Il calcio non è un gioco, è un’industria. A furia di ripeterlo, i patron della Serie A se ne sono convinti al punto che qualcuno ha pensato di farsi rappresentare dal numero uno di Confindustria, Carlo Bonomi. Se ha elemosinato aiuti per le aziende potrà farlo pure per le squadre, devono essersi detti in Lega calcio, dove provano a prendere due piccioni con una fava: risolvere la grana del nuovo presidente e trovare qualcuno bravo a battere cassa col governo. Bonomi, difensore dei padroni di professione, sponsorizzato da Paolo Scaroni e iscritto da mesi al “partito” di Draghi, è sicuramente un nome forte sul tavolo. Chissà se sarà quello giusto per la Serie A spaccata in mille correnti, dove le candidature tramontano prima di sorgere, e la vera partita da giocare non è tanto quella per il presidente (un profilo buono prima o poi si troverà), ma la guerra ormai imminente alla FederCalcio di Gabriele Gravina.
Da un paio di settimane la Serie A sta cercando la sua nuova guida, da quando l’ex Paolo Dal Pino è scappato negli Stati Uniti, richiamato da impegni personali, logorato dagli attacchi di Lotito. Il profilo è tracciato: non un manager (per non pestarsi i piedi con l’amministratore delegato Luigi De Siervo) ma una figura di rappresentanza, con buoni contatti nei palazzi, in grado di parlare col governo e tutelare gli interessi del pallone. All’inizio è trapelato qualche inverosimile nome politico, da Veltroni a Alfano passando per Maroni. Così è nata pure la candidatura di Bonomi.
Il piatto Servono i “ristori”
Se il piano della Serie A è quello di scroccare soldi al governo per risolvere una crisi di sistema di cui il Covid non è la causa ma solo una contingenza, la classica goccia che ha fatto traboccare un vaso stracolmo di debiti, in effetti la candidatura di Bonomi ha un senso. Lui lo fa praticamente di mestiere: in due anni alla guida di Confindustria ha lavorato per indirizzare ogni tornata di ristori verso le imprese (non sempre virtuose, non necessariamente colpite dalla pandemia), mentre condannava gli aiuti a lavoratori e precari. Esenzioni dai versamenti, prestiti garantiti, risorse a fondo perduto: i provvedimenti strappati in favore delle aziende fanno tutti parte del carnier di richieste della Serie A. Nonostante il calcio italiano pianga miseria, dall’inizio della pandemia ha ricevuto più di un aiuto, dalla possibilità di continuare a giocare praticamente sempre anche durante il lockdown, alla recente sospensione di tasse e contributi per i primi quattro mesi del 2022. Un salasso da 450 milioni per le casse dello Stato, che se fosse esteso a tutto l’anno varrebbe oltre un miliardo. Mancano giusto i famosi ristori. Una sorta di “Sussidistan del pallone”, su cui da settimane era in atto un battage mediatico sempre più insistente da parte dei giornali (Sole 24 Ore in testa). Bonomi potrebbe farsene paladino.
Scaroni & C. Chi lo spinge
Il diretto interessato è disponibile, a quanto risulta al Fatto, e si è speso personalmente, in un giro di telefonate ai presidenti nel corso del weekend, per spiegare la propria candidatura, assicurando che lui di tempo da dedicare al pallone ne ha molto, tanto l’operatività di Confindustria va avanti da sola – chissà se in Confederazione sono d’accordo. Lo sponsor principale è Paolo Scaroni, presidente del Milan, grand commis di Lega calcio, che negli ultimi due anni ha tenuto sotto la sua ala protettrice Dal Pino e ora vorrebbe dettare il successore, gradito alle società settentrionali e forse anche al numero uno della Figc Gravina.
Il problema di Bonomi è che la candidatura non è stata condivisa. Pone diverse questioni di opportunità, se non di incompatibilità. In tanti per impallinarlo hanno già tirato in ballo il codice etico di Confindustria, che vieta di assumere incarichi in associazioni esterne. Ma questo potrebbe non essere un ostacolo: il suo primo biennio scade a maggio, magari è disposto a lasciare Confindustria per la Confindustria del pallone, specie se gratificato con uno stipendio adeguato (per intenderci, più vicino a quello dell’ex numero uno Maurizio Beretta che a quello percepito da Dal Pino, inferiore ai 100mila euro l’anno). Il punto sono i voti: la Serie A è spaccata a metà e oggi in seconda votazione ne servono 14 per essere eletto. Dalla terza, la settimana prossima, scenderanno a 11, ma allora potrebbe essere bruciato se intanto non incontrasse favori a sufficienza. Le resistenze non mancano. Lotito per ora tace, ma non sembra ben disposto. L’asse delle proprietà americane chiedeva un altro tipo di profilo e di selezione, più trasparente. De Laurentiis ha lanciato come alternativa Lorenzo Casini, capo di gabinetto di Franceschini al ministero della Cultura. C’è chi assicura che il nome buono non sia ancora uscito.
L’obiettivo Fuga dalla Figc
Che Bonomi ce la faccia o meno, quella per la presidenza è solo una partita nella partita che sta giocando la Serie A. I patron sono convinti di essere la locomotiva del sistema calcio, con le risorse che versano all’Erario e ridistribuiscono al movimento. Per questo pretendono soldi e autonomia. I primi dal governo. La seconda dalla FederCalcio di Gabriele Gravina, che sta diventando il vero nemico da combattere. Sempre più intraprendente dopo aver perso Dal Pino (che era il suo principale alleato), terrorizzato dallo spareggio mondiale della nazionale da cui dipende la sua poltrona, le ultime mosse del presidente federale non sono state gradite: a partire dai nuovi principi informatori che impongono votazioni a maggioranza semplice per facilitare le riforme, ma che la Serie A non vuol recepire, con tanto di contenzioso legale (e lo spettro di commissariamento). Ma non si tratta solo di questo: la proposta di legare l’iscrizione al campionato all’indice di liquidità (su cui almeno sette-otto club non sono in regola) viene vista come un ricatto, i giudizi su calendari e diritti tv come una invasione di campo. Siamo alle porte di una vera e propria guerra, in cui non si escludono atti estremi: la minaccia di sospendere i pagamenti in favore delle leghe minori (dovuti per la legge Melandri, col rischio di far implodere il sistema), e addirittura una scissione della Serie A dalla FederCalcio, sul modello inglese della Premier. Perché loro sono un’industria.