Bambini e operai esposti al piombo di Notre-Dame

Per tre mesi, dopo l’incendio che devastò la cattedrale Notre-Dame, il 15 aprile 2019, le autorità francesi non hanno fatto nulla per proteggere i lavoratori del cantiere di ricostruzione, gli abitanti del quartiere e neanche i bambini, dai rischi legati al piombo liberato nell’aria dal rogo. È sulla base dei rapporti dell’ispezione del lavoro e dell’agenzia sanitaria regionale che una denuncia contro ignoti per “messa in pericolo della vita altrui” è stata sporta dall’associazione Henri Pézerat, dal nome di un noto medico tossicologo francese, specializzata sulla salute al lavoro, insieme alla Cgt, uno dei principali sindacati dei lavoratori, e alcune famiglie, dopo che tassi anomali di piombo sono stati riscontrati nel sangue dei bambini. Nel gigantesco incendio della cattedrale, più di 400 tonnellate di piombo del tetto e della guglia incenerite si sono liberate nell’aria, polveri tossiche che, secondo l’Istituto nazionale dell’ambiente industriale, si sono sparse, spinte verso ovest dal vento, fino a Maintes-la-Jolie, a una cinquantina di chilometri dalla chiesa. “Eppure nessuna precauzione fu presa dalle autorità competenti, ministero della Cultura, agenzia sanitaria regionale e prefettura, per più di tre mesi, causando un inquinamento cronico”, denuncia l’associazione.

Il contenuto dei documenti su cui si è basato l’avvocato François Lafforgue è sconfortante: “L’ispettorato del lavoro ha, a più riprese, e fino alla sospensione del cantiere, il 25 luglio 2019, allertato tra l’altro sull’esposizione dei lavoratori, senza che alcuna misura di protezione venisse presa – ha detto il legale al giornale online Mediapart – è una violazione deliberata della regolamentazione”. Tra maggio e luglio 2019 l’ispettorato aveva allertato il ministero della Cultura “nove volte”. Ma sono i bambini a rischiare di più in caso di esposizione al piombo, che può causare il saturnismo, grave malattia cronica che può danneggiare il sistema nervoso, i reni, lo stomaco. Nel luglio 2019, lo stesso Mediapart aveva rivelato che dei prelievi erano stati effettuati sul sagrato della cattedrale pochi giorni dopo l’incendio, registrando tassi di concentrazione di piombo da 400 a 700 volte superiori alla soglia autorizzata. Eppure le autorità sanitarie non li avevano comunicati e la prefettura, il 27 aprile, si limitò a consigliare agli abitanti dell’Ile de la Cité di pulire i balconi con panni umidi. Solo il 25 luglio furono chiuse e decontaminate le scuole in un raggio di 500 metri: accoglievano circa 200 bambini per le attività estive. Gli ultimi dati dell’agenzia sanitaria parlano di 100 bambini con un tasso di piombo nel sangue superiore alla soglia di vigilanza di 25 microgrammi per litro e di 13 con più di 50. All’epoca si disse che le intossicazioni erano “precedenti all’incendio”.

Altri prelievi, nell’ottobre 2019, rilevarono tassi elevati di piombo nelle scuole anche a 700 metri dalla chiesa. Il 25 fu sospeso il cantiere della cattedrale per lavori di bonifica. Riaprì un mese dopo. La denuncia punta il dito contro le “gravi negligenze” delle autorità per aver “minimizzato” l’impatto dell’incendio e “limitato o impedito la comunicazione delle informazioni relative alla gravità della contaminazione”. “Non sapremo mai quante persone sono state intossicate”, spiega Annie Thébaud-Mony, ricercatrice all’Inserm, l’Istituto nazionale della ricerca medica, e portavoce dell’associazione, che aveva chiesto la creazione di un centro di monitoraggio per le persone esposte, pompieri, personale del cantiere, abitanti, mai ottenuta. Due anni dopo, con il cantiere a cielo aperto, il piombo non è scomparso. Il 18 maggio, il sagrato di Notre-Dame, che aveva riaperto un anno fa, è stato di nuovo chiuso per una nuova decontaminazione: gli ultimi prelievi hanno registrato picchi di piombo di oltre 9.000 microgrammi a metro quadrato, circa il doppio della soglia massima tollerata dall’incendio.

Spagna: migranti, fragole e sangue

Sfruttamento, alloggi fatiscenti, soprusi e abusi sessuali. Tanto costano le fragole di Huelva, Andalusia, Spagna. Le migliori al mondo insieme al resto dei frutti rossi coltivati nella provincia del Sud: un bottino da un miliardo di euro raccolto in 12 mila ettari di terreno e serre da 90 mila lavoratori stagionali provenienti da mezzo mondo, tra cui 14 mila donne marocchine. Sono queste raccoglitrici che generano anche il maggior movimento migratorio femminile, lavorativo e sociale organizzato attraverso il Prelsi (Piano di responsabilità etica, lavorativa e sociale di Interfresa) sotto l’ombrello del più ampio accordo speciale Gecco di gestione di 40 mila lavoratori tra Rabat e Madrid.

Eppure di etico in molti casi, sotto la plastica che sa di zucchero, c’è poco. Jadida (nome di fantasia), ha subito ripetuti tentativi di stupro da parte del suo datore di lavoro. Come lei sono centinaia le raccoglitrici di frutti rossi costrette a cambiare fattoria perché sottoposte a violenza. “Molte accettano”, racconta Jadida ai giornalisti di Al Jazeera che – ultimi in ordine di tempo – sono riusciti a entrare in contatto con alcune lavoratrici stagionali per raccogliere le loro testimonianze. “Chi non sottostà ai desideri dei caporali viene sottoposta a qualsiasi ingiuria e persecuzione”, spiega la testimone. Yasmine, 29 anni, era incinta quando ha iniziato a raccogliere i mirtilli per uno dei più importanti fornitori internazionali. Quando ha cominciato a perdere sangue ha chiesto al suo supervisore di essere accompagnata dal medico. La risposta è stata che avrebbe dovuto pagare 20 euro di benzina. “Due settimane dopo che tutti mi avevano visto sanguinare sono stata portata in una clinica e da lì direttamente in ospedale”.

A una delle donne marocchine intervistata da Al Jazeera l’indomani hanno incendiato la catapecchia nella quale è costretta a vivere, l’alloggio che in teoria doveva rientrare nel contratto firmato in partenza dal Marocco attraverso l’agenzia di reclutamento statale Anapec, che tra le altre cose deve poi garantire anche il rientro dei lavoratori a fine stagione. Per farlo, la stessa Anapec chiede ai raccoglitori di dimostrare di avere in patria almeno un figlio di 14 anni. In realtà, soprattutto le donne vivono in piccole baracche e container tra le serre, isolate e dipendenti dai visti di lavoro temporanei oltreché dai favori dei propri datori di lavoro che per farsi ringraziare chiedono loro altro genere di servizi, secondo i sindacati e le Ong locali.

A denunciare, va da sé, non sono in molte: il rischio è quello di perdere per sempre l’opportunità di lavorare in Spagna, nel caso di abbandono del posto di lavoro. E dal punto di vista giuridico soprattutto le lavoratrici hanno avuto finora zero possibilità di essere ascoltate. È di quest’anno il rigetto da parte del tribunale di Huelva della denuncia di quattro donne marocchine contro un esportatore di fragole per molestie sessuali e sfruttamento del lavoro perché sottoposte all’obbligo di pagarsi da sole l’alloggio contravvenendo al contratto. Sempre nel 2018 altre 10 donne hanno denunciato il produttore spagnolo di fragole Doñaña 1998 per aggressione, molestie sessuali, stupro e traffico di esseri umani. A difenderle c’è la rete Mujeres 24h che sostiene le lavoratrici migranti. “Inizialmente l’industria delle fragole reclutava uomini marocchini”, spiega ad Al Jazeera Angels Escrivà, professore associato all’Università di Huelva e membro della rete, che continua “ma i datori di lavoro pensavano che gli uomini non fossero abbastanza docili, stavano formando sindacati e nei primi anni Duemila ci sono state anche rivolte. Quindi hanno optato per le donne”.

Peccato che le lavoratrici agricole siano tutt’altro che docili e si sono costituite nel sindacato Jornaleras de Huelva en Lucha che recentemente ha incontrato anche la ministra delle Pari Opportunità, Irene Montero. “C’è questa idea sbagliata che le donne migranti non si organizzino. Invece, si riuniscono e resistono”, ha fatto sapere Ana Pinto, portavoce del gruppo. Ma la storia continua.

Secondo un report del Parlamento europeo di febbraio, “centinaia di migranti subsahariani vivono tutto l’anno nelle baraccopoli vicino ai campi. Il modello agricolo spagnolo è stato messo in discussione per anni a causa delle cattive condizioni di lavoro e di vita dei suoi lavoratori migranti”. Quel modello sbandierato in primis dal direttore del consorzio Interfresa, Borja Ferrero, che giura di aver visto “buste paga di circa 1.500, 1.600 euro al mese a lavoratore al quale va aggiunto l’alloggio gratuito”. Per Ferrero, che si fa pubblicità sui media spagnoli, questa sarebbe la norma seguita dai produttori e datori di lavoro andalusi nei confronti di raccoglitori e raccoglitrici, “in base alle ispezioni settimanali” che vengono eseguite “anche per non lasciare questi lavoratori stranieri abbandonati a loro stessi”. I casi di abusi citati dai media per Ferrero sarebbero da ascrivere “a normali conflitti” nei rapporti di lavoro. In risposta alle denunce nelle fattorie, la ministra spagnola del lavoro, Yolanda Díaz, ha assicurato che seguiranno ispezioni.

Vedi Pompei e poi devi tornarci. Metà del sito chiuso al pubblico

“Torniamo dopo qualche anno, speranzosi di vedere le nuove scoperte. Risultato negativo: neppure le domus più importanti erano aperte”. Scorrendo le recensioni dell’area archeologica di Pompei su Tripadvisor, in mezzo alla profusione di commenti entusiatici, da qualche mese appaiono sempre più valutazioni di questo genere: “troppe domus inaccessibili, meglio visitarlo quando avrà riaperto completamente”; “sito fantastico, peccato che molte aree siano chiuse”; “biglietto a prezzo pieno per vedere il 50% del sito”. Ne appaiono anche di più furiose, con visitatori che sottolineano, con un’iperbole, come sia “tutto chiuso” e che non sia visitabile gran parte di ciò che era segnalato nel sito.

Non sono i commenti di visitatori polemici o poco informati: è vero che dalla riapertura del 2020, seguita al primo lockdown, a Pompei non sono visitabili quasi metà degli spazi chiusi (domus, tabernae, terme…) che erano invece aperti fino al 2019. Luoghi anche iconici, come le Terme del Foro, la Casa del Fauno – ora visibile solo l’atrio, non il celebre mosaico di Alessandro –, la Casa del Principe di Napoli, la Villa dei Misteri, il Lupanare, la Fullonica di Stephanus, la Casa dell’orso ferito, della Venere in conchiglia, dei Vettii etc. Ma non basta, da aprile, a partire dalle 16 al visitatore viene offerta una visita a prezzo scontato, 10 invece dei regolari 16 euro: accade perché proprio dalle 16 tutte le domus iniziano a chiudere, e il visitatore ignaro si trova a visitare soltanto le strade. Tutto questo, noto agli addetti ai lavori e ai frequentatori abituali del sito e mal segnalato online, crea non poco disappunto nei visitatori più desiderosi di scoprire il sito nella sua completezza. “Una grandissima delusione, una volta entrato nel parco ho trovato tutte le domus chiuse a chiave. Che senso ha pagare un biglietto intero senza neanche una notifica che segnali che la visita si farà con tante limitazioni? Non era aperto neanche il bar” scriveva un utente a maggio 2021. In effetti anche il servizio di ristorazione, gestito da Autogrill, è sospeso da maggio.

La scusa del Covid ormai non regge più. Com’è potuto accadere che dopo un anno dall’inizio dell’emergenza pandemica, e nel pieno dell’estate che avrebbe dovuto segnare il rilancio del turismo e della cultura, una delle aree archeologiche più note d’Italia e del mondo, dove il contingentamento dei flussi appare piuttosto semplice viste le dimensioni, lavori a mezzo servizio? Il perché è presto detto: il personale in servizio è calato. Ales, la società partecipata al 100% dal Ministero della Cultura che fornisce decine di operatori al sito di Pompei, dalla primavera del 2020 non ha fatto scorrere le graduatorie che, di prassi, garantivano a diversi operatori di entrare in servizio all’aprirsi della stagione turistica. La committenza (il Parco di Pompei) ha chiesto di ridurre le unità in servizio da 68 a 51, dato il calo dei turisti. Conseguenza: domus chiuse. E ancora si attende: da Ales fanno sapere che a fine mese saranno assunti dieci operatori, e si tornerà più o meno ai servizi pre-Covid.

Il danno d’immagine è facilmente calcolabile, con migliaia di visitatori da tutto il mondo che si trovano a vagare per un sito dimezzato e senza poter bere un caffè. Ma, come spiegano alcune guide locali contattate dal Fatto, non sono solo le chiusure eccezionali a causare problemi, c’è anche la comunicazione del Parco ad aggiungere delusione alla delusione: da anni la direzione comunica continuamente nuove scoperte nella regio V. In molti arrivano qui, dalla Campania, dalla Francia, dall’Olanda, convinti di poter ammirare i mosaici e gli affreschi visti in tv. Ma in realtà, trattandosi di un cantiere, tutte quelle aree non sono ancora visitabili, e non lo saranno a lungo. Eppure non viene fatta una corretta informazione, e non di rado capita che visitatori turbati si sfoghino con gli accompagnatori o con gli operatori di biglietteria, che pure non hanno alcuna responsabilità su queste massicce chiusure.

Pompei non è un caso unico, in molti piccoli e grandi musei italiani una larga parte del personale non è rientrato in servizio o non è stato assunto come previsto prima della pandemia, e si trova ora in cassa integrazione da mesi o sospeso in graduatorie bloccate. Il caso più emblematico è quello degli Uffizi, dove il concessionario principale, Opera Laboratori Fiorentini, tiene in cassa integrazione 70 dipendenti, lamentando l’assenza di aiuti da parte dello Stato: eppure la cassa integrazione è pagata con fondi statali. “Non oso immaginare quanto sarebbe stato bello se avessimo trovato tutto aperto” scrive un utente: quando il Paese ha voglia di tornare a innamorarsi del proprio patrimonio, ci si deve accontentare delle briciole. A prezzo pieno.

Doppiaggi, canti e urla: così le gag ci portano a ridere

 

“Un altro progetto su cui sto lavorando è un film, una commedia su un medico abortista che colleziona feti e li mette in scatole da scarpe per fare regali di Natale” Jim Norton

LE GAG CINEMATOGRAFICHE

 

GAG SULLA SOSTANZA DELL’ESPRESSIONE

Modalità del dire (muto, inespressivo, espressivo, cantato). Aggiunzione: l’unica parola udibile nel film muto Silent Movie di Mel Brooks (“Non!”) è detta dal mimo Marcel Marceau. Sostituzione: Jerry Lewis fa il capoufficio mimando i suoni dell’orchestra (shorturl.at/fgqB7).

Modalità dei modi (i vari tipi di espressività, &c., come nella parodia del poliziesco della serie tv Police Squad!: bit.ly/2UWdzXw)

Modalità grafiche del testo, dell’immagine, del supporto. Permutazione: in un cartoon di Tex Avery, un personaggio finisce oltre le finestrelle di traino della pellicola.

Modalità teatrali (varietà della sostanza fonica come nel mimo; varietà della sostanza visiva come nelle ombre cinesi).

Modalità cinematografiche (ottiche, inquadrature, formati). Sostituzione: la parodia degli stili di Welles, Fellini, Truffaut, Godard, Bergman in Rifkin’s Festival di Woody Allen (bit.ly/3yS8gI2).

Varietà della sostanza visiva (raschiamento della pellicola, disegni animati, oggetti animati, ripresa filmica, didascalie; ottiche; sfuocato, sovrimpressione, negativo, b/n, colore). Sottrazione: Woody Allen sfuoca il personaggio depresso (Robin Williams) in Harry a pezzi; un personaggio finisce fuori dal Technicolor in un cartoon di Tex Avery. Sostituzione: il b/n delle parodie filmiche in Rifkin’s Festival di Woody Allen. Permutazione: la pellicola che si rompe e il fotogramma che si brucia all’inizio di Persona di Bergman.

Varietà delle sostanze foniche (rumori, dialoghi, musica, commenti) e varietà all’interno di ogni sostanza (niente sonoro, sostituzione del commento ai dialoghi, &c.). Sostituzione: le grida di sgomento di tre dame diventano latrati in Amami stanotte di Mamoulian (shorturl.at/gwFKX, a 1h19’22”). Il doppiaggio modificato nelle parodie di Pangallo: bit.ly/3qyGQTJ.

 

GAG SULLA FORMA DEL CONTENUTO

Un racconto è strutturato da diverse unità: nuclei, catalisi, indizi, informanti, attanti. I nuclei danno l’ordine dell’azione (apertura, realizzazione, conclusione). La catalisi è l’estensione descrittiva nello sviluppo dei nuclei. Gli indizi definiscono oggetti e personaggi. Gli informanti collocano l’azione nello spazio e nel tempo. Gli attanti sono i personaggi considerati secondo la loro funzione narrativa (Qc # 44). Alcuni esempi:

 

Nuclei

Sottrazione: il precipitare degli eventi; il riassunto, come nel finale di Io e Annie (shorturl.at/kKN59, a 1’03”). Aggiunzione: il prolungarsi dei tempi morti, come all’inizio di Stardust memories, una parodia dell’inizio con tempi morti di 8 e 1/2 (shorturl.at/lB025); e come nell’episodio del ristorante cinese in Seinfeld (shorturl.at/yEIZ1). Sostituzione: il teatro nel teatro (come in Amleto; e in Io e Annie, quando il personaggio di Woody Allen riscrive per la scena il finale della sua storia con Annie: shorturl.at/kKN59). Permutazione: lo stesso giorno rivissuto più volte da Bill Murray in Groundhog day (variazione); la distruzione reciproca delle auto fra Stanlio & Ollio e un antagonista (variazione + alternanza).

 

Catalisi

Nella serie tv Police Squad!, la gag parodistica principale è l’estensione dei nuclei tipici del poliziesco (la scena del crimine, l’interrogatorio, l’informatore, la seduzione, il laboratorio della scientifica, l’inseguimento, &c.) con azioni assurde, per aggiunzione (qui il capitano e il tenente continuano a passarsi un foglio giallo: bit.ly/36fEJuI) o sostituzione (l’inseguimento con l’auto di un’autoscuola: bit.ly/3wnvDqq; dopo il tenente, dall’informatore arriva Dick Clark, un celebre presentatore di programmi musicali, per chiedere informazioni sullo ska: bit.ly/3yuObXn).

 

Indizi

Sottrazione: il personaggio troppo alto per l’inquadratura (bit.ly/3AvqW16, a 1’15”). Aggiunzione: con antitesi (la coppia comica, di cui sono un esempio, oltre a Stanlio & Ollio, i due formidabili ballerini di questo sketch con Liza Minnelli: il paffutello Neil Schwartz e il longilineo Bob Fitch, che pare anticipare il ministro delle camminate buffe di John Cleese: bit.ly/3zRXSkd; il trio dei fratelli Marx). Sostituzione: con antitesi (in Stardust, il feroce pirata De Niro ama travestirsi da sciantosa: shorturl.at/ktyAB).

(63. Continua)

Addio “Bolero”. Sopravvissuto a Mauthausen, raccontò l’orrore

Armando Gasiani, il partigiano “Bolero”, è morto nel tardo pomeriggio di venerdì, all’età di 94 anni, lasciando tanti amici dell’Associazione nazionale partigiani ma anche innumerevoli giovani che l’hanno conosciuto nelle scuole dove ha peregrinato per decenni per lasciare loro in eredità la sua testimonianza di deportato e sopravvissuto del campo di concentramento di Mauthausen.

Armando, emiliano dalla nascita, appartenente alla 63ma brigata “Bolero Garibaldi”, il 5 dicembre 1944 insieme al fratello Serafino e con centinaia di persone venne rastrellato dai tedeschi ad Anzola Emilia e rinchiuso nella chiesa, “trasformata in luogo di tortura”. Trasferito nel teatro di San Giovanni in Persiceto, venne poi rinchiuso nel carcere di San Giovanni in Monte (Bologna). Il 23 dicembre dello stesso anno venne prelevato, deportato nel campo di concentramento di Bolzano e dal 1° gennaio del 1945 mandato a Mauthausen, in Austria, dove era rimasto fino al successivo 6 maggio, senza rivedere mai più il fratello.

Tornato in Italia, Gasiani per anni non trovò il coraggio di parlare di quanto gli era accaduto. Quel numero 115523, tatuato sul braccio, restò un segreto fin quando nel 1997, la moglie Maria lo convinse ad andare al cinema a vedere il film di Roberto Benigni La vita è bella. Da quella sera la sua vita cambiò. Quel pianto liberatorio durante la proiezione della pellicola lo convinse ad aprirsi, a raccontare, a farsi testimone di quella tragedia. Fino a 90 anni, il partigiano Armando ha incontrato bambini delle scuole primarie e studenti di medie e superiori accompagnando gruppi a Mauthausen. Conosciuto in tutt’Italia, amico di Rita Borsellino, Gasiani dopo la scomparsa della moglie aveva subito un duro colpo e da allora viveva, tra l’affetto di molti, in una casa famiglia di Crespellano, dove è rimasto fino alla fine.

Roma, cercò di salvare bimbo nell’ascensore. Condannato a 2 anni: “Non era il suo lavoro”

Il tentativo di un gesto eroico gli è costato il posto di lavoro e una condanna a due anni di carcere. Non bastasse il senso di colpa per un bimbo di 5 anni che ha perso la vita. È arrivata nel giorno del sesto anniversario della tragedia della metro di Furio Camillo, a Roma, la condanna in primo grado per Flavio Mezzanotte, 38 anni, l’allora tecnico dell’Atac che provò a soccorrere il piccolo Marco, rimasto bloccato il 9 luglio 2015 insieme alla mamma Francesca Giudice nell’ascensore della fermata del metro all’Appio Latino. Quel pomeriggio, intorno alle 17, con una temperatura di 40 gradi, i soccorsi che tardavano ad arrivare e mamma e figlio in preda a una crisi di panico, Flavio prende l’iniziativa: smonta un pannello della cabina per far circolare l’aria, ma non ha ancora portato l’elevatore in sicurezza. Il bimbo vede la luce, scende dal passeggino e cerca di raggiungere il tecnico, ma nonostante le urla dei due adulti Marco precipita nel vuoto della tromba dell’ascensore. “Avrebbe dovuto aspettare l’arrivo dei vigili del fuoco e della ditta addetta alla manutenzione (…) non aveva le competenze per effettuare quell’operazione”, recita la sentenza pronunciata dal Tribunale di Roma che ha condannato Flavio a due anni per omicidio colposo. “Il mio assistito ha agito convinto di fare del bene, ha agito perché nessuno lo ha bloccato e tardavano i soccorsi”, ha sottolineato l’avvocato Giuseppe Marazzita, difensore di Mezzanotte. Che, al di là della pena, ha pagato duramente quell’episodio. L’ormai ex tecnico è stato allontanato dall’Atac, la società capitolina dei trasporti – condannata al pagamento di 440 mila euro – mentre lui stesso ha spiegato in Aula di essere stato “segnato nella psiche”.

La vicenda del piccolo Marco sconvolse l’intera Capitale. Fra l’altro, il problema degli impianti di risalita all’interno delle metropolitane romane (ascensori e scale mobili) si è protratto fino ai tempi odierni. Quel giorno, l’allora sindaco Ignazio Marino, arrivato a Furio Camillo per incontrare i genitori del bimbo, venne duramente contestato dagli abitanti del quartiere, accorsi sul luogo dell’incidente. Negli anni successivi, si è sfiorata la tragedia anche il 23 ottobre 2018, quando un gruppo di turisti russi, tifosi della squadra di calcio Cska Mosca, finì travolto dal cedimento di una scala mobile alla fermata Repubblica: nessuna vittima, in quel caso, ma a un passeggero venne amputato il piede

Isis, la rivista jihadista: “L’Italia è nel mirino”. E su Telegram arrivano minacce a Di Maio

Vicinanza e solidarietà bipartisan sono arrivate ieri al ministro degli Esteri Luigi di Maio dopo che il suo nome è apparso su una pubblicazione di propaganda di quello che era una volta lo Stato Islamico. I gruppi armati resistono in piccole sacche della Siria e dell’Iraq, ma è la propaganda a preoccupare, perché è in grado di sollecitare azioni di “lupi solitari” o persone che si legano in modo improvviso all’estremismo islamico. Il riferimento dell’articolo è alla recente riunione che si è svolta a Roma della coalizione anti Daesh, a cui hanno partecipato rappresentanti di 80 paesi fra cui il segretario di Stato americano, Antony Blinken. È stato il settimanale al Naba, a pubblicare due giorni fa un articolo di minacce nei confronti dell’Italia e di Di Maio. Le minacce poi si sono sommate anche sui canali Telegram. “Il dossier più pesante e importante sul tavolo dell’alleanza dei crociati a Roma è l’Africa e la regione del Sahel – si legge nell’editoriale – il ministro degli Esteri italiano ha ammesso che non basta combattere lo stato islamico in Iraq e Siria, ma bisogna guardare altre regioni in cui è presente, sostenendo che l’espansione dello stato islamico in Africa e nel Sahel desta preoccupazione e proteggere le coste europee significa proteggere l’Europa”. “Non è un caso – continua il giornale – che i crociati e i loro alleati si incontrino nella Roma crociata e non c’è dubbio che i timori di Roma siano giustificati, poiché è ancora nella lista dei principali bersagli dei mujahidin. I mujahidin dell’Isis stanno ancora aspettando il compimento della promessa di Dio onnipotente nei loro confronti: questa è Dabiq, questa è Ghouta, questa è Gerusalemme e quella è Roma e noi vi entreremo senza false promesse”. “La conferenza anti Daesh presieduta da Di Maio è stata un successo. Il governo resta impegnato nel contrasto al terrorismo” ha ribadito il premier Mario Draghi, mentre il Partito democratico con il segretario Enrico Letta ha espresso solidarietà a Di Maio, “oggetto di intimidazioni e minacce intollerabili da parte dell’Isis”. Nel tardo pomeriggio di ieri ha parlato, sui suoi canali social, anche Di Maio: “Non saranno le minacce a fermare l’azione dell’Italia nella lotta al terrorismo. E lo stiamo dimostrando con i fatti. La recente ministeriale della coalizione anti-Daesh, è stata importante per rinnovare questo preciso impegno e rafforzare il ruolo dell’Italia”, ha scritto il ministro degli Esteri.

“Mi faccio saltare in aria”. Catturato ricercato tunisino

Lo ha rintracciato la Polizia di stato, in un appartamento di Terracina (in provincia di Latina). Il 40enne tunisino residente in Francia, evaso lo scorso 29 maggio da un centro psichiatrico di Bassens e entrato pochi giorni dopo nel territorio italiano era ricercato nell’Unione europea per apologia del terrorismo e minacce aggravate, nonché per reati contro la persona e in materia di stupefacenti. L’uomo aveva anche esaltato l’operato di Mohamed Merah, l’autore degli attentati di Tolosa e Montauban del 2012 in cui rimasero uccise numerose persone ed era indicato dalle Autorità francesi quale soggetto pericoloso. E dall’Italia inviava email scrivendo di voler “porre fine alla propria vita uccidendo la gente” con minacce nei confronti dei “francesi e delle loro istituzioni”. Ora la Digos è al lavoro per verificare eventuali contatti del tunisino sul territorio italiano. “Questo soggetto non era conosciuto. Cercheremo ora di ricostruire se già in passato ci sia stata una sua presenza in Italia”, ha detto il capo della Digos di Latina, Walter Dian.

Strage di Bologna, i pm: “Archiviare l’ex generale Mori”

Nella sentenza di condanna all’ergastolo dell’ex Nar Gilberto Cavallini la Corte d’Assise di Bologna lo accusava di falsa testimonianza e reticenza per aver affermato, nel corso di un’udienza, di non essersi mai occupato della destra eversiva. Ora nel processo sulla strage di Bologna la Procura chiede l’archiviazione per il generale dei Carabinieri in pensione Mario Mori. Identica richiesta anche per altre 8 persone, tra cui gli ex membri dei “Nuclei armati rivoluzionari” Giuseppe Valeria Fioravanti e Francesca Mambro, l’ex compagna di Cavallini Flavia Sbrojavacca, Roberto Romano, Elena Veditti, Fabrizio Zani, Giovanna Cogolli e Pierluigi Scarano. Tra quelle indicate dalla Corte di assise al termine del processo, restano pendenti tre posizioni, tra cui quella di Luigi Ciavardini, uno dei 3 condannati in via definitiva per la strage del 2 agosto 1980. “La Procura si è resa conto della mia correttezza nelle risposte – ha commentato l’ex capo dei Ros -. Non mi interessavo, se non marginalmente, di destra eversiva, mi occupavo soprattutto di terrorismo di sinistra”.

Mail Box

 

Riforma della giustizia: dubbi su contropartita

Sono diventato un ex dei 5Stelle per le posizioni imposte da Grillo al Movimento e a causa dell’ostracismo verso Conte. Non riuscivo a comprendere questa politica suicida di Grillo, ma poi mi è venuto un dubbio quando il figlio è rimasto impicciato in quella brutta questione.

Mi sorge spontaneo il sospetto che Grillo, supportando il sistema di cui si è reso garante, abbia come contropartita la risoluzione del problema del figlio. Vi chiederei di porre tale ipotesi all’attenzione dei lettori, per valutare se siete voi giornalisti a non percepire questa possibilità, anche se trovo strano che a giornalisti come voi non sia neanche per un attimo balenato tale dubbio.

Francesco Monteleone

 

Grillo e le soluzioni soft per aiutare suo figlio

Caro Marco, a pensare male si fa peccato, ma cosa ne pensi di questa teoria? Grillo ha un problema serio dovuto al figlio. Conte sta per diventare capo politico del Movimento e unico responsabile della condotta da tenere nei confronti del governo, con un occhio di riguardo alle battaglie fondanti del M5S. Qualcuno ventila a Grillo una soluzione soft per il figlio, lui deve arginare l’arrivo di Conte il tempo necessario per affossare un altro caposaldo 5Stelle. Con lui fuorigioco, i sottopifferi di Grillo si inginocchiano a Draghi. Se un omicidio stradale plurimo è valso a Genovese una condanna ridicola, perché non premiare Grillo con un “non luogo a procedere” per Grillo junior? Il consiglio che hai dato a Conte di non entrare in un guscio vuoto ma creare un suo partito o tornare a insegnare è condivisibile.

Salvatore Antonio Aulizio

 

I processi li fanno i giudici, non Draghi. Non ancora, almeno.

M. Trav.

 

Leader M5S, oramai più padre che nobile

Sono certo che questa mia lettera non sarà pubblicata, ma dopo la rivelazione del Fatto sulla telefonata tra Draghi e Grillo che ha sbloccato la riforma della giustizia, mi comincia a venire il sospetto che il padre nobile del Movimento sia oggi molto più padre che nobile.

Salvatore Griffo

 

Uomo di poca fede.

M. Trav.

 

DIRITTO DI REPLICA

Dopo decenni di abbandono totale del centro storico, abbiamo invertito la rotta, con “politiche attive” e investimenti che hanno significato mettere in sicurezza e recuperare tutti gli immobili di proprietà comunale, persino i ponti storici.

Sul tema della tutela dei centri storici sollevato da Montanari, esistono diverse opinioni. Alcune più oltranziste, per la conservazione di tutto a ogni costo o la demolizione totale, e altre che teorizzano la conservazione, con possibilità di demolire per preservare i complessi architettonici, culturali e paesaggistici che costituiscono un unicum, come lo è il centro storico di Cosenza.

Per il suo recupero non è sufficiente la “tutela passiva”, ma occorre riportarvi la vita. Sono per la via di mezzo che lega l’identità alla cultura e alla storia, ricorrendo, se del caso, a demolizioni senza disdegnare interventi di qualità, con opere di architettura contemporanea. I processi di rigenerazione urbana avviati includono anche la demolizione e ricostruzione.

È accaduto per il quartiere Gergeri dove ora sorge il Ponte di Calatrava che nell’articolo è definito “imbarazzante”, probabilmente senza avere competenze specifiche per valutare un’opera di architettura contemporanea e ignorandone la funzione sociale.

Dove ora c’è il Ponte esisteva una baraccopoli. Come si fa a definire “orrenda” una piazza che prima era un ricettacolo di lamiere (di automobili) e che ora è stata restituita ai cittadini e ai pedoni? Alarico, poi, non è una nostra invenzione.

Tanti e autorevoli studiosi, come Marina Mattei e, prima ancora, Edoardo Galli, hanno parlato della storia e del tesoro di Alarico.

E noi vi abbiamo costruito attorno un’attenta politica di marketing territoriale che ha suscitato l’interesse del Times, del Telegraph e di Travel Channel.

Marco Occhiuto
Sindaco di Cosenza

 

Il sindaco vanta il ‘marketing territoriale’: ma è la città che non esiste più. Camminare oggi anche solo per mezz’ora per Cosenza Vecchia significa avere un’idea di cosa doveva essere una città devastata da una pestilenza o da una carestia: un enorme vuoto, sul punto di collassare. Il Ponte di Calatrava o il tesoro di Alarico sono il lato comico di una tragedia che sta sotto gli occhi di tutti. Sembra che a non vederla sia solo il sindaco.

Tomaso Montanari

 

I NOSTRI ERRORI

Ieri, per fretta redazionale, abbiamo inserito malamente la notizia della vittoria di Djokovic nel pezzo di Leonardo Coen su Berrettini a Wimbledon. Ce ne scusiamo con l’autore e i lettori.

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