamma.
E così è stato?
A undici anni avevo già le chiavi di casa. A dodici la tessera Intera rete, quella per gli autobus e i tram di Roma per girare in città e sbrigare le commissioni per lei. Mamma faceva la sarta. Non ero la principessa d’Asburgo.
Dalla zia di Battiato in giù, nelle biografie degli artisti italiani ci sono sempre delle sarte.
Non sapevo della zia di Battiato. Mi ricordo i rotoli di filo per terra, questo rumore del piede che si alza e si abbassa sulla pedaliera della Singer, i pacchi da consegnare: ‘Lorella, questo va in via Margutta’. Io partivo, andavo e vedevo posti meravigliosi. La città, la mia città, l’ho scoperta anche così.
Torniamo all’esordio.
Mi hanno fatto rivedere il filmato, ho faticato a riconoscermi. Avevo i capelli corti, sembravo un ragazzino. Mi allenavo per ore nella scuola dei fratelli Turchi, Enzo Paolo e Fabio. Gli esercizi, la fatica, danzare è faticoso.
E stare in scena per 40 anni non è faticoso?
È un po’ come in Highlander, in piedi ne rimane solo uno.
Da ragazza pensava al successo?
A me sembrava già un sogno essere ballerina di fila. C’era un contratto a tempo determinato, ti pagavano per stare in un corpo di ballo, andavi in televisione: ‘Se riesco a vivere di questo – mi dicevo – sono a posto’. A volte la trasmissione veniva interrotta e il contratto diventava carta straccia. Ma succedeva ieri e accade nello stesso modo oggi.
Da ballerina di fila fece molti programmi?
Sponsor City con Fazio, Tastomatto con Pippo Franco e Te lo do io il Brasile con Beppe Grillo. Il balletto registrava l’esibizione in un giorno diverso e Beppe non lo incontravo mai. Lo conobbi invece a Copenaghen, ai tempi in cui come ballerina lavoravo per gli spettacoli di Heather Parisi in giro per l’Europa. C’era una convention della Olivetti. Lui si occupava della parte comica, Heather di quella coreografica. A spettacolo finito bevemmo fugacemente qualcosa. Immaginare a quei tempi l’ingresso in politica di Grillo non era facilissimo.
Dalla politica le venne offerto di candidarsi?
In coincidenza con l’improvvisa popolarità, a fine anni 80, da ambienti vicini alla Democrazia cristiana. Dissi no, grazie, e a chiedermelo, per fortuna, non venne più nessuno.
Dall’Olivetti all’Algida. Quel decennio era pieno di ricche aziende, convention dispendiose e di occasioni.
Erano eventi. Veri e propri spettacoli. Senza la convention del febbraio 1985, per celebrare i quarant’anni della marca dei gelati, il mio percorso sarebbe stato diverso. Brian & Garrison curarono le coreografie. Io ebbi la fortuna di avere due pezzi da solista. In platea, all’Hilton, c’era Pippo Baudo. Mi vide. Mi scelse. Se non ci fossimo incontrati non so dove sarei.
Dove sarebbe?
A casa probabilmente. Pippo è stato la mia sliding door. Un maestro severo che mi tenne dentro la partita, nonostante, a due giorni dall’inizio di Fantastico sei, avessi fatto di tutto per farmi estromettere dal gioco.
A che si riferisce?
Facemmo una festa di pre-produzione con il corpo di ballo. Mi feci accompagnare da un amico e facemmo un incidente. Una cosa piccola, a venti all’ora, contro un muretto. Tutti illesi, tranne me. Che ero rilassata e senza cintura e mi spaccai la testa sbattendola contro la nuca del guidatore. I punti di sutura, la corsa in ospedale, il sospetto di aver gettato tutto il lavoro fatto in precedenza in un istante solo.
Invece?
Invece Baudo mi fece una lavata di capo che non avrei più dimenticato, ma non mi cacciò. Mi perdonò: ‘Da oggi però non voglio più sentir fiatare nessuno e soprattutto non voglio più casini’. ‘Ti prometto che non ci saranno più problemi’, dissi e feci tutto Fantastico sei con i cerotti sotto il trucco e la frangetta sulla fronte.
“Verso il blu/respirando noi/aria pulita/voglia di vita”. In vestito a pois, di Fantastico sei, lei interpreta la sigla iniziale.
La trasmissione fece più del 50 per cento di share e improvvisamente cambiò tutto.
Le cambiò la vita?
Io pensavo solo a godermi l’attimo, ma una cosa così cambia la vita, sì. Me ne accorsi il giorno dopo la messa in onda, al solito supermercato di viale Marconi. Mi fermarono quindici persone. Cercai di rimanere indifferente a quel che mi accadeva intorno. Baudo mi fece capire che se avessi lavorato sodo sarei stata riconfermata. Mi concentrai sull’obiettivo.
E arrivò Fantastico sette, nel 1986. Quello dei duelli con Alessandra Martines.
Con Alessandra non correva buonissimo sangue. Non amo vincere facile e la competizione mi è sempre piaciuta, ma non ho mai provato antipatia o gelosia per le mie rivali. Non posso dire altrettanto di loro.
Martines la soffriva? Secondo Enrico Lucherini la vostra antipatia reciproca era un bluff.
Non credo. Una volta, molto tempo dopo la trasmissione, incontrai Martines a una premiazione. Fece finta di non conoscermi e si voltò dall’altra parte continuando a parlare in francese. Lì capii che amicizia non doveva essere e non sarebbe stata.
Ciclicamente la contrapponevano ad altre icone.
L’italiana e la straniera, la bionda e la mora, cose che facevano parte del gioco e polemiche montate ad arte. Erano litigi, come quello che mi attribuirono a Sanremo con Alba Parietti, che nella maggior parte dei casi non avevano nessun fondamento.
Berlusconi fu laconico: “Ha poche tette, non è il mio tipo”.
Aveva ragione. Non me la presi. Il periodo della Fininvest fu intenso. Arrivai a Milano due con Pippo e in breve mi ritrovai a lavorare con Antonio Ricci a Odiens. Antonio diceva ai quattro venti che avrebbe voluto farmi crescere, ma in realtà aveva altre intenzioni.
Che intenzioni aveva?
Demolire la soubrette, l’immagine Rai, tutto quello per cui Fininvest mi aveva ingaggiato portandomi via da viale Mazzini. Antonio, furbissimo, naturalmente non me lo disse. E non capii subito il suo piano perché di carattere sono sempre stata buona.
In quell’edizione di Odiens, padre putativo di Striscia la Notizia, in realtà non vedemmo una Cuccarini così ingenua.
Mi sintonizzai sulle onde di Ricci e mi divertii moltissimo anche perché, per la prima volta, senza preavviso, mi ritrovai nel ruolo di conduttrice. Antonio trovò una chiave. Mi spiazzò. Chiamò Beppe Recchia, un genio e gli disse: ‘Dobbiamo trovare una sigla speciale’. E nacque La notte vola.
“E vola/con quanto fiato hai in gola/il buio ti innamora/qualcuno ti consola”. La notte vola. Sigla d’apertura di Odiens, tra i singoli più venduti del 1989.
Per girare il video musicale, Recchia convocò Renzo Martinelli che allora era il principe degli spot televisivi. Io mi fidai.
Perché si fidò?
Pippo, dopo l’entusiasmo iniziale per l’avvio della nuova scommessa, si rese conto di aver sbagliato a lasciare la Rai e si prese un anno sabbatico. Ero rimasta da sola, senza Baudo a proteggermi. Fidarmi significava iniziare a camminare per la prima volta con le mie gambe. Buttarmi. Rischiare. Vedere quanto valevo veramente.
Ricci è un matto che si finge saggio o un saggio che si finge matto?
Chi lo sa è bravo. Anche se non è stato il padre che è stato Pippo, io Ricci me lo ricordo con gratitudine. Come uno che mi fece scoprire doti e risorse che non sapevo di avere.
La gratitudine è un valore?
Assolutamente sì. Oggi chi ha successo tende a cancellare le persone che gli hanno dato una mano all’inizio. È un riflesso naturale perché si teme che ammettere che qualcuno ti ha aiutato sminuisca il tuo percorso.
E non è così?
Non è così no. Se negli anni dell’inconsapevolezza non avessi avuto qualcuno capace di darmi dei buoni consigli mi sarei persa. Che è quello che spesso succede ai ragazzi che escono vincitori da un talent. Non hanno una guida e gli capita di perdersi. Quando incontro qualcuno che mi dice: ‘La nuova Cuccarini non c’è’ rispondo che non è vero. Ce ne sono centinaia, manca però la gente capace di scoprirle, proteggerle, tutelarle.
La tv di oggi le piace?
Ho visto Rischiatutto e mi sono emozionata, ma forse è perché mi è tornata in mente mia madre che non era certo colta e che quando ero bambina aspettava quel programma per saperne di più, per informarsi, per diminuire il numero delle cose che ignorava. Fazio è stato bravo. Ha cristallizzato con grazia un ricordo. È stato rispettoso di un periodo magico.
Un periodo d’oro che non tornerà?
Dirlo è difficile. Sperimentare è complicato perché da un lato hai la tagliola dello share e dall’altro devi tenere in considerazione i desideri di chi ti ha seguito fedelmente per anni.
Il pubblico però invecchia.
Ma non cambi il tuo pubblico premendo un interruttore. È un processo decennale. È chiaro che se lavori con la mannaia dell’ascolto sulla testa e il plotone di esecuzione pronto a sparare, tendi a non essere lungimirante ma a preferire l’uovo oggi a qualsiasi innovazione. Prima o poi l’innovazione, comunque, arriverà per semplice dato anagrafico. I settantenni non sono eterni.
Rispetto a venticinque anni fa le figure televisive di rilievo sono meno numerose. Dietro Maria De Filippi si intravede un certo vuoto.
La forza è nel programma e non nel personaggio. È sempre stato così. Quando pensi che sia nel personaggio hai un problema, ma ancora non lo sai. Il personaggio, l’intrattenitore di turno, al massimo, è un valore aggiunto.
Oggi alla tv preferisce il teatro. Con il musical Rapunzel ha girato l’Italia e interpretato per la prima volta una cattiva con forti venature ironiche.
È stata una vera sfida. Un’esperienza fantastica che mi ha restituito un contatto indescrivibile con il pubblico. Non vedo l’ora di ripartire.
Chi è stata il commendatore della Repubblica, Lorella Cuccarini?
Non ho mai rincorso il denaro e ho cercato sempre di scegliere il progetto che mi convinceva di più.
Ha fatto bene?
Penso di sì e non ho risentimenti. Neanche verso chi non mi ha teso la mano o mi ha criticato per coprire le proprie inadeguatezze. Se posso uscirne a testa alta e in silenzio in genere lo faccio, se devo rispondere perché chiamata in causa rispondo senza problemi.
“Fabrizio Del Noce – disse lei – mi ha fatto perdere un sacco di tempo”.
All’epoca in cui era direttore di Rai Uno me ne fece perdere tanto, ma non ho pensato che dietro ci fosse un accanimento personale. A volte ti ritrovi vittima dell’occasione. Ci sei tu, non c’è un altro e pagare tocca a te. Ma succede spesso, succede a tanta gente in tv.
Per essersi detta contraria all’adozione per le coppie gay è stata molto criticata.
Ho le mie opinioni. Cerco di non cadere nelle provocazioni. Il web è il regno dell’anonimato, ma gli insulti sono sempre un insulto all’intelligenza di chi insulta.
Non si pente di niente?
Perché dovrei?
Rifarebbe tutto?
Tutto.
Anche condurre La grande avventura, il programma che da Mike Bongiorno a Gerry Scotti vide la mobilitazione delle stelle della Fininvest contro il referendum tv del 95 che secondo Berlusconi minacciava l’esistenza stessa della Fininvest?
Rifarei anche quello. Più che il nostro lavoro – perché io non ho mai pensato di avere un posto fisso nella vita – difendevamo quello delle maestranze. Tempo un paio d’anni al massimo, lo sapevo, sarei andata via. I dipendenti restavano. Venivano da fuori e avevano solo quello. Una storia che avevo visto da vicino e conoscevo molto bene.
|