Democrazia-omertà:il “mondo di dopo”

Questa non è una pandemia. È Richard Horton, l’editore di una delle più prestigiose riviste mediche al mondo, a dirlo: “Covid-19 is not a pandemic”. Si tratta piuttosto di una “sindemia”, una malattia causata dalle disuguaglianze sociali e dalla crisi ecologica intesa nel senso più ampio. (…) Se non cambiamo il nostro modello economico, sociale e politico, se continuiamo a trattare il virus come un evento biologico rispetto al quale dovremmo limitarci a “bloccare il flusso”, gli incidenti sanitari continueranno ad aumentare. (…)

Se non stiamo vivendo una pandemia, d’altra parte stiamo vivendo in Pandemia. Siccome questo non è il termine giusto per descrivere il modo in cui il virus si manifesta, proponiamo che, con la lettera maiuscola, questa parola, o piuttosto questo nome, indichi un nuovo continente mentale, che è partito dall’Asia per ricoprire l’Europa, per poi finalmente imporsi in America. (…) Un continente in cui i nostri leader ci dicono che dovremo cambiare tutte le nostre abitudini di vita e dove ci viene detto che dovremo adottare una nuova “cultura” che verrebbe dall’Asia. Un continente, insomma, nel quale “la pandemia” non è più oggetto di discussione nelle nostre democrazie, ma dove la democrazia stessa, in Pandemia, diventa un oggetto discutibile. (…) La nostra ipotesi è che questa inversione non sia così brutale come sembra. Da diversi anni si sta preparando in silenzio ed è dovuta probabilmente ad un nuovo stato del mondo. Per una buona parte delle classi dirigenti, che hanno assistito con orrore all’ascesa di Donald Trump e Boris Johnson, ma anche al risveglio delle rivolte popolari un po’ ovunque nel mondo, il modello non si deve più cercare in Occidente, ma in Oriente. Sono stati i leader cinesi ad esplorare per primi questo nuovo continente mentale, con il suo linguaggio, le sue norme e il suo immaginario. Sono dunque loro che hanno tutto da insegnarci, mentre gli Americani e i loro cugini britannici non hanno visto arrivare nulla. In Pandemia, ormai è la Cina che domina. Non più solo economicamente, ma anche moralmente, culturalmente e politicamente. (…) Curiosa valutazione della situazione. Il Paese, che per anni ha permesso a nuovi virus di moltiplicarsi nei suoi mercati umidi, che pretende di risolvere le questioni sanitarie industrializzando l’allevamento agricolo, che ha appena permesso all’ultimo virus registrato di diffondersi nel mondo, che ha liquidato i suoi informatori a Wuhan, che ha nascosto all’OMS migliaia di morti e che, con il modello di confinamento, ha distrutto economicamente la vita di milioni di individui e la loro salute fisica e mentale, viene citato su France Culture come esempio della sua gestione della crisi e del suo senso della salute pubblica, senza che nessuno reagisca.

Come si è arrivati a questo? (…) Questa crisi ci rivela che la visione provvidenziale di Tocqueville in La democrazia in America, che fu insegnata per molto tempo all’École nationale d’administration e nelle scuole di giornalismo, è stata definitivamente smentita. No, la democrazia che egli credeva fosse emersa in America due secoli prima non era destinata a diffondersi in tutto il mondo. Per gli ex adoratori di Tocqueville è vero il contrario. Per molto tempo, hanno condiviso naturalmente le preoccupazioni del loro maestro riguardo a una “tirannia della maggioranza” che avrebbe accompagnato la democrazia come la sua ombra. Come lui, hanno pensato che una democrazia addomesticata dalle classi dirigenti fosse l’unica via d’uscita da opporre al pericoloso potere delle masse e che, a questo titolo, s’imponesse come il senso della storia. Questa narrazione tocquevilliana, trionfata con la caduta del muro di Berlino, non è più la loro. Trent’anni più tardi e in Pandemia, la democrazia è ormai squalificata come una sopravvivenza pericolosa, alla quale dovremmo essere pronti a rinunciare. (…) Non avremmo assolutamente più il tempo per discutere o deliberare. Saremmo in guerra, e d’altronde siamo in “stato di emergenza”. Tutto quello che dobbiamo fare è accettare, senza discutere, la sospensione di tutte le nostre attività ritenute troppo rischiose. Il diritto di contestare le decisioni politiche e di mettere in dubbio la validità di una norma, il diritto di andare e venire a proprio piacimento nello spazio pubblico, il diritto di manifestare la propria opinione per strada: tutti questi diritti imprescindibili sono diventati “inconvenienti”, al limite della legalità, e vengono gradualmente sospesi. (…)

Questo mondo di Pandemia, dove il potere elimina la democrazia sottomettendo la scienza alla propria agenda, è “il mondo di dopo”? Nessuno lo sa, e, per il momento, è solo il mondo sognato da alcuni. Ma è già ampiamente realizzato dalla Cina: “Il mondo di dopo è un mondo disinfettato ma inquinato, è il mondo di prima ma in peggio. Più igienico. Più eugenetico. Esangue. (…) Un’umanità sana, silenziosa, in cui le emozioni sono censurate, centrata sull’amnesia del leader. Il suo dogma. Le sue insonnie (da guerriero). Cresciuta nell’odio della dissonanza. E l’amore per la candeggina” (Alexander Labruffe, Un hiver à Wuhan, ndr). Solo che il seguito della storia non appartiene né alla Cina né ai suoi ammiratori, e del resto non appartiene a nessuno. Poiché non c’è un finale della storia già scritto, l’esito dipenderà anche dalla nostra disponibilità a difendere o a seppellire la democrazia. Non come un regno di ripiego difensivo sui diritti individuali, ma come un regime ridefinito dall’intensificazione della vita sociale, dalla riappropriazione degli spazi pubblici e dalla partecipazione di tutti alla scienza e alla conoscenza, in particolare nel campo del futuro della vita e dei viventi. Nel prendere oggi la parola, la convinzione che ci anima è che, piuttosto che rimanere in silenzio per paura di aggiungere polemiche alla confusione, il dovere degli ambienti accademici e universitari è di rendere di nuovo possibile la discussione scientifica e di aprirla allo spazio pubblico, l’unica via per ricostruire un legame di fiducia tra la conoscenza e i cittadini, essenziale per la sopravvivenza delle nostre democrazie. La strategia dell’omertà non è quella giusta. Al contrario, siamo convinti che il destino della democrazia dipenderà in gran parte dalle forze di resistenza del mondo scientifico e dalla loro capacità di farsi ascoltare nei dibattiti politici cruciali che dovranno essere condotti nei mesi e negli anni a venire sulla salute e sul futuro della vita.

 

 

Volgarità è stile: il “mangiamerda” resiste alla storia

 

ELEMENTI DI STILISTICA COMICA

Nelle puntate precedenti abbiamo esplorato la traduzione interlinguistica delle gag, mostrandone quattro necessità: esattezza, brevità, ritmo e consonanti esplosive (Qc # 68-75). Come scienza dell’effetto comico, la prassi divertente è ancella della stilistica, la disciplina che studia i modi dell’espressione. Ogni artista, nel proprio campo, ha una sua maniera, che origina dalle sue scelte espressive ed è sintomatica di un’epoca, tanto che uno storico dell’arte ha potuto scrivere: “L’arte del totalitarismo è, dopo l’arte moderna, il secondo stile internazionale della cultura del 20° secolo” (Golomstock, 2011). Vale lo stesso per i comici: lo stile di Lenny Bruce è diverso da quello di Andy Kaufman per motivi individuali e storici. In letteratura, lo stile, o registro (Halliday, 2002), è creato dall’uso dei mezzi lessicali, sintattici e semantici di una lingua, ovvero dall’impiego di metabole (Qc # 16-19); l’arte orale si avvale inoltre della recitazione (prosodia, toni, mimica, gesti, abbigliamento: tutti ambiti stilistici). Gli strumenti della stilistica letteraria sono quelli della retorica, della linguistica, della semiotica strutturale. Questa stilistica ha un’antenata nell’elocutio, una delle cinque parti dell’ars oratoria (inventio, dispositio, elocutio, memoria, actio). L’elocutio riguardava quattro virtù di stile: puritas (la correttezza lessicale e grammaticale); perspicuitas (la nitidezza del discorso); ornatus (l’eleganza dell’espressione); aptum (l’armonia del discorso: interna, come rapporto tra le parti; ed esterna, come rapporto al tema trattato, al contesto e al pubblico). Le considerazioni sull’esattezza comica (la quale comprende la scelta e l’ordine delle parole, e contribuisce all’effetto divertente rendendo vivida la gag, cfr. Qc #71) derivano dalle antiche considerazioni sulla puritas e sulla perspicuitas. Quanto al principio compositivo fondamentale della comicità, il contrasto (Qc #76), non è che un sabotaggio parodistico delle altre due virtù, eleganza e armonia (ornatus e aptum). Ogni stile assolve una funzione: quello divertente serve a evocare, quanto più possibile, la risata. Comicità e satira impiegano spesso, per i loro scopi, la volgarità.

LO STILE DELLA VOLGARITÀ

Quando la satira viene censurata, i bacchettoni intervengono a giustificare l’abuso concionando di buon gusto, per accusare il reo di volgarità, come se, nella tradizione comica, la volgarità non fosse la tecnica principe. Quel pregiudizio, in realtà, è affrontato e risolto già nel Medioevo, epoca di poemetti divertenti e osceni (fabliaux): “Se io avessi chiamato reliquie i coglioni, e coglioni le reliquie, tu che adesso mi rimproveri avresti considerato brutta e volgare la parola reliquie, e baceresti i coglioni nei loro scrigni d’oro e d’argento”, replica una giovane sfrontata, Ragione, all’Amante che la rimproverava di aver detto “coglioni”, nel Roman de la Rose di Jean de Meung. Ragione non considera volgari certe parole: “Coglioni è una bella parola e mi piace, e anche cazzo” (Barbero, 2013). Le convenzioni sociali impongono comportamenti di cui comicità e satira si fanno beffe proprio a cominciare dai tabù linguistici; e, fin dall’antichità, lazzi come mangiare la merda, smerdare, innaffiare di urina e bere urina sono ricorrenti, perché perfetti per la detronizzazione tipica del genere comico e satirico. Con quelle gag, Boccaccio fondò una cultura laica, autonoma da quella religiosa e libera da pregiudizi. Nel Decameron troviamo la burla di Buffalmacco che getta il medico sciocco in una fossa piena di merda: “Messer lo medico, sentendosi in questo luogo così abominevole, si sforzò di rilevare e di volersi aiutar per uscire, e ora in qua e ora in qua ricadendo, tutto dal capo al piè impastato, dolente e cattivo, avendone alquante dragme ingozzate, pur n’uscì fuori”.

Anche nel Gargantua di Rabelais, apoteosi del corpo grottesco, sono frequentissimi i riferimenti alla coprofagia: “E la ragion perentoria è che essi inghiottono la merda del mondo, vale a dire i peccati, e come mangiamerda sono ricacciati nelle lor tane, che sarebbero i loro conventi e monasteri, e separati da ogni civile consorzio, come stan separati i cessi nelle case”.

“Gargantua rispose: ‘Quando vi hanno preso il naso per una cannuccia per travasare un moggio di merda, e la gola per un imbuto, per cambiare barile perché il primo perdeva’”.

“‘Bene’ fa lui ‘ma dove cacavi?’ ‘In bocca a voi, signore’, gli rispondo”.

“‘Tu come ti chiami?’ ‘Masticamerda’, rispose Panurge”.

“Come dessert portarono un gran vassoio di merda coperto di stronzi fioriti”.

Né manca il bere/aspergere urina:

“‘Di’, se il mio cazzo pisciasse di questa buona roba, tu lo succhieresti?’ ‘Eh, mi metterei in lista’”.

“‘Adesso gli darò io da bere; ma in modo che non s’aspettano’. E, sorridendo, sbottonò la sua bella braghetta, e brandendo la mentula in aria, li scompisciò con tal violenza che ne annegò duecentosessantamila e quattrocentodiciotto, senza contare le donne e i bambini”.

“Tutti i cani accorrevano a quella dama, e cominciarono ad annusarla e a pisciarle addosso”.

E nel secondo libro Rabelais racconta che tutte le fonti curative termali di Francia e Italia provengono dall’urina bollente di Pantagruele malato! Troviamo esempi di queste gag pure in Aristofane:

DISCEPOLO: “E allora, mentre guardava in alto a bocca aperta, un geco dal tetto gli ha cacato addosso”.

SECONDO SERVO: “Ecco qua. Di una cosa non potranno mai accusarmi: di mangiare il cibo che impasto” (Intende le focacce di merda che alimentano lo scarabeo stercorario gigante con cui Trigeo raggiungerà l’Olimpo, nella commedia La pace.)

CORO: “Se però non ci votate faranno i conti con noi e finiranno coperti di merda da tutti gli uccelli!”.

ERACLE: “Poi molto fango e fiumi di merda: là sta chi ha offeso un ospite”.

PRASSAGORA: “Già, tu devi venire prima, anche se si tratta di mangiare merda”.

CARIONE: “E allora io farò come Circe, che gli fece mangiare merda impastata con le sue mani”.

STREPSIADE:“E allora chi fa piovere? E pensare che prima io credevo che fosse Zeus a pisciare in un setaccio!”.

In Menandro troviamo ripetuto l’epiteto skatofàgos (mangiamerda) nel Dyskolos, nel Samia, nel Perikeiromene. Ecco invece Plauto, nella Mostellaria, ricorrere all’aspersione di urina:

CALLIMADATE: “Per Ercole! Userò voi come pitale, se non me lo date subito, un pitale”.

(77. Continua)

Dalla galera alla brace: i menù “banditi” di Buzzi, Lavitola&C.

Dalla galera alla brace, Salvatore Buzzi è l’ultimo discepolo di una tradizione di evasioni gastronomiche. I ristoranti a Roma sono templi laici: gli altari di una città un po’ brigante e un po’ cazzara, sempre a tavola, eternamente magnacciona. Ci si redime dal passato criminale con una trattoria, per ripulirsi l’anima o i soldi rimasti. Ecco una guida minima alla Roma dei ristoranti “banditi”, dove si riciclano capi, faccendieri, manovali e corruttori.

 

Salvatore Buzzi
Burg’r Roma
Via di Tor Vergata 303/B,
Valutazione: 2/5
Prezzo: €

“Ma’n vedi dove so’ finito?”. Il pub di Salvatore Buzzi è in remota periferia: Tor Vergata, tra l’università e il Policlinico, quasi all’ombra della Vela incompiuta di Calatrava, set della Suburra di Netflix. “Quartiere dormitorio”, dice l’ex dominus di Mafia Capitale, il sodale di Carminati. Cosa ci sia venuto a fare, così lontano dagli occhi di tutti, è domanda che si presta a varie ipotesi. Lui la fa breve: “È l’unico posto che mi potevo permettere, sono senza una lira. I costi di gestione sono bassissimi, 500 euro, più un migliaio di affitto. I soldi per rilevare l’attività ce l’ha messi mia suocera”. Il giorno dopo l’inaugurazione, è venerdi sera, il locale è pieno (una dozzina di coperti). Molti sono amici di Buzzi, lo chiamano al tavolo, gli fanno fotografie, se lo abbracciano. Alle 23 resta una sola famiglia, lanciata in un malinconico karaoke: “Luna” di Gianni Togni, Raffaella Carrà, i Queen. Buzzi non canta. “Mi sono già fatto 7 anni e 5 mesi, se mi confermano la sentenza d’appello – 12 anni e 10 mesi – torno dentro. Sarei l’unico di tutta Mafia Capitale, nemmeno Carminati ha pagato tanto”. Per ora pensa ai panini. Il menù è esplicito: “In questo locale pagano tutti: amici, parenti e conoscenti, i pubblici ministeri pagano doppio e i giudici triplo”. Gli hamburger hanno i nomi di boss e saghe criminali: “Mondo di Mezzo”, “Gomorra”, “Suburra”, “Libanese”, “Dandy”. Pure se in periferia, Buzzi ci teneva a non passare inosservato: “Ma è solo una goliardata”. Prezzi medi, quantità abbondanti, qualità così e così (ma è solo il secondo giorno): la fiorentina al sangue non è al sangue e forse nemmeno una fiorentina. “Il macellaio è di zona, è eccellente”, giura lui. Poi torna a riempire boccali.

Valter Lavitola
Cefalù
Viale dei Quattro Venti 51
Valutazione: 5/5
Prezzo:€

Valter Lavitola consiglia una corvina. Mai assaggiata. “Un pesce da faccendiere”, ride lui. La corvina è buona, a Lavitola bisogna dare atto di questo: sul pescato è un’autorità assoluta. Quest’uomo che ha attraversato da pirata le pagine più incredibili dell’epopea berlusconiana, ha iniziato tutto come imprenditore ittico in Sud America: è stato il primo (e l’ultimo) dei suoi innumerevoli traffici. Lavitola è l’uomo che pagava Gianpi Tarantini per le “signorine” di Silvio, è l’uomo che ha distrutto la carriera di Gianfranco Fini andando a pescare i documenti sulla casa di Montecarlo dai suoi amici panamensi, è l’uomo di mille e più storie incredibili sulla belle époque del Cavaliere. Forse diventeranno un libro, chissà. Intanto dal 2018 Lavitola governa il suo bistrò “Cefalù”, la resurrezione dopo gli anni di carcere per tentata estorsione a Berlusconi: “Condanna ridicola, se avessi voluto rovinarlo davvero…”. La frase resta lì, Lavitola sguscia. Si ferma a ogni tavolo, cazzeggia con tutti. A Monteverde è “Valterino”, un’istituzione di quartiere.

Denis Verdini
PaStation
Piazza in Campo Marzio 6
Valutazione: 3/5
Prezzo:€

Il ristorante aperto da Denis Verdini al figlio Tommaso, dietro Montecitorio, è stato la camera di compensazione della destra italiana. Prima di finire in carcere per l’ennesima condanna (bancarotta fraudolenta), Denis vi accoglieva una variegata fauna politica. La Ferrari di Antonio Angelucci era parcheggiata spesso in piazza, Luigi Bisignani era di casa, figuriamoci Matteo Salvini, che alla famiglia Verdini ha legato pure le fortune sentimentali, ma due chiacchiere col decano le faceva anche Luca Lotti. Si narra che una parte della sbronza collettiva “del mojito” – estate 2019 – si sia consumata tra queste tovaglie, quando Verdini consigliò alcuni colonnelli leghisti (Molinari, Romeo, Molteni) sulla fine del Conte I. A proposito: i taglieri in menù sono dell’azienda di Andrea Pasini, il giovane salumiere-blogger che Salvini aveva assunto come consulente al Viminale. Ora che quella stagione è un ricordo, a questo pastificio del centro è rimasta solo l’aria un po’ anonima e fredda. Troppo poco cuore per una gricia all’altezza di Roma, meglio il ragù toscano.

Raffaele Pernasetti
Da Oio a casa mia
Via Galvani 41
Valutazione 4/5
Prezzo:€

Trattoria casereccia in quartiere popolare. Ma Testaccio non è più tanto popolare e i prezzi affatto caserecci: cacio e pepe 13 euro, abbacchio al forno 20 (ma li vale). Non manca clientela vip – da Zingaretti a Renato Zero – ma il vero personaggio è dietro le quinte: Raffaele Pernasetti, per i sodali “er Palletta”. Era il più stretto “collaboratore” di Renatino De Pedis, boss “Dandi” della Banda della Magliana. Omicidio, spaccio di stupefacenti, associazione a delinquere, detenzione e porto illegale di armi ed evasione: diciotto anni da scontare in carcere a partire dal 2002, ma tra indulti e sconti, Er Palletta s’è riabilitato già nel 2011. E subito ha trovato rifugio dietro ai fornelli di Oio, il ristorante del fratello. Roma perdona tutto. Ora che ha superato i 70 anni – ci dicono – non spadella più: “Arriva la mattina, ordina la spesa, dà una mano a organizzare il servizio e pranza qui”. Poi si ritira. Non è sul menù di Buzzi, ma è un uomo libero.

I disastri dei 737 Max, il capo collaudatore nascose i difetti

L’ex capo-collaudatore della Boeing trasse in inganno le autorità federali e celò loro le inaffidabilità del B 737 Max. Tra il 2018 e il 2019, due aerei di quel modello caddero poco dopo il decollo, facendo complessivamente 346 vittime, in Indonesia e in Etiopia. In entrambi i casi, i piloti non furono in grado di correggere il malfunzionamento del sistema di controllo automatico. Secondo l’accusa, Mark Forkner, il capo-collaudatore, fornì alla Federal Aviation Authority (Faa) “informazioni materiali false, inaccurate e incomplete”. Il pilota è ora sotto processo a Fort Worth in Texas e rischia una condanna a vent’anni. I B 737 Max furono messi a terra, dopo che le autorità accertarono la dinamica dei fatti. L’inchiesta della Commissione Trasporti della Camera Usa concluse che gli incidenti “furono l’orrido risultato” di una serie di errori degli ingegneri della Boeing e della mancanza di trasparenza da parte dell’azienda, oltre che della “sorveglianza grossolanamente inadeguata“ da parte della Faa. La progettazione dell’aereo aveva suscitato perplessità e polemiche fra i tecnici della Boeing. Forkner era a capo del team di collaudatori del B Max 737 e doveva fornire informazioni accurate e complete alla Faa sulle differenze fra il nuovo modello e le precedenti versioni. Avendo egli taciuto parte dei dati in suo possesso, il manuale fornito ai piloti non aveva informazioni essenziali su come manovrare l’aereo. La Boeing, in competizione con l’Airbus, ne ricavò enormi vantaggi, vendendo i suoi nuovi aerei senza richiedere ai piloti uno specifico addestramento. L’azienda ha nel frattempo “scaricato” Forkner e altri suoi dipendenti e s’è impegnata, a gennaio, a pagare 2,5 miliardi di dollari, per fare fronte alle cause giudiziarie e alle richieste di indennizzo per i due incidenti. Dopo uno stop di quasi due anni, i B Max 737 sono tornati a volare, prima negli Usa e da gennaio nell’Ue. Ad aprile, però, la Boeing ha segnalato a 16 compagnie aeree sue clienti possibili problemi al sistema elettrico. A giugno, c’è stato il volo inaugurale del B 737-10, il modello più grande della serie.

Il killer di Amess era stato al corso anti-Islam radicale

Il giorno dopo l’omicidio che ha scosso profondamente l’opinione pubblica britannica e messo in discussione le modalità aperte e non protette con cui i parlamentari di Westminster si relazionano con i cittadini, cominciano a emergere dettagli sulla matrice islamica dell’omicidio di Sir David Amess, il deputato conservatore colpito con 17 coltellate venerdì mattina durante l’incontro settimanale con i suoi rappresentati all’interno della Belfairs Methodist Church, nella tranquilla cittadina balneare di Leigh-on-Sea, sulla costa dell’Essex. Gli agenti dell’antiterrorismo confermano il collegamento con l’estremismo islamico, sulla base delle prime ammissioni dell’unico arrestato, il 25enne fermato sul luogo del delitto.

Fonti governative hanno confermato alla Bbc che si tratterebbe di un cittadino britannico – non quindi un ‘immigrato’ come riportato da alcuni organi di stampa – di origine somala, che aveva già partecipato, per un periodo molto breve, allo schema noto come Prevent, il programma del governo per recuperare soggetti a rischio di radicalizzazione. Non risulta alcun coinvolgimento di questo soggetto in attività terroristiche. Quello che ora gli investigatori cercano di verificare è se Sir Amess sia stato un obiettivo casuale, colpito solo perché facilmente raggiungibile, o sia stato ucciso per una ragione specifica: per questo continuano gli appelli a possibili testimoni e il lavoro di analisi sui filmati delle telecamere vicine al luogo dell’attentato. Poco prima delle 12 di venerdì Sir Amess, 69 anni, popolarissimo nel suo distretto elettorale, Southend West, si era fermato all’ingresso della Belfairs Methodist Church a chiacchierare con alcuni cittadini. Verso le 12 è entrato in chiesa per il tradizionale incontro con i suoi rappresentati: la ‘surgery’, o ‘visita’ settimanale è un pilastro della democrazia diretta britannica, l’occasione in cui chiunque può rivolgersi al proprio deputato per questioni di qualsiasi tipo, dalla denuncia di disservizi pubblici a problemi di debiti o di salute. Una pratica che continuerà, ha assicurato il ministro degli Interni Priti Patel annunciando però nuove misure di protezione dei deputati: ad alcuni di loro intanto è stato consigliato di cancellare i prossimi appuntamenti.

Amess era noto e amato per la dedizione totale alle esigenze dei suoi concittadini, a cui dava assoluta priorità infischiandosene anche di diktat diretti dei vertici del suo stesso partito, di cui spesso ignorava le telefonate. Era appena entrato in chiesa quando dal gruppetto di persone in attesa è uscito il giovane, che si è avventato su di lui accoltellandolo più volte fra l’orrore dei testimoni. Poi avrebbe atteso l’arrivo della polizia, che lo ha arrestato e ha recuperato il coltello. L’intervento dei soccorsi è stato rapido ma per Sir Amess era troppo tardi. Dopo oltre due ore di tentativi di rianimazione, i medici hanno dichiarato ufficialmente il decesso verso le 15. Sir David Amess non era una figura attiva nel contrasto al terrorismo, né aveva particolari frizioni con la comunità islamica: l’analisi della sua attività di parlamentare testimonia il suo impegno locale e animalista, mentre le sue posizioni pubbliche più controverse ed eventualmente rischiose erano il suo sostegno a Brexit e l’opposizione ad aborto, matrimonio gay e diritti della comunità Lgbt da cui aveva preso pubblicamente le distanze anche una delle figlie. Ieri è stato anche il giorno dell’omaggio pubblico bipartisan: in una dimostrazione di unità istituzionale oltre le differenze politiche, il primo ministro conservatore Boris Johnson e il leader laburista Keir Starmer sono andati insieme a deporre mazzi di fiori sul luogo dell’omicidio, seguiti da altre figure politiche e da decine di cittadini.

Famiglia uccisa “per sbaglio”: gli Usa offrono un risarcimento

Lo scorso 17 settembre, dopo ‘soli’ 19 giorni di ritardo, il generale Kenneth McKenzie, capo del Central Command del Dipartimento della Difesa, aveva ammesso davanti alla stampa che l’attacco del 29 agosto via drone armato di missili contro un gruppo di terroristi dell’Isis-K a Kabul “è stato un tragico errore”. Dopo aver chiesto dunque scusa, il generale aveva aggiunto che si stava prendendo in considerazione un risarcimento economico ai familiari delle 10 vittime, civili innocenti, tutti appartenenti alla stessa famiglia, tra i quali c’erano 7 bambini. L’offerta è stata avanzata ieri anche se non è stata rivelata l’entità dei “risarcimenti di condoglianze ex gratia”. La formula del pagamento “ex gratia”, dal latino “per gentilezza”, viene utilizzata in ambito legale per definire un pagamento fatto senza che il donatore riconosca alcuna responsabilità o obbligo legale. Una carità pelosa insomma. Per indorare la pillola è stato promesso ai familiari il trasferimento negli Stati Uniti qualora lo vogliano. Come se oggi, con i talebani ormai incardinati a Kabul, fosse semplice. Quella del Pentagono è stata di fatto una mossa obbligata. Colin Kahl, il sottosegretario alla Difesa degli Stati Uniti per la politica, ha avuto giovedì scorso un incontro virtuale con Steven Kwon, fondatore e presidente di Nutrition & Education International, l’organizzazione umanitaria per cui lavorava Zemari Ahmadi, uno dei tre adulti rimasti uccisi. Il nipote di Ahmadi, Farshad Haidari, 22 anni, ha affermato che non è abbastanza quello che il Pentagono ha loro proposto.

“Devono venire qui e scusarsi con noi faccia a faccia”, ha detto all’agenzia di stampa Afp nella già modesta casa, ora in parte bombardata, nel quartiere densamente popolato di Kwaja Burga. La posizione della casa, vicina all’aeroporto della capitale afghana, avrebbe tratto in inganno l’intelligence statunitense che stava cercando di intercettare una cellula di appartenenti all’Isis diretti verso l’aeroporto per fare una nuova strage, dopo quella compiuta giorni prima con i kamikaze. Il drone ha solo eseguito un ordine frutto di un fatale abbaglio degli 007.

Haidari, il cui fratello Naser e i piccoli cugini sono morti nell’esplosione, aveva dichiarato il 18 settembre che gli Stati Uniti non hanno avuto alcun contatto diretto con la famiglia.

Minsk: l’arma dei migranti. Lukashenko provoca l’Ue

“Tornate a Minsk”. Lo urlano i soldati polacchi a quanti fuggono da Medio Oriente e Africa, da guerra e fame, e tentano di raggiungere l’Europa attraverso le foreste gelide di Aleksandr Lukashenko. Varsavia, violando la Convenzione di Ginevra e normative europee, ha appena approvato una legge che consente ai militari di respingere a oltranza, e in maniera indiscriminata, ogni richiedente asilo che raggiunge il suo confine. Decisione deprecabile, che è diretta conseguenza della tattica utilizzata dal presidente bielorusso Lukashenko: non armi, ma esseri umani, usa il presidente bielorusso assediato, per mettere in crisi le nazioni che hanno accolto i suoi oppositori. Migranti e rifugiati servono alla guerra ibrida che Lukashenko conduce per destabilizzare l’Unione, ma sono anche la materia prima di un business criminale su cui lucra insieme ai suoi alleati: ad accusarlo per primo sono state le autorità lituane, seguite da quelle lettoni e polacche. Si è unito al coro, puntando l’indice contro “l’ultimo dittatore d’Europa”, anche un suo ex ambasciatore, Pavel Latushko, adesso dissidente.

Il percorso dei profughi è cambiato, e passa attraverso la tundra siderale slava. Trafficanti – arabi, curdi e bielorussi – assieme a misteriose agenzie di viaggio, operano da Baghdad, Sulaymanya, Erbil, organizzando voli aerei verso lo Stato del presidente Lukashenko. Da Shiladze, una città del Kurdistan iracheno, sono già partiti in 40.000. In Bielorussia arrivano da Nigeria, Iraq, Yemen, Siria, e qualcuno perfino da Cuba: dall’Havana, alcuni richiedenti asilo, sono giunti a Minsk via Mosca. A chi fugge i trafficanti chiedono dai 12 ai 15 mila dollari, assicurando che si tratta di viaggi legali verso l’Europa. Mascherate da iniziative turistiche, le tratte vengono pubblicizzate online da tour operator come Moonline o Smile holiday for travel, i cui telefoni però nelle sedi mediorientali squillano a vuoto. Le autorità baltiche invece hanno individuato lo snodo bielorusso: l’agenzia Zentrcurort. Si vola con la Fly Baghdad o Iraqi airways. Invece alla Belavia – compagnia aerea statale bielorussa colpita da sanzioni da quando il presidente ha ordinato il dirottamento dell’aereo su cui volava il giornalista dissidente Roman Protasevich –, alcuni aerei sono stati forniti dalla Nordic Aviation Capital, un’azienda con sede danese di cui ha parlato un mese fa anche il ministro degli Esteri di Copenaghen, Joppe Kofod. “Se nostre compagnie sono coinvolte negli sforzi maligni, deliberati e cinici di Lukashenko che usa i migranti come arma per fare pressione sull’Europa, verrà ritenuto inaccettabile”. Ma come riferito in seguito dalle autorità, non ci sono evidenze per dimostrare la cooperazione.

Da maggio scorso, quando il flusso si è intensificato, per l’arrivo di migliaia di richiedenti asilo alla frontiera baltica, la Lituania ha dichiarato lo stato d’emergenza. “Per non fare la fine di Vilnius” è in allarme rosso anche la Lettonia, Paese di poco più di 300 mila abitanti. Quando migliaia di persone hanno attraversato il confine del suo Stato l’estate scorsa, il ministro degli Esteri lituano, Gabrielius Landsbergis, ha cominciato a indagare sullo schema criminale. Parte dei soldi pagati dai migranti, dicono fonti anonime, viene trasferita al consolato di Minsk in Iraq, ma – secondo questa versione – c’è un apparato bielorusso a organizzare e guadagnare dai traffici. Appena atterrano nella Capitale slava, iracheni, afghani e curdi vengono portati con furgoni neri fino alla soglia delle stanze degli alberghi del centro città: allo Sputnik, al Planeta Crown Plaza, o al Minsk hotel. Gli stessi furgoni qualche giorno dopo li trasferiscono tra le betulle della foresta che unisce la Bielorussia e gli ex Stati sovietici, dove ora Lituania e Polonia costruiscono fisarmoniche di muri, di filo spinato e cemento. Quelle foreste sono diventate un limbo dove i profughi rimangono assiderati e prigionieri, senza cibo né acqua. Di ipotermia già sono morti in cinque, ma le betulle sono diventate un cimitero per molti cadaveri non ancora rinvenuti o identificati. I soldati che guardano a vista il confine non permettono di proseguire, quelli bielorussi di tornare indietro. Lo hanno riferito quanti hanno provato a fare il percorso inverso, ma anche quella possibilità gli è stata negata.

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Niente mensa se il pass scade entro la giornata

Dal 15 ottobre i possessori del Green pass da tampone rimarranno senza più il pasto all’interno delle fabbriche. Questo perché nella mia azienda (lavoro in Leonardo, a partecipazione statale) dal 15 non daranno più il sacchetto della mensa. Uno potrebbe pensare che entrando in fabbrica con il certificato, da tampone o vaccino, di fatto avrà nuovamente accesso alla mensa aziendale. E invece no. Succede perché la ditta che gestisce la mensa continuerà a controllare i Green pass all’ingresso. E il tampone dura 48 ore e ha una scadenza, pertanto non è detto che chi entra al mattino con certificato da tampone possa accedere alla mensa. Quindi a chi farà il tampone come me sabato mattina alle 10 (perché le prenotazioni in farmacia sono difficili e danno le disponibilità di orari fissi), scadrà alle 10 di lunedì. Quindi potrò entrare in azienda, ma poi alle 12 non avrò accesso alla mensa. L’azienda ha detto che non allontanerà i lavoratori a cui scadrà il certificato nell’arco della giornata. Quindi un operaio continuerà a lavorare, ma non avrà più diritto al pasto.

Emanuele Pedrazzini

 

Dittatura o democrazia, non ci sono vie di mezzo

Come spiegano alcuni libri sul comportamento della folla e altrettanti saggi sulla rivoluzione francese, nelle masse l’individuo viene meno e prevale il pensiero collettivo. L’assalto alla Cgil è sì opera di soggetti di ideologia fascista e neofascista, allo stesso tempo non escludo che vi abbia partecipato pure chi ripudia qualsiasi forma di estremismo. In quelle piazze si riversano no-vax, no Green pass, oltre a persone che per anni non trovano risposte ai problemi. Una classe politica immersa nella sua ottusa propaganda elettorale senza risposte. Ieri era il M5s ad assorbire tali malumori strappandoli allo sfruttamento ideologico degli estremismi, oggi chi c’è?

Forse quell’esponente politica che, il giorno stesso dell’assalto alla Cgil, si è presentata sul palco dei franchisti, vestita di bianco per esaltare il suo anfibio nero e la sua camminata militare se non squadrista? Per urlare il suo ritornello. E chi glielo può togliere? Forse quella stessa esponente politica che si ispira alla serie The Handmaid’s Tale?

Chi non respinge ideologie autoritarie, in questo caso fasciste, non può pretendere di appartenere e rispettare la democrazia di un paese, tantomeno la nostra Costituzione.

Flavio Bondi

 

Perché le parafarmacie non possono fare i test?

Richiamo la vostra attenzione sul tema delle parafarmacie. Dal 15 ottobre sarà emergenza tamponi, ma le parafarmacie si vedono ancora negato l’accesso a tale servizio. Nonostante la sentenza del Consiglio di Stato, dove si ribadisce che il farmacista di parafarmacia ha gli stessi titoli e le stesse competenze dei colleghi che esercitano in farmacia.

Daniele Viti

 

Tamponi gratis, come mai se ne parla solo adesso?

Sono, in questo preciso momento, d’accordo con chi sostiene che rendere i tamponi gratuiti sarebbe uno schiaffo a tutti quelli come me che si sono vaccinati già da alcuni mesi. Tuttavia ero e rimango convinto che i tamponi avrebbero dovuto essere gratuiti per tutti i residenti in Italia fin dall’inizio della pandemia, per poter monitorare al meglio l’evoluzione del contagio.

Salvatore Antonio Aulizio

 

Anche chi si è vaccinato può essere contagioso

Ammetto di essere ignorante, ma mi chiedo: perché fare i tamponi solo ai non vaccinati, quando anche i vaccinati possono contrarre e contagiare la malattia? Anzi, col fatto di possedere il viatico del Green pass, sono convinti, erroneamente, di essere immunizzati. Così se ne vanno bellamente a spargere i virus in qua e in là. Non era meglio mantenere l’obbligo della mascherina? Almeno chi non è vaccinato sta doppiamente attento. Inoltre penso che, visto che è lo Stato che obbliga al certificato, che si debba fare carico anche dei tamponi. P.s. Io il Green pass ce l’ho.

Ines Luccini

 

Quei pochi controlli nella vita di tutti i giorni

Mentre imperversa la guerra ideologica per il passaporto verde tra favorevoli e contrari, nessuno sembra preoccuparsi dei suoi aspetti applicati e delle relative verifiche. Sono stato tre giorni (da domenica a mercoledì scorsi) sul lago di Bolsena. Negli accessi al ristorante (sei volte) e al bar al chiuso per l’aperitivo (tre volte) la idoneità all’accesso è stata richiesta solo una volta. Prosit.

Antonio La Gioia

Fascisti da analfabetismo storico

“L’aspetto più impressionante del 25 luglio – osserverà Luigi Salvatorelli – non è quello delle folle scese, all’annuncio della radio, in piazza per acclamare la caduta del duce e del fascismo. È piuttosto quello dell’assenza di qualsiasi opposizione o almeno di rammarico, o anche semplicemente di dubbio, di perplessità, di sorpresa”.

Paolo Cacace: “Come muore un regime”, Il Mulino

 

A metà degli anni 70, notevole successo ebbe un libro dal titolo, tra l’ironico e il provocatorio: “Figlioli miei, marxisti immaginari”. Diario di un’insegnante di filosofia (già cattedratica), Vittoria Ronchey, e della sua esperienza in un liceo della periferia di Roma. Che oltre a descrivere, dal vivo, le eterne disfunzioni della scuola italiana, mostrava l’inadeguatezza culturale di quei ragazzi che negli anni del post sessantotto declamavano, quasi sempre a capocchia, le fumisterie sinistresi più in voga. Ecco, se adesso qualcuno s’impegnasse a scrivere un “Figlioli miei, fascisti immaginari”, analogo diario ma di segno opposto, molto probabilmente vi descriverebbe la stessa beata ignoranza intrisa di supponenza. Una sbornia di analfabetismo storico la cui feccia ritroviamo negli slogan di piazza e in certi farfugliamenti da talk show. Oggi, infatti, i problemi sono due. La presenza sempre più diffusa di chi si dichiara a vario titolo fascista (magari per non vaccinarsi). Ma anche l’antifascismo declamatorio a uso elettorale che tutto fa tranne interrogarsi sulle ragioni della sopravvivenza e recrudescenza di un’ideologia storicamente morta e sepolta. Mentre sulla propaganda pelosa poco si può fare, il tema del fascismo immaginario meriterebbe un approfondimento. Dal momento che esso troppo spesso si abbevera di falsi miti, nella loro espressione più violenta. I fascistelli da ricreazione, che poi si scoprono squadristi del Terzo millennio, sono soprattutto affascinati dalla simbologia canaglia (il braccio teso, svastiche e croci celtiche) e dalla sloganistica suprematista alla boia chi molla. Sedotti da una certa favolistica imperniata sulla venerazione del “duce tradito” e sull’orgogliosa rievocazione dell’Italia del Ventennio “rispettata nel mondo”. Un montagna di fake con al centro un malinteso spirito cavalleresco: onore a chi andò a cercar la bella morte come reazione virile alla codarda svendita della Patria al nemico demoplutogiudaico, e roba del genere. Inutile illudersi che gli emuli di Fiore e Castellino possano mai impegnarsi nell’apprendimento della storia così come è realmente avvenuta. Perché leggere costerebbe loro troppa fatica e soprattutto perché non gli conviene. Saggi come quello di Paolo Cacace li costringerebbero a verificare l’ignobile agonia del regime, dissoltosi in un delirio di trame, complotti e bassezze di ogni genere. Sciogliere i movimenti neofascisti può servire davvero a poco se, contestualmente, non si promuove un antifascismo della conoscenza già sui banchi di scuola.

Antonio Padellaro

Botswana, Taiwan e Bangladesh: il termometro scotta

In Italia – Basse pressioni alimentate da aria fredda da Nord-Est hanno interessato terre e mari intorno al Sud, dove nell’ultima settimana si sono concentrate nubi e piogge, mentre dal Nord fino a Lazio e Sardegna l’anticiclone europeo ha favorito cieli soleggiati. Salvo pause martedì 12 e da venerdì 15 ottobre, al Meridione ha piovuto quasi tutti i giorni, con allagamenti mercoledì dal Palermitano al Messinese per piogge fino a 70 mm. D’altronde, terminata un’estate lunga e rovente, la più calda da almeno vent’anni in Sicilia, comincia adesso per le regioni mediterranee il periodo più piovoso e agitato dell’anno, che di solito si protrae fino a febbraio. Bora sull’Adriatico e prime gelate nei fondovalle alpini, temperatura minima di -5 °C giovedì a Dobbiaco, valore piuttosto precoce per il periodo, e più normale per un inizio novembre, ma da oggi tornerà aria più tiepida.

Nel mondo – Nell’Est Europa la prima metà di ottobre è stata quasi invernale, con temperature notturne talora prossime a -5 °C anche in pianura dalla Slovacchia all’Ucraina. Tuttavia molte altre regioni vivono un caldo straordinario: nuovi record nazionali per ottobre di 43,5 °C in Botswana, 38,7 °C a Taiwan, 38,2 °C in Bangladesh, e la vicina località indiana di Cherrapunji – a 1500 m di quota sui primi contrafforti dell’Himalaya, tra le più piovose al mondo con media annua di oltre 11.000 mm, dieci volte quella di Belluno! – ha stabilito un nuovo primato locale di caldo per qualunque mese dell’anno (32,1 °C). Calura estrema e prolungata pure in Giappone, dove non era mai accaduto di misurare 34 °C così avanti nell’autunno, nonché nella metà orientale di Usa e Canada. E, benché lontane da terre abitate, devono preoccupare anche le anomalie termiche fino a 12 °C sopra media dell’ultimo paio di settimane nel Mar Glaciale al largo della Siberia, più volte riscontrate negli anni recenti. Le agenzie Nasa e Noaa indicano che settembre 2021 è stato tra i cinque più caldi in un secolo e mezzo a livello planetario con quasi 1 °C sopra media, nonché il più caldo in assoluto in Africa, Sud America, e in generale nell’emisfero australe. In Grecia le prime intense piogge d’autunno hanno innescato inondazioni e colate di fango dai pendii dell’isola di Evia denudati dagli storici incendi forestali della scorsa estate. Alluvioni pure nelle Filippine e a Taiwan sotto i diluvi della tempesta tropicale “Kompasu”, mentre prosegue la grave siccità iniziata nel 2019 nel grande bacino del Rio della Plata, secondo per estensione in Sud America dopo quello del Rio delle Amazzoni. Un rapporto del Joint Research Centre della Commissione europea (The 2019-2021 extreme drought episode in La Plata Basin) classifica l’evento, esacerbato dalla Niña, tra i peggiori dagli Anni Cinquanta nella zona, con pesanti ripercussioni su agricoltura, ecosistemi, produzione idroelettrica e trasporti fluviali. Un congresso dell’Organizzazione meteorologica mondiale ha appena approvato una ristrutturazione della rete internazionale di misura e scambio dei dati (Global Basic Observing Network) che si rifletterà in previsioni meteo più affidabili. Un investimento che conviene: per ogni dollaro speso in questo settore, ne ritornano ventisei in benefici socio-economici tra danni da calamità evitati, gestione più efficiente delle attività umane e resilienza della società. Nel quadro del processo “L’Affaire du siècle”, intentato da un gruppo di associazioni ambientaliste verso il governo francese per denunciarne la negligenza ambientale, il Tribunale amministrativo di Parigi ha ordinato allo Stato di intraprendere entro il 2022 tutte le azioni necessarie a sanare il suo ritardo nella riduzione delle emissioni serra. Ora è il turno dell’Italia, con la causa Giudizio universale (http://giudiziouniversale.eu/).