Accuse e punizioni: così hanno fermato Ultimo

Pubblichiamo un’anticipazione da “Fermate il Capitano Ultino!” (Chiarelettere) di Pino Corrias, in libreria dal 23 maggio

Condannato a morte dai mafiosi, odiato dagli inquisiti, malvisto dalle alte gerarchie dei carabinieri e del potere, temuto dai politici di destra, di centro, di sinistra: in questo quarto di secolo – dalla cattura di Totò Riina, anno 1993, a oggi – il colonnello Sergio De Caprio, conosciuto come “Capitano Ultimo”, è stato sotto il fuoco costante di nemici e riflettori. Lo hanno accusato di avere inscenato la cattura di Riina, assecondando l’accordo tra Bernardo Provenzano e i carabinieri: il vecchio boss fuori controllo in cambio della tregua (…) di non avere perquisito la villa di Riina, dando il tempo ai mafiosi di ritirare e nascondere le sue carte (…) di avere partecipato alla trattativa Stato-mafia che ha garantito la sopravvivenza dei Corleonesi dopo le stragi (…) di avere una squadra di carabinieri a sua immagine e somiglianza (…) troppo autonoma (…).

Lo hanno accusato, al contrario, di essere uno strumento in mano a Henry John Woodcock, il pm “che ha intercettato mezza Italia” con inchieste spericolate (…) per alcune delle sue indagini finite con l’assoluzione degli imputati dopo i tre gradi di giudizio, come se lui fosse il titolare del processo (…) di avere danneggiato gli affari di Finmeccanica e dunque dell’Italia, durante l’inchiesta che generò l’arresto del suo vertice (…) di avere attaccato la Lega di Bossi, Maroni e Salvini. Di averla danneggiata con l’arresto del tesoriere Belsito (…) di essere troppo intrusivo nelle indagini (…) di avere attaccato il mondo delle coop e il Pd, quando ha indagato sulla Cpl Concordia (…) di avere complottato contro Matteo Renzi, di essere un “carabiniere esagitato, esaltato, eversivo”. Almeno una decina di volte (…) è stato accerchiato, isolato, inquisito, criticato, trasferito, punito dalle gerarchie e dal potere politico (…). Oggi, dopo gli ultimi attacchi di Renzi e l’ostilità della Lega di Salvini – cioè del potere in declino e del potere in ascesa –, i vertici dell’Arma gli hanno tolto tutto: le indagini, gli incarichi, gli uomini della sua squadra. E di nuovo la scorta. Lo hanno parcheggiato in fondo al primo piano del Comando carabinieri forestali, al di là dell’ultima porta a vetri. Un territorio neutro, senza nome, senza insegne, che sembra scelto con accuratezza da un’amministrazione impersonale ma zelante, delegata a perfezionare la punizione con finta indifferenza e autentico rancore. E lo ha fatto – affinché servisse come monito – contro uno dei suoi uomini migliori, capace di condurre inchieste straordinarie, che oggi poteva essere generale e che invece ha rinunciato quasi a tutto: la carriera, gli encomi, persino il volto e una vita non clandestina. Negli ultimi mesi del 2018 e nei primi del 2019 l’ho incontrato a lungo. Così come ho incontrato molti dei suoi uomini (…). Non c’è risarcimento possibile per ciò che ha subito. In questo libro c’è solo la sua storia. E la sua storia dovrebbe bastare.

Vincono i camalli: la nave (per ora) non carica armi

La vittoria dei camalli e dei pacifisti. Ma i cannoni e i generatori elettrici per l’Arabia potrebbero partire nei prossimi giorni da Marsiglia o La Spezia. Il dribbling tra governo saudita e pacifisti non è finito. Il cargo Bahri Yanbu è arrivato ieri all’alba nel porto di Genova scortato da due motovedette. Ad attenderlo c’erano oltre cento persone. Portuali, pacificisti (da Amnesty a Genova Antifascista) e ragazzi delle associazioni (Acli e Libera tra le altre) con striscioni e fumogeni. Del resto Cgil e lavoratori erano stati chiari: sciopero per impedire alla nave di caricare materiale bellico. Così alla fine le autorità si sono prese un impegno: restano a terra i generatori elettrici prodotti dall’italiana Teknel e destinati alla Guardia Nazionale saudita. Il cargo imbarcherà il materiale di uso strettamente civile e ripartirà.

Vero, come dice l’ammiraglio Nicola Carlone (che comanda le Capitanerie di Porto liguri): “Questa nave scala regolarmente nel porto di Genova da 4-5 anni”. Ma, come spiega Luigi Cianci (delegato Cgil nella Culmv, la storica Compagnia Unica): “Oggi c’è una coincidenza simbolica: nello stesso giorno i nostri porti respingono la nave con i migranti e spalancano le porte a quella con le armi”. E poi, ricorda il Calp (Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali), “è da anni che i portuali protestano contro il carico e lo scarico delle armi”.

Non è una vittoria definitiva, ma un segnale. Anche per il pacifismo italiano. E per Genova, città una volta con il cuore rosso dove i camalli incrociavano le braccia contro la guerra in Vietnam. Un mondo che pareva finito e invece ha mostrato di essere vivo.

Ma dove andranno adesso i generatori e i cannoni francesi Caesar da 155 mm. che la Yanbu doveva caricare a Le Havre? Voci di banchina parlano di una spedizione via treno a La Spezia (dove però la Cgil già annuncia un altro sciopero) e di un imbarco sempre sulla Yanbu presso l’Arsenale Militare, forse insieme ai cannoni fermati dai portuali francesi. Esiste un’altra possibilità: la Bahri Tabuk, nave sorella della compagnia saudita, è partita venerdì dal porto canadese di Saint John, dove nei mesi scorsi l’abituale imbarco di blindati leggeri destinati all’Arabia è stato oggetto di proteste. Secondo la documentazione dell’agenzia marittima Delta, la Tabuk dovrebbe saltare gli scali nordeuropei di linea (fatti dalla Bahri) e arrivare direttamente a Genova il 26. Ma nel viaggio della Tabuk – lo si apprende dal sito MarineTraffic che monitora la posizione delle navi e da quello della Bahri – è stato inserito uno scalo non previsto a Fos, il porto mercantile non distante da Marsiglia, per il 27. La nave dovrebbe ormeggiare al terminal Somarsid, attrezzato non solo per i carichi siderurgici dell’acciaieria Arcelor che è accanto. Ma anche per imbarchi fuori sagoma come i cannoni di Le Havre, di cui si sono perse le tracce, e i generatori italiani. Senza dimenticare che, diversamente dall’Arsenale spezzino, è un terminal servito dalla ferrovia e situato in uno dei punti meno accessibili per eventuali dimostranti.

Bollo auto, le Regioni possono introdurre le esenzioni fiscali

Le Regioni sono libere di introdurre esenzioni fiscali sul bollo auto: unico vincolo, non aumentare la pressione fiscale oltre i limiti fissati dal legislatore statale. Lo ha deciso la Corte costituzionale all’interno di un contenzioso tra la Commissione tributaria provinciale di Bologna e la Regione Emilia-Romagna riguardante il pagamento della tassa per autoveicoli e motoveicoli con anzianità tra i 20 e i 30 anni, classificati d’interesse storico o collezionistico. Ma la decisione della Consulta ha una valenza più ampia, e potenzialmente può riguardare tutti i veicoli, imponendo alle Regioni unicamente di non alzare la pressione fiscale oltre il tetto fissato a livello statale. “È una buona notizia – ha commentato il vicepremier Luigi Di Maio – perché il bollo auto è una tassa ingiusta”. Il bollo auto produce un gettito molto consistente. Secondo i calcoli effettuati su dati Istat dalla Uecoop (L’Unione europea delle cooperative), il bollo auto si traduce in una stangata su famiglie e imprese da 6,7 miliardi di euro, cifra che indica un balzo del +17,7% in cinque anni. Fra il 2013 e il 2017 – spiega Uecoop – le tasse pagate dagli italiani per la macchina sono aumentate al ritmo medio di oltre 200 milioni di euro l’anno”.

Biossido di titanio, la lobby Ue vince sulla salute

C’è un filo conduttore che lega vernici, cosmetici, prodotti per l’igiene personale e numerosissimi alimenti, come formaggi, caramelle, salse e medicinali contro il mal di pancia o il raffreddore: è l’impiego del biossido di titanio che si trova tanto nei prodotti venduti nelle ferramenta, quanto nei supermercati e nelle farmacie. Si tratta, infatti, di uno sbiancante chimico che viene utilizzato come additivo (E171 è la sigla che si trova sulle confezioni dei prodotti alimentari) e che già dal 2006 l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro dell’Organizzazione mondiale della sanità ha dichiarato “possibile cancerogeno per l’uomo”. Le evidenze scientifiche hanno dimostrato che, se inalato, il biossido può essere responsabile di tumori polmonari. Un rischio più elevato se la sostanza è utilizzata nella sua forma nanometrica, vale a dire presente in piccolissime dimensioni, anche se in etichetta non se ne fa menzione.

Un’omissione che, tuttavia, non sembra rivelarsi un pericolo per l’Autorità per la sicurezza alimentare europea (Efsa) che continua a confermare che il biossido di titanio “non solleva problemi di sicurezza” rifiutandosi di sottoporlo a una nuova valutazione di sicurezza. Una conclusione ribadita ancora lo scorso mese, quando la Francia ha annunciato la decisione di vietare la commercializzazione degli alimenti contenenti biossido di titanio a partire dal 2020. Eppure la sicurezza dell’additivo resta controversa, perché viene utilizzato sotto forma di nanomateriale (ovvero 10 mila volte più piccolo di un capello) nei prodotti alimentari dove, invece, non dovrebbe essere previsto. Così come ha scoperto il Salvagente che, nel nuovo numero in edicola mercoledì, pubblica un’analisi che mostra come tra 12 prodotti tra i più consumati – snack, confetti al cioccolato, gomme da masticare e farmaci – l’additivo non si presenta solo in forma standard, come dichiarato in etichetta, ma è presente anche in forma nano e micro. “È fuori dubbio che più piccole sono le particelle, più alto è il livello di incertezza sul rischio, con possibili interferenze nei processi cellulari, reazioni infiammatorie e interazioni con il sistema nervoso”, spiega il direttore del mensile Riccardo Quintili. Proprio come hanno dimostrato i ricercatori dell’Istituto francese per la ricerca agricola (Inra) mettendo in luce i rischi del biossido di titanio quando viene ingerito: la molecola attraversa la barriera intestinale e passa nel sangue.

Eppure l’appello francese di classificare il biossido di titanio come cancerogeno è andato nel vuoto: l’Agenzia europea delle sostanze chimiche (Echa) ha optato solo per una classificazione più blanda, proponendo di considerarlo come “sospetto cancerogeno”. Ed anche se l’ultima parola spetta alla Commissione europea, il cammino sembra ormai segnato: in Europa la lobby che difende il biossido di titanio continua ad avere la meglio. Tanto che il voto finale sulla proposta è stato già rimandato più volte, l’ultima lo scorso 11 aprile. Il motivo di tanto “inattivismo”, spiega il Salvagente, sono i 14 milioni di euro messi sul piatto dall’associazione che riunisce i produttori di biossido di titanio, la Tdma. Secondo il Corporate europe observatory (Ceo), il gruppo di ricerca che vigila sulla trasparenza in Europa, la Tdma sarebbe riuscita a influenzare la scelta dell’Ue facendo approvare un “serio programma scientifico da 14 milioni di euro” che la stessa Tdma si è impegnata a finanziare.

Ecologisti a parole: così votano gli italiani all’Europarlamento

L’emozione e i buoni sentimenti veicolati da Greta Thunberg e dalla necessità di tutelare il Mondo e l’ambiente al Parlamento europeo hanno ricevuto un’ottima accoglienza. L’ambiente va protetto, lo dicono forte tutti. Eppure quando questi buoni propositi si scontrano con altri interessi diventa difficile essere così netti. Soprattutto quando significa votare leggi e risoluzioni che potrebbero avviare il cambiamento. È quanto mostra il monitoraggio del Wwf, un “eco screening del voto” a Strasburgo realizzato analizzando i verbali dei voti.

Quando i membri del Parlamento europeo votano in plenaria, infatti, normalmente lo fanno per alzata di mano. Il presidente decide poi le maggioranze. In questo modo, però, non è possibile raccontare come abbiano votato i singoli membri. Quando però il voto è “per appello nominale” (può essere richiesto da un partito politico o da almeno 40 europarlamentari) la preferenza individuale viene registrata e messa a verbale. E proprio basandosi su questo tipo di voti, il Wwf ha rendicontato il comportamento dei singoli deputati. “I voti che abbiamo selezionato – spiegano – sono relativi a momenti politicamente significativi in ​cui i deputati hanno avuto l’opportunità di fare una differenza decisiva per l’ambiente e il clima. Spesso il Wwf era anche in contatto con gli europarlamentari prima del loro voto per condividere le sue raccomandazioni e le opinioni dei suoi esperti”. L’organizzazione si è concentrata su tre ambiti principali: Energia e Clima, Ambiente marino e Biodiversità.

Nel complesso, durante la legislatura 2014-2019, quasi tutte le forze politiche italiane hanno votato in maggioranza in favore delle tematiche ambientali. Analizzando però le decisioni nel dettaglio, emergono delle differenze: sui temi legati al clima e all’energia, ad esempio, se da un lato sono stati a favore del supporto finanziario ai progetti sull’ambiente sia FI che Pd (con più dell’80% dei voti espressi favorevoli), dall’altro quando hanno deciso se destinare il 40% delle risorse finanziarie per realizzare gli obiettivi dell’Accordo di Parigi sul clima a votare a favore sono stati solo M5s (93,3% dei voti espressi) e Sinistra Italiana (100%). Anzi. Quando si è discusso di cancellare i sussidi europei ai combustibili fossili hanno votato contro Pd, FI, Lega, Articolo Uno, Conservatori e Riformisti, UdC, SVP, Alternativa Popolare e Fratelli d’Italia raggiungendo il 60% delle espressioni di voto contrarie. Una delle proposte avanzate in questi anni, in un piano che è stato approvato a fine 2018, era l’ipotesi di ridurre la pesca del novellame, ovvero degli esemplari giovani prima che siano in grado di riprodursi. In questa battaglia si sono opposti FI e Lega (rispettivamente con l’80,8 e il 75%), il Pd con l’80% ma anche il M5S (addirittura con il 93,3%). La giustificazione, per questo posizionamento trasversale, è stata la tutela del settore ittico italiano che, secondo gli europarlamentari, sarebbe stato danneggiato.

La corrispondenza tra intenti e sentimenti sarebbe potuta arrivare quando è stato proposto che i produttori di plastica fossero considerati finanziariamente responsabili dei costi di risanamento dell’inquinamento da plastica: hanno votato a favore Pd e M5s (rispettivamente 84,6% e 93,3%) ma si sono opposti con forza Lega (83,3% dei voti espressi) e Forza Italia (81,8%). Anche sulla biodiversità se tutti erano favorevoli a grandi linee, poi si sono persi nel dettaglio. “Un ampio fronte – si legge nel rapporto – si è dimostrato favorevole a che l’Europa mantenga le leggi di protezione della natura esistenti e faccia addirittura di più”. Fronte che si è sgretolato però quando si è passati ad esprimere i propri voti per sostenere uno strumento di finanziamento per la gestione delle aree naturali protette in Europa: “Ha visto favorevoli solo il M5S e Sinistra Italiana”.

Arrestato ex direttore filiale banca Carige delle Cinque Terre

Un milione sparito a Carige. L’ex direttore della filiale di Vernazza è stato arrestato con l’accusa di furto aggravato e autoriciclaggio. Si tratta di Giovanni Plotegher, una persona molto nota alle Cinque Terre, perché tra l’altro genero dell’ex senatore di Forza Italia Luigi Grillo. Secondo i pm, Plotegher avrebbe prelevato 585 mila euro dal bancomat della filiale e 500 mila euro dai conti correnti di alcuni clienti. Nel registro degli indagati è finita tra gli altri anche la moglie di Plotegher, Mariolina Grillo. Plotegher da un anno non lavorava più in Carige. Si era dimesso evitando così il licenziamento ed era andato a lavorare presso la Mediolanum. Non è l’unica vicenda giudiziaria in cui recentemente è comparso il nome di Giovanni Plotegher: l’ex dirigente di Carige infatti è anche presidente del Val di Vara Cinque Terre, una squadra di calcio. Proprio in questa veste è stato indagato nell’inchiesta sui baby calciatori arrivati dalla Nigeria. Un fascicolo che tocca anche lo Spezia calcio. Tra gli indagati anche il patron della squadra, Gabriele Volpi, e l’ex furbetto del quartierino, Gianpiero Fiorani. Plotegher in entrambi i casi si è dichiarato innocente.

“Le tangenti io le respingo con un ‘vaffa’ automatico”

Il volto rotondo di Domenico Giannella, il capo ufficio tecnico di un piccolo comune sul mare del Cilento, Pollica (Salerno), incarna la normalità dell’eroismo. Giannella ha rifiutato una tangente di 10.000 euro, ha denunciato la tentata corruzione, l’ha registrata di nascosto e ha fatto arrestare l’imprenditore che voleva comprarsi un appalto da quasi tre milioni per il rifacimento della rete fognaria. Il geometra ha dedicato il suo gesto ad un altro eroe che non c’è più, dopo aver reso celebre Pollica nel mondo: il sindaco pescatore Angelo Vassallo, ucciso il 5 settembre 2010, l’assassino è ancora ignoto. “Il suo insegnamento non è stato vano” ha scritto Giannella su Facebook.

Quale fu per lei l’insegnamento di Vassallo?

Era il 1997, lui è sindaco da un anno e io ho appena vinto il concorso. Mi dice in dialetto: noi teniamo una faccia, e quella non la dobbiamo perdere mai.

Durante le amministrazioni Vassallo le furono fatte altre proposte indecenti?

Io e lui le stroncavamo sul nascere con un vaffanculo. Ma erano sempre discorsi da interpretare, mai proposte così dirette come quelle di questi tempi.

È vero che lei già tre anni fa fece arrestare un ingegnere che voleva accordarsi per un imbroglio?

Sì. Il dirigente dell’ispettorato Asl iniziò a ispezionare il cantiere del rifacimento del convento di Pollica, e venne nel mio ufficio ma io non c’ero. Il mio collaboratore mi disse che aveva capito che c’era qualche stranezza nel suo discorso. Poi si ripresentò qualche giorno dopo per controlli su altri lavori pubblici, controlli reiterati. La cosa mi puzzava, ne parlai col maresciallo, decidemmo di registrarlo di nascosto. Poi mi chiese un appuntamento, voleva parlarmi.

Che le disse?

Davanti a un caffè in un bar di Acciaroli mi disse che la moglie era proprietaria di uno scheletro di edificio incompiuto, un solaio e dei pilastri tra Pioppi e Acciaroli, che c’era una pratica di condono legge 47/85, e che se lo avessi condonato lui non mi avrebbe sanzionato per i controlli sui cantieri.

Lei che fece?

Presi tempo, dissi che dovevo studiarmi la pratica, peraltro incondonabile. Per consentire agli inquirenti e alla Procura di fare il loro lavoro. Alla fine delle indagini i carabinieri mi dissero che bisogna convocarlo. Gli telefonai per convocarlo urgentemente nell’ufficio del sindaco. I carabinieri lo arrestarono in flagranza di reato.

Nella stanza di Vassallo.

Esatto.

Come andò a finire?

Fu interdetto dall’incarico e ha patteggiato.

Una storia simile a quella più recente. La riassuma.

Il titolare di un’impresa che aveva già fatto diversi lavori a Pollica, stavolta si era proposto in un modo diverso. È venuto nel mio ufficio e mi ha detto che era interessato all’appalto del rifacimento della fognatura. Gli ho replicato che se avesse fatto un buon progetto avrebbe avuto buone possibilità di vittoria, come si dice a tutti, ma lui intendeva altro. Voleva un aiuto a vincerla.

In che modo?

Mi ha proposto 10mila euro in contanti. In cambio mi avrebbe spiegato come farlo vincere, che mi preciserà in alcuni incontri successivi: avrebbe indicato lui i tre nomi della commissione di valutazione dell’appalto che spettava a me nominare. Solo che io nel frattempo lo avevo già denunciato. E così lo hanno arrestato.

C’era il precedente, si sapeva che lei non scende a patti. Eppure ci hanno provato lo stesso.

Purtroppo sì.

Che riflessioni le suscita? Anche alla luce delle numerose indagini su tangenti e corruzione di questi giorni.

Un senso di sconforto. Forse non si è abbastanza chiari nel far capire che certe cose non si fanno? Spero davvero che non succeda mai più. Comunque è stato causato un danno: ci sarà un ritardo di qualche mese nei lavori perché dovrò annullare il bando e rifarlo da capo. Nel frattempo sarà pubblicato un altro bando di gara per il completamento del porto di Acciaroli, 8 milioni di euro. Spero, anzi, sono certo che si svolgerà con molta più tranquillità.

Il porto di Acciaroli è intitolato ad Angelo Vassallo.

Quando divenni capo dell’Utc non lo conoscevo nemmeno di nome. Sono originario di un altro comune, ho studiato al Nord. Abbiamo, come con l’attuale sindaco Pisani, un rapporto improntato alla massima lealtà. Vassallo è un ottimo amministratore, molto attento al risparmio, e un pessimo politico: se una cosa non si può fare, te lo dice subito e anche in modo burbero, diretto.

Ne parla come se fosse vivo.

È ancora un grosso trauma per me.

Condannato l’ex braccio destro di Zingaretti

Un anno di carcere per concorso in turbativa d’asta. La condanna in Appello per Maurizio Venafro arriva dopo una camera di consiglio di un’ora e ribalta il giudizio con il quale l’ex capo di Gabinetto del presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti era stato assolto in primo grado. Il procedimento era nato da un filone dell’indagine “Mafia Capitale”. Al centro del processo, l’assegnazione, nel 2014, dell’appalto del servizio Recup, il centro unico prenotazioni delle prestazioni sanitarie della Regione. Una gara da 91 milioni di euro sulla quale avevano messo gli occhi Salvatore Buzzi e Massimo Carminati (condannati rispettivamente a 18 anni e quattro mesi, e 14 anni e mezzo di carcere per associazione mafiosa). “Previo concerto tra Testa, Buzzi, Carminati e Gramazio”, è scritto nel capo di imputazione, “i quali elaboravano il progetto di partecipazione alla gara, assumevano le determinazioni generali in ordine alla turbativa e utilizzavano il ruolo di Gramazio (Luca, ex consigliere regionale Pdl, ndr), espressione dell’opposizione in Consiglio regionale per rivendicare, nel quadro di un accordo lottizzatorio, una quota dell’appalto, ottenendo così da Venafro, in funzione di garanzia della realizzazione di tale accordo, la nomina di Scozzafava quale membro della commissione aggiudicatrice”.

Da queste accuse, in primo grado Venafro – che si era dimesso il 24 marzo 2016 dopo la notizia dell’indagine a suo carico – era stato assolto con formula piena, ossia per “non aver commesso il fatto”. Mentre l’altro imputato nel processo, Mario Monge, dirigente della cooperativa Sol.Co., era stato condannato a un anno e quattro mesi (pena sospesa). Secondo i giudici di primo grado, “l’indicazione dello Scozzafava – è scritto nelle motivazione della sentenza – poteva corrispondere a considerazioni di tipo politico che l’imputato ha bene illustrato, (…) lo stesso può dirsi coinvolto nell’assegnazione per la nomina, di per sè elemento neutro o comunque rispondente a logiche non necessariamente illecite, ma non anche in ciò che attraverso la nomina si andava a realizzare, dunque la fuga di notizie e l’ingerenza nell’appalto”. Contro questa decisione i pm Paolo Ielo e Luca Tescaroli hanno presentato ricorso: “Con riguardo alle dichiarazioni di Venafro – scrivevano i magistrati –, merita anzitutto rilievo l’assai maldestro tentativo di depotenziare un significativo elemento di riscontro al contenuto delle intercettazioni (…) costituito dal suo intervento per la nomina di Scozzafava, garanzia per Buzzi e sodali dell’assegnazione di una quota di lavori”. Ieri la sentenza d’appello: oltre la condanna a un anno e il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione per la durata della pena per Venafro, è stata confermata la condanna per Monge. “In primo grado – commenta l’avvocato di Venafro, Maurizio Frasacco – i giudici hanno stabilito che non c’erano prove. Dopo aver letto le motivazioni della sentenza di Appello, faremo ricorso”.

Non si risolve l’Iva con gli spiccioli

Il “tesoretto”
“Il miliardo che avanza dal reddito di cittadinanza nel 2019 torna buono per abbattere l’Iva nel 2020”
Massimo Garavaglia, lega, viceministro all’Economia

Pare che dai 7 miliardi stanziati nel 2019 per il reddito di cittadinanza avanzerà circa un miliardo di euro. Come usare questo risparmio imrpevisto? “Torna buono per abbattere l’Iva nel 2020”, spiega il viceministro dell’Economia Massimo Garavaglia (Lega) al Corriere della Sera. Una bugia multipla. Primo: non si discute di “abbattere”, cioè di ridurre l’Iva, ma di aumentarla per garantire un gettito aggiuntivo allo Stato di 23 miliardi. Secondo: anche se quei soldi si impiegassero per compensare un po’ del gettito Iva aggiuntivo (già previsto dalle clausole di salvaguardia), rimarrebbero comunque da trovare ben 22 miliardi. Terzo punto: nel 2020 è ragionevole aspettarsi che il reddito di cittadinanza costerà più che nel 2019, perché anche chi non ha chiesto il sussidio subito, è probabile che lo faccia quando inizierà a vedere altri spendere i soldi ricevuti. Quindi quel miliardo aggiuntivo si potrebbe usare una volta soltanto, mentre l’aumento dell’Iva garantisce un gettito strutturale, cioè per tutti gli anni a venire dopo il 2020. Ma Garavaglia ha anche un piano B: togliere gli 80 euro di Renzi (10 miliardi all’anno) e tagliare detrazioni fiscali per 50 miliardi. Che è come dire che per evitare un aumento di tasse da 23 miliardi, ne propone uno da 60.

Cantieri, il Pd resuscita il piano casa di B.

Èun emendamento al decreto Sblocca Cantieri, che oggi torna in discussione in commissioni Lavori pubblici e Ambiente del Senato in attesa dei pareri mancanti sugli emendamenti (il provvedimento dovrebbe poi arrivare in Aula per il 28 maggio, subito dopo il voto delle Europee) ed è a firma Pd: a segnalarlo è il portavoce dei Verdi, Angelo Bonelli. “Resuscita il Piano Casa di Berlusconi – spiega – Non è un piano ‘consuma suolo’ ma ‘divora suolo’”.

Con la scusa della rigenerazione urbana, infatti, si dà la possibilità di aumentare le volumetrie degli edifici, cambiarne la destinazione d’uso, riallocarli, riposizionarli in deroga alle norme e anche ricevendo agevolazioni economiche. Una norma che riguarda sia gli edifici pubblici che quelli privati. Unico limite, il rispetto dei soli vincoli artistici nel caso di edifici storici. L’emendamento all’articolo 5 è a firma dei parlamentari Pd Margiotta, Ferrazzi, Messina, Mirabelli, Sudano, Astorre, D’Arienzo e Nencini e prevede l’introduzione di un “Piano nazionale di rigenerazione urbana” che negli intenti, seppur vaghi e quindi suscettibili di eccessiva libertà di interpretazione, è anche condivisibile: auspica infatti la “messa in sicurezza”, la “ manutenzione” e la “rigenerazione” del patrimonio edilizio pubblico e privato, si immagina la “rivitalizzazione dei centri storici”, prevede la “rivalutazione degli spazi pubblici e del verde urbano”, ma mira anche a “tutelare i centri storici dalle distorsioni causate dalla pressione turistica e la riduzione dei residenti” oppure a “tutelare i centri urbani dal degrado causato dai processi di desertificazione delle attività produttive e commerciali”. E mette anche nero su bianco la previsione di un fondo di 100 milioni l’anno dal 2020 al 2039 per gli interventi che riguardano il comparto pubblico.

I comuni, secondo la norma, dovranno adeguarsi al piano. E qui viene il bello. Per farlo, dovranno adottare disposizioni anche legislative per permettere l’avvio di tutta una serie di progetti di recupero che, però, somigliano molto ad una aumento del consumo di suolo mascherato. Tradotto: più cemento, più spazio occupato dagli edifici ma con la scusa della riqualificazione urbana.

C’è, ad esempio, la possibilità di avere una volumetria “premiale” in più fino al 20 per cento della struttura per gli edifici residenziali fino a 1000metri quadrati di superficie pavimentata (la base dell’edificio, in sostanza) e per quelli non residenziali fino a 2500 metri quadrati. C’è la possibilità di “delocalizzare” le volumetrie di un edificio da riqualificare, nella stessa area o di spostarle e frammentarle. La demolizione e la ricostruzione sono viste come “ristrutturazione edilizia”, o meglio, “rottamazione edilizia”. E se approvato dal comune, questo potrà avvenire anche nei centri storici con tanto di incentivi fiscali per i quali si ipotizzano maggiori oneri pari a 500 milioni di euro a partire dal 2020 “a valere sulle maggiori risorse derivanti da interventi di razionalizzazione e revisione della spesa pubblica”.