Fanciullini Vita avventurosa di Velia&Tinin, artisti innamorati tra maschere, palco e tivù

La Velia e il Tinin. Eccoli lì in quella foto in bianco e nero che solo al microscopio ne riconosci i lineamenti. Sposati per 63 anni. Poi il Tinin, inteso come Agostino Mantegazza, l’anno scorso se ne è andato. E la Velia, anche lei intesa come Mantegazza, ha deciso che la memoria di quel che avevano fatto insieme nella vita, e soprattutto quel che aveva fatto lui, doveva rimanere. Solida, affascinante, ma più di tutto divertente. E socialmente utile. Perché la vita dei due è stata piena di avventure e di creazioni, miscuglio inestricabile di risata e di impegno, intrisa di Milano e di Romagna. Sempre in movimento, giocata su più dimensioni. Le illustrazioni, le scenografie, il cabaret, la poesia in filastrocca, la televisione, con punte stratosferiche nella leggendaria tivù dei ragazzi, e il giornalismo, quello politico come quello del “Corriere dei piccoli”. E il teatro, e la musica; in cui specialmente Velia si è cimentata, amica e scenografa di Roberto Vecchioni e Ricky Gianco, Franco Battiato e Gino Paoli, Ornella Vanoni e Umberto Bindi.

È nata così, su impulso di lei, una mostra che a stento riesce a dare un’idea del lavoro artistico svolto da questa rara coppia, benché intitolata solo a “Tinin Mantegazza. Le sette vite di un creativo irriverente”. Maschere su maschere – suggestive, beffarde, inverosimili – usate in altre epoche per le fantastiche avventure da narrare ai piccoli telespettatori. Animali e caricature umane. Tavole di acquerelli ironici e compatti, disegni dal tratto inconfondibile con una satira spesso irresistibile degli uomini del potere: politici ma anche militari, verso i quali in gioventù il Tinin non dové nutrire speciali simpatie.

Ma non voglio fare qui (impropriamente) la recensione della mostra. Desidero invece semplicemente “inchinarmi” all’amore che ha legato questi due artisti generosi per un tempo, fortunatamente per loro, quasi infinito. E ricordarli ai più giovani. Perché ripassare le atmosfere degli anni cinquanta e sessanta, la galleria d’arte “La Muffola”, il Cab 64, locale di cabaret eccelso, ospiti Cochi e Renato, Gaber e Jannacci o anche Umberto Eco, risentire “Il vento dell’est” cantato da Ricky Gianco, e osservare Velia che si industria di portar gente sul palco, ridere di quella vita così piena, dare il via a canzoni o memorie o recite di brani, è come tenere insieme settant’anni, rivedersi pezzi della storia nostra ma anche di quella politica, culturale e civile nazionale, alla cui costruzione questa coppia ha – per quanto le era possibile – partecipato, senza sognare mai nemmeno per sbaglio il momento del riposo. E questo nonostante il Tinin gli ultimi anni li abbia dovuti trascorrere, sempre con ironia, senza più autonomia di movimento.

Una vera miscellanea, in un mondo quasi senza confini. Dove la stampa di sinistra conviveva, per la pagina dei cinema, con un quotidiano della sera come La Notte, di perentoria foga conservatrice; o dove i burattini convivevano con lo “Stolfo di Ferrara”, opera di successo liberamente tratta dall’ “Orlando furioso”.

Durante la recente serata inaugurale gli ospiti si alternavano sul palco chiamando gli applausi alla memoria di chi non c’è più. Lei, pudica, timorosa di eccedere o di cedere alle emozioni, non l’ha mai fatto, anche se quegli applausi erano un modo per ricongiungersi a lui, rimasto immobile e sornione tutto il tempo in una gigantesca immagine sullo schermo. E mentre abbracciava uno per uno gli ospiti venuti a vedere la mostra del marito sussurrava, con tenerezza materna, “aveva dentro di sé la freschezza del fanciullino”. Esattamente la stessa che mostrava lei, però. Effervescente, commossa di gioia, nel suo vestito lungo d’amaranto. Fanciullina anche lei, ahimè. Perché le separazioni tra fanciulli sono più dolorose. Specialmente se si è stati sposati per due terzi di secolo.

Nando Dalla Chiesa

Great Reset. Da Trump a Castellino: monsignor Viganò arruola Forza Nuova nell’armata del Bene

Dai ringraziamenti pubblici di Donald Trump via Twitter alla vigilia delle Presidenziali Usa 2020 alla videobenedizione impartita agli squadristi di Forza Nuova. Ci riferiamo a Monsignor Macchietta alias Carlo Maria Viganò, ex nunzio apostolico negli Stati Uniti, ispiratore del Vatileaks 1 e cospirazionista anti-bergogliano che propaganda le sciempiaggini di QAnon e del Great Reset.

Monsignor Macchietta è ormai un habitué di questa rubrica e non possiamo non citare il suo intervento nella piazza del tragico sabato fascista dell’assalto alla Cgil, il 9 ottobre scorso a Roma. Un intervento per niente raccontato e su cui vale la pena ritornare per l’irrisolta questione del colore politico di quella piazza. Non tutti fascisti, certo. Ma come ha obiettato Marco Revelli quella piazza si può definire “innocente” se ha applaudito con convizione Giuliano Castellino, uno dei capetti di Forza Nuova oggi in carcere? E se ha applaudito, aggiungiamo noi, il grottesco videomessaggio di monsignor Viganò?

Per la serie: “Passo dopo passo, ci hanno fatto credere che un’influenza stagionale come qualsiasi altro Coronavirus potesse uccidere migliaia di persone, senza però dirci che ai medici di base e nei reparti ospedalieri era stato vietato di somministrare cure, aspettando che la malattia si aggravasse”. Per il prelato la pandemia è una sorta di labirinto luciferino funzionale al Nuovo Ordine Mondiale, una lotta del Bene cristiano (secondo la concezione cristiana di Viganò, meglio specificare) contro il Male delle mascherine, dei vaccini e adesso del green pass. Ancora dal videomessaggio: “Dobbiamo uscire da questo labirinto, cari amici. Ma non possiamo uscirne limitandoci a protestare contro il green pass, che è solo il più recente strumento di repressione, e certamente non l’ultimo. La pandemia è uno strumento di ingegneria sociale provocato ad arte con lo scopo di portarci proprio al green pass, al controllo totale, alla limitazione delle libertà naturali e costituzionali in nome di un Great Reset che nessuno di noi vuole, che nessuno ci ha mai chiesto di votare, che concentra il potere e le ricchezze nelle mani di un’élite”.

Nei giorni post-squadrismo a puntellare il delirio di Monsignor Macchietta è comparso Giuseppe Di Bella, figlio di Luigi e continuatore del controverso metodo del padre contro il cancro. Sostiene Di Bella junior che “la tirannia che viviamo era stata profetizzata Giovanni Paolo II”. Addirittura. Ossia “il nuovo totalitarismo globale” peggiore di tutte le dittature del passato. Anche il medico individua un mandante diabolico e fa insinuazioni che toccano il Colle più alto della Repubblica. Di Bella jr ha infatti organizzato venerdì scorso una “recita comune del Rosario contro il Nuovo Ordine Mondiale” anche in “riparazione della crescente esibizione di simbologie sataniche a Roma, come la ‘Porta dell’inferno’ esposta nelle Scuderie del Quirinale proprio a partire dal 15 ottobre. Giorno in cui si calpesta il diritto al lavoro con il green pass”.

Venerdì 15, infatti, alle Scuderie del Quirinale è stata inaugurata la Mostra “Inferno” di Jean Clair. Per i cospirazionisti tutto fa brodo (di coltura).

 

La sai l’ultima?

Siberia Durante il processo, sposa la donna
che ha provato a ucciderlo a colpi di accetta

Struggente storia d’amore in Siberia: un uomo ha sposato la donna che ha provato ad ammazzarlo a colpi di accetta. La racconta il Moscow Times. “Durante il processo, l’uomo ha fatto la proposta all’imputata e l’ha portata all’altare”, ha fatto sapere l’ufficio del procuratore generale della regione di Tomsk in un comunicato stampa. Il neo marito ha anche chiesto al tribunale di far cadere i capi d’accusa nei confronti della sua amata, che durante una festa ad alta gradazione alcolica nel 2019 l’aveva aggredito colpendolo ripetutamente con l’ascia in testa, sulle costole e sul collo. “Il tribunale distrettuale regionale di Tomsk – scrive il Times – ha dichiarato la donna colpevole di lesioni personali gravi ma, probabilmente a causa del matrimonio estemporaneo della coppia, le ha emesso una pena sospesa di tre anni e tre anni di libertà vigilata. Il codice penale russo prevede una pena detentiva massima di 10 anni per il crimine”. La signora ha 67 anni e il marito ne ha 38, è di 29 anni più giovane.

 

Roma L’annuncio (serio) dell’agenzia della mobilità urbana:
“Toro su carreggiata, rallentamenti in via Laurentina”

In questo tweet, serissimo, pubblicato sull’account ufficiale di Roma Mobilità, l’agenzia capitolina che dà informazioni in tempo reale sullo stato del traffico e dei trasporti, c’è tutta la strabiliante, grottesca entropia della città eterna: “Rallentamenti su via Laurentina, altezza via di Santa Serena, per un toro su carreggiata”. Alla fauna inurbata della Capitale mancava giusto l’animale simbolo della corrida, dopo cinghiali, maiali, istrici, pantegane e bestie di ogni ordine e grado. Ovviamente l’annuncio di Roma Mobilità è stato sommerso di commenti sbigottiti e ironici: “Occhio che tra 10 minuti arriva Calenda vestito da matador”, “E Pamplona muta”, “Noi, i ragazzi dello zoo di Laurentino”, “Diminuzione dei cinghiali, aumento dell’ottimismo!”, “Solo non si vedono i due leocorni”, “Ecco chi era il cornuto contromano”, “Più che un sindaco servirebbe un veterinario”.

 

Pisa Alunno 11enne chiede di andare in bagno e scompare,

lo ritrovano dopo ore a Roma: “Volevo vedere il Colosseo”

Il giovanissimo esploratore voleva vedere il Colosseo da vicino. Così si è allontanato dalla scuola in provincia di Pisa durante una lezione e ha fatto perdere le sue tracce. I carabinieri l’hanno trovato a Roma, 350 chilometri più tardi. Lo scrive Repubblica: “Ha alzato la mano e chiesto alla maestra di poter andare in bagno. In classe, però, non è più tornato. E mentre i carabinieri lo cercavano per tutta Pontedera, in provincia di Pisa, lui, undici anni, era già a Roma. Fuggito da scuola perché deciso a vedere una volta per tutte il Colosseo, e forse ad andare a trovare uno zio che abita nella Capitale”. L’intraprendente ragazzino è scomparso a mezzogiorno ed è stato ritrovato nel pomeriggio, dopo ore di comprensibile angoscia per la famiglia: “Intorno alle 16, una chiamata da parte della Polfer della stazione Tiburtina, a Roma. L’undicenne era lì. Arrivato in treno (…) senza biglietto, perché con sé non aveva soldi. Nascondendosi in bagno ogni volta che vedeva avvicinarsi il controllore”.

 

Cilento. 81enne beccato con una prostituta, si giustifica:
“Sono vedovo e solo”. Ma la moglie lo chiama al telefono

L’arzillo vecchietto si fa beccare dai vigili urbani in dolce – ma mercenaria – compagnia e racconta una storia strappacuore: “Sono vedovo, tanto solo”. Invece la moglie lo aspettava in albergo. La notizia è del Giornale del Cilento: “Ancora un ‘cliente’ sorpreso lungo la Litoranea di Eboli. Gli agenti della polizia municipale hanno scoperto un 81enne di Vallo della Lucania mentre consumava un rapporto con una donna di origini bulgare all’interno della sua auto, tra la vegetazione della pineta della zona costiera. L’81enne si è giustificato affermando di essere vedevo e di sentirsi solo. “Dopo la morte di mia moglie sono in cerca di compagnia”, ha detto. Solo che “durante il confronto degli agenti con l’anziano, il telefono di quest’ultimo non smetteva di squillare. Era proprio la moglie che stava provando a mettersi in contatto con il marito. La donna lo aspettava al Campolongo Hospital, dal quale l’uomo era uscito di nascosto dopo un ciclo di terapie per un intervento all’anca”.

 

Vienna. Altro che Figliuolo: ai neovaccinati viene offerto

uno sconto di 30 euro da spendere in una casa chiusa

Campagne vaccinali di qualità: a Vienna offrono un buono sconto in un bordello. Lo riporta il sito dell’Adige: “L’iniziativa si chiama non a caso la ‘Lunga notte del vaccino’: la casa di appuntamenti Funpalast offre ai neovaccinati un buono di 30 euro da spendere nel locale. Insomma, nella vicina Austria si va ben oltre quanto organizzato in Alto Adige, dove dopo la vaccinazione è stata offerta una merenda con pane e salsiccia, durante la tappa del Vaxbus davanti al birrificio Forst vicino a Merano. Per tornare a Vienna, a quanto pare quella del buono acquisto per sesso è una proposta rivolta sopratutto (ma non solo) ai lavoratori stranieri, che rappresenterebbero una fetta rilevante dei clienti. ‘A causa della pandemia abbiamo registrato un calo del 50%, con questa iniziativa speriamo che il numero dei clienti torni a salire’, spiegano alla casa di appuntamenti”. Vicino al Funpalast c’è un monumento a Gustav Klimt. Signore, se vostro marito torna con un cerotto sul braccio e un selfie con il pittore, potrebbe esserci qualcosa che non va.

 

Corea del Nord. Kim Jong-Un “rosica” per Squid Game:

“Mostra la natura bestiale della società sudcoreana”

Kim Jong-Un non ci sta. Il mondo impazzisce per un prodotto culturale degli odiati cugini sudcoreani (Squid Game è la serie più vista del mondo su Netflix) e la macchina informativa del caro leader di Pyongyang si scaglia contro le corrotte società capitalistiche. Per la Corea del Nord, la serie di Netflix è la dimostrazione che la Corea del Sud è un posto terrificante (come in fondo ogni economia di mercato). A chi ha visto la serie in effetti non mancheranno argomenti per concordare. Scrive Adnkronos: “Squid Game viene presa di mira dalla macchina di propaganda della Corea del Nord come un esempio della ‘natura bestiale della società capitalistica sudcoreana’. In un post pubblicato da un sito di informazione nordcoreano, la serie sudcoreana diventata in pochissimo tempo un cult in tutto il mondo, viene interpretata come una metafora ‘della società iniqua dove il forte sfrutta il debole’ e ‘dove l’umanità è alienata dalla competizione portata all’estremo’”. Tutto vero. Però, anche Pyongyang: bella ma non ci vivrei.

 

Colombia. Dalla guerra alla droga alla lotta agli animali:
“Sterilizzati 24 degli 80 ippopotami di Pablo Escobar”

Notizie rinfrancanti dalla Colombia: gli ippopotami di Escobar sono stati sterilizzati. Ce lo dice La Zampa.it: “A Pablo Escobar piacevano tanto gli ippopotami, che ne aveva preso una coppia, maschio e femmina, nella propria villa Napoles, nel nord est della Colombia. Dal 1993, l’anno in cui il narcotrafficante fu ucciso dalla polizia, c’è stata una crescita incontrollata degli animali, che sono diventati una ottantina. Ventiquattro di loro sono stati sterilizzati in questi giorni scagliando contro di loro ‘frecce contenenti un contraccettivo efficace – spiega l’autorità regionale Cornare – per maschi e femmine’”. A quanto pare gli ippopotami della villa di Escobar erano diventati una vera piaga ambientale per la Colombia. L’ultimo regalo dei narcos: queste enormi bestie selvatiche attaccavano i pescatori e danneggiavano l’intero ecosistema. Era uno dei vezzi di Don Pablo: “Al tempo in cui Escobar dominava il narcotraffico mondiale, erano soliti dividere spazi della villa con giraffe, canguri, zebre e altri animali, poi venduti ai diversi zoo”.

Roma-Torino: il partito del non voto s’ingrossa

Alle quindici di oggi, orario di chiusura dei seggi, si scoprirà chi sono i nuovi sindaci di Roma e Torino. Quel che invece già si sa – e vale anche per gli altri 63 Comuni al voto in questo secondo turno – è che il dato dell’affluenza non è affatto incoraggiante: alle 19 di ieri aveva votato il 26,71 per cento degli aventi diritto, in calo rispetto a 15 giorni fa quando alla stessa ora eravamo al 31,65.

Gli appelli delle ultime due settimane non sono serviti a smuovere gli indecisi e i delusi, consegnando a chiunque vinca una riflessione sui tanti che hanno di nuovo preferito stare a casa e ingrossare il partito dell’astensione.

Ma tant’è. A Roma – affluenza al 25,28 per cento contro il 29,50 del primo turno – si registrano gli opposti umori (ma l’egual voto) di Enrico Letta e Carlo Calenda, i cui profili social testimoniano l’arrivo ai seggi. Il segretario dem, in prima fila per Roberto Gualtieri nella sfida con Enrico Michetti, non manca d’enfasi: “Buon voto a tutti! Viva la democrazia”. Il leader di Azione, terzo al primo turno e sostenitore a bocca storta di Gualtieri, dimostra ben poco entusiasmo: “Con aria mesta ho fatto il mio dovere”. Nessun endorsement, invece, dalla sindaca uscente Virginia Raggi, così come dalla 5 Stelle torinese Chiara Appendino, che però si mostra con una foto dal seggio.

A Torino – alle 19 l’affluenza è al 25 per cento, al primo turno era oltre il 29 – la scelta è tra il dem Stefano Lo Russo e l’imprenditore Paolo Damilano, scelto dal centrodestra. E se nella Capitale Giuseppe Conte ha potuto appoggiare pubblicamente il suo ex ministro Gualtieri, a Torino la convergenza giallorosa è impresa impossibile, non foss’altro per i pessimi rapporti tra Lo Russo – per cinque anni leader dell’opposizione dem alla Appendino – e i 5 Stelle.

L’attesa però è anche per il verdetto in arrivo da altre città. Su tutte, Varese: qui la Lega prova a riconquistare il suo storico fortino con Matteo Bianchi, costretto a inseguire l’uscente di centrosinistra Davide Galimberti (48 a 44 al primo turno). Con un Carroccio già dilaniato dalle divisioni interne e dal flop di quindici giorni fa, una disfatta “in casa” potrebbe mettere ancor più in crisi la leadership di Matteo Salvini, che non a caso ha chiuso proprio a Varese la campagna elettorale.

Interessante poi il caso di Trieste, dove l’attuale sindaco di centrodestra Roberto Dipiazza è strafavorito (forte del 47 per cento al primo turno) contro il dem Francesco Russo, che riparte dal 32 per cento. Le proteste No Green Pass, di cui Trieste si è fatta perno – potrebbero forse avere un’influenza sulla già precaria partecipazione al voto, che due settimane fa coinvolse il 46 per cento degli aventi diritto.

Più a Sud, aspetta la riconferma Clemente Mastella, ricandidatosi a Benevento e a un passo dalla vittoria al primo turno: il 4 ottobre si è fermato al 49,33 per cento, premessa comunque più che confortante in vista della sfida di oggi con Luigi Diego Perifano, indietro di 17 punti. Ben più critica la posizione del sindaco uscente di Latina, quel Damiano Coletta di cui si è a lungo parlato per l’intitolazione di un parco a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino (lo stesso che l’ex sottosegretario leghista Claudio Durigon vorrebbe restituire alla memoria di Arnaldo Mussolini): Coletta, sostenuto dal Pd, riparte dal 35 per cento; Vincenzo Zaccheo, in corsa per la destra, punta a rinforzare il 48 per cento del primo turno.

I portuali si sfilano, il molo di Trieste in mano ai No Pass: rallentate le merci

Al terzo giorno di proteste il (presunto) “blocco a oltranza” del porto di Trieste finisce per perdere i portuali. E questo, come si vedrà, non è l’unico paradosso. “Noi non c’entriamo più niente con le decisioni di questa protesta”, dicono domenica sera i camalli del Clpt (Comitato lavoratori portuali di Trieste). A parlare sono i compagni di Stefano Puzzer, ormai ex portavoce del sindacato ribelle, che però continua a rilasciare dichiarazioni a nome degli stessi portuali, in un flusso continuo di dirette Facebook. Nel frattempo il varco 4 di Trieste è diventato un raduno di No Green Pass e No Vax di mezza Italia – ieri sulle banchine sono arrivate 3.500 persone – e, al netto delle dichiarazioni del Comitato No Green Pass di Trieste, è ormai molto difficile capire chi gestisca davvero una piazza completamente alla deriva. Sulle banchine sono comparse tende e bivacchi, qualche centinaio di persone ha passato la notte sul molo. Ieri è arrivata anche la dura presa di posizione di Cgil, Cisl e Uil di Trieste: “Le legittime manifestazioni di dissenso devono essere garantite, ma non possono impedire a un porto e a una città di continuare a generare reddito e prospettive per il futuro”. Nel frattempo l’operatività dello scalo ha ripreso a funzionare già da sabato, seppur con qualche rallentamento. La carenza di manodopera in porto, seppur limitata, ha fatto perdere quattro navi. A soffrire è soprattutto il terminal numero sette, quello interessato dal presidio, in cui avviene il carico e lo scarico dei container. Sono lavorazioni che funzionano a chiamata, settore in cui si concentrano gli iscritti al Clpt.

Ma per fare il punto della situazione bisogna ritornare a sabato notte, quando in poche ore succede letteralmente di tutto. Dopo estenuanti trattative con la Digos, la Prefettura e l’Autorità Portuale, il Clpt rilascia una dichiarazione che sembra presagire la fine della lotta: “Questa prima battaglia l’abbiamo vinta – scrivono – da domani torneremo al lavoro, ma non ci fermiamo. Il 30 ottobre delegazioni di portuali di Trieste e altre città saranno accolte in Senato per un incontro sul Green Pass”. Sembra un’uscita onorevole da una situazione ormai completamente sfuggita di mano: per tutta la giornata Puzzer aveva arringato la folla, assicurando che i portuali non avrebbero mollato e sarebbero andati avanti a oltranza. Quel comunicato, ben conosciuto anche da lui, viene accolto molto male da una cinquantina tra i più facinorosi No Green Pass, accorsi a Trieste da altre città italiane. Accusano Puzzer di tradimento e lui incassa male il cambiamento d’umore della piazza. Si spiega così il dietrofront: “Lo riscriveremo – assicura – è stato un errore”. Ma il Clpt ormai è nel marasma. Fra i sindacalisti volano parole grosse, alcuni di loro erano andati a dormire sereni, convinti che il comunicato mettesse fine a tutto: “Quelli mi staccavano la testa”, si è giustificato Puzzer con i compagni. Domenica mattina il nuovo colpo di scena: Puzzer si dimette dal Clpt. Su Facebook. Ma nel frattempo continua la protesta e spesso parla a nome dei portuali. La vera incognita riguarda a questo punto l’evoluzione, ormai imprevedibile, di una protesta umorale e senza più una vera guida. Questo pezzo di porto triestino sembra diventato a tutti gli effetti la trincea dei No Vax italiani. Senza dimenticare l’happening di sabato: Enrico Montesano accolto come un capo di Stato.

Il presidente del porto Zeno D’Agostino, dopo essersi detto sollevato dalla risposta dei portuali, vorrebbe che il molo fosse sgomberato. Ma, anche senza più camalli, le cose potrebbero non essere così semplici.

Dopo 28 anni di regno, traballa il “sistema Salerno” di De Luca

“Piaccia o meno, Salerno sono io”. Ancora echeggiano le parole del governatore del Partito democratico della Campania Vincenzo De Luca a chiusura della campagna del fido Vincenzo Napoli, poi riconfermato sindaco. E gli si ritorcono contro, a leggere l’ordinanza che ha coinvolto ventinove indagati, scoperchiando venti anni di clientele elettorali e finanziarie intorno alle coop sociali. Un sistema, scrive il gip. Se Salerno è De Luca, e quella è Salerno, c’è poco da vantarsi e da stare allegri.

Per la prima volta dal 1993, da quando De Luca divenne sindaco e da allora ne è il Comandante incontrastato, la navigazione del ‘sistema Salerno’ vede un iceberg a prua. Di fronte a un Titanic apparentemente inaffondabile si è formato un blocco di ghiaccio fatto di indagini, arresti e condanne dei suoi ufficiali di bordo. L’ultima ha colpito poche settimane fa il consigliere politico di De Luca nella sanità, Enrico Coscioni: due anni per violenza privata, per i modi spicci con cui intimidì tre commissari Asl invitati a farsi da parte perché nominati nell’era Caldoro. Le motivazioni lo definiscono “la longa manus del Presidente, portavoce di una volontà dichiaratamente politica del suo dominus”.

Coscioni non si è dimesso. Ed è rientrato nello staff del governatore, con contratto da 9000 euro, Nello Mastursi, condannato in primo grado a 18 mesi per induzione indebita sull’ordinanza del giudice che ‘salvò’ il governatore dalla Legge Severino. De Luca lo ha perdonato. Tra Napoli e Salerno sono aperti diversi fascicoli sui deluchiani di stretta osservanza, tra cui il vicepresidente Fulvio Bonavitacola. Nel mirino gli appalti per le Universiadi, l’emergenza Covid, le onoranze funebri, gli ospedali modulari.

L’orchestrina sul ‘sistema Salerno’ suona sempre. Ma le scialuppe sono poche e sono iniziate le manovre per evitare il naufragio. Entra in giunta comunale con il compito di fare trasparenza e pulizia un ex giudice, Claudio Tringali. Già presidente della Corte d’Appello di Salerno, svolgerà un ruolo simile a quello che tenne in giunta regionale l’ex procuratore capo Franco Roberti, per un po’ assessore alla Sicurezza di De Luca e poi eletto nell’europarlamento con il Pd. Mentre resta fuori, mai accaduto prima, la lista di De Luca ‘Progressisti per Salerno’. Altrimenti sarebbe entrata in consiglio la moglie di Gianluca Izzo, uno dei capi della coop ‘San Matteo’, arrestato per un audio diffuso in una chat di dipendenti: li minacciava per costringerli a votare la signora.

Izzo è solo uno dei tanti marinai. Più rumore ha fatto l’arresto di un ufficiale di coperta, l’assessore comunale alle Politiche Sociali Nino Savastano, consigliere regionale di ‘Campania Libera’, altra civica inventata da De Luca. Era “a disposizione” di Fiorenzo Zoccola detto Vittorio, il ras delle cooperative salernitane finito in carcere. Uno che aveva capito che De Luca continuava a essere di fatto il sindaco. Infatti utilizzava Savastano per conservare i rapporti con il governatore e fargli arrivare preghiere varie, ricompensando l’assessore con iniziative elettorali e con i voti delle coop.

La Squadra mobile e i pm coordinati dal procuratore Borrelli hanno ritrovato negli uffici di Zoccola appunti titolati “promemoria per il Presidente” e “per il dottor Roberto De Luca” (figlio del governatore), scritti come una lista della spesa e delle cose da fare su Salerno. Napoli è indagato con Felice Marotta, il Richelieu che accompagna De Luca dal secolo scorso, per aver accontentato Zoccola sul noleggio di una macchina autolavaggio. “De Luca mi ha fatto un guaio troppo grosso”, esclama Marotta mentre il trojan lo registra insieme a Napoli mentre discutono di cosa fare per assecondare l’imprenditore. “Fu De Luca a far fare pace tra Marotta e l’imprenditore dopo un litigio”, annotano gli inquirenti.

Di fronte al Gip, Zoccola ha parlato per otto ore. Il suo avvocato è Michele Sarno, il candidato sindaco di centrodestra che voleva “cancellare il sistema Salerno” e che ora si ritrova a difenderne uno dei pilastri. “C’è un’inopportunità politica, Sarno dica alla città che posto vuole occupare”, lo attaccano i parlamentari 5 Stelle. Lui non ha replicato. Ma dal suo studio legale ricordano che Sarno è avvocato di Zoccola dal 2016. E segnalano un dato: uno che parla per otto ore ai magistrati ha un approccio alle accuse incompatibile con l’appartenenza a un sistema. Forse la sintesi migliore l’ha fatta il quotidiano Cronache del salernitano: “Zoccola vuota il sacco”.

Ma mi faccia il piacere

Preliminari. “L’abbraccio tra Landini e Draghi è una svolta?”. (Claudia Fusani, Riformista, 12.10). Per ora siamo al petting, poi da cosa nasce cosa.

La lingua del Merlo. “Che cos’è l’effetto Draghi? È l’imitazione che, si sa, celebra l’originale, ma mai lo riproduce in copia. Così in musica, in pedagogia, in filosofia… e nell’antropologia della leadership italiana. Da Manfredi a Sala, da Lepore a Da Milano (sic, ndr), da Gualtieri a Calenda, in tutti i vincenti delle amministrative l’effetto Draghi è ‘il balenare dell’aspetto’, l’identità nelle differenze, il lampo di Paul Klee sulla politica che produce somiglianze. I nuovi italiani somigliano a Mario Draghi allo stesso modo in cui ‘a un certo punto – la frase è di Merleau-Ponty – si è iniziato a vedere le donne come le dipingeva Matisse’…” (Francesco Merlo, Repubblica, 11.10). Qui invece – la frase è sempre di Merleau-Ponty – siamo già al cunnilingus.

Caruso Dragosky. “Nino Aragno è di fatto l’editore del nostro premier Mario Draghi. Ha pubblicato una rarità fuori commercio. Si tratta del ‘Discorso per il Premio Cavour 2016’ ricevuto da Draghi a Santena il 23 gennaio del 2017. Era già un programma di governo, un modo di guidare forze contrapposte alla maniera di Cavour” (Carmelo Caruso, Foglio, 16.10). Questo è proprio sesso sfrenato.

Calendami tutto. “Gli obiettivi di Azione: formula Ursula con Draghi” (Carlo Calenda, europarlamentare Azione, Corriere della sera, 16.10). Un giochino a tre?

Vergogne. “Salvini scalda Latina: ‘Non vergogniamoci del nostro passato’” (Stampa, 14.10). Basta e avanza il presente.

A grande richiesta. “Dietro gli squadristi una rete alimentata dalle fake news russe” (Repubblica, 15.10). Un grande ritorno dopo le ferie: stagione autunno inverno.

Modellistica. “Il Green Pass diventa un modello europeo” (Claudio Tito, Repubblica, 16.10). Da non imitare.

Lui può tutto. “SuperMario schiaccia pure il dissenso sul Green Pass” (Dubbio, 16.10). “Qualche urlo e poi tutti a casa. Draghi sgonfia la piazza No Vax” (Riformista, 16.10). È tornato San Francesco che ammansisce il lupo di Gubbio.

Amorosi sensi. “Vince l’Italia che lavora” (Libero, 16.10). “Vince la voglia di lavorare” (Enrico Letta, segretario Pd, Repubblica, 16.10). Sono soddisfazioni.

Noi ce l’abbiamo Durigon. “Io fascista? Sono di famiglia Dc e stavo nella gioventù francescana” (Claudio Durigon, deputato Lega ed ex sottosegretario Economia, comizio elettorale a Latina, 14.10). Infatti voleva intitolare il parco Falcone e Borsellino e san Francesco e santa Chiara.

Nanoparticelle. “Diciamoci la verità: il dato delle Amministrative ci consegna l’immagine di un partito molto più in forma e radicato di quanto immaginavamo. Sommiamoci un dato di fatto oggettivo, indubitabile: noi con la crisi di governo di gennaio abbiamo salvato l’Italia” (Matteo Renzi, assemblea Italia Viva, 1.10). Fa piacere sapere che almeno lui si è votato.

Dracula all’Avis. “Nelle venti grandi città al voto nessuna donna eletta perché prima di tutto c’era una minor presenza di candidate donna e non sempre le candidate donna hanno dimostrato di essere all’altezza del ruolo che dovevano svolgere, penso al caso di Roma” (Elena Bonetti, Iv, ministra delle Pari Opportunità, The Breakfast Club, Radio Capital, 15.10). Figurarsi che hanno fatto ministra persino la Bonetti.

L’esperto. “Sprint di Berlusconi per Michetti sindaco: ‘Per il caos rifiuti è pronto Bertolaso’” (Giornale, 16.10). Per aggravarlo.

Moderati. “Salta il blitz dei moderati: Mario per ora salva il reddito. Draghi difende il sussidio 5S dalle critiche di Lega, Fi e Iv” (Giornale, 16.10). Diconsi “moderati” quelli che guadagnano 18 mila euro al mese e vorrebbero scipparne 500 a chi non guadagna nulla.

L’ultimo a sapere. “Basta insulti e fango, non tornerà la Fornero” (Matteo Salvini, segretario Lega, 16.10). Poverino, non l’hanno ancora informato che Elsa Fornero è già tornata tre mesi fa come consulente del governo Draghi di cui fa parte la Lega.

La biblista ripetente. “Davigo recita la Bibbia, ma il suo discorso su Caino è anticristiano” (Tiziana Maiolo, Riformista, 15.10). Infatti Cino e Abele sono nell’Antico Testamento e il cristianesimo nel Nuovo.

Il titolo della settimana/1. “Giustizia, Cartabia assolve i referendum: non ostacolano le mie riforme” (manifesto, 16.10). Porcata più, porcata meno.

Il titolo della settimana/2. “Movimento 5 Stelle in stand by. Sembra le foglie di Montale…” (Aldo Torchiaro, Riformista, 15.10). Il titolo invece non sembra italiano.

Torna Ferretti con “Boris 4” ed Elodie si dà alle inchieste

René Ferretti, Stanis La Rochelle, Biascica, Duccio Patanè, i celebri personaggi di Boris, la serie cult che ha segnato un’epoca tra il 2007 e il 2010, tornano in scena nella quarta stagione del programma, scritto e diretto questa volta dai soli Giacomo Ciarrapico e Luca Vendruscolo dopo la scomparsa del compianto Mattia Torre. Dopo l’”epopea” legata alla lavorazione dell’immaginaria fiction Gli occhi del cuore, la nuova serie originale Disney+ prodotta da Lorenzo Mieli per The Apartment, società del gruppo Fremantle, racconterà il ritorno sul set della storica troupe e i retroscena del cinema e della tv italiani profondamente cambiati insieme al mondo.

Riccardo Scamarcio e Vittoria Puccini sono i protagonisti di Praticamente orfani, una commedia di Umberto Carteni girata tra Monopoli, Roma e Milano. Costanza ha fatto conoscere nel jet-set milanese il talento del giovane Valentino, con cui ha fondato una celebre griffe nel mondo del design dopo averlo raccontato come un ragazzo rimasto solo in tenera età. Il giovane infatti ha tagliato i ponti con la sua colorita e ingombrante famiglia pugliese al punto di dichiararsi orfano e cambiare cognome. In occasione del compleanno della madre, il fratello maggiore di Valentino, Nicola, cercherà di riallacciare i rapporti con lui sperando in un aiuto economico che risani la disastrata attività della masseria di famiglia.

La cantante Elodie reciterà in Ti mangio il cuore, il terzo lungometraggio di Pippo Mezzapesa sceneggiato dal regista con Antonella Gaeta e Davide Serino dall’omonimo romanzo-inchiesta di Carlo Bonini e Giuliano Foschini. Prodotto da Indigo Film Puglia e ambientato tra Ascoli Satriano e Peschici, racconterà una storia incentrata sulla cosiddetta Quarta mafia, quella delle famiglie della Società foggiana e dei Montanari del Promontorio.

“È sempre l’eros a ispirarmi e con l’Lsd ho avuto fortuna”

Anticipiamo stralci di “The Lyrics” di Paul McCartney su “I Want to Hold Your Hand” e “Fixing a Hole”. Il libro, a cura di Paul Muldoon, uscirà in tutto il mondo il 9 novembre (in Italia con Rizzoli).

Alla base di tutto c’era l’erotismo. Se mi fossi sentito usare questa parola quando avevo diciassette anni, sarei scoppiato a ridere. Ma l’erotismo era davvero la spinta per tutto quel che facevo. È un impulso molto forte. E, appunto, è quel che stava dietro molte di queste canzoni d’amore. “Voglio stringerti la mano” aperta parentesi “(e probabilmente vorrei fare molto altro!)”.

All’epoca in cui questa canzone è stata scritta, avevo circa ventun anni, ci eravamo già trasferiti a Londra. Il nostro manager ci aveva procurato un posto dove stare: Appartamento L, al 57 di Green Street, Mayfair. Era tutto molto eccitante: Mayfair è una zona chic di Londra. Per qualche motivo io sono stato l’ultimo ad andarci e, guarda un po’, mi avevano lasciato una stanza piccola. Gli altri si erano presi tutte quelle più grandi. E mi avevano lasciato una cacchio di stanzetta.

Ma all’epoca avevo una fidanzata, Jane Asher, che era una ragazza molto di classe, il cui padre era un medico di Wimpole Street e la mamma era una donna meravigliosa, un’insegnante di musica di nome Margaret Asher. Andavo spesso a trovarli a casa. Mi piaceva andarci perché erano davvero una famiglia. Margaret e io andavamo molto d’accordo. È diventata per me una specie di seconda madre. Sembrava tutto come prima che mia madre morisse, quando avevo quattordici anni, anche se non avevo mai visto una famiglia come quella. Le persone che conoscevo venivano tutte dal proletariato di Liverpool. Qui eravamo nella Londra elegante: tutti loro avevano agende con impegni che coprivano orari dalle otto del mattino fino alle sei o alle sette di sera – senza un buco libero. Non c’era un minuto che non fosse destinato a qualcosa… Ero molto affascinato da tutto questo. Era come se stessi vivendo in prima persona una storia, un romanzo.

A un certo punto sono andato a vivere dagli Asher… Quando veniva a trovarmi John usavamo un pianoforte nel seminterrato… Scrivevamo lì, suonando il piano a quattro mani, o faccia a faccia con le chitarre. I Want to Hold Your Hand non parla di Jane, ma di certo è stata scritta quando stavamo assieme. A dire il vero, credo stessimo scrivendo per un pubblico più ampio. Se ero innamorato di una persona potevo ispirarmi alla mia esperienza con lei – e a volte essere molto specifico – ma il più delle volte scrivevamo per il mondo intero.

Prima che io mi metta a scrivere una canzone, è come se ci fosse un buco nero, quindi prendo la chitarra o il pianoforte e provo a riempirlo. La nozione che ci sia un vuoto da riempire è un’immagine dell’ispirazione non meno onorevole del raggio di luce che scende dal cielo. In un modo o nell’altro, è un miracolo…

Io sono stato l’ultimo del gruppo a prendere l’Lsd. John e George mi spingevano a farlo in modo che potessi essere al loro stesso livello. Ero molto riluttante perché in realtà sono abbastanza moralista, e avevo sentito dire che se prendevi l’Lsd dopo non saresti più stato quello di prima. Non ero certo di desiderarlo. Non mi sembrava un’idea così grandiosa. Ho resistito molto. Alla fine, ho ceduto e una sera ho preso l’Lsd assieme a John. Sul fronte dell’Lsd sono stato abbastanza fortunato, nel senso che non ha rovinato troppo la faccenda. Certo, aveva una componente che faceva paura. La componente davvero spaventosa era che quando avresti voluto fermarti, non ci riuscivi. Ti dicevi: “Ok, adesso basta, la festa è finita” e invece quello ti rispondeva “No, non lo è”. Così andavi a dormire con le visioni. A quell’epoca, quando chiudevo gli occhi, invece del buio c’era un piccolo buco blu. Era come qualcosa che doveva essere rattoppato. Ho sempre avuto la sensazione che se avessi potuto raggiungerlo e guardarci attraverso, avrei trovato una risposta… L’influenza più importante in questo caso non è stata nemmeno l’idea metafisica di un buco, come ho detto prima, ma questo fenomeno assolutamente fisico – qualcosa che mi è apparso per la prima volta dopo aver preso l’acido. Mi capita ancora di vederlo qualche volta, e so precisamente cos’è. Conosco le sue dimensioni.

Qualcuno pensa che Fixing a Hole abbia a che fare con l’eroina. Probabilmente perché suscita in loro l’immagine del buco di un ago. Quando ho scritto questa canzone, la droga era, nella maggior parte dei casi, la marijuana. Di fatto, vivevo per lo più da solo a Londra e mi godevo la mia nuova casa.

© Rizzoli, 2021 by Mpl Communications, Inc. Published by arrangement with W. W. Norton and co./ Agenzia Santachiara

“Troisi, genio intransigente tra le ragazze Coccodè e la rapina in una banca”

La favola di Lello Arena inizia un pomeriggio all’oratorio, quando nella sala dedicata al teatro appare un ragazzo con i ricci scomposti (“perennemente scomposti”) e modi surreali.

Questa favola, Lello Arena, la racconta con la maturità di un 68enne ma con gli occhi di un sedicenne consapevole di aver incrociato il cammino con qualcuno di speciale: un supereroe, un genio, un unico, uno all’altezza di Totò ed Eduardo, come lo definisce lui.

Un supereroe in grado di creare una realtà alternativa, un Tom Sawyer di San Giorgio a Cremano, dove bastavano due fiocchi di neve, due assi di legno e un dosso per convincere gli amici che, quel giorno, la loro quotidianità era alpina. “Il mio non è un libro. È più uno spettacolo. È più un film. È più un romanzo. Eppure è tutto vero, con la bellezza di una storia straordinaria in cui fortunatamente sono incappato”.

La sua fortuna, per dirla esattamente alla Lello Arena, si chiama Massimo Troisi.

E le pagine della loro amicizia sono intitolate C’era una volta: in copertina i loro ricci neri, entrambi spettinati.

Quanto ci ha lavorato?

Due anni e mezzo; molti degli episodi escono dalla portata di una memoria normale, quindi mi sono inoltrato in ricerche, riscontri. Ho cercato documenti.

Da quanto ci pensava.

In realtà per niente, poi una delle editor di Rizzoli mi ha chiamato: “Se non lo scrivi, un giorno qualcuno lo farà al posto tuo”; (pausa) prima di iniziare ho affrontato la lettura di quello che già è stato prodotto su di noi, ed è un bagaglio piuttosto vasto: a volte sono rimasto leggermente stupito. (Pausa) Leggermente è un eufemismo.

Perché?

Ho scovato malafede o episodi totalmente inventati.

L’approccio emotivo durante la scrittura.

Tornare a quei momenti, e ricrearli, non è stato semplice: sono state emozioni fortissime.

La maggior fatica?

Ricostruire la nostra rottura, i se e i ma, i forse e i però: però potevo chiamarlo dopo la sua vittoria della Coppa Volpi; però potevo andare a trovarlo quando a Cinecittà stava ultimando Il Postino e le sue condizioni erano precarie; però potevo presentargli mia figlia Valentina. Non l’ha mai conosciuta. Alla fine dico “però” è andata così, anche se mi sono perso gli ultimi sette anni della sua vita; (pausa) chi mi ha visto nel periodo di scrittura può testimoniare il mio stato, la mia disperazione, e a tutti dettavo la linea: “La prossima volta che decido di cimentarmi con un libro, dissuadetemi!”.

La lite con Troisi nasce da un ruolo in un film…

Per Le vie del signore sono finite: dopo mesi e mesi di lavoro, di studio del mio personaggio, una sera Massimo mi chiama e mi comunica che avrei avuto un altro ruolo. Non accetto. E da lì parte un meccanismo più grande di noi, con incomprensioni e voci sbagliate; fino a quel momento la coppia era Troisi-Arena e funzionava molto.

Troisi è morto nel 1994 e in questi anni le hanno chiesto sempre di lui. Non si è mai scocciato?

Se uno gioca con Maradona come fa a non parlarne? Sono stato accanto a un genio e grazie a lui ho vissuto un qualcosa di epocale.

Nel libro lo definisce “intransigente”.

Negli stati e nei livelli più elevati, gli stessi che possiamo riferire a Totò o a Eduardo, c’è una sorta di specializzazione, pure dolorosa: sono artisti che si sono occupati in maniera intransigente dell’arte fino al punto di rinunciare a tutto il resto.

A cosa pensa?

Quando Eduardo parlava di suo figlio Luca ammetteva di non capire nulla di lui perché non lo aveva mai visto: “È cresciuto insieme a me eppure non me ne sono accorto”, ripeteva. Ma solo così si raggiungono certi livelli.

Per intransigenza Troisi l’ha pure cacciata…

Appunto! Erano i tempi del Centro Teatro Spazio a San Giorgio e, nonostante lo avessimo fondato insieme, un giorno aprì una riunione con una sua mozione che prevedeva il mio allontanamento: per lui non stavo dedicando tutto me stesso al collettivo. Era vero. Mi ero innamorato.

Troisi era già Troisi.

Lo è sempre stato. (Ride) Massimo, da bambino, un giorno decise di rapinare la banca del posto, e per riuscirci aveva studiato la realizzazione di un tunnel sotterraneo (pausa, altre risate). Ovvio, non sapeva nulla di come si fa un tunnel, eppure agli amici spiegava la giusta tecnica per evitare crolli.

Voi gli davate retta.

La magia si palesava appena lo incontravi: tutti eravamo portati a ottenere la sua felicità, e non era una questione di soggezione; stesso atteggiamento con la vicenda degli sci: uno non derubricava a cazzate le sue idee, ma prendeva le assi di legno e fingeva di scendere sulla neve, quando in realtà era melma. (Pausa) È questa sua capacità di portarti altrove, nel suo mondo, ad aver incantato prima noi e poi il pubblico.

Un’ipnosi…

Sì, un’ipnosi collettiva.

Nel libro parla poco della malattia.

Per noi non è mai esistita: quando è tornato dall’operazione a Houston, aveva una valvola cardiaca che produceva un ticchettio continuo, ma a parte questo rumore si comportava normalmente, restava sul palco due ore e mezzo, condivideva la nostra vita, non si è mai tirato indietro. Aggiungo: giocava a pallone, amava il Napoli e soprattutto gli piacevano molto le signorine; (ride) per le signorine accadeva di tutto.

Per una signorina avete discusso…

Si riferisce a Jennifer Beals? Dopo aver visto Flashdance decide che la doveva conoscere. Passa qualche tempo, poi un giorno torna a casa super felice, saltellante. “Massimo cos’hai?”. “Ragazzi, domani accade”. “Cosa?”. “Esco con Jennifer. Quanto è bella!” e accompagna la frase con un gesto particolare, come a disegnarne il corpo. E noi: “Guarda che nel film il fondoschiena non è suo, ma è la controfigura di un ballerino portoricano”. “Piantatela!”. “Guarda che è vero”.

Uno choc.

Ci rimase malissimo, per tre giorni non ci rivolse la parola al grido “certe informazioni vanno condivise”. (Sorride) Tra Massimo e Jennifer c’è stata una bella storia d’amore.

Quindi mai la malattia…

Solo una volta ed è stata la settimana più divertente della mia vita: io e lui, soli, all’ospedale di Houston: eravamo lì per i controlli e rimpiango di non aver portato una cinepresa. Qualcosa di eccezionale.

Perché?

Era lui contro tutti i medici, contro tutti i controlli, contro la città.

In che lingua parlava?

Io mi arrangiavo con l’inglese, lui niente e un giorno sono pure svenuto: gli era uscito l’ago dal braccio, perdeva sangue, e alla vista di quella chiazza sono finito a terra; non solo: per capire se il cuore funzionava bene, i medici gli avevano piazzato una macchinetta per controllare i battiti e la raccomandazione di svolgere una vita normale. Normale per loro. Quindi scale, sforzi e via così. Invece Massimo usciva dalla stanza d’ospedale, trovava una sedia in giardino, si sedeva, al più parlava o leggeva. “Devi muoverti”. “Ma io nella vita faccio questo”.

Per lei era…

Uno extra, di un’altra dimensione, di un differente universo e per questo, a volte, ho avuto la sensazione che fosse un po’ solo, che si dovesse accontentare di noi.

Con voi non gli è andata male.

Questo non lo so. Almeno la nostra parte l’abbiamo fatta e non è poco.

Nel libro scrive: “Con lui non era necessario essere perfetti, ma migliori sì”.

Si indispettiva quando vedeva gli attori non sforzarsi, non tentare il massimo. Lui metteva perennemente tutto se stesso, non c’erano eccezioni o rimpianti rispetto al progetto dell’arte: recitava sempre e da sempre come fosse un sold out alla Royal Albert Hall; (sorride) una sera, a Roma, c’erano tre spettatori in sala, piazzati al centro della prima fila.

Tre speciali…

Sì, ma non lo sapevamo. E fu incredibile: alla fine del primo atto non avevano riso neanche una volta; noi tra l’incazzato e l’avvilito torniamo nei camerini. Nel secondo, e solo in un caso, c’è stato un accenno di apprezzamento. Basta. Finito lo spettacolo ci convocano: erano Giancarlo Magalli, Mario Pogliotti ed Enzo Trapani. Cercavano nuovi artisti per il programma Rai Non stop.

Secondo Bruno Voglino, con il quale avete lavorato, gli artisti sono fragili.

Più che fragili, psicolabili: parliamo di persone che ogni giorno hanno uno sdoppiamento della personalità. E questo richiede uno sforzo consistente, con inevitabili conseguenze.

In quegli anni incrociate pure Arbore e Benigni.

Roberto era un soggetto strano, molto schivo, timido, per noi era inquadrato solo come amico di Renzo; (pausa) davvero, non lo abbiamo mai focalizzato come un essere autonomo: arrivava Renzo e dietro c’era lui, un po’ come De Crescenzo, Pazzaglia o Isabella Rossellini; (cambia tono) una delle più grandi emozioni dopo il nostro arrivo a Roma è stata una sera, quando ci avvertono: “In prima fila ci sono Renzo Arbore e Mariangela Melato”. Per noi due miti assoluti.

È stato geloso di Non ci resta che piangere, della loro complicità?

No, perché non ho mai capito fino in fondo il tipo di complicità.

Traduciamo.

Mi sembrava che Massimo si fosse impadronito della situazione e che Roberto gli avesse giustamente riconosciuto la superiorità. (Sorride)…

A cosa pensa…

Che la “questione” Beals non è stato un episodio isolato; quando Renzo era impegnato con Indietro tutta e c’erano le ragazze Coccodè, Massimo il pomeriggio si vestiva, si profumava e usciva. Cosa rarissima, perché non andava mai da nessuna parte.

Quindi?

Tempo dopo ho capito che andava a vedere lo spettacolo proprio per le Coccodè, fino a quando un pomeriggio è tornato da noi come una specie di belva: “Che è successo?”. “Niente, non ho voglia di parlarne”. “Ma che hai?”. “Ho litigato con Renzo”. Noi basiti. Per il carattere di entrambi ci sembrava impossibile una discussione.

Eppure.

Lo calmiamo e capiamo: “Non si fa così! In mezzo a quelle Coccodè ci sono tre uomini. Uno deve avvisare”. E dopo un breve silenzio ha aggiunto: “Ho fatto il cretino con uno di questi travestiti”. Nella sua ottica quello di Renzo era il tradimento di un amico. (Pausa) Anche Renzo dovrebbe scrivere un libro su Massimo, sarebbe fantastico.

Lo sogna?

Più che altro ogni tanto torna a prendermi in giro, un po’ quello che accadeva durante le nostre giornate; e il tono è uno che ti dice: “Stai ancora là? Ancora a quel punto? Ancora perdi tempo? Quando mi raggiungi?”. Mentre lui, professionalmente, è andato avanti.

E si sveglia con l’angoscia?

No, perché torno a quello sfottò pieno di affetto; oggi quel tipo di ironia me la regala ancora Renzo, e lo motiva: “Se ci fosse Massimo ti direbbe così”. E sono contento.