Nobili e la guerra contro la norma, ma il renziano è tra i proponenti

Altro che buccia di banana, quella su cui è scivolato ieri Luciano Nobili alle prese con un litigio via Twitter con Carlo Calenda sulla questione Superbonus. Da una querelle social si è trasformata in un gaffe degna di nota per il deputato di Italia Viva. Tutto parte da un tweet del leader di Azione, Calenda che, commentando una dichiarazione di Matteo Renzi contro “leggi scritte male che hanno consentito di frodare per 4 miliardi”, ha twittato che quelle stesse “leggi sono state scritte e approvate dal governo di cui Renzi e Italia Viva facevano parte”, cioè il Conte-2. Apriti cielo. Un duro attacco che Nobili non tollera e decide così di ribattere a Calenda: “Il governo che Renzi e Italia Viva solo contro tutti, anche contro di te che ripetevi che la crisi era da irresponsabili, hanno mandato a casa, affidando l’Italia a Draghi. Certo, fosse stato per la tua lungimirante strategia a quell’ora avremmo avuto Salvini premier…”. Parole che su Calenda non hanno avuto effetto, ma che invece hanno stuzzicato un utente su Twitter, Carlo Fossati, che in un articolato thread ha spiegato che Nobili, ora contrarissimo al Superbonus non solo durante l’approvazione della legge non si è opposto e non ha presentato emendamenti al testo per correggere le storture “costruite dal governo Conte-2”, ma è stato tra la trentina di proponenti che hanno riformulato completamente l’emendamento sul Superbonus, poi diventato legge. Cioè la legge che ora Nobili attacca duramente.

Crediti fiscali, 3 cessioni “Obbligo contratti edili”

Lo scontro tra Palazzo Chigi e i partiti di maggioranza sulla vicenda dei crediti fiscali edilizi, in particolare il Superbonus, ha trovato una quadra. Sabato 19, quando il capitolo bollette arriverà al Consiglio dei ministri, al decreto sul caro-energia verranno agganciate anche le nuove norme per far ripartire, in sicurezza, i lavori dopo che nel Sostegni ter è stato imposto che l’impresa che ha effettuato lo sconto in fattura possa cedere il credito a un solo operatore.

Con le nuove norme, ogni operazione sarà tracciata dall’inizio alla fine. Verrà utilizzato un codice identificativo, una sorta di bollino che accompagnerà le diverse cessioni, che consentirà di risalire a tutta la filiera. Uno stratagemma che, insieme all’asseverazione, al visto di conformità sull’adeguatezza dei prezzi e al controllo preventivo dell’Agenzia delle Entrate (che ha 5 giorni di tempo per rispondere), dovrà arginare il meccanismo delle truffe miliardarie. Novità anche per le operazioni di cessioni del credito: la nuova soglia prevede tre passaggi, ma solo se avvengono attraverso il sistema bancario. Una modifica immediata che dovrebbe evitare la falla nei bonus senza limiti di spesa e senza controlli tecnici e fiscali, facendo ripartire il settore dell’edilizia che ha spinto la ripresa economica del Paese.

Ma nel decreto correttivo al Sostegni ter, che va convertito in legge entro marzo, potrebbe trovare posto anche un altro emendamento per legare gli incentivi alla corretta applicazione dei contratti edili nei cantieri. Su richiesta condivisa dei sindacati (Feneal Uil, Filca Cisl e Fillea Cgil) e delle associazioni datoriali, il ministro del Lavoro Andrea Orlando ha fatto suo un emendamento per subordinare l’ottenimento dei benefici connessi ai bonus edilizi all’applicazione del contratto collettivo nazionali del settore. “È una proposta che ha diversi aspetti positivi: si va dalla tutela dei lavoratori allo scardinamento delle truffe, passando per l’eliminazione del dumping contrattuale nell’edilizia, mettendo fine alla concorrenza sleale”, dice Alessandro Genovesi, segretario generale della Fillea Cgil.

In pratica, se venisse approvato l’emendamento, per accedere a tutti i bonus edili (Superbonus 110%, Ecobonus, Sismabonus, bonus facciate, ristrutturazioni edilizie), le aziende edili dovranno applicare obbligatoriamente il contratto edile “che consentirebbe all’Agenzia delle Entrate con un solo click di interrogare la banca dati Inps-Inail-Casse Edili, verificando facilmente che l’impresa esista, abbia aperto realmente un cantiere e che tutti gli operai che ci lavorano sono regolarmente assunti”, spiega Genovesi. Un meccanismo che si può mettere in atto da subito, non ha bisogno di coperture per lo Stato e che, concorda il ministro Orlando, abbatterebbe di fatto le frodi legate ai bonus. Così da riavviare l’operazione Superbonus, aumentando la sicurezza sui cantieri. La corsa ai bonus, soprattutto dopo l’introduzione delle scadenze, ha infatti moltiplicato le nuove imprese senza regole e personale formato causando feriti e incidenti mortali nei cantieri. “È innegabile la necessità di intervenire subito per evitare di vanificare tutti i benefici dei bonus”, conclude Genovesi.

Superbonus, macché truffe: dietro l’attacco i costi fuori controllo

Più che le truffe, è il caso di dire, poté il costo. C’è un grosso non detto nella battaglia che contrappone Palazzo Chigi e Tesoro a mezzo arco parlamentare, 5Stelle in testa, per ridimensionare il Superbonus 110% (e con esso il comparto dei crediti fiscali edilizi). Magari è un caso, ma l’allarme sui “furbetti dei crediti” è salito man mano che esplodevano i numeri sugli interventi beneficiati dalla misura. Il boom c’è stato a dicembre e da allora Mario Draghi e il ministro Daniele Franco hanno calcato la mano, con la grande stampa a dare ampio spazio alle indagini delle procure di mezza Italia. Una “truffa con pochi eguali nella storia della Repubblica”, l’ha definita il titolare del Tesoro. Eppure questa non riguarda il Superbonus, che però monopolizza il dibattito pubblico. Il motivo di questa, per così dire, anomalia, sembra essere nei numeri: la misura ha decisamente superato i costi stimati e questo ha allarmato Draghi&C. Andiamo con ordine.

Il Superbonus prevede una detrazione pari al 110% delle spese per specifici interventi di efficienza energetica e misure antisismiche sugli edifici. È stata introdotta dal dl Rilancio del maggio 2020 (governo Conte-2), che ha pure previsto la possibilità di cedere i crediti (non solo Superbonus, ma tutti quelli edilizi) senza limiti, anche in “sconto fattura” al fornitore. La cedibilità dei crediti non è stata però accompagnata da un inasprimento dei controlli, limitati ex post all’Agenzia delle Entrate. Un meccanismo che ha favorito le truffe. I numeri li ha snocciolati il direttore dell’Agenzia delle Entrate, Ernesto Ruffini, giovedì: 4,4 miliardi di crediti fittizi (su 38 miliardi ceduti), grazie a lavori inesistenti di imprese fasulle (11.600 quelle nate sull’onda della corsa a Superbonus&C.). Di questi, 2,3 miliardi sono stati sequestrati. Problema: Ruffini ha chiarito che il 46% delle frodi riguarda il “bonus facciate”, il 34% l’ecobonus, il 9% il bonus locazioni/botteghe, l’8% il sismabonus e solo il 3% il Superbonus, cioè 130 milioni di euro. Due motivi spiegano questi numeri: il Superbonus è il più giovane e il meccanismo prevede comunque che gli interventi vengano “asseverati” da uno specialista. Il Bonus Facciate (detrazione del 90%, ridotta al 60% per il 2022) invece non prevede limiti di spesa né di importo dei lavori. Dunque non stupisce che la metà delle truffe si siano concentrate su questa misura (che come importo delle cessioni è però pari al Superbonus). Draghi ha cercato di eliminarla in manovra, scontrandosi con il ministro della Cultura Dario Franceschini (Pd), eppure, in tutte le uscite pubbliche, ha parlato solo del Superbonus. E qui veniamo ai costi.

Secondo i dati dell’Enea, al 31 gennaio si contavano 107.588 interventi edilizi incentivati con il Superbonus, per circa 18,3 miliardi di investimenti che porteranno a oltre 20 miliardi di detrazioni. Siamo ben oltre i 18,5 miliardi stanziati nel Pnrr e nel cosiddetto “dl complementare”. Gli interventi previsti nel Superbonus sono stati prorogati, con diverse scadenze, al 2023. Nel complesso gli stanziamenti a copertura valgono 33 miliardi al 2036, tre quarti dei quali entro il 2026. Il problema è il trend: a dicembre scorso i lavori ammessi sono balzati a 16,2 miliardi, +36% rispetto a novembre (a gennaio si sono aggiunti altri 2 miliardi). Le stime nei documenti ufficiali prevedevano una spesa di 11,5 miliardi nel 2021. Tradotto: siamo già quasi 5 miliardi oltre, e solo per il primo anno.

Questi numeri spiegano come mai Draghi&C. parlino solo di Superbonus in relazione alle truffe, che invece non lo riguardano. L’impatto del boom dell’edilizia sul +6,5% del Pil nel 2021 conta poco. Se va avanti così, la misura andrà rifinanziata in deficit e questo terrorizza il duo. Nel 2023 in un modo o nell’altro si tornerà alla disciplina di bilancio, le regole Ue – oggi sospese per il Covid – saranno ripristinate. Per questo Tesoro e Palazzo Chigi da mesi provano in tutti i modi a strozzare a valle il mercato dei crediti fiscali: l’obiettivo è di fatto neutralizzare la misura, dirottando i fondi altrove. I ragionamenti sull’efficacia e sull’iniquità di un bonus così elevato contano, certo, ma per Tesoro e Palazzo Chigi il problema è nei costi.

Spiagge sì, bollette no: le priorità per non spaccare la maggioranza

Mario Draghi vuole evitare l’incidente parlamentare. Non vuole vedere la sua maggioranza perire sotto i colpi della mozione di Fratelli d’Italia – in discussione ieri alla Camera, ma al voto la prossima settimana per l’accavallamento di due decreti Covid – che chiede di escludere i balneari dalla direttiva Bolkestein che impone la messa a gara delle concessioni. E così, dopo aver sentito a più riprese il sottosegretario Roberto Garofoli e i ministri del Turismo e dello Sviluppo economico, Massimo Garavaglia e Giancarlo Giorgetti, questa mattina in Consiglio dei ministri dovrebbe arrivare la norma più volte rimandata sulle concessioni balneari. Rinviato, forse a sabato, il decreto sul caro energia. Gli ombrelloni, per Palazzo Chigi, sono più urgenti delle bollette.

Il condizionale, anche sulle concessioni, è d’obbligo perché la maggioranza, sul tema, è spaccata con Lega e Forza Italia che stanno dalla parte dei balneari e hanno il fiato sul collo di Giorgia Meloni che, dall’opposizione, dice no alle gare per i balneari. L’orientamento di Palazzo Chigi invece è opposto: rispettare la sentenza del Consiglio di Stato e mettere a gara nel 2023 tutte le concessioni, come chiede anche il M5S. Il Pd, invece, sta nel mezzo. Un provvedimento del genere però mette in grossa difficoltà la destra di governo che rischia di tradire gli impegni presi in campagna elettorale e perdere i voti dei balneari. Così dal Carroccio ieri sera facevano filtrare irritazione per l’accelerazione del premier: “Non è normale che si rinvii il provvedimento sulla vera emergenza degli italiani, cioè le bollette, e si vada spediti sulle spiagge”, spiega un leghista di governo. Così da via Bellerio chiedevano il rinvio del Cdm visto che, a ieri sera, i vertici di Lega e FI non avevano ancora il testo. Oppure arrivare a una nuova mappatura di laghi e fiumi, come chiesto da Federbalneari che ha scritto una lettera al premier.

Ma Draghi non vuole rinviare, nonostante le resistenze, anche per evitare che le due procedure d’infrazione Ue aperte si traducano in una maxi sanzione all’Italia. Il provvedimento che sarà approvato oggi sarà inserito come emendamento al ddl concorrenza in discussione al Senato. Si stanno limando gli ultimi dettagli ma dovrebbe prevedere le gare, anche se con delle clausole a tutela degli attuali concessionari: dovrebbero essere inserite premialità in base agli investimenti effettuati e alla durata delle licenze. Inoltre si sta studiando una deroga per le imprese a conduzione familiare. Una possibile mediazione per far ingoiare il provvedimento al centrodestra anche perché ieri Salvini chiedeva di tutelare “il lavoro e gli investimenti di chi ha faticato per anni”. Garofoli cercherà di trovare una quadra stamane a Palazzo Chigi con Giorgetti e Garavaglia.

Draghi vuole evitare la spaccatura nella maggioranza sulla mozione di FdI discussa ieri alla Camera che andrà al voto prossima settimana e che divide il centrodestra: “Se la Lega voterà contro sarà un tradimento delle promesse, ne risponderà agli elettori”, attacca il capogruppo di FdI Francesco Lollobrigida. Ieri intanto Salvini ha sconfessato il suo numero due Giorgetti che domenica aveva attaccato il Superbonus chiedendo di spostare quei soldi su altri settori, come l’automotive. Ma il segretario lo ha zittito: “Il Superbonus è uno strumento assolutamente efficace che ha dato una spinta al settore dell’edilizia”, ha detto Salvini. Il leader deve tenere insieme le diverse anime della Lega anche perché al Nord Lombardia e Veneto sono le due regioni che hanno più richiesto il bonus edilizio. E anche in Parlamento la Lega sostiene la misura: “Non si può distruggere una filiera per un pregiudizio ideologico”, dice Alberto Bagnai riferendosi alle frodi. A Salvini fa sponda Giuseppe Conte che ai suoi parla di “polemiche surreali di alcuni esponenti politici”. Negli ambienti M5S fanno notare: “Giorgetti spara sul Superbonus e Salvini lo smentisce, Iv l’ha appoggiato e Renzi ora lo critica. Siamo alle comiche”.

Querelatevi da soli

Della letterina di babbo Tiziano al figlio Matteo su “Carrai uomo falso” e la “Banda Bassotti (Bianchi, Bonifazi, Boschi) che hanno lucrato senza ritegno dalla posizione di accoliti tuoi”, si occupa da par suo Padellaro. Noi ci limitiamo a proporre di affiggerla in tutte le bacheche del Tribunale di Firenze, di cui la famiglia Renzi è fornitore ufficiale: per indagini e processi a carico e per le querele e le cause civili intentate a giornalisti. Che di solito vengono denunciati, e talvolta financo condannati, per aver detto o scritto un millesimo di quello che i membri del Giglio Magico si dicono a vicenda. È noto ormai che i peggiori nemici dei renziani sono quelli che li conoscono meglio: i renziani. Nel 2017 l’Innominabile trattava il povero genitore al telefono come un bugiardo matricolato su Consip: “Non voglio essere preso in giro… non puoi dire bugie o ‘non mi ricordo’… Devi ricordarti tutti gli incontri e i luoghi (con l’ad di Consip Marroni, ndr), non è più la questione della Madonnina e del giro di merda di Firenze per Medjugorje… Non ti credo.. non è credibile che non ricordi di aver incontrato uno come Romeo… La verità non l’hai detta a Luca e non farmi aggiungere altro”; e definiva le accuse “una cosa molto seria”, per cui “andrai a processo” e “stai distruggendo un’esperienza” (la sua). E in pubblico definiva l’inchiesta Consip un complotto del pm deviato Woodcock, dei carabinieri golpisti del Noe e del “Falso quotidiano”.

Chi scrive ha perso due cause civili per aver accostato babbo Tiziano a una “bancarotta” (infatti è sotto processo con la moglie per bancarotta) e ipotizzato un conflitto d’interessi fra il padre che traffica su appalti Consip e il figlio premier che nomina i vertici Consip. Figurarsi se avessi detto “Banda Bassotti”. O ripetuto l’epiteto sessista usato da Bianchi in un appunto sulla Boschi e il suo sfogo contro l’Innominabile per i “2 milioni spesi per quel referendum del cazzo e i social, senza averli”. O i suoi smadonnamenti quando Matteo accollò alle casse (vuote) di Open un volo privato Ciampino-Washington per commemorare per 2 minuti l’incolpevole Bob Kennedy, noleggiando un jet Dessault Falcon 900 alla modica cifra di 134.900 euro. Bianchi: “134.900???! Ma ha perso la testa?”. Lotti: “Non ho parole. Io gli ho detto che senza copertura non si può”. In attesa che il Parlamento, nella settimana dei tre giovedì, approvi la legge contro le querele temerarie e distingua tra critiche e fatti falsi, facciamo così: o Renzi padre e figlio, Boschi, Bianchi, Bonifazi & C. ritirano le querele ai giornalisti che li hanno trattati molto meglio di quanto non si trattino loro e ci lasciano scrivere almeno quello che si dicono tra loro; oppure si querelano da soli.

“Sono qui grazie a Verdone e Dario: registi coraggiosi”

L’epifania in Jeeg Robot di Mainetti, la conferma in Benedetta follia di Verdone, la consacrazione con Dario Argento per Occhiali neri: Ilenia Pastorelli è reduce dalla Berlinale e il 24 febbraio approderà in sala. Cieca, prostituta e sola con un cane: un ruolo che non ammette mezze misure.

Pastorelli, chi è Diana?

Una donna estremamente forte che riesce ad affrontare il trauma della cecità. Sono stata in contatto con donne non vedenti, e l’ho constatato: l’handicap ti richiede enorme coraggio per affrontare la vita quotidiana, anche le minime cose.

Nella società attuale le donne ancora con un handicap?

Tutti dicono, nel 2022 le donne hanno raggiunto gli obiettivi… ma già questo è discriminatorio. Non ci dovrebbero essere distinzioni. Però se diamo uno sguardo alla politica è chiaro, le donne non vengono considerate come dovrebbero.

Il serial killer di Occhiali neri è un uomo che odia le donne.

Odia un po’ tutti, anche i cani, altrimenti non li ingabbierebbe. È un uomo che ha perso ogni speranza, vive una sconfitta interiore che porta alla rabbia, quindi alla violenza, dunque all’odio: una catena infernale.

Si accanisce sulle escort.

Potrebbe forse intenderle donne di serie B, ma credo intimamente sappia che sono di serie A, e ne abbia paura. Hanno trasformato il sesso nella loro arma, ne traggono profitti economici, quindi sono libere. Non poter controllare una donna, una prostituta che decide di darsi per soldi, è la cosa che lo fa innervosire di più. Si chiama perdita di controllo, e oggi non è l’unico uomo a patirla.

Il cinema è sessista?

Era molto meno sessista negli anni Cinquanta, Quaranta, Trenta. È strano, più andiamo indietro, più le donne erano protagoniste. Da poco abbiamo perso la Vitti, ho rivisto i suoi film, era aiutata dalle produzioni, dai registi a emergere. C’era attorno al suo talento un apparato, e vale per Sophia Loren, al di là del marito.

Oggi?

Lo fa Dario (Argento), e l’ha fatto molto Verdone con me.

Altri?

I registi che hanno una sicurezza interiore tale da far emergere le proprie attrici sono pochi.

Occhiali neri conferma: il nudo non la imbarazza.

Lo provo di più in altri ambiti: al mare in costume mi sento inadeguata, mi vedo quel filo di cellulite. Invece nel film il nudo lo reputo un gesto artistico, di liberazione, come se facessi una scritta sul muro. Non a livello vandalico, eh!

Perché il corpo delle donne fa ancora così paura?

Be’, ha una armoniosità, una sinuosità diversa, più attraente. Per natura deve esserlo, perché ci servirà nella nostra missione primaria. Ovviamente, il bello come il brutto, gli estremi, oggi non ne escono indenni: viviamo in una società terribilmente involuta, regredita.

Per lei la maternità è una missione primaria?

Per me Ilenia no, parlavo della missione che ti impone la natura, forse la società.

Colleghe con cui prenderebbe una pizza?

Anna Foglietta, mi sta molto simpatica. Anche la Ramazzotti, e Ambra, ci ho lavorato. Amo le donne, siamo piene di sfaccettature. In camerino, mentre ci trucchiamo, risulta chiaro: o ci uniamo o ci distruggiamo. Io dico: meglio unirci.

Il ventesimo lungometraggio di Argento parte da un’eclissi.

È una condizione interiore, ne ho avute tante (ride). Quando affronto quei periodi personali – sul lavoro, incrociamo le dita, ho fatto molto – ho la consapevolezza che poi si risorge, che il buio ti aiuta a capire la luce, il bello della vita. Ha ragione Dario, se non ci fosse il nero non si intenderebbe il bianco.

Da Lo chiamavano Jeeg Robot sin qui, in sei anni ne ha fatta di strada: i momenti da conservare?

Il primo provino per Jeeg, lo fermerei. Poi quando stavo in macchina per andare ai David, il mio ufficio stampa: “Difficile che vinci all’esordio, ma ti sei preparata il discorso?”; e io: “No”. Verdone, nel cuore. Celentano che mi ha turbata. Artisticamente, in senso positivo. È talmente libero: diceva quel che voleva, non gli importava del politically correct.

Di Adrian ci ricordiamo anche i suoi abiti.

Erano vestiti russi-ucraini, pieni di pailettes. Li ho presi io stessa: cinque per 100 euro. Ne vado fiera, “farsi vestire da” è un giochino che non fa per me.

Presto la vedremo in C’era un volta il crimine di Massimiliano Bruno.

Quanto mi sono divertita, tutti uomini, però simpatici. Gassmann, Tognazzi, Giallini, da scompisciarsi.

Lei di che crimine si macchierebbe?

Rapina in banca. La vorrei architettare da anni. Però mi ha preceduto La casa di carta, più o meno avevo quella idea lì.

Il museo del nazi-fascismo e il ministro Franceschini

Esiste in Italia un museo del fascismo, che esalta addirittura le truppe naziste, la Repubblica di Salò e il colonialismo italiano? Un museo riconosciuto dal Ministero della Cultura, patrocinato dagli enti locali? Tra i “luoghi” della cultura, il sito del ministero di Dario Franceschini celebra e invita a visitare questo capolavoro: il Museo sacrario reggimento “Giovani Fascisti”-Africa settentrionale 1940/1943, a Ponti sul Mincio, in provincia di Mantova. Un residuo del Ventennio? Macché, la costruzione di un irriducibile gerarca repubblichino (Fulvio Balisti), che dal 1960 “raccoglie e conserva i cimeli del reggimento e della campagna in Africa Settentrionale”, con tanto di sala dedicata all’Africa Korps di Hitler, e con “‘l’erta del ricordo’, che raccoglie i cippi dei reparti dimenticati, primo fra tutti quello delle nostre fedeli truppe Coloniali e quelle della Repubblica Sociale Italiana: il sacrificio della vita per l’Italia non conosce distinzioni politiche” (così, incredibilmente, il sito del Ministero della Cultura della Repubblica italiana del 2022…).

Ogni anno il Comune di Verona (ormai roccaforte del neofascismo italiano) propone ai ragazzi delle scuole un concorso che consiste nello scrivere un tema “sull’amor di patria dedicato al maggiore Fulvio Balisti, perché egli rappresenta uno straordinario esempio di idealismo, generosità, coraggio, dignità e coerenza”. Coerentemente dalla parte dei nazisti. Un concorso che, dice l’assessore al decentramento del comune di Verona, “punta a stimolare nei più giovani il senso di appartenenza alla Nazione”. Nazionalisti, patrioti, combattenti per l’etnia italiana: mancano solo i balilla nell’immaginario di un Ministero dell’Istruzione che ha diramato una indecente circolare in cui si afferma che “il Giorno del Ricordo e la conoscenza di quanto accaduto possono aiutare a comprendere che, in quel caso, la ‘categoria’ umana che si voleva piegare e culturalmente nullificare era quella italiana. Poco tempo prima era accaduto, su scala europea, alla ‘categoria’ degli ebrei”. Un passaggio che tiene insieme due dei cavalli di battaglia, entrambi destituiti di ogni fondamento storico, della retorica dell’estrema destra relativa al Giorno del Ricordo (una solennità civile che i neofascisti rivendicano come propria, strumentalizzando senza alcun ritegno le vittime delle foibe che dicono di voler onorare): l’affermazione che sul confine alto-adriatico si sarebbe consumata una pulizia etnica, e la convinzione che essa sarebbe paragonabile alla Shoah. In un Paese mediamente civile, il ministro dell’Istruzione si sarebbe assunto le sue responsabilità, andandosene dalla porta di servizio, rosso di vergogna.

Il controllo della scuola e dell’università è, del resto, l’obiettivo della galassia che va da Casa Pound alla Lega, da Forza Nuova a Fratelli d’Italia. Per cercare di impedire un seminario scientifico sulla genesi del Giorno del ricordo promosso dall’università della quale chi scrive è rettore, alcuni parlamentari della Lega hanno presentato una interrogazione alla ministra dell’università, chiedendole testualmente “se sia legittimo che un rettore possa assumere liberamente iniziative di critica esplicita di una legge dello Stato”. Vorrei sottolineare quell’avverbio, “liberamente”: che qui vale “impunemente”. In altre parole, si chiede una punizione esemplare per chi osa dissentire. Dimenticando che il compito dell’università, la sua missione (garantita dalla Costituzione) è proprio quella di dissentire, criticare, elaborare alternative: chissà se quei parlamentari sapessero quante leggi dello Stato vengono esplicitamente criticate nei dipartimenti di Giurisprudenza! Fratelli d’Italia (che a Siena è al governo della città) raccoglie invece in piazza le firme per le mie dimissioni: a farlo è precisamente la sezione intitolata a Giorgio Almirante, dal 1938 al 1942 segretario di redazione della Difesa della razza. Bisogna dire che il nume tutelare è scelto bene: nel primo numero di quella infame rivista, il razzistissimo Almirante attaccava proprio gli atenei pieni di professori ebrei, sostenendo (tragicomicamente) che “all’Università si è troppo occupati nello studiare quel che al riguardo sostenne il Mommsen, o il Meyer, o Gino Segrè, oppure Aldo Segrè (tutti bei nomi italici, come si vede), si è troppo occupati nel frazionare, disintegrare, polverizzare la cultura… e non si ha naturalmente il tempo di risalire ai principi generali”.

Quali erano quei principi? Quelli del “razzismo del sangue” auspicato da Almirante, il quale avrebbe voluto che all’università si insegnasse che l’Impero romano era caduto per il meticciato coi barbari e coi neri.

Parlando dei nazi-fascisti, Walter Benjamin scrisse che “neppure i morti saranno al sicuro dal nemico, se vince”. Oggi i morti, cioè la storia e la libera trasmissione del sapere, sono di nuovo in pericolo: perché questo nemico, come vedeva Benjamin e vediamo noi, “non ha smesso di vincere”.

Gaza. Una casa di moda per provare a sopravvivere

Nella minuscola Striscia di Gaza, dove la popolazione e il tasso di disoccupazione sono tra i più alti al mondo, l’idea di trovare un lavoro è quasi impossibile, soprattutto con il continuo deterioramento delle condizioni economiche e di vita. Pertanto, la necessità di cambiare professione è diventata per molti l’unica scelta per sopravvivere.

Due designer – Khalil Khudair e Aya Eid – hanno creduto nel loro talento nel fashion design e lo hanno usato per aiutare gli altri a seguire i loro sogni e sopportare le crudeli condizioni economiche nella Striscia. Due mesi fa hanno aperto la prima casa di moda di Gaza, che insegna metodi e basi dell’arte del fashion design come preludio al lancio di un marchio e di una linea di produzione. Un’iniziativa audace e rischiosa data la situazione instabile e la fragile economia nell’enclave costiera, nonché le barriere culturali, ma questo potrebbe rivelarsi un vantaggio.

La Khalil & Aya Fashion House lavora per formare designer professionisti e qualificati pronti a impegnarsi nel mercato del lavoro, anche fornendo loro, a pagamento, preziosi corsi di formazione in fashion design, cucito e produzione di moda internazionale. Anche se solo di recente costituzione, la maison ha ottenuto un notevole successo nell’attrarre studenti appassionati di entrambi i sessi; più di 40 fra uomini e donne finora sono stati formati e qualificati per avviare un’attività in proprio.

Avere un progetto del genere a Gaza lascerà un grande impatto non solo sui piccoli designer sostengono i due giovani imprenditori. Khudair, che ha studiato fashion design in Giordania nel 1996, ha già il suo marchio, Khalil Fashion, che ha lanciato per la prima volta nel 2000 e ha lavorato giorno e notte per farlo arrivare nei Paesi vicini come l’Egitto o i ricchi petro-emirati del Golfo Persico, con cui recentemente Israele ha aperto relazioni diplomatiche; una novità che potrebbe facilitare le esportazioni dalla Striscia di Gaza che dal 2007 è sottoposta a un blocco militare ed economico che parzialmente si sta allentando.

 

La repubblica serba sull’orlo di una nuova guerra civile

Sulla porta del caffè del centro di Banja Luka un cartello annuncia “lavori in corso”, ma il piccolo locale è lo stesso gremito di giovani. “La guerra? Nessuno vuole farla. Qui tutti sognano solo di poter lasciare un giorno la Bosnia ed Erzegovina”, osserva Stefan Blagićdella ong Restart, che già qualche anno fa aveva lanciato una campagna per allertare l’opinione pubblica sull’esodo dei giovani dal Paese. Anche i suoi amici stanno partendo uno dopo l’altro. Come Aleksandar, un ex compagno di studi, ora impiegato nella filiale locale di un’azienda high-tech tedesca, con un ottimo stipendio.

Il giovane, 30 anni, si prepara a sua volta a partire per la Germania, perché ritiene che “non sia possibile” costruirsi un futuro in un Paese dominato dal clientelismo delle élite nazionaliste. La Republika Srpska (Repubblica serba), una delle due entità della Bosnia ed Erzegovina, lontana dalla retorica nazionalista del dirigente secessionista serbo Milorad Dodik, sta perdendo i suoi abitanti. Nel 2017, gli studenti delle scuole superiori di Jajce, un paesino a un’ottantina di chilometri da Banja Luka, si erano ribellati contro la segregazione etnica imposta sin dai banchi di scuola. Alla fine della guerra, nel 1995, Jajce, costruita ai piedi di una fortezza medievale, è entrata a far parte dell’altra entità del Paese, la Federazione di Bosnia ed Erzegovina, in cui convivono bosniaci di tradizione musulmana e croati di tradizione cattolica. Gli studenti delle due comunità, pur frequentando lo stesso istituto, seguono programmi scolastici diversi. I nazionalisti bosniaci del Partito d’azione democratica (Sda) avevano chiesto che venisse costruita una scuola nuova per accogliere gli studenti della loro comunità. Ed è così che nel 2017 si era scatenata la rivolta. Samir Beharić è stato uno dei leader di quel movimento: “Mia madre continua a chiedermi se il mio passaporto è valido, così potrò partire subito se dovesse capitare il peggio. Posso capire la sua preoccupazione: nel 1991 nessuno credeva che potesse scoppiare la guerra”. “La Bosnia-Erzegovina è anche il paese dei croati”, ricorda Josip Topić, presidente croato del consiglio municipale di Jajce. Secondo lui “devono essere i genitori a decidere se vogliono che i loro figli studino la storia e la letteratura croata o bosniaca”. Questa è la Bosnia ed Erzegovina, un paese dove giovani di generazioni diverse crescono da trent’anni in universi paralleli. Josip Topić riconosce però che i croati della Bosnia ed Erzegovina hanno in più un lasciapassare prezioso: il passaporto croato che permette loro di lavorare nell’Ue. Aleksandar Trifunović, caporedattore del sito d’informazione Buka, uno dei rari media indipendenti in Republika Srpska, aveva 20 anni al tempo della guerra: “Ricordo la primavera del 1992. Il venerdì ero andato a giocare a tennis, la domenica mi ritrovai sul fronte”. Oggi, aggiunge, “il discorso bellico invade lo spazio pubblico, i media, i social network. Ma la vera questione è sapere chi combatte e contro chi”. Aleksandar Trifunović ritiene che si va incontro a “tensioni”, ma che non ci sarà una guerra “vera”, come quella degli anni ‘90. Per i nazionalisti bosniaci la crisi però non sarà solo politica. Sead Turalo, docente della facoltà di Scienze politiche di Sarajevo, ritiene che la Bosnia-Erzegovina non sia in grado di risolvere la crisi da sola e auspica un rafforzamento della presenza militare internazionale nel Paese.

Dall’estate 2021, la situazione in Bosnia-Erzegovina si è fatta più delicata. Da quando l’Alto rappresentante internazionale, responsabile di garantire il rispetto degli accordi di pace di Dayton, ha imposto una legge che vieta la negazione dei crimini di guerra, i rappresentanti serbi si sono ritirati dalle istituzioni centrali del Paese. Il 10 dicembre 2021 il Parlamento della Republika Srpska ha anche approvato una serie di direttive che consentono la creazione di istituzioni separate, un sistema fiscale, dei servizi di intelligence e delle forze armate separate. Si fa strada l’idea di “secessione”. Un periodo di tregua di sei mesi è stato stabilito, fino a giugno, a pochi mesi dalle elezioni generali del 2 ottobre. Ma il voto potrà avere luogo? I nazionalisti croati dell’Hdz chiedono una modifica della legge elettorale che rafforzi il carattere etnico del voto. A causa della paralisi delle istituzioni, inoltre, il bilancio dello Stato non è ancora stato adottato e deve esserlo entro il 31 marzo perché lo scrutinio possa essere organizzato. La data del 2 ottobre 2022 è scolpita nel marmo: figura nell’appendice degli accordi di pace di Dayton, che fungono ancora da “Costituzione provvisoria” del Paese. Modificare o rinviare le elezioni vorrebbe dire rimettere in discussione la piramide istituzionale del Paese. Aleksandar Trifunović ritiene che Milorad Dodik non correrà il rischio di boicottare le elezioni, lasciando campo libero ai partiti di opposizione serbi: “Partiti altrettanto nazionalisti, se non di più, ma che rappresentano una minaccia per lui. Durante le elezioni comunali del novembre 2020, l’opposizione si è imposta al comune di Banja Luka con un candidato di appena 27 anni”. Tanja Topić, politologa della fondazione socialdemocratica tedesca Friedrich-Ebert di Banja Luka, è più diffidente: “Dodik e il suo partito controllano i seggi elettorali, potrebbero decidere di ostacolare lo svolgimento delle elezioni, soprattutto se i nazionalisti croati scegliessero di fare lo stesso. ll sistema di potere di Milorad Dodik si sta sgretolando – aggiunge –. Dodik sa che ha molto da perdere da queste elezioni e sta rilanciando il dibattito sulla secessione per federare il campo serbo”. In questa Bosnia lacerata, la città operaia di Tuzla, bastione del Partito socialdemocratico (Sdp), erede dell’ex Lega dei Comunisti, continua a resistere all’appello dei nazionalisti. “Forse per la nostra cultura operaia e cosmopolita, ma noi qui a Tuzla guardiamo l’altro come un essere umano, non come un bosniaco, un serbo o un croato. E ne sono fiero”, spiega Vehid Šehić, presidente del Forum degli abitanti di Tuzla. Jasmin Imamović è sindaco della città dal 2000: “I serbi devono rinunciare alla secessione, ma anche i bosniaci devono rinunciare all’idea di sopprimere la Republika Srpska. Gli accordi di Dayton – dice – possono essere modificati solo con il consenso di tutta la popolazione”. Sulle rive della Miljacka, il fiume che attraversa Sarajevo, c’è il museo dei “Berretti verdi”, le unità di volontari che si formarono all’inizio della guerra prima che fosse creato l’esercito di Bosnia-Erzegovina. Il movimento ha lanciato un appello alla mobilitazione generale: “Abbiamo ricevuto migliaia di candidature da tutto il Paese e anche dalla diaspora – osserva Vahid Alić, alla testa della sezione di Sarajevo -. Non vogliamo la guerra – precisa –, ma siamo pronti a difendere il Paese”. Se la comunità bosniaca è oggi quella che più teme un nuovo conflitto, è anche la sola a prendere seriamente in considerazione tale ipotesi. Strajo Krsmanović dirige la Galleria nazionale di Belle arti di Sarajevo, il cui principale problema è essere “nazionale” in un paese come la Bosnia-Erzegovina: “Da noi è tutto diviso.

Secondo gli accordi di Dayton, la cultura è responsabilità di ciascuna entità e, all’interno della Federazione, di ognuno dei dieci cantoni. Non esiste un ministero della Cultura, né un ente che ci tutela e finanzia”. A gennaio, le casse del museo sono disperatamente vuote. C’è solo quanto basta per pagare un mese di stipendio ai quattordici dipendenti. La stessa cosa vale per altre sei istituzioni nazionali. Strajo Krsmanović è un serbo di Sarajevo, che non ha mai lasciato la sua città, nemmeno nei momenti bui dell’assedio. Non pensa che la guerra sia possibile, ma crede che il suo Paese stia vivendo “il periodo più rischioso della sua storia”: “La Bosnia-Erzegovina – dice – si sta svuotando dei suoi talenti, dei suoi giovani: cosa le resterà?”. (Traduzione di Luana De Micco)

È arrivata Natalina. Un dono di qualche infame che l’ha abbandonata per strada

In genere accade d’estate, quasi sempre su strade a scorrimento veloce. Veloci anche loro a correre dietro alla macchina di uno stronzo che li ha scaricati, dietro un motore che accelera e scappa via indifferente. Loro corrono increduli, prima come fosse un gioco, poi corrono sempre più disperati schivando mille ruote, ma non più quelle sicure, buone, odorose, sulle quali alzare la zampa e fare la pipì durante la passeggiata, ma quelle che li investiranno. E allora corrono più forte, fino a quando non c’è più nessuno da inseguire. E quando ce la fanno, bene che vada, benissimo che vada, un canile, un lager, detenuti destinati a una gabbia o alla soppressione, a meno che un gesto buono di accoglienza o un’anima bella non li adotti e non bilanci il gesto maledetto dell’abbandono. A me è successo dopo Natale. Barcollava sul viadotto col passo zoppicante, pelosetto e arruffato, un cucciolo con al collo il residuo d’un nastro rosso. Ho pensato fosse un dono, chissà forse un regalo. Neanche ci hanno provato a tenerlo, l’hanno subito buttato nella monnezza, come la carta del panettone. Complimenti, bel Natale, avete capito tutto! Ho fermato la macchina e sono scesa, lei mi è venuta incontro, semplicemente, con la coda gioiosa e due occhi spaventati, ma vivi, nonostante il freddo e la cattiveria dei suoi padroni. Me la sono messa sul cuore, tra il piumino e il maglione, e li è rimasta. È rimasta a insegnarmi ad amare senza schermi e senza filtri, a scacciare i brutti ricordi, a pensare solo al presente, alla pappa, alla corsa, al divano e alle coccole a letto. Sta con me e io sono sua. Il guinzaglio con cui lei mi porta a spasso è un legame che benedico tutti i giorni da quel Natale. Il Natale di qualche stronzo e di un cucciolo abbandonato che ha trovato me. I cani non si comprano, si salvano. L’ho chiamata Natalina.