Gli adolescenti: il “serbatoio” del coronavirus

La macchina del generale Francesco Paolo Figliuolo continua ad andare a rilento e ormai a estate inoltrata è riuscita a immunizzare solo il 42,97% della popolazione over 12, numero molto al di sotto delle sparate propagandistiche inanellate dall’inizio dell’incarico commissariale lo scorso marzo.

Il coronavirus sta rovinando le vacanze di mezza Europa e la variante Delta si sta diffondendo facilmente, a differenza del SarsCov2 “originale”, anche in eventi all’aperto, festeggiamenti notturni e manifestazioni sportive, come dimostrano i numeri dei focolai dell’Europeo di calcio itinerante.

Si è abbassata anche la età media della diffusione del contagio che ora colpisce ragazzini e adolescenti molto più di prima: si registrano meno ospedalizzazioni e meno morti ma questo potrebbe essere un rischioso serbatoio, con l’arrivo dell’autunno, per i più adulti: tra 50 e 80 anni mancano all’appello delle vaccinazioni ancora quasi 5 milioni di persone.

E venendo al “serbatoio” del virus, a livello nazionale c’è ancora molta strada da fare: tra i più giovani nella fascia d’età 12-19 anni non hanno ancora ricevuto nessuna dose di vaccino in 3.447.627: il 75,66%; nella fascia 20-29 in 3.121.877: il 51,67%.

In Lombardia più della metà dei 12-19enni, il 58%, non ha ancora prenotato il vaccino, in tutto il 68% non ha ancora ricevuto una dose, tra i 20-29enni senza somministrazioni c’è ancora il 38,74%.

Nel Lazio senza dosi il 76,455% dei 12-19enni e il 52,01% dei 20-29enni.

In Campania senza dosi il 66,53% dei 12-19enni di cui il 59,56% non ha ancora prenotato. Senza dosi anche il 44,43% dei 20-29enni, in questa fascia i prenotati sono al 64,70%.

In Puglia nella fascia 12-19 anni il 22,74% ha avuto almeno una dose di vaccino. Della restante popolazione della fascia, il 16,54% risulta prenotato. Nella fascia 20-29 il 40,25% ha avuto almeno una dose di vaccino. Della restante popolazione della fascia il 20,19% risulta prenotato. Dalla Regione ci tengono a sottolineare: “La Puglia è stabile da metà aprile ai primi posti della classifica nazionale delle regioni per capacità vaccinale: dosi somministrate rispetto a quelle consegnate. Intanto dal 23 agosto inizieremo la chiamata attiva della popolazione scolastica, lavorando scuola per scuola e classe per classe. Un sistema che è risultato molto efficace sia quando si è trattato di vaccinare il personale scolastico e docente sia per i maturandi. Queste fasce d’età qui vengono vaccinate dall’inizio esclusivamente con Pfizer”.

In Piemonte nella fascia 12-19 anni l’85,19% non ha ricevuto ancora nessuna dose; nella fascia 20-29 anni non ha ricevuto ancora nessuna dose il 50,50%. Tra i 16 e i 29 anni su 591 mila persone non hanno ancora prenotato in 225.000 circa.

Le altre regioni.

Abruzzo senza dosi: 12-19 anni il 71,94%, 20-29 anni il 48,45%.

Basilicata senza dosi: 12-19 anni l’80,41%, 20-29 anni il 64,10%.

Calabria senza dosi: 12-19 anni il 69,88%, 20-29 anni il 52,26%.

Emilia-Romagna senza dosi: 12-19 anni il 74,71%, 20-29 anni il 61,13%.

Friuli-Venezia Giulia senza dosi: 12-19 anni il 81,47%, 20-29 anni il 49,41%.

Liguria senza dosi: 12-19 anni il 76,15%, 20-29 anni il 49,29%.

Marche senza dosi: 12-19 anni il 74,47%, 20-29 anni il 49,28%.

Molise senza dosi: 12-19 anni il 77,11%, 20-29 anni il 67,05%.

Alto Adige senza dosi: 12-19 anni il 84,55%, 20-29 anni il 58,17%.

Trentino senza dosi: 12-19 anni il 88,70%, 20-29 anni il 58,37%.

Sardegna senza dosi: 12-19 anni il 82,22%, 20-29 anni il 57,97%.

Sicilia senza dosi: 12-19 anni il 73,63%, 20-29 anni il 53,20%.

Toscana senza dosi: 12-19 anni il 84,39%, 20-29 anni il 59,85%.

Umbria senza dosi: 12-19 anni il 90,68%, 20-29 anni il 73,96%.

Valle d’Aosta senza dosi: 12-19 anni il 89,51%, 20-29 anni il 60,83%.

Veneto senza dosi: 12-19 anni il 81,79%, 20-29 anni il 57,67%.

Estate covid-free? Ecco le vacanze da evitare

Sotto osservazione sono innanzitutto la Spagna e il Portogallo, che nella mappa europea dei contagi sono quasi completamente rosse e cioè hanno registrato oltre 200 nuovi casi ogni 100 mila abitanti negli ultimi 14 giorni. In Spagna venerdì erano 317, +108% rispetto al venerdì precedente, ma superavano i mille tra gli under 29. In Portogallo il 90% dei casi è dovuto alla variante Delta e sono già state ripristinate alcune restrizioni a Lisbona e a Porto. Peggio ancora a Cipro, rosso scuro da giorni perché vicina a quota 500. Sono gialle, quindi tra i 75 e i 200 contagi su 100 mila in due settimane, Creta e decine di isole della Grecia, gran parte dei Paesi Bassi, tutta l’Irlanda e parte di Svezia e Norvegia. Il resto dell’Europa, Italia compresa, è verde, cioè sotto quota 50.

È la mappa dell’Ecdc, il Centro europeo per il controllo delle malattie. Manca la Gran Bretagna, che sarebbe rossa con 289 contagi di media ogni 100 mila abitanti ma in 7 giorni. Il direttore della Prevenzione del ministero della Salute, Giovanni Rezza, l’ha riprodotta nella circolare trasmessa alle Regioni: “Allerta internazionale variante Delta: incremento dei casi Covid-19 in diversi Paesi europei”. Non si va oltre l’allerta: non ci sono restrizioni, né controlli rafforzati sui voli o sui passeggeri in arrivo, come l’isolamento di cinque giorni seguito da tampone previsto per chi proviene dal Regno Unito. Il governo italiano non si spinge nemmeno a “sconsigliare” i viaggi in Spagna e Portogallo, come invece ha fatto la Francia; la materia resta in mano alla Commissione europea secondo gli accordi presi.

Ma certamente preoccupano viaggi e vacanze, anche i soggiorni di studio come quello a Malta che si è trasformato in un incubo per 120 minori italiani tra i quali le autorità locali hanno individuato decine di positivi. Sono tutti in quarantena sull’isola, che dal 14 luglio impedirà l’accesso ai non vaccinati. La Farnesina tratta con La Valletta per farli rientrare prima possibile. C’è intanto grande allarme in Tunisia, che non compare nella mappa ma resta negli orizzonti vacanzieri degli italiani: oltre ottomila contagi e quasi 200 morti al giorno con appena il 6% della popolazione coperta dai vaccini. Si moltiplicano le richieste di aiuto all’Italia.

L’allerta ministeriale ripercorre il diffondersi della variante Delta in Europa, anche a seguito delle trasferte dei tifosi per gli Europei di calcio: 481 in Finlandia al ritorno dalle partite giocate a San Pietroburgo e 165 casi secondari; c’è la variante Delta in tutti i campioni sequenziati. Lo stesso è accaduto in Scozia dopo una partita giocata a Londra. “Le autorità sanitarie dei Paesi Bassi – scrive la Prevenzione – riportano un notevole aumento di infezioni tra studenti di ritorno da Palma di Maiorca (Spagna) e dall’Algarve (Portogallo)”. E ancora: “Le autorità spagnole hanno notificato un ampio focolaio tra gli studenti spagnoli di ritorno dalle Isole Baleari” e migliaia di casi collegati a Maiorca, Minorca, Tenerife, Salou, Lloret de Mar e Malaga. Prevale ancora la variante Alfa anche detta inglese, però avanza l’indiana Delta. “Tutti i casi primari – si legge ancora nella circolare – hanno riferito la partecipazione ad attività di svago, come eventi organizzati su larga scala (concerti, feste), frequentazione di hotel, pub, club e altri luoghi con interazioni sociali strette e prolungate senza seguire misure di prevenzione. Sono stati identificati almeno 726 casi secondari, che hanno colpito anche persone di età più avanzata. Diversi Paesi europei hanno identificato casi tra i giovani cittadini che avevano viaggiato verso queste destinazioni. La maggior parte dei nuovi casi si stanno verificando nella popolazione giovane non vaccinata, in molti casi legati ad eventi di svago superdiffusivi in ambienti chiusi, dove grandi gruppi di persone provenienti da luoghi diversi (sia spagnoli che stranieri) trascorrono insieme molto tempo senza seguire le previste misure di prevenzione. Altre fasce d’età iniziano ad essere interessate”.

Il governo di Madrid classifica a rischio basso quasi tutte le regioni perché non si registrano problemi negli ospedali e il valore dell’incidenza è ormai considerato poco significativo. I pazienti Covid-19 occupano il 2,6% dei posti nei reparti ordinari, il 6,8% nelle terapie intensive; il dato sale al 12 e al 15% in Catalogna dove infatti il livello di rischio è 2 (moderato) come nell’area della capitale.

In Italia la situazione è migliore ma, dopo 15 settimane di discesa, i contagi aumentano nell’ordine del 20-30% in sette giorni, sia pure concentrati tra i giovani tanto che l’età mediana dei nuovi infetti è 31 anni: prevalgono gli asintomatici, i numeri degli ospedali continuano a scendere anche se siamo sempre il terzo Paese dell’Europa occidentale per mortalità da Covid (oltre sei decessi ogni 100 mila abitanti negli ultimi 14 giorni, come la Francia e un po’ meno della Germania). Ma la circolare avverte: “L’allentamento delle misure di controllo nelle ultime settimane ha generato un aumento della mobilità delle persone a livello nazionale e internazionale, portando a un aumento delle interazioni sociali della popolazione. Nel contesto italiano, in cui la campagna di vaccinazione non ha ancora raggiunto coperture sufficienti in tutte le fasce di età, la diffusione di varianti a maggiore trasmissibilità può avere un impatto rilevante”.

Il ministero della Salute “prevede che in Europa il 70% delle nuove infezioni da SarsCov2 sarà dovuto alla variante Delta (B.1.617.2) entro l’inizio di agosto ed il 90% entro la fine di agosto”. Al momento in Italia è poco sotto il 30%. Secondo la circolare “qualsiasi allentamento durante i mesi estivi della severità delle misure, senza un contemporaneo aumento dei livelli di vaccinazioni complete nella popolazione, potrebbe portare ad un repentino e significativo aumento dei casi Covid-19, con un incremento associato dei ricoveri e decessi”. E tuttavia il Ministero della Salute si limita a raccomandare alle Regioni di “monitorare con grande attenzione” le varianti e in particolare la Delta; “rafforzare” il “tracciamento dei casi e dei contatti”; “applicare scrupolosamente sia le previste misure di contenimento, che le misure di isolamento e quarantena in caso di variante Delta sospetta o confermata”, rafforzare il “sequenziamento” concentrandolo sui campioni positivi di “soggetti vaccinati; soggetti in contesti ad alto rischio, quali ospedali; casi di reinfezione; soggetti in arrivo da Paesi con alta incidenza di varianti; in caso di aumento dell’incidenza in un’area; soggetti appartenenti a cluster” e infine “garantire strategie vaccinali che tengano conto della possibile minore protezione contro le infezioni da variante Delta dopo una sola dose di vaccino”.

Grazie Mario, senza di te ce li sognavamo Europei e Wimbledon

In un mondo senza Twitter e Il Foglio quello che segue sarebbe un frivolo pezzo di cazzeggio sulla divertente coincidenza per cui la nazionale di calcio è in finale agli Europei, quella di basket parteciperà alle olimpiadi, un italiano si giocherà per la prima volta la finale di Wimbledon e un gruppo rock nazionale ha vinto l’Eurovision. Ma questo non è quel mondo. Questo è “il migliore dei mondi possibili”, come recita il titolo dell’editoriale del Foglio di ieri a firma di Claudio Cerasa. Questo è il mondo in cui su Twitter gente con la bandierina dell’Unione Europea e l’hashtag #ItaliaViva come biglietto da visita scherza sul fatto che dietro a tutta questa epopea scintillante ci sia un’unica firma: quella di Mario Draghi. Ci scherza, sì, ma con il tono di chi, un po’ speranzoso, si aspetta che alla propria battuta forzata una voce fuori campo suggerisca “Come, non lo sapevi? È proprio così”. Nelle ultime righe del suo editoriale sulla riforma della giustizia che, secondo l’autore, sarebbe in qualche modo provvidenzialmente collegata alle rutilanti performance dell’Italia dello sport, Cerasa afferma che “quando ad alcuni successi sportivi (…) si sommano alcuni successi politici (…) la tentazione di essere candidamente volterriani è molto forte. (…) Si potrebbe dire che merito di tutto questo è l’arrivo di Draghi”. Ebbene sì, ha ragione lui. È tutto merito di Draghi. Con Conte sono arrivate alluvioni ed epidemie, con Draghi splende sempre il sole e il Covid si ritira come acque prima dello tsunami. Non solo, grazie a Super Mario, l’Italia sbanca appunto in ogni disciplina e competizione. Ecco qui la lista dei suoi successi:

La vittoria dei Maneskin all’Eurovision. Nessuno sospetta che dietro all’inatteso trionfo del gruppo romano ci sia un convulso lavoro di Mario Draghi, lavoro che l’ha visto impegnato su due fronti: quello di stylist e quello di oscuro burattinaio. Super Mario ha scelto personalmente il look glam rock in pelle dei Maneskin, in particolare la salopette borchiata di Damiano, che lui stesso amava indossare durante le cene informali terminati i vertici Bce. Come stratega ha agito su più fronti: ha promesso all’Ucraina un appoggio sulla questione Russia, purché l’Ucraina ci desse il massimo dei voti. Draghi ha poi garantito all’Ucraina che sarebbe arrivata ai quarti di finale agli Europei di calcio (come è stato), con l’accordo però di farsi battere dall’Inghilterra, nemica dell’Europa, contro la quale Draghi puntava fin dal primo momento a giocarsi la simbolica finale. Un obiettivo reciproco, per giunta. Non è una coincidenza che a dare i punteggi più bassi ai Maneskin siano stati Olanda e Inghilterra: guarda caso, stasera l’Italia gioca la finale contro l’Inghilterra con un arbitro olandese. Un piano diabolico per farci perdere che solo Super Mario può sabotare.

E a proposito di Europei, la partita contro l’Inghilterra è appunto la sfida finale voluta da Super Mario per sancire la superiorità dell’Europa contro il paese sovversivo della Brexit. Tra l’altro, tanto per ribadire la superiorità della Ue, nella fase dei gironi tutte le squadre che l’Italia ha incontrato e sconfitto erano di paesi senza moneta unica (Turchia, Svizzera e Galles). Voi forse non ci avete fatto caso, ma Cerasa e Renzi sì.

Ma più in generale è evidente che dietro allo stato di grazia atletica di tutti i nostri campioni dello sport, dalla nazionale di basket (che dopo 17 anni tornerà a disputare un’olimpiade) a quella di softball (fresca vincitrice dell’Europeo), da Berrettini finalista a Wimbledon alle Farfalle della Ginnastica Ritmica e i due ori conquistati nella World Cup, ci sia la mano di un grande preparatore atletico. Uno come Lord Palpatine in Guerre Stellari, che di giorno governa come gioviale cancelliere supremo la Repubblica Galattica e di notte allena i Sith, potenti guerrieri del male. Quell’uomo, ovviamente, è Mario Draghi.

Il trionfo di Khaby Lame su TikTok. Il giovane senegalese-italiano, secondo al mondo per follower su TikTok, rientra nel piano del rilancio delle politiche migratorie italiane agli occhi dell’Europa. Super Mario ha compreso come mai nessun altro che la tanto criticata gestione dell’accoglienza può essere valorizzata a livello mondiale solo dimostrando che qui non diventano ricche solo le influencer bionde con gli occhi azzurri del Nord Italia, ma anche semplici ragazzi di Chivasso, magari nati in Africa. È quindi lui stesso, Mario Draghi, a ideare e montare i video di Khaby (pare che il suo profilo segreto su TikTok sia Dragon47), a rispondere ai fan e a smistare le foto di gnocche che Khaby riceve in quantità.

È di Draghi anche il merito del primo film di animazione della Pixar ambientato in Italia, brillante idea di Super Mario per rilanciare il turismo nel nostro paese dopo il periodo più duro della pandemia. Pochi lo sanno, ma il titolo “Luca”, scelto personalmente da Super Mario, è un omaggio affettuoso, solidale, carico di umanità a uno dei tanti italiani semplici duramente colpiti dalla crisi economica: Luca Cordero di Montezemolo.

Fuortes, il “tagliatore” trasversale spinto in Rai dall’Ancien Régime

Quando arrivò alla sovrintendenza del Teatro dell’Opera di Roma, nel dicembre del 2013, qualcuno lo soprannominò “Edward Mani di Forbice”. Il personaggio del film di Tim Burton si adattava perfettamente a questo manager arrivato per salvare il Teatro tagliando. Lacrime e sangue.

Parliamo di Carlo Fuortes, che Mario Draghi indicherà ufficialmente domani come amministratore delegato della Rai. All’epoca il Teatro dell’Opera era squassato dalle polemiche e sull’orlo del fallimento: conti a picco, scioperi a raffica, Riccardo Muti che se ne va sbattendo la porta. “Quando sono arrivato c’era una situazione peggio di Alitalia”, dirà Fuortes. Ebbene, lui che fa? Decide di licenziare orchestra e coro, un totale di 182 persone, col benestare dell’allora sindaco di Roma, Ignazio Marino. Poi, tra prepensionamenti, qualche buonuscita e una serrata trattativa sindacale, nessuno venne lasciato a casa. Quello, però, fu il suo biglietto da visita.

Ecco, forse è questo a spaventare ora i dipendenti di Viale Mazzini. Fuortes arriva per tagliare? Certamente viene per risanare i conti in stato comatoso (523,7 milioni di posizione netta negativa nel 2020) e per rilanciare l’azienda dopo un lungo periodo di stagnazione, ma il rilancio potrebbe passare anche per tagli (si parla addirittura di vendita di una rete…).

Dunque Draghi ha piazzato il suo uomo, che molti descrivono come uno dei pochi manager culturali italiani con una caratura anche internazionale. Ma con risultati altalenanti. Al Petruzzelli di Bari, dove fu commissario, lasciò un debito di circa 2 milioni, mentre a Roma l’impresa di salvare il Teatro dell’Opera gli è riuscita, ma sempre con lo spettro dei licenziamenti: conti quasi risanati e biglietti raddoppiati. Fuortes non è certo il santino che si vuole dipingere, come ben sanno alla Cgil, con cui ha guerreggiato spesso. Ben inserito nel sistema politico capitolino, la sua prima bollinatura arriva da Walter Veltroni, che, nel 2003, gli affida la guida del Palazzo delle Esposizioni, delle Scuderie del Quirinale e, più avanti, di Auditorium e Festa del Cinema. Gianni Alemanno lo lascia al suo posto, mentre Marino lo promosse al Teatro dell’Opera. Il suo maggior sponsor negli ultimi anni è stato Dario Franceschini, insieme al suo uomo più in vista, il direttore generale del Mibact, Salvo Nastasi. Marito di Giulia Minoli, dunque genero di Giovanni Minoli e Matilde Bernabei, è Nastasi a portarlo in palmo di mano. Nel tempo Fuortes ha instaurato un sodalizio pure con Goffredo Bettini. Il suo nome, di recente, è rimbalzato per la candidatura a sindaco, proposto da Carlo Calenda: “Se c’è Fuortes, facciamo tutti un passo indietro”. A ripescarlo ci ha pensato Mister Bce. “È un tagliatore di teste, quando passa nemmeno saluta”, lo descriveva nel 2014 un sindacalista.

E nei suoi anni all’Opera di Roma c’è una storiella che dice molto di lui. Orchestrali e coro chiedevano un’indennità di frac, perché l’abito con le code provoca sudore e irritazioni: volevano più soldi. Dopo un braccio di ferro che manco la Thatcher coi minatori inglesi nel 1984, vinse lui: niente indennità. Del suo cartellone, 5 anni fa, si ricorda La Traviata con la regia di Sofia Coppola e i costumi di Valentino, mentre nel 2020 durante il lockdown s’inventa opere-film da mandare in tv, come Il barbiere di Siviglia diretto da Mario Martone. La stagione estiva 2021 non è a Caracalla ma al Circo Massimo. Dove gli antichi romani gareggiavano con le quadrighe tentando di disarcionarsi a vicenda. Più o meno il clima che lo attende in Rai.

Draghi ora mette le mani pure sui vertici di Eur Spa

Rinviare in autunno il rinnovo dei vertici per “occupare” la società che governa il quadrante più “ricco” della Capitale. I draghiani sono pronti a mettere le mani su Eur Spa. L’“opa” punterà su un bilancio 2020 reso poco lusinghiero dalla pandemia. L’obiettivo è la promozione di Giorgio Fraccastoro, attuale consigliere d’amministrazione, entrato in quota Raggi e da un po’ di tempo avvicinatosi agli ambienti dell’attuale ministro dell’Economia, Daniele Franco, a sua volta espressione diretta del premier Mario Draghi. Le quote della partecipata romana appartengono al 90% al Mef e solo al 10% al Comune di Roma. Tuttavia il Campidoglio negli anni ha avuto ampia voce in capitolo nella governance di una società da oltre 600 milioni di fatturato annui, che gestisce – oltre agli immobili storici del celebre quartiere razionalista – le strutture del polo congressuale capitolino (il Roma Convention Center della Nuvola, il Palazzo dei Congressi e il Palazzo dello Sport). Edifici che, fermati dal Covid, hanno visto crollare gli introiti, spingendo Eur Spa verso un passivo di bilancio vicino ai 30 milioni.

La “regia di Palazzo Chigi”, punterà proprio sul grimadello contabile, assicurano i bene informati. L’assemblea dei soci prevista in seconda convocazione per il 20 luglio, dovrebbe far slittare l’approvazione del bilancio fino a dopo le elezioni. A quel punto, i draghiani avrebbero due cavalli per il Campidoglio su cui puntare. Il primo è Roberto Gualtieri, che da titolare del Mef portò all’Eur l’attuale amministratore delegato Antonio Rosati (in uscita); l’altro è Carlo Calenda, non certo ostile agli ambienti dell’attuale premier.

“Candidato” governativo alla presidenza del cda, come detto, è Giorgio Fraccastoro. Ex maggiore della Gdf – che lasciò in parallelo a un’inchiesta giudiziaria poi rivelatasi totalmente inconsistente – oggi è un importante avvocato romano, oltre che “buon giocatore” di padel presso il Circolo Aniene di Giovanni Malagò. Match amatoriali che condivide (anche) con un suo amico di vecchia data, Giuseppe Chinè, attuale capo di gabinetto del ministro Daniele Franco. Fraccastoro e Chinè in passato hanno condiviso la firma della voce enciclopedica “L’Illecito sportivo”, pubblicata sulla Treccani 2010. “È una voce che gira, ma ne so poco”, dice Fraccastoro al Fatto, in merito alla possibilità di diventare presidente di Eur Spa: “Non posso dire che non ne sarei onorato, al di là della stima e del rispetto che nutro per l’attuale presidente Sasso”, più vicino alla sindaca. Fraccastoro poi conferma, indirettamente, le voci sul rinvio delle nomina: “Sarebbe inopportuno – confessa – lasciare a un’amministrazione in uscita una decisione che impatta sul successore”. Decisiva sarà la giornata del 20 luglio.

E nel mirino finisce pure l’abuso d’ufficio

Iresponsabili giustizia di Lega e Forza Italia si stanno preparando alla battaglia parlamentare che inizierà alla Camera il 23 luglio. Non c’è solo il M5S che annuncia le barricate per tornare alla “Bonafede” sulla prescrizione ma anche il centrodestra è soddisfatto a metà della riforma Cartabia. L’obiettivo è quello di presentare un emendamento per svuotare l’abuso d’ufficio e accontentare i sindaci che mercoledì hanno sfilato a Roma davanti a Palazzo Chigi per chiedere più tutele legali.

Da una parte il governo si sta già muovendo con la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese. Dopo il caso della sindaca di Crema Stefania Bonaldi indagata a inizio giugno per il caso di un incidente a un bambino in un asilo, la ministra degli Affari Regionali Mariastella Gelmini aveva spiegato che il governo “deve rivedere il Testo Unico degli Enti Locali” in materia di responsabilità penali dei sindaci. Su questo versante ci sta lavorando Lamorgese andando a toccare gli articoli 50, 54 e 107 del Tuel che riguardano i poteri degli amministratori locali, definiscono i limiti del potere di ordinanza e attribuiscono le responsabilità di sindaci e dirigenti comunali. “Non introdurremo uno scudo penale per i sindaci – ha detto mercoledì proprio Lamorgese – ma non è possibile che siano responsabili quando un bambino mette la mano in una porta e si fa male oppure quando cade un cornicione”. Un compito arduo quello di Lamorgese: il rischio del salvacondotto per gli amministratori è alto.

Dall’altra parte la discussione sull’abuso d’ufficio arriverà in Parlamento a fine mese, quando si inizierà a discutere della riforma penale. L’obiettivo del centrodestra, e in particolare di Forza Italia, è quello di svuotare ancora di più il reato di abuso d’ufficio nonostante il governo Conte-2 un anno fa, con il decreto Semplificazioni, avesse già contribuito a depotenziarlo. Il coordinatore nazionale di Forza Italia Antonio Tajani, il più alto in grado a esprimersi sulla riforma nel suo partito, venerdì lo ha detto senza girarci troppo intorno: “Bisogna correggere qualcosa in un maxiemendamento e mettere la fiducia” ha spiegato Tajani sapendo già che possibili modifiche in senso ancora più garantista potrebbero spaccare ulteriormente la maggioranza. Tajani si riferisce proprio alla revisione dell’abuso d’ufficio. Un pallino anche di Matteo Salvini che da settimane ripete che bisogna aumentare le “tutele legali” per i sindaci e gli amministratori locali. Il governo, che non ha inserito la norma nella riforma Cartabia, non si opporrebbe a una modifica in questo senso del Parlamento. “Se c’è un largo consenso parlamentare e gli aggiustamenti non stravolgono la riforma, non daremo parere contrario” è il ragionamento che i big forzisti si sono sentiti fare da Palazzo Chigi.

Un modo per dire che il governo si limiterà a far garantire che l’impianto della riforma Cartabia rimanga intatto ma non si sporcherà le mani su temi divisivi come l’abuso d’ufficio. Se così fosse, la maggioranza rischierebbe di spaccarsi ancora perché i 5 Stelle sono contrari. D’altronde la battaglia del centrodestra per l’eliminazione dell’abuso d’ufficio è iniziata da tempo: alla Camera sono depositati tre disegni di legge (uno della Lega e due di Forza Italia) per abolirlo. Il tentativo di tradurli in un emendamento alla riforma Cartabia sarà fatto.

“Cara ministra, a Napoli in fumo migliaia di delitti”

“Perché mai a Napoli – si domanda Marta Cartabia in un’intervista al Corriere della Sera – non dovrebbero riuscire a fare quello che fanno già a Palermo, se noi assicuriamo le condizioni giuste”?. Le condizioni giuste a cui accenna il ministro di Giustizia per rendere applicabile la sua riforma nella parte in cui impone una durata massima di due anni del processo d’appello, pena l’improcedibilità, le spiega il presidente della Corte d’Appello di Napoli Giuseppe De Carolis: “Serve una pianta organica di magistrati e dipendenti amministrativi adeguata al nostro carico di 57mila processi pendenti. Mi mancano 16 giudici solo al penale, lavoro con 15 collegi invece di 18, alcuni coperti con magistrati applicati dal Tribunale e solo per pochi mesi.

Presidente De Carolis, la riforma Cartabia è applicabile?

Forse a Potenza, a Salerno e negli uffici giudiziari medio-piccoli. A Napoli no. Con le attuali risorse, riuscire a fare un appello a Napoli in due anni è impossibile.

Perché?

Abbiamo 57mila processi pendenti e per farli ci vogliono magistrati e cancellieri. E la nostra pianta organica è completamente inadeguata. A Napoli abbiamo poco più di un dipendente per ogni magistrato, a Campobasso ce ne sono 6 e a Benevento 4.

Il ministro al Corriere annuncia concorsi e assunzioni.

C’è stato da noi un aumento della pianta organica dei magistrati, ma i posti non sono coperti e non sappiamo se gli 11 posti messi a concorso dal Csm per la Corte d’Appello di Napoli lo saranno, perché i colleghi non fanno domanda per venire qua in assenza di incentivi di fronte alla nostra mole enorme di lavoro. L’ultima volta furono messi a concorso dal Csm 8 posti. Ma ne vennero coperti solo 3.

Perché i giudici non vogliono venire a Napoli?

Divida 57mila processi per 15 collegi e si renderà conto di quanti processi deve affrontare ogni singolo magistrato. In una sola delle sei sezioni di Napoli pendono più processi che nell’intera Corte d’Appello di Milano. Dove sono preoccupati di non riuscire a fissare la prima udienza di processi conclusi in primo grado nel 2019. Mentre noi stiamo fissando ancora processi del 2015-16.

Perché questi tempi così lunghi?

La Corte d’Appello di Napoli è diventata un imbuto dove si strozza la produzione di processi e sentenze di uffici di Procure e tribunali che sono stati rafforzati in maniera più adeguata del nostro. È una situazione paradossale: le Procure producono più dei loro tribunali, i 7 tribunali del distretto di Napoli producono di più di quello che la mia Corte d’Appello riesce a smaltire, e a nostra volta emettiamo un numero di sentenze superiore a quello che i cancellieri riescono ad eseguire. E poi c’è la specificità di Napoli che ci si ostina a non vedere e che io ripeto ormai da cinque anni a ogni inaugurazione dell’anno giudiziario.

Qual è questa specificità?

I processi andrebbero calcolati anche secondo la gravità dei reati e il numero degli imputati e noi a Napoli siamo travolti dai maxi-processi di camorra provenienti direttamente dai riti abbreviati dei Gip, mentre Corti di altre città importanti hanno pochissimi procedimenti di grandi dimensioni. Aggiunga i 200 nostri processi di Corte d’Assise, mentre a Roma e a Milano siamo nell’ordine della cinquantina.

Il risultato?

Ovviamente dobbiamo rallentare tutti gli altri processi con gli imputati a piede libero, compresi quelli per reati di pubblica amministrazione, per dare priorità ai maxi-processi di criminalità organizzata. Altrimenti c’è il rischio che i boss vengano scarcerati per decorrenza dei termini. Ma quello che non è prioritario finisce per non essere fatto mai e quindi nel distretto di Napoli le vittime di truffa o aggressione oppure altri reati comuni hanno una possibilità di ottenere giustizia vicina allo zero. È drammatico dover constatare che si finisce per diffondere un senso di impunità, ma purtroppo è così.

“Se cediamo sui principi, meglio uscire dal governo”

Quella di giovedì la definisce “una Caporetto”, una “controriforma” che peggiora persino la berlusconiana ex Cirielli. Fabio Massimo Castaldo, vicepresidente dell’Europarlamento e veterano M5S, pone un tema di centralità politica: “Se non difendiamo i nostri principi, ha senso stare al governo?”.

Fabio Massimo Castaldo, il M5S ha ceduto.

Fatico a capire come la si possa considerare una mezza vittoria. La controriforma Cartabia non solo smonta la Bonafede, ma prefigura un sistema forse peggiore pure di quello della ex Cirielli. L’improcedibilità mette a rischio i risarcimenti in sede civile, senza contare che la tagliola sarà un disincentivo per abbreviato e patteggiamento.

Ce lo chiedeva l’Ue?

No, anzi. In Europa siamo un unicum, basti vedere il modello tedesco e quello francese: con questa riforma si certifica il fallimento dello Stato italiano, la sua incapacità di chiudere i processi in tempi in linea con la media Ue, per i quali servono più personale e semplificazioni procedurali. Ricordo poi che il Consiglio d’Europa elogiò la Spazzacorrotti e la Commissione Ue espresse grande apprezzamento per la riforma nel suo rapporto del 2020.

Gli eletti avevano chiesto ai ministri di astenersi.

Sono rimasto shockato da quanto successo. Premetto che non ho ancora parlato coi ministri, che stimo e considero amici. Mi sembra corretto ascoltare la loro versione nell’assemblea congiunta. Certo, se avessero subito pressioni, interne o esterne che siano, per ribaltare la posizione dei gruppi sarebbe un fatto di enorme gravità.

Dovreste ripensare alla permanenza nel governo?

Agli iscritti nel quesito garantimmo che avremmo difeso le nostre riforme, dalla giustizia al reddito di cittadinanza, che temo possa essere la prossima vittima. Se non possiamo incidere, bisogna prenderne atto e agire di conseguenza. Giovedì è stata una Caporetto: prescrizione, decreto dignità, finanziamenti all’editoria, Salva-Mediaset. Oggi non vedo la nostra linea del Piave: temo che i partiti ci vedano deboli e vogliano approfittarne per cancellare il duro lavoro fatto finora. Per un giudizio definitivo però aspetto l’assemblea.

Gli espulsi vi rinfacciano di aver avuto ragione su Draghi. Recupererebbe il rapporto con loro?

Avevo enormi dubbi ma mi fidai di Grillo e delle sue rassicurazioni sul fatto che le nostre battaglie sarebbero state tutelate. Con tanti dei fuoriusciti, tra cui Di Battista, c’è un rapporto personale da anni: da questo punto di vista sarebbe molto più semplice confrontarci con loro che con politici lontani dalle nostre sensibilità. Però prima il M5S deve fare chiarezza sul suo futuro.

Crede nella mediazione tra Conte e Grillo?

Ho grande fiducia nei colleghi che stanno lavorando allo Statuto. Non posso che essere grato a Grillo per ciò che ha costruito e per i sacrifici che ha fatto, ma quanto sostiene Conte sulla necessità di separare le funzioni del capo politico e del Garante mi sembra di buon senso. E faccio un appello per tempi rapidi: migliaia di attivisti vivono nell’incertezza senza neanche poter preparare il voto di ottobre. Sono i primi a dover essere tutelati: non è accettabile sacrificarli sull’altare dell’attesa.

A Conte conviene sperare nel M5S o dovrebbe virare su un suo progetto?

Per l’attaccamento che ho al M5S, spero in un suo coinvolgimento nel Movimento. Ci credo ancora, se poi dovesse palesarsi una indisponibilità a una mediazione equilibrata, che non sconvolga l’importante lavoro fatto finora, ognuno trarrà le sue conclusioni.

Accetterebbe un ruolo nella eventuale segreteria?

È prematuro parlarne. Posso dire che sono sempre a disposizione e se mi fosse chiesto un contributo lo darei col massimo impegno. Ma non sgomito: i campionati si vincono se si gioca per la squadra, non se ciascuno ambisce al numero 10.

Conte, il pressing degli eletti: “Ora decidi se lasciare i 5S”

Ora l’avvocato ha di nuovo quel dubbio, si sente di nuovo a un bivio. Sa che di qui a breve dovrà decidere. Perché sono innanzitutto i suoi, i parlamentari contiani, a dirgli che “ora bisogna scegliere cosa fare”. Adesso, dopo la disfatta sulla prescrizione, Giuseppe Conte deve davvero capire una volta per tutte se prendersi ciò che resta di un Movimento squassato, quasi umiliato dal Mario Draghi che ne sta abbattendo pilastri e peso politico. Oppure se tornare alla tentazione che aveva accantonato, provare a costruire un suo partito: una sfida che gli permetterebbe di liberarsi di tanti fardelli, in primis di quello rappresentato da Beppe Grillo. Ma di cui teme le difficoltà, organizzative e politiche, con molti big restii a seguirlo. Ma il bivio è di nuovo lì, davanti ai suoi occhi. E passa anche per un voto, quello sulla riforma della giustizia, che arriverà a fine mese. Un possibile snodo, per il Conte che ha scomunicato la controriforma Cartabia. “Ora o mai più” dice quindi al Fatto un contiano di primo piano. Uno dei diversi parlamentari che l’ex premier ha sondato negli ultimi due giorni, e che glielo hanno detto dritto: “Giuseppe, ma a questo punto non è meglio fare un’altra cosa, diversa dal M5S?”.

Un messaggio traboccato in una vigilia di cattivi pensieri, quella dell’assemblea congiunta su Zoom di oggi pomeriggio, in cui i quattro ministri del Movimento affronteranno i parlamentari. E dopo i quattro sì in Cdm alla controriforma della prescrizione, trapelano già elementi della linea “difensiva” . Con i ministri che sosterranno come l’intervento di Grillo (sollecitato da Draghi), con telefonate a ognuno dei quattro, non sia stato decisivo. Anzi, che loro hanno tenuto fino all’ultimo la linea concordata con i gruppi parlamentari, quella dell’astensione. Ma che alla fine hanno dovuto dire di sì, perché Draghi era irremovibile, tanto da essere pronto a tornare alla formulazione originaria della riforma, senza neppure quell’aumento dei tetti temporali per svolgere i processi in Appello e Cassazione che il Movimento venerdì in una nota aveva rivendicato come un risultato. “A un certo punto si è rischiata la tenuta del governo, e non potevamo assumerci la responsabilità della crisi” ripete una fonte ministeriale. Una versione traballante dei fatti, che non cancella la sconfitta, politica. E che soprattutto conferma come sia strutturalmente ingestibile un Movimento guidato da una diarchia, visto che Conte spingeva per l’astensione e Grillo invece è intervenuto per il sì a Draghi, come già fatto in passato. Anche per questo l’avvocato ha sentito vari parlamentari per chiedere cosa pensassero della sua presa di posizione contro la riforma Cartabia e della situazione del M5S. Ha posto molte domande, compulsato i suoi interlocutori, insomma passato in rassegna le potenziali truppe. E in diversi lo hanno invitato a tornare al progetto di una sua lista.

Ma l’avvocato non ha dato risposte o indizi sulle sue intenzioni. “Giuseppe non si è esposto” raccontano. Conte vuole soppesare ogni passo, in una fase delicatissima. Anche perché il comitato dei sette, quello che lavora alle mediazioni con il Garante sullo Statuto, “dovrebbe aver quasi completato il lavoro” sussurrano dai piani alti. E questo spinge l’ex premier ad aspettare ancora, a guardare il gioco. Ma i suoi fremono. “Lo Statuto è solo un pezzo di carta e la mediazione sta diventando una perdita di tempo, se Grillo vorrà intervenire lo farà sempre e ugualmente” scandisce un contiano di rango. Convinto che l’avvocato non possa più aspettare. “Se vuole fare un partito questa è l’ultima occasione, anche perché in molti non ne possono più. Altrimenti provi pure a prendersi questo M5S, ma deve fare il leader, essere chiarissimo con tutti e innanzitutto con Grillo”.

Anche su un altro nodo centrale, quello della permanenza nel governo. Perché è vero, da ambienti contiani confermano che l’ex premier non spinge per uscire da questo esecutivo, insomma che “non pensa a rompere”. Però tanti eletti hanno già chiesto pubblicamente di rivalutare la permanenza nella maggioranza. Lo hanno fatto contiani come i senatori Gianluca Perilli e Gianluca Castaldi. Mentre l’ex ministra Lucia Azzolina ha proposto di avviare “una seria verifica politica” sul governo. Ed è evidente l’amarezza dell’ex Guardasigilli Alfonso Bonafede. D’altronde la deputata Giulia Sarti, anche lei vicina alle posizioni dell’ex premier, ieri lo ha scritto dritto: “Io non voterò mai la schifezza incostituzionale sulla prescrizione portata avanti dalla Cartabia”.

Detto dalla relatrice del testo di riforma, ha un suo peso. E da qui si arriva alla traduzione pratica del problema, ciò che avverrà in Parlamento sulla riforma. Con diversi grillini che già chiedono di cambiarla alle Camere. E con Conte che non potrà non sostenerli.

Tradotto meglio da un veterano, “se il M5S vota in Aula questa controriforma, allora Giuseppe potrebbe avere il motivo per dire basta, questo non può essere il mio Movimento”. L’opzione che il rifondatore si è ritrovato sul tavolo. Dopo tutto questo.

 

Barbara Spinelli

Sono in preda al comma 22: finché hanno 2 teste, sono immobili

Il Comma 22 è la trappola che i 5 stelle hanno deciso di tendere a sé stessi, il giorno in cui i propri ministri hanno approvato la sbilenca riforma Cartabia con ripristino della prescrizione. La logica della sopravvivenza richiederebbe che il M5S smentisca i ministri in Parlamento e che Draghi sia abbandonato al suo destino, se la legge passerà. Ma non sarà questa la scelta perché il fondatore Grillo continua a sostenere Draghi “whatever it takes”, e perché Conte è un leader che al momento può solo parlare, non agire. Questo il “catch 22”, e in gioco non è solo l’affossamento della riforma Conte-Bonafede. Sono in gioco il decreto dignità, il reddito di cittadinanza, oltre a tutto ciò che il Movimento ha già perduto. Dicono le cronache che Draghi avrebbe detto, ultimamente: “Senza il M5S il governo non esiste”. Davvero? Ne ha bisogno per cosa, se non per il Quirinale? L’occasione per alzare la testa il Movimento l’avrebbe. Ma finché di teste ne ha due non può far altro che affogare.

 

Peter Gomez

Ora facciano una dura guerra per rendere davvero veloci i processi

Visto che ciò che non ti uccide ti fortifica, Giuseppe Conte non deve essere troppo intimorito dalle disastrose scelte di ciò che resta del M5S di questi giorni. Se il nuovo statuto gli darà i poteri necessari per guidare la formazione politica, avrà tempo e modo per recuperare. Se non glieli darà farà bene a salutare tutti e andarsene a casa. Ma se per caso l’istinto di sopravvivenza dei cosiddetti sette saggi dovesse prevalere con conseguente scelta in favore sua e non di un Grillo in preda a una sempre più evidente sindrome di Stoccolma, Conte dovrà mettersi ventre a terra a lavorare. Dovrà girare l’Italia come ha fatto per anni Salvini e dovrà incontrare di continuo i gruppi parlamentari in modo di rianimarli. Nelle prossime settimane il nuovo Movimento (se mai ci sarà) dovrà presentare 3 o 4 emendamenti al massimo per rendere più veloci i processi (meno reati, meno dibattimenti, più patteggiamenti e più giudici in appello). E condurre una battaglia durissima. Non importa se la vincerà o la perderà. Importa che per una volta la combatta.

 

Andrea Scanzi

Oggi è il Movimento 5 Salme, per Giuseppe può essere una zavorra

Il Movimento 5 Stelle è a oggi un irricevibile e imbarazzante Movimento 5 Salme. Il partito meno votabile d’Italia, e non perché sia il peggiore (nessuno sarà mai peggiore di Renzi o questa destra, e chiedo scusa per la ripetizione), ma perché è il più incoerente. E l’incoerenza, per loro, è una colpa imperdonabile. La resa sulla giustizia è la classica goccia che fa traboccare un vaso rotto da tempo. Tutte le battaglie, o quasi, sono state ammainate. I 5S post-Conte 2 sono patetici, pavidi e inutili. Un mix di masochismo, sete di potere e incapacità semplicemente sconcertante. Colpa, anzitutto, dello PsicoBeppe: dall’avvento del Santo Draghi, le sbaglia tutte. O è vittima del tempo che passa, o qualcuno gli ha promesso qualcosa e lo tiene sotto ricatto. L’unico a poterli salvare è Conte, ma intanto il tempo passa. E soprattutto, a questo punto, per Conte sobbarcarsi un M5S così moribondo risulterebbe più una zavorra che non una spinta. Buona fortuna. Oppure condoglianze.

La vispa Cartabia

Leggendo la sua intervista al Corriere, si stenta a credere che Marta Cartabia abbia davvero detto quel nulla mischiato con niente. Ma soprattutto che sia davvero la ministra della Giustizia, e nel governo dei migliori. Era dai tempi del leghista Roberto Castelli, immortalato da Borrelli come “l’ingegner ministro”, che non si trovava tanta incompetenza mista ad arroganza (le due cose vanno spesso a braccetto, la seconda per nascondere la prima). Con l’aggravante che Castelli era un esperto in abbattimento di rumori autostradali e la Cartabia è un ex presidente della Consulta. Ma proprio questo è il guaio: un Guardasigilli dovrebbe misurarsi, oltreché con gli alti principi del Diritto, con la Giustizia reale. Come minimo, dovrebbe aver messo piede in un tribunale. Non è il caso della Cartabia, che pure, essendo affiliata a Cl come il marito, di imputati e pregiudicati dovrebbe conoscerne parecchi. Invece parla come un topo di biblioteca con la testa fra le nuvole e, non guardando dove mette i piedi, finisce in tutte le buche e i tombini aperti. Basta confrontare i giudizi di Caselli, di Davigo, di altri giudici e persino dell’avvocato Franco Coppi (difensore di B.) con quelli della vispa Teresa per accorgersi che non sa cosa dice. Nella migliore delle ipotesi. Nella peggiore, lo sa benissimo e ha deciso di mandare definitivamente a picco il processo penale per la gioia di qualche interessato (nella maggioranza extralarge dei Migliori c’è l’imbarazzo della scelta, tra imputati e genitori di indagati).

1. La Bonafede, che blocca la prescrizione alla sentenza di primo grado, è “sbilanciata: trascura il diritto degli imputati alla ragionevole durata del processo, che è un principio costituzionale e di civiltà giuridica”. Ora, nel resto d’Europa, la prescrizione decorre dal momento del reato (non da quando viene scoperto) e si interrompe alla richiesta di rinvio a giudizio o al rinvio a giudizio: quindi tutta l’Europa è molto più incivile di noi. E allora di quali “impegni con l’Europa” vanno cianciando Cartabia e Draghi?

2. ”L’Italia ha il più alto numero di condanne della Cedu per violazione della ragionevole durata del processo”. Forse non lo sa, ma la ragionevole durata dipende dai giudici solo in minima parte. Anzitutto dipende da lei: è il Guardasigilli che deve garantire agli uffici giudiziari gli uomini e i mezzi per fare processi rapidi. Poi dipende dal Csm, che impiega mesi se non anni per riempire i vuoti d’organico. Poi dipende dal numero dei processi, che si può abbattere solo depenalizzando i reati inutili (compito dei politici) e con norme che incentivino patteggiamenti e altri riti alternativi e scoraggino le impugnazioni pretestuose e dilatorie.

Cioè la reformatio in peius (oggi il giudice d’appello non può aumentare la pena) e il blocco della prescrizione, per rendere non più convenienti gli appelli infondati e i cavilli allunga-processi. Lei invece regala l’improcedibilità a chi fa durare l’appello più di 2 anni: solo un idiota masochista patteggia o rinuncia a impugnare e a comprare tempo.

3. Nessun problema per il processo sul ponte Morandi perché ”a Genova gli appelli durano in media meno di 2 anni”. La media vuol dire che i più complessi durano di più e i più semplici (al singolo ladruncolo o spacciatore) meno. Quello del Morandi, un unicum come il disastro, sarà una battaglia con decine di imputati, oltre un centinaio di parti civili, perizie e controperizie impossibile da trattare in 2 anni. Quindi sarà tutto improcedibile, con tanti saluti ai 43 morti e grandi feste a casa Benetton.

4. “A Roma l’appello di un caso complesso come Mafia capitale è durato poco più di un anno”. Sì, ma i 2 anni nel suo Salvaladri non si calcolano dalla prima udienza all’ultima, ma a dall’impugnazione (poi passano mesi, anni per il dibattimento). Coppi, che il Tribunale di Roma lo frequenta da mezzo secolo, spiega che anche lì (figurarsi nelle sedi disagiate del Sud), “per un appello se si è fortunati servono 3 o 4 anni. Anche 1 anno massimo per i processi in Cassazione è molto stretto: gli atti impiegano molto tempo ad arrivare a Roma”.

5. “Perché, se a Milano e a Palermo gli appelli durano in media 2 anni, non dovrebbe esserlo anche altrove? Perché a Napoli non dovrebbero riuscire a fare quello che già fanno a Palermo?”. Forse perché il distretto di Napoli ha il record di reati di tutta Europa? Glielo spiega il presidente della Corte d’appello di Napoli: “Oggi trattiamo i processi definiti in primo grado nel 2015-16”. Tutti processi che nascono già morti in partenza in base alla sua Salvaladri.

6. “Fare giustizia nel rispetto delle garanzie”. Bene, brava, bis. Senta un po’ Coppi: “Se i 2 anni concessi per fare il processo d’appello trascorrono senza che si arrivi a una sentenza, che fine fa la sentenza pronunciata in primo grado? Il reato non si può prescrivere perché la prescrizione è interrotta, ma non si può più procedere. Ovviamente la pena inflitta in primo grado non potrebbe essere eseguita… Mi metto nei panni di una parte civile, che in primo grado ha visto riconosciuto il diritto al risarcimento: se l’appello non si celebra in tempo, che se ne fa di questo riconoscimento? Dall’altra parte, l’imputato può ben dire che se si fosse celebrato l’appello sarebbe stato assolto. A questo punto sarebbe stato meglio tenersi la riforma Bonafede e buonanotte. Se non altro aveva il pregio della chiarezza”. Vergogniamoci per lei.