Rifiuti, caos Lazio. Ora Latina rischia: “È colpa di Zinga”

Virginia Raggi disporrà la riapertura della discarica di Albano. Non solo. Dice anche se si impegnerà per rimettere in funzione quella di Colleferro – sempre in provincia di Roma – chiusa da Nicola Zingaretti un anno prima che si riempisse definitivamente. “In otto anni la Regione Lazio non ha programmato, autorizzato o realizzato neanche un impianto – ha detto la sindaca ieri, durante un accesissima Assemblea capitolina – Se la Regione Lazio non vuole ripartire le discariche e vuole lasciare i rifiuti in strada, vorrà dire che le riapriremo noi”. I dati sciorinati da Raggi confermano quelli contenuti nell’inchiesta del 4 luglio del Fatto Quotidiano: il Lazio si conferma maglia nera. “Le Regioni non realizzano gli impianti per la gestione dei rifiuti, Raggi imbroglia i cittadini”, ha replicato l’assessore regionale all’Ambiente, Massimiliano Valeriani.

Intanto, dopo Roma, anche la provincia di Latina rischia l’emergenza rifiuti. A svelarlo è il consigliere regionale di Fdi, Antonello Aurigemma, che ha allegato a un’interrogazione un carteggio dettagliato fra la Regione e la società Rida Ambiente di Aprilia. Il 23 giugno Rida, proprietaria di un tmb che serve 53 comuni, ha comunicato una riduzione di carico per lavori di manutenzione, ma la risposta degli uffici regionali è arrivata solo il 2 luglio. Non solo. La Regione ha poi atteso il 12 luglio prima di inviare la comunicazione ai comuni della provincia pontina, che ora non sanno a chi rivolgersi, da 15 luglio al 6 agosto, per la consegna dei loro rifiuti indifferenziati. “Chiedermo l’intervento del ministro”, ha dichiarato Aurigemma. “Credo sia ora di individuare in maniera onesta qual è il problema e il problema ha un nome e un cognome Regione Lazio e Nicola Zingaretti”, ha dichiarato, sempre in Campidoglio, Virginia Raggi.

Draghi e Cartabia accolti al grido “indulto, indulto”

In visita a Santa Maria Capua Vetere nel carcere della mattanza dei detenuti, il premier Mario Draghi e il ministro di Giustizia Marta Cartabia, accolti dai reclusi che urlavano “fuori, fuori, indulto, indulto”, monologano per poco più di un quarto d’ora un segnale forte di presenza dello Stato, lì dove la Costituzione è stata presa a manganellate. “Non siamo qui a celebrare successi ma ad affrontare le conseguenze delle nostre sconfitte”, sottolinea Draghi.

“Non è una conferenza stampa, non sono previste domande”, spiega lo staff della comunicazione di governo, ed ai giornalisti accreditati non è rimasto altro che ascoltare sotto il sole di luglio – invidiando chi ha preferito lo streaming – Draghi e Cartabia dire in coro che i numeri di sovraffollamento nelle carceri “sono inaccettabili” e rappresentano “il primo e più grave tra tutti i problemi”. Qui ci sarebbe stata bene una domanda su come ridurli: un’amnistia, la depenalizzazione di alcuni reati, la costruzione di nuovi penitenziari? Sarà per la prossima volta. Per la verità qualche ipotesi Cartabia la illustra: il Pnrr comprende la costruzione di 8 nuovi padiglioni, uno proprio nel carcere sammaritano, e il suo pacchetto di riforme della giustizia correggerebbe, sostiene, “la misura penale incentrata solo sul carcere”, prevedendo “un uso più razionale delle sanzioni alternative alle pene brevi”.

Del resto Santa Maria Capua Vetere è una di quelle prigioni “dove si fa fatica persino a respirare”, parole del ministro, le cifre dicono 905 detenuti per 809 posti effettivi, e non si soffre solo qui. “L’Italia – ricorda Draghi – è stata condannata due volte dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per il sovraffollamento carcerario, ci sono quasi 3.000 detenuti in più rispetto ai posti letto disponibili”. La riforma del sistema penitenziario promessa ieri dovrebbe iniziare da qui.

L’uomo di Salvini incontrò il clan

È il 4 giugno 2016. Il giorno prima delle Amministrative a Latina. Raffaele Del Prete, secondo la Dda di Roma e la Procura pontina, sta ultimando la raccolta dei voti per Matteo Adinolfi, oggi eurodeputato della Lega, allora candidato al Comune con “Noi con Salvini”.

Quel giorno l’imprenditore, finito ai domiciliari martedì insieme al suo collaboratore Emanuele Forzan con l’accusa di scambio elettorale politico-mafioso, riceve nel suo ufficio Silvana Di Silvio e suo marito Luca Troiani. Di Silvio non è un cognome qualunque a Latina: a portarlo sono gli esponenti di un clan definito mafioso dalla sentenza con cui la Cassazione a giugno a confermato le condanno ai due pentiti sulle cui dichiarazioni si basano questa e altre importanti inchieste: Renato Pugliese e Agostino Riccardo. La Di Silvio e Troiani, ingolositi dai pagamenti che Forzan sta facendo negli ultimi giorni a Riccardo – trait d’union tra il clan e l’imprenditore –, offrono a quest’ultimo un pacchetto di voti. Del Prete li sta raccogliendo, è la tesi dei pm, per fare eleggere Adinolfi, anche lui indagato per scambio elettorale politico-mafioso: in cambio punta agli appalti dei rifiuti nel capoluogo. Così i due prendono carta e penna e, intercettati, si mettono a contare, facendo “i nomi delle persone che avrebbero votato”. Alla fine le preferenze sono 9. In cambio Troiani, attivo nel settore della plastica, chiedeva a Del Prete due facilitazioni: una nei rapporti con una ditta toscana intenzionata a comprare da fornitori locali e l’altra nella sostituzione di un cassone dei rifiuti in un centro commerciale. “Va bene”, acconsente Del Prete, l’importante era che i 9 votassero “solo per Adinolfi”. Che, poco dopo, entrava nell’ufficio. Del Prete fa subito le presentazioni: “Matte’, lui è Luca”, dice l’imprenditore al politico, “ci dà una grande mano”. E assicura: i voti “se so’ nove, so’ certificati”. “Poi se ci sta qualcuno in più te lo facciamo sapere”, aggiunge Silvana. Quando i due escono Adinolfi si informa: “Come si chiama? Io lei la conosco, mi sa”. Del Prete fa il nome: “ Lei è Di Silvio”. “Per dinci, Di Silvio proprio?”, domanda l’allora meravigliato candidato di Noi con Salvini. “Sì, Silvana Di Silvio”. “Non sembra una Di Silvio lei, però, eh”, commenta il politico. Però lo è, figlia di Antonio e parente di Ferdinando detto “Il bello”, ucciso da un’autobomba il 9 luglio 2003. Suo marito Luca è un noto pregiudicato, che pochi giorni prima dell’attentato era stato ferito a colpi d’armi da fuoco. Adinolfi, annotano gli inquirenti, era “consapevole che fra le persone impegnate a sostenere la sua candidatura Del Prete avesse reclutato anche la coppia (…) evidentemente inserita nell’omonima famiglia, fatto che stupiva il candidato, ma al tempo stesso non sembrava preoccuparlo”. Raggiunto dal Fatto l’europarlamentare ha preferito non commentare.

Lega, si cercano i 49 milioni nell’affare del manager amico

Plusvalenze milionarie “del tutto anomale” incassate da un imprenditore vicino alla Lega, operazioni finanziarie dove i beni messi pubblicamente sul mercato a 5 vengono acquistati e subito rivenduti a 29 in un giro di soldi che, secondo gli inquirenti, sembra nascondere i veri proprietari del denaro. Nel mirino dei magistrati i 49 milioni spariti dai conti del Carroccio. Di più: incassato questo “spread milionario”, si torna inspiegabilmente a battere cassa per ottenere finanziamenti per 60 milioni da una società svizzera nata in parte sulle ceneri di Banca Arner, già con sede a Milano e a Lugano, e dove in passato Silvio Berlusconi ha appoggiato parte delle sue ricchezze. Ma in questa storia, l’ex Cavaliere non c’entra. Questa storia, che riguarda i 49 milioni della vecchia Lega e i soldi del nuovo partito di Matteo Salvini, emerge da un interrogatorio del commercialista Michele Scillieri davanti ai pm milanesi, che a partire dal caso della fondazione regionale Lombardia film commission (Lfc) sono ora sulle tracce di ben più consistenti flussi finanziari.

Al centro della vicenda c’è l’acquisto da parte dell’imprenditore bergamasco Marzio Carrara (non indagato), molto vicino alla Lega, del Nuovo istituto italiano d’arti grafiche (Niig) posseduto dal fondo tedesco Bavaria. L’operazione, aperta e chiusa nel 2018, coinvolge anche il commercialista del partito e, per i pm, “direttore finanziario di Carrara”, Alberto Di Rubba, che otterrà una consulenza di un 1 milione, poi dichiarata come vendita di quote societarie per pagare meno tasse. Carrara e Di Rubba, attraverso “una società ad hoc”, acquistano a 5,5 milioni e poche settimane dopo rivendono alla Elcograf di Francesco Mario Pozzoni (non indagato) per 29 milioni. Fin qua la storia era già illustrata in una segnalazione dell’Antiriciclaggio della Banca d’Italia. È però un recente verbale di Michele Scillieri ad aprire un nuovo e inedito fronte investigativo. Il commercialista ricorda così una riunione avvenuta presso una sede di Banca Profilo con Carrara e lo stesso Di Rubba. “Di Rubba – inizia Scillieri – si vantava del fatto che Carrara aveva comprato dal gruppo Bavaria il Nuovo istituto italiano di arti grafiche. L’aveva comprato a 5 milioni e l’aveva rivenduto dopo poco tempo al gruppo Pozzoni, realizzando una plusvalenza da 24 milioni (…). Lo raccontavano loro mentre erano lì in banca. E quello della banca gli ha detto: quindi il gruppo Pozzoni che ha comprato è assolutamente sprovveduto”. Già perché, riprende Scillieri, “l’acquisizione di 5 milioni non derivava da una trattativa privata, ma c’era un avviso pubblico di vendita a quella cifra fatto dal gruppo Bavaria”. Chiaro, dunque. Non vi sono margini: il valore è 5. Difficile che in poche settimane lieviti a 29. Prosegue Scillieri: “Era incredibile che (Carrara, ndr) in poco tempo avesse realizzato una plusvalenza così rilevante soprattutto a fronte di un asset che era pubblicamente in vendita a 5 milioni pochi mesi prima”. Incassata la plusvalenza, Marzio Carrara è ancora alla caccia di risorse finanziarie. È qua che Scillieri interviene. Dice: “Aveva il problema della liquidità”. E così Scillieri interessa Francesco Caputo Nassetti (non indagato). Il rapporto tra i due era stato già svelato dal Fatto lo scorso gennaio. Tra i maggiori esperti di alta finanza, Nassetti dirige la Swiss Merchant Corporation (Swi.Me.Co.) di Lugano con uffici anche a Milano. Tra i fondatori della Merchant c’è la famiglia Del Bue, già a capo della Arner. Scillieri, dunque, parente dei Del Bue, favorisce i rapporti tra il duo Di Rubba-Carrara e Nassetti. Tanto che il maggiore della Guardia di finanza, Felice Salsano, presente all’interrogatorio, spiega: “Noi abbiamo una bozza di contratto inviata dalla Swiss Merchant Corporation alla Boost (di Carrara, ndr) per avere risorse finanziarie di 65,5 milioni. Questo avviene nel marzo 2019”. Il procuratore aggiunto Eugenio Fusco domanda: “Dove sta la gabola, Scillieri? Da dove escono questi soldi?”. Risposta: “Si vede che i soldi non erano tutti di Carrara. Questo so”. Allora di chi? Fusco: “Quello la compra a 5 e la rivende a 29. Questi soldi, tutto questo spread, può essere che veramente ci sia. O può essere che alla fine fai pim pim e lo hai ripulito. Più o meno ci stiamo avvicinando ai 49 milioni famosi”.

Insomma, l’acquisto del Nuovo istituto italiano di arti grafiche, nell’ipotesi della Procura, potrebbe essere solo una partita di giro per dissimulare altro denaro. Il rapporto tra Scillieri e Nassetti sarà poi confermato da Stefano Sandrini, collaboratore di Scillieri. Interrogato spiegherà: “Scillieri considerava Nassetti uno dei massimi esperti nel campo dell’alta finanza (…). Poteva sfruttare le conoscenze di Nassetti per avere incarichi di ristrutturazione del debito, e ne ha seguito uno con Andrea Manzoni”, altro commercialista leghista, fedelissimo del tesoriere Giulio Centemero, condannato a 4 anni e 4 mesi in primo grado per l’acquisto di un capannone da parte di Lfc. Oggi l’accusa di peculato è superata. E la Procura di Milano punta alla “cassa parallela” della nuova Lega.

Lo 007 Mancini sentito al Copasir. Il Pd attacca FdI: “Audizione nulla”

Ancora Marco Mancini, altro scontro al Copasir. Ieri pomeriggio il Comitato parlamentare per la Sicurezza della Repubblica ha ascoltato il capo reparto del Dis che a dicembre scorso, come documentato da Report, aveva incontrato Matteo Renzi all’autogrill di Fiano Romano. Una decisione – quella di convocare lo 007 che tra pochi giorni sarà prepensionato – che ha provocato uno scontro politico tra il Pd e il presidente di Fratelli d’Italia Adolfo Urso. Dopo la convocazione, i dem hanno deciso di disertare la seduta e le due capogruppo Debora Serracchiani (Camera) e Simona Malpezzi (Senato) hanno scritto ai presidenti delle Camere per denunciare “una serie di profili di illegittimità nella prassi seguita dalla presidenza del Copasir per l’audizione odierna”. Secondo i dem, infatti, Urso avrebbe violato il comma 2 della legge 123 del 2007 secondo cui un dipendente del Sistema di informazione per la Sicurezza può essere audito solo “in casi eccezionali” e motivati formalmente. Il Pd accusa Urso di non averlo fatto mentre quest’ultimo ieri si è difeso spiegando che l’audizione si è svolta “secondo la legge” dopo averlo comunicato al presidente del Consiglio Mario Draghi. Fonti dem però spiegano che per il Pd l’audizione di Mancini non è valida e qualunque conseguenza possa avere “è considerata nulla”.

Sulla lite si è buttata a pesce la Lega che nei mesi scorsi ha fatto ostruzionismo per non far eleggere Urso al Copasir. “Le dimissioni degli esponenti della Lega hanno fondamento, come confermato anche dal Pd – fanno sapere fonti del Carroccio – il Copasir ha bisogno di una guida equilibrata, come è stata quella dell’onorevole Raffaele Volpi. Anche Salvini ha ammesso di aver incontrato Mancini.

Vip e 8 milioni di fatturato: l’azienda che paga Matteo

Tra gli azionisti attuali Lucio Presta non c’è, ma è a lui che gli investigatori della Procura di Roma riconducono la proprietà della “Arcobaleno Tre Srl”, società che dal 2012 si occupa di rappresentare personaggi dello spettacolo come Amadeus, Paolo Bonolis, Ezio Greggio e la moglie di Presta, Paola Perego. Oggi la maggioranza delle quote dell’azienda (70%) è intestata alla commercialista Laura Aguzzi e a Marco Contessi, ma fino a un mese fa, il controllo era in mano ai figli di Presta (Niccolò e Beatrice) e a quelli della Perego (Giulia e Riccardo Carnevale). I magistrati della Capitale contestano al più famoso agente della tv e al figlio Niccolò, amministratore unico della “Arcobaleno Tre”, il finanziamento illecito a Matteo Renzi.

Secondo il decreto di perquisizione la società della famiglia Presta-Perego e l’ex premier hanno stipulato “rapporti contrattuali fittizi, con l’emissione e l’annotazione di fatture per operazioni inesistenti”, il cui fine ultimo era “il finanziamento della politica”. Insomma, per evitare di finanziare apertamente il politico Renzi – sostengono i magistrati – Presta lo avrebbe pagato come una star tv, senza dichiarare nel bilancio che quelle erano in realtà donazioni fatte per finalità politiche. L’attenzione dei pm è concentrata sul bilancio della “Arcobaleno Tre” relativo al 2018, l’anno in cui sono avvenuti i pagamenti. Quell’anno, tra settembre e novembre, la srl romana ha eseguito due bonifici verso Renzi per un totale di 454mila euro. Secondo Presta e il leader di Italia Viva, quelli sono soldi pagati per il documentario Firenze secondo me, di cui il senatore toscano (all’epoca non più leader del Pd) era autore e conduttore. Tra Renzi e la “Arcobaleno Tre” poi ci sono anche altri contratti: quello per l’“esclusiva” e quello per l’ideazione di programmi tv (peraltro mai venduti). Ed è in questi contratti che secondo i pm si nasconde il finanziamento illecito. Il bilancio della “Arcobaleno Tre” non aiuta a fare chiarezza. Dice solo che quell’anno la società ha fatturato 8,5 milioni, ne ha spesi 7,1 (di cui 4,8 milioni in non meglio specificati “servizi”) e ha chiuso il rendiconto con un utile netto di 985mila euro. Di certo è anche grazie a quei 454mila euro pagati da Presta che Renzi è riuscito a comprare la sua villa di Firenze. È andata così. Il 2 novembre 2018, il senatore ha incassato la seconda tranche di pagamento da “Arcobaleno Tre” (218mila euro). Quattro giorni più tardi ha restituito i 700mila di prestito ottenuto per acquistare l’immobile.

Ma da dove sono arrivati i soldi con cui Presta ha pagato Renzi? Come ha scritto L’espresso citando una segnalazione di operazione sospetta della Uif di Bankitalia, la provvista ha pochissimi mittenti. Nel corso del 2018, infatti, il conto corrente della “Arcobaleno Tre” ha ricevuto soldi solo da tre società. Una è la casa di produzione Endemol, che ha versato 805mila euro. L’altra è la Rai, che ha bonificato 9,2 milioni. La terza si chiama Reti Televisive Italiane Spa, gruppo Mediaset: la società di Silvio Berlusconi ha pagato all’azienda di Presta la bellezza di 13,2 milioni.

Assolta mamma Lalla. I giudici condannano solo il commercialista

Assolta con formula piena, “perché il fatto non sussiste”. Per il Tribunale di Cuneo, Laura Bovoli, madre di Matteo Renzi, non ha concorso alla bancarotta fraudolenta della Direkta srl, società piemontese specializzata in distribuzione di volantini e campagne pubblicitarie in affari con la famiglia Renzi, che si è lasciata alle spalle un crac da quasi 2 milioni di euro. “La verità arriva prima o poi – ha commentato ieri Matteo Renzi – Oggi tutti i media sono scatenati sui miei avvisi di garanzia: sono curioso di capire quanto spazio verrà dato alla notizia di mia mamma assolta dopo anni di indagini”. E ancora: “Ti voglio bene mamma, scusami se hai dovuto subire tutto questo per colpa mia”.

Bovoli era imputata per il suo ruolo di amministratrice della Eventi 6, la ditta di famiglia dei Renzi, uno dei principali committenti della Direkta. La Eventi 6 raccoglieva i clienti – marchi della grande distribuzione come Esselunga e Ipercoop, che commissionavano campagne pubblicitarie porta a porta – la Direkta, un’intermediaria, a sua volta affidava il lavoro a cooperative incaricate fisicamente di stampare e distribuire i volantini. A cavallo fra il 2012 e il 2013, una di queste cooperative, amministrata da Giorgio Fossati, va a gambe all’aria. E chiede oltre un milione di euro alla Direkta. L’amministratore di quest’ultima, Mirko Provenzano, lavora con i genitori di Renzi e ha frequentazioni personali con il padre Tiziano. Secondo la Procura, Provenzano chiede loro aiuto: per abbattere il suo debito con Fossati, la Eventi 6 e un’altra società, la Gest Espaces, si sarebbero prestate a modificare a posteriori le note di accompagnamento di alcune fatture, 80mila euro, trasformando costi concordati in penali per lavori svolti male. Una contestazione che avrebbe dovuto consentire a Provenzano (che nel 2018 ha patteggiato una condanna per bancarotta) di ribaltare le accuse sulle cooperative. Carte false, per Fossati, l’accusatore che ha portato tutti a processo.

Il tribunale ha smontato quasi tutte le accuse della Procura: assolti anche gli altri imputati Mirko Buono e Franco Peretta. È stato condannato invece a 3 anni e 8 mesi Bruno Pagamici, commercialista di Macerata a cui Provenzano (imprenditore del piccolo paese si Albano Stura, in provincia di Cuneo) si era rivolto quando i conti dell’azienda cominciavano ad andare male. Condanne lievi anche per Vincenzo Misiano e Donatella Spada, collaboratori di Provenzano (rispettivamente 2 e 6 mesi). Il pm Pier Attilio Stea aveva chiesto per Laura Bovoli una condanna a 3 anni, richiesta a cui si erano associati l’Inps e il fallimento Direkta (rappresentato dall’avvocato Vittorio Sommacal).

La vicenda ha lasciato aperte alcune domande. Un esempio sono le anomalie emerse nella gestione delle attività di della Direkta: “Il 70% dei volantini stampati – ha raccontato Provenzano – finivano direttamente al macero e i clienti lo sapevano. La mia azienda produceva 30, ma veniva pagata 100. Perché i clienti lo accettavano? Chiedetelo a loro”. In udienza il pm ha sollevato dubbi anche sulle fatture del macero: “Ti ricordo che questo è il quarto bilico di carta – scrive Bovoli a Provenzano in un’email del 29 agosto 2013 – e non ci è stato riconosciuto ancora nulla”. C’è infine la questione della triangolazione fra Eventi 6, Direkta e alcuni giornali toscani, anch’essa emersa nell’inchiesta. Nel 2012 Direkta riceve un finanziamento da 200mila euro dalla Eventi 6. Nello stesso giorno partono dalle casse di Direkta 250mila euro, diretti alla Soluzioni grafica e comunicazione di Patrizio Donnini (esponente di spicco del primo Giglio Magico, non indagato). La causale di quel finanziamento era l’affitto d’azienda di due giornali in difficoltà: Chianti News e Il reporter. Cosa c’entrava Provenzano con dei giornali toscani? A domanda specifica, Pagamici, unico condannato di questa vicenda, ha risposto così: “Ricordai a Provenzano che l’editoria non rientrava fra le attività sociali della Direkta. Lui mi disse che era un favore alla Eventi 6 che non si poteva rifiutare”.

Presta, pm pronti a sentire Renzi. Che è indagato per Abu Dhabi

E siamo a tre. Sono le indagini a carico di Matteo Renzi. L’ultima l’ha annunciata lui stesso nel suo libro Contro corrente. “A inizio del 2020 – scrive il leader di Italia Viva – (…) Turco (Luca, pm di Firenze, ndr) invia un avviso di garanzia anche a me. Vengo infatti indagato per ‘prestazione inesistente’ dopo aver partecipato a un convegno ad Abu Dhabi al quale partecipano autorevoli leader internazionali”. Il riferimento è a un’inchiesta della Procura di Firenze sul compenso percepito dall’ex premier per la sua partecipazione a una conferenza negli Emirati Arabi. Renzi è accusato di emissione di fatture per operazioni inesistenti, in concorso con Carlo Torino, titolare di una società di Portici (Napoli), la “Carlo Torino e associati”, che avrebbe fatto da tramite per la ricezione del compenso dell’ex premier. La società, costituita a novembre del 2019, ha un capitale sociale di 1.500 euro e, stando al bilancio del 2019, ha registrato un utile di circa 30mila euro. L’azienda di cui è titolare l’imprenditore Torino (con un passato anche in Goldman Sachs) si occupa pure di “promozione, organizzazione e gestione, sia in proprio conto che per conto terzi, di congressi, convegni (…) in Italia e all’estero”.

Torino – spiegano al Fatto fonti vicine all’ex premier – avrebbe fatto partecipare il leader di Italia Viva anche ad altre conferenze, oltre a quella di Abu Dhabi. Quest’ultima risale al 19 dicembre 2019. Sul palco con Renzi sedeva l’ex ministro delle Finanze del Regno Unito Philip Hammond e a moderare c’era Gideon Rachman, commentatore del Financial Times. Renzi in totale parla poco più di 15 minuti e percepisce circa 33mila euro. Di questo evento si era occupata Report il 10 maggio 2021. La trasmissione parla di una segnalazione per operazioni sospette di Bankitalia e spiega come 75mila euro siano partiti da un conto di Anthony Scaramucci – ex consulente di Donald Trump e organizzatore dell’evento – per arrivare sul conto della “Carlo Torino & associati”, che a sua volta fa un bonifico a Renzi di 33mila euro.

Ma torniamo all’inchiesta fiorentina: molti mesi fa, i pm hanno anche sequestrato il cellulare di Carlo Torino, poi la difesa dell’imprenditore ha depositato documentazione per dimostrare la veridicità della prestazione. “Per tale conferenza – scrive Renzi nel suo libro – ho ricevuto un corrispettivo bonificato in modo legittimo e trasparente sul quale ho pagato le tasse in Italia”.

Ma questa non è l’unica indagine fiorentina su Renzi. C’è anche quella, già nota, sulla Fondazione Open che vede l’ex premier indagato per finanziamento illecito. Stesso reato contestato a Roma ma nell’ambito di un’altra inchiesta che riguarda i rapporti economici tra Renzi e l’agente delle star Lucio Presta, il quale è stato iscritto, con il figlio Niccolò, per finanziamento illecito e per fatture per operazioni inesistenti. Per gli inquirenti romani tra l’agente e l’ex premier, vi sono stati “rapporti contrattuali fittizi” dietro i quali si nasconderebbe un presunto finanziamento alla politica.

Nelle prossime settimane i pm potrebbero decidere di interrogare Renzi. Intanto più di una settimana fa la Finanza ha acquisito nella sede della “Arcobaleno Tre srl” (società di cui è amministratore unico Niccolò Presta) i contratti firmati con Renzi. C’è quello per la realizzazione del documentario Firenze secondo me per il quale Renzi ha incassato circa 450 mila euro, il contratto cosiddetto di “esclusiva” e quello per l’ideazione di programmi tv. Il senatore ne aveva ideati due: un programma in cui si sarebbe trasformato in intervistatore e poi le pillole di storia in 5 minuti. Programmi mai venduti, ma le idee sono state pagate lo stesso. Per la Procura quei compensi nascondono un finanziamento al politico. Un’accusa che per Renzi “non sta né in cielo né in terra”. Potrà spiegarlo ai pm non appena lo convocheranno.

Scuola, settembre ‘appeso’ ai vaccini. Ancora classi pollaio e pochi docenti

Non siamo pronti. La variante Delta, stando a dichiarazioni e uscite, sembra pronta ad assumere il ruolo che a settembre era della variante inglese, affidando gli studenti alla Dad, se non si dovesse intervenire in fretta. “Il governo lavora perché la scuola riprenda in sicurezza – ha detto ieri in audizione il ministro della Salute, Roberto Speranza, sollecitato da Italia Viva –. Il vero strumento è la campagna di vaccinazione”.

Quelli che però lui definisce “numeri significativi” dei vaccinati scolastici, sono tutt’altro che rassicuranti. L’85% del personale scolastico – tra i primi a partecipare alla campagna vaccinale – ha ricevuto solo la prima dose e sui vaccini si proietta lo stesso problema degli ultimi due anni: la disomogeneità tra le regioni, divise tra virtuose (come il Lazio che è oltre il 97% di personale vaccinato) e meno (la Sicilia è attorno al 50%). Sono, secondo gli ultimi rilievi, almeno sei le regioni sotto il 60%. Mancano all’appello almeno 220mila persone. Percentuali che non possono essere coperte dall’immunizzazione dei giovanissimi. Il rischio, come preventivato anche dal sottosegretario alla Salute, Pierpaolo Sileri, è che “non potrà essere garantita una ripresa al 100% delle lezioni in presenza nelle prime settimane”. Il passo da “apriamo in presenza subito” dello scorso anno al non riuscire a dare certezze neanche su questo settembre pare brevissimo. Secondo Studenti.it, poi, il 65% di chi lavora nella scuola è favorevole alla vaccinazione obbligatoria. Affidarsi ai soli vaccini, però, significa ancora una volta chiudere gli occhi di fronte al resto: il distanziamento, le misure sui trasporti, lo scaglionamento. È anche una perfetta via d’uscita per coprire punti deboli come la permanenza delle classi pollaio. Il ministero dell’Istruzione ha poi confermato il personale Covid (incluso Ata) solo fino a dicembre del 2021. Il contratto si potrà rinnovare, ma i docenti potranno essere utilizzati solo per il recupero degli insegnamenti perché nell’emendamento dem del Sostegni bis che lo prevede non c’è la deroga alla legge che stabilisce come si dividono gli alunni per classe. Se si dovesse tornare in emergenza, (ricordate “la scuola all’aperto?”) senza adeguati correttivi chi starà con i ragazzi? Certo, con questa mossa il ministero è riuscito a evitare di creare ulteriore precariato (e di mettere i docenti in una posizione di forza per i ricorsi) e a risparmiare buona parte dei 2 miliardi di euro che servirebbero per assumerli per tutto l’anno scolastico.

Sul trasporto pubblico neanche sembrano esserci grosse novità: si continuerà con i tavoli prefettizi per gestire i flussi a livello territoriale, mentre lo stesso Comitato tecnico-scientifico è orientato a far rientrare a scuola con le misure previste per lo scorso anno proprio alla luce del fatto che molti studenti non saranno vaccinati così come parte del personale scolastico non immunizzato. “L’anno scolastico – ha detto nei giorni scorsi Agostino Miozzo, ex membro del Cts a La Stampa – inizierà seguendo le note procedure di emergenza, con la variante Delta che imperverserà e circolerà soprattutto attraverso i giovani. Dovremo potenziare gli altri strumenti di controllo: gli screening all’ingresso, i tamponi periodici, il tracciamento. Sono cose che vanno pianificate adesso, lavorando con le strutture sanitarie locali, perché settembre è domani”. Al 15 luglio, insomma, è tutto ancora nell’ottica della programmazione.

C’è stato invece il tempo di mettere a posto migliaia di precari, con sorprendente agilità. “Abbiamo aperto ai nuovi concorsi ordinari: saranno 70mila gli insegnanti di ruolo immessi quest’anno. Saranno almeno 70mila l’anno prossimo – ha detto ieri il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi –. Più i concorsi regolari, perché il precariato si vince facendo concorsi regolari”. Eppure, di un concorso regolare hanno giovato solo circa 27mila docenti del concorso straordinario e circa 6mila che arriveranno da quello per le materie scientifiche. Altri 15mila circa arriveranno dalle vecchie graduatorie e 22mila dalle sanatorie (una sul sostegno sempre in crisi, l’altra sul posto comune). Su questo, la reattività non è mancata.

Più liberi quelli col Green pass: il 70% degli italiani è d’accordo

Per la prima volta dal 10 giugno i contagi delle ultime 24 ore ieri hanno superato quota duemila, sono stati 2.153, più che raddoppiati rispetto al mercoledì della settimana scorsa. Sono infetti e non malati, per lo più giovani, tendenzialmente asintomatici, i numeri degli ospedali restano bassi e continuano a scendere ma la preoccupazione per la variante Delta c’è. Anche perché la campagna vaccinale prosegue al ritmo di oltre 500 mila iniezioni al giorno: siamo a 25 milioni di vaccinati con due dosi, il 46% degli over 12 vaccinabili e il 40% della popolazione generale, ma il 70/80% è ancora lontano, è chiaro a tutti che una parte della popolazione non ne vuole sapere. E soprattutto la Delta dimostra una certa capacità di resistenza ai vaccini, specie dopo la sola prima dose, e la circolazione del virus può favorire altre varianti: l’ha ribadito ieri l’agenzia europea Ema. Peraltro facciamo pochi tamponi, ieri 200 mila contro un milione in Gran Bretagna dove sono arrivati a 42 mila casi in 24 ore e i ricoveri, da due settimane, aumentano nell’ordine del 50% ogni sette giorni, ma quelli in terapia intensiva molto meno. E hanno il 66,7% degli adulti vaccinati con due dosi. Il ministro Roberto Speranza ha ribadito ieri che occorre potenziare la sorveglianza e il tracciamento, cioè i tamponi, uno dei punti deboli del nostro Paese.

Il governo prorogherà lo stato d’emergenza perché non è il caso di smantellare gli uffici del Commissario straordinario e comunque la Lega non si oppone. Farà il punto della situazione all’inizio della prossima settimana: all’ordine del giorno le modifiche ai parametri per evitare che le Regioni vadano in giallo con 50 casi ogni 100 mila abitanti in 7 giorni (improbabile questa settimana anche se Rt salirà ancora, probabile la prossima), la possibile riapertura delle discoteche che sono ormai gli unici locali pubblici chiusi e soprattutto il Green pass. È la questione più spinosa. Da un lato gran parte della comunità scientifica chiede da tempo di rilasciarlo solo a chi ha completato il ciclo vaccinale, mentre l’Italia è uno dei pochi Paesi dell’Ue che lo riconoscono a 15 giorni dalla prima dose (oltre che, per sole 48 ore, con il tampone negativo e per sei mesi dalla guarigione dal Covid); dall’altro il tema dei limiti nell’accesso a locali, eventi, treni e altro per chi non ha il pass, recentemente annunciati in Francia da Emmanuel Macron. “Non scherziamo” ha detto due giorni fa Matteo Salvini, che ieri ha parlato anche di questo con Mario Draghi. La mediatrice Maria Stella Gelmini, ministro degli Affari regionali, è già al lavoro. Gira un sondaggio secondo il quale quasi il 70% degli italiani sarebbe favorevole al Green pass per così dire “rafforzato”, pensa cioè che chi non vuole vaccinarsi non debba pesare sulla libertà di chi ha offerto il braccio. Anche il tema parametri è complesso: si andrà verso un sistema che lega le restrizioni alla situazione degli ospedali. Si ipotizzano soglie d’allerta più basse di quelle che conosciamo del 30% dei posti occupati nelle terapie intensive e del 40% nei reparti ordinari (oggi lontanissime, siamo al 2%).