Quattro positivi Rai: la Nazionale si blinda e perde il telecronista

Terremoto da Covid in casa Rai e più di qualche timore per eventuali contagi nel ritiro azzurro di Coverciano, tanto la conferenza stampa degli azzurri, questa volta toccava al vice-capitano Leonardo Bonucci, prevista in presenza, si è svolta solo online, e tutto il centro tecnico azzurro della Figc è stato blindato: ieri non è entrato nessuno dall’esterno. Così Raisport si è trovata all’improvviso senza il telecronista per la finale degli Europei di calcio, Italia-Inghilterra, prevista per domani sera allo stadio Wembley di Londra. Alberto Rimedio, infatti, è stato trovato positivo al Covid insieme ad altre due persone, un giornalista a Londra e un tecnico a Coverciano. Primo effetto: l’Italia sarà orfana della voce titolare delle telecronache di Rai1, realizzate con il commento tecnico di Antonio Di Gennaro. Anche se c’è ancora una speranza: il telecronista Rimedio è stato trovato positivo al tampone rapido e ora è in attesa di conoscere il risultato del molecolare, non ancora disponibile ieri sera al momento di chiudere il giornale. Rimedio è stato sottoposto al molecolare ieri mattina, ma per l’esito ci vogliono almeno 18 ore. Se risulterà negativo, allora tornerà a essere il telecronista della finale, altrimenti nel caso di conferma della positività, l’alternativa decisa a Viale Mazzini, dopo ore convulse e agitate, è Stefano Bizzotto, già partito per Londra, voce titolare azzurra nel biennio 2012-2014, proprio prima di esser sostituito da Rimedio.

Per qualche ora è rimasta in pista anche la possibilità che Francesco Repice, già voce cult di Tutto il calcio minuto per minuto, potesse fare il salto dalla radiocronaca su Radio1 alla telecronaca su Rai1. “Attendiamo l’esito del molecolare. Ci auguriamo tutti che possa essere solo un falso allarme. Altrimenti saremo costretti a una soluzione alternativa”, si è limitato a commentare il direttore di Raisport, Auro Bulbarelli. Sui social tifosi e appassionati si sono scatenati chiedendo il ripescaggio dalla pensione di Bruno Pizzul, classe 1938, prima voce dal 1986 al 2002: su Twitter, per tutta la giornata di ieri, è andato forte l’hashtag #vogliopizzul per la telecronaca della finale.

La Rai, comunque, è rimasta spiazzata dal fatto che la nazionale di Roberto Mancini tra la semifinale di martedì e la finale di domani abbia deciso di far ritorno a Coverciano. E a quel punto, invece di inviare al centro sportivo della nazionale giornalisti e tecnici da Roma o Firenze, l’azienda ha deciso di mandare a Coverciano una parte della truppa in trasferta a Londra. Tra questi, però, è stato trovato un positivo, che ha bloccato il ritorno in Inghilterra del resto della squadra Rai, costretta a restare in Italia in quarantena e sotto osservazione. “Il problema è che, con questo rialzo dei contagi in certi Paesi europei e soprattutto nel Regno Unito, che qualcuno si contagiasse andava messo nel conto e bisognava esser pronti con un piano alternativo”, racconta una fonte dell’azienda. Ieri, comunque, in via cautelativa, a Coverciano è stata annullata la consueta conferenza stampa del tecnico Mancini con i giornalisti. Fonti azzurre fanno sapere che i giocatori stanno bene e per il momento non ci sono rischi di contagio, anche perché “i contatti tra i media e i giocatori sono stati ridotti ai minimi termini”. Insomma, la “bolla” della nazionale dovrebbe aver retto.

Intanto per evitare altri focolai domani sera a Roma Uefa e Comune cercano di trovare una soluzione paraticabile alla sistemazione del maxi schermo all’Olimpico: previsti 16mila tifosi. In altre città come Milano, Venezia, Padova, Trieste, Palermo, Cagliari e Sassari non ci saranno proiezioni in piazza e, in alcuni casi, sono previste ordinanze restrittive per evitare i festeggiamenti.

Allarme focolai giovani all’aperto. Brusaferro: “Vaccini, fate presto”

La discesa è finita, almeno per ora. Il monitoraggio ufficiale conferma per la prima volta dopo 15 settimane un leggero rialzo dei contagi, l’incidenza media in Italia passa da 9 a 11 casi ogni 100 mila abitanti in 7 giorni, con aumenti in undici Regioni. Risale anche Rt, l’indice di riproduzione del virus: da 0,63 a 0,66, con valori medi sopra 1 in Abruzzo e in Sardegna. Ma Rt “è un indicatore da interpretare con attenzione in questa fase in cui abbiamo tanti asintomatici”, avverte il professor Silvio Brusaferro, presidente dell’Istituto superiore di sanità. Scende, infatti, l’età media: 31 anni per le infezioni, 52 per i ricoveri. La situazione non preoccupa oggi, i pazienti in ospedale continuano a diminuire e anche i decessi, ma in prospettiva. L’Iss sta già studiando quale potrà essere lo scenario a settembre e molto dipenderà dalle vaccinazioni.

Tra gli over 80 quasi il 90% ha avuto due dosi ma già tra i 70/79enni il 30% non è completamente vaccinato e manca almeno una dose a più del 60% dei 60/69enni. “Sta crescendo la percentuale di persone che ha fatto la prima dose – ha osservato Brusaferro –. Ma molte necessitano di completare il ciclo vaccinale. Ed è questa la sfida che ci aspetta in questi giorni e nelle prossime settimane”. Oltre 22 milioni di italiani, il 42% degli over 12 vaccinabili, hanno avuto due dosi. Siamo ancora lontani dal 70-80% indicato come soglia di sicurezza. La terza dose? “È nelle cose”, ha risposto ieri il professor Gianni Rezza, direttore della Prevenzione al ministero della Salute, ma “non è detto che dovremo vaccinarci ogni anno”. Gli studi sulla durata degli anticorpi non sono ancora definitivi.

Preoccupa la variante Delta, isolata per la prima volta in India, dilagata in Gran Bretagna dove oltre il 65% degli adulti è vaccinato e destinata, “già la prossima settimana” secondo Brusaferro, a “divenire prevalente” anche in Italia perché maggiormente trasmissibile, di oltre il 60%, rispetto alla Alfa, la variante inglese già scalzata in Lombardia dalla Delta arrivata al 45%. Le varianti Kappa e Delta erano al 5% a maggio, al 16,7% due settimane fa e ora sono al 27,7%. Gamma, la brasiliana, si attesta al 12%. Si è fermata, invece, la Beta, la sudafricana che mostrava particolare resistenza ai vaccini. “Molti casi, pochi ricoveri e pochi morti – osserva dagli Usa l’immunologo Guido Silvestri –. La variante Delta potrebbe comportarsi quasi come un nuovo virus”. In Gran Bretagna, però, nelle ultime settimane, anche ricoveri e decessi hanno ripreso a crescere, sia pure molto meno dei contagi rispetto al passato, quando non c’erano i vaccini.

 

Roma “Verso restrizioni per Spagna e Portogallo”

In Italia si registrano diversi focolai, specie tra i giovani, spesso legati a feste e a ritrovi anche all’aperto dal Gargano alla Sardegna, da Roma a Codogno (Lodi). Altri pericoli vengono dall’estero, in particolare da Spagna e Portogallo, meta di milioni di italiani in vacanza, dove l’incidenza è cresciuta notevolmente: il ministero della Salute ha chiesto di intensificare i controlli sui voli in arrivo; di più a quanto pare non è possibile perché così ha deciso l’Unione europea, anche se Rezza si spinge a dire: “Valutiamo misure per i due Paesi”.

L’ultimo report dell’Ecdc, il Centro europeo per il controllo delle malattie, dedica un paragrafo agli Europei di calcio. In almeno sette Paesi sono stati registrati circa 2.500 contagi legati alle partite: sono la Danimarca, la Finlandia, la Francia, la Svezia e soprattutto la Scozia, che ne ha contati quasi duemila con un picco il 21 giugno. Tre giorni prima la Nazionale scozzese, seguita da migliaia di tifosi, aveva giocato a Londra contro l’Inghilterra.

 

Tracciamento In ritardo quasi tutte le regioni

L’altro strumento per il controllo dell’epidemia è il tracciamento dei contatti dei positivi, la sorveglianza su cui insiste il professor Andrea Crisanti. Ma “solo 5 Regioni – si legge nell’ultimo report Covid-19 dell’Alta scuola di economia e management dei sistemi sanitari dell’Università Cattolica, aggiornato al 5 luglio – hanno emanato provvedimenti atti a definire linee guida, piani, programmi, volti a rafforzare il tracciamento e la prevenzione. Si tratta dell’Abruzzo, della Calabria, della Liguria, della Lombardia e del Veneto”.

S. Giuseppe Jato, 269° Comune sciolto per mafia in 30 anni

San Giuseppe Jato è il 269° Comune sciolto per mafia in Italia dal 1991 a oggi. Il piccolo Comune in provincia di Palermo entra per la prima volta nell’infausta classifica, facendo salire al terzo posto il capoluogo siciliano con i suoi 37 casi, dietro Napoli (58 casi) e Reggio Calabria (67 casi). La decisione è stata comunicata ieri dal Consiglio dei ministri che ha accolto la richiesta del ministro dell’Interno Luciana Lamorgese viste le “accertate forme di condizionamento dell’amministrazione da parte di organizzazioni criminali”.

Già lo scorso ottobre, il sindaco Rosario Agostaro, eletto nel giugno 2017 con il centrodestra, la giunta e il consiglio comunale si era dimesso, dopo l’istituzione della commissione di accesso che doveva setacciare gare d’appalto, affidamenti, incarichi, concessioni edilizie e tributi per trovare possibili casi di infiltrazione mafiosa. Non aveva mai ricevuto il marchio dello scioglimento San Giuseppe Jato, nonostante sia stato per anni famoso per aver dato i natali alla storica famiglia di Bernardo Brusca, tra i più fidati uomini d’onore della corrente corleonese di Totò Riina. Qui, nelle estese campagne alle pendici del monte Jato, è stato tenuto sotto sequestro per 180 giorni e poi ucciso l’11 gennaio 1996 il piccolo Giuseppe Di Matteo, rapito per vendetta contro il padre Santino che stava collaborando con la giustizia. Lo stesso anno in cui i suoi aguzzini, u’ verru Giovanni e il fratello Enzo Brusca, figli di Bernardo, vennero arrestati per poi decidere di pentirsi.

Stato e stragi, le sette verità del “Mr. Wolf” di Totò Riina

Le trame di uomini dei servizi inglesi, americani, arabi e italiani alla vigilia della stagione delle stragi per cacciare Falcone dalla Sicilia e poi eliminarlo nel ‘92. Le complicità occulte di Cosa Nostra con ambienti di apparati paramilitari, massoni e piduisti. Il viaggio dal Friuli alla Sicilia alla guida di un autotreno carico di armi ed esplosivi destinati a gruppi armati siciliani, forse collegati a Gladio. Il ruolo degli esattori Salvo e dell’avvocato Vito Guarrasi nella strategia della tensione. E gli “amichevoli’’ consigli di Giovanni Tinebra a lasciar perdere rivelazioni scottanti in uno Stato che difficilmente lo avrebbe tutelato.

È l’Italia segreta delle trame eversive, “quell’eredità che ancora deve essere correttamente valutata e approfondita” (come ha detto il pm di Caltanissetta Gabriele Paci), che ci ha lasciato il collaboratore di giustizia Franco Di Carlo nel libro-intervista Dietro le stragi, oggi in uscita edito da PaperFirst, frutto di sette incontri avuti con lui tra Roma e Palermo a partire dall’autunno 2018.

Sono parole che puntano al “cuore nero’’ dello Stato, provenienti dal collaboratore che più d’ogni altro, grazie al suo ruolo di consigliori di Totò Riina, ha svelato le sinergie occulte di un sistema criminale integrato tra mafie e uomini degli apparati che da sempre aleggiano dietro le trame stragiste e che da sempre, in tutte le indagini, sfuggono alla certezza della prova.

Franco Di Carlo è stato un uomo-cerniera di mondi diversi: socio del principe palermitano Vanni Calvello e problem solver di Riina per l’aggiustamento dei processi; corleonese di ferro ma amico di famiglia di Stefano Bontate; di casa al Viminale (dove andava da latitante per salutare un prefetto amico) e in rapporti cordiali con il capo del Sismi Giuseppe Santovito. Un’“enciclopedia vivente” della mafia e dei segreti corleonesi: quell’impasto di forza intimidatrice, intese con politici e apparati e violenza stragista, cieca e bestiale, tenuto insieme per decenni dal collante massonico che a un certo punto della storia italiana, prova a “farsi Stato’’ insieme alla ’ndrangheta.

Di Carlo ha vissuto in diretta quella stagione dal carcere britannico di Full Sutton, le sue parole oggi possono aiutare la magistratura a svelare le complicità che accompagnarono (o diressero) l’azione di Cosa Nostra prima nel tentare di allontanare Giovanni Falcone dall’impegno antimafia in Sicilia e poi nell’eliminarlo, insieme con Paolo Borsellino, aprendo la strada (con le bombe del ’93) alla nuova fase istituzionale della Seconda Repubblica. Man mano che riordinavamo gli appunti sui temi e le notizie che via via Di Carlo ci andava consegnando, ci siamo accorti che in qualche caso le sue rivelazioni si incrociavano con le parole (desecretate solo tre anni fa) contenute nelle audizioni rese al Csm dai pm più vicini a Falcone e Borsellino nell’immediatezza del dopo-stragi. Parole che descrivevano in presa diretta le difficoltà incontrate dai magistrati uccisi a Capaci e in via D’Amelio persino all’interno del loro ufficio: gli ostacoli posti dal procuratore di Palermo, Pietro Giammanco, ma anche, per la prima volta nitidamente, i temi di indagine sui quali i due magistrati palermitani erano concentrati al momento della loro uccisione, a cominciare da Gladio.

Senza giri di parole, Di Carlo è andato al cuore del problema, consegnandoci un materiale informativo che, per la complessità e i ruoli dei soggetti coinvolti, e per i potenziali risvolti politico-istituzionali dei temi trattati, impone un vaglio giudiziario il più possibile rigoroso nella ricerca non di una verità “compatibile’’, ma dell’unica verità in grado di svelare finalmente i volti dei mandanti occulti delle stragi e quelli dei burattinai di una stagione lunga quasi 30 anni di depistaggi e inquinamenti probatori. Una stagione, purtroppo, fatta anche di disinformazione, responsabile del tranquillizzante conformismo della vulgata che impera sulla matrice mafiocentrica delle stragi, periodicamente riproposta dal mainstream, in una singolare attività di cancellazione di pezzi di storia italiana, in nome di una malintesa ragion di Stato.

Stecche, uccelli e scongiuri: Alvise, che serataccia!

Pur di riempire la platea, l’aiutino c’è stato, eccome: un provvidenziale pacchetto concerto-cena a prezzi stracciati anche nei ristoranti a cinque stelle grazie agli amici di mammà. Ma non è bastato. Ché passi la sfortuna di un tempo un po’ così, la sfiga maxima per qualche inciampo, più di un posto rimasto comunque vuoto nonostante la promessa di un pasto da leccarsi i baffi: a mancare sono stati gli applausi e soprattutto il calore riservato dal pubblico al palco delle grandi occasioni al Festival dei Due Mondi a Spoleto in una delle date clou, almeno secondo tradizione. Insomma, giovedì sera, era atteso uno spettacolo indimenticabile, e a suo modo lo è stato. Anche se in negativo: appuntamento sotto tono, altro che crescendo verso il gran finale di domani. Causa sfiga che l’ha fatta da padrona, ma non solo quella. E così nella sempre magnifica piazza Duomo che da sola vale il biglietto, la soirée affidata all’erede maschio di Sua Presidenza Maria Elisabetta Alberti Casellati è stata un incubo. Prima di tutto per lui, il direttorissimo Alvise, messo sulla pedana più importante d’Italia per un giorno. Da dimenticare, nonostante i mille sforzi.

Ché come ha raccontato il Fatto Quotidiano da quando alcune vecchie conoscenze della augusta madre oggi sullo scranno più alto del Senato occupano posti di rilievo nelle massime istituzioni spoletine, è uscito fuori anche un podio per il figliuolo presidenziale. Che ha proposto un repertorio con sinceri fan e un pubblico però in gran parte sinceramente disorientato, molti in attesa solo del secondo turno al ristorante dove scontare il bonus accordato solo per la sua serata, quella dell’8 luglio, guarda un po’. Nella direzione artistica del Festival ha trovato uno strapuntino Ada Spadoni sposata con uno dei boss del settore dei tartufi, suocera dell’assessore al Bilancio della Regione Umbria, Paola Agabiti, e soprattutto già collega senatrice e poi consigliere politico di mammà Casellati. E così solo per il gran giorno di Alvise a Spoleto è stata messa in piedi una convenzione tra il Festival e Confcommercio con lo scontone per i posti in prima categoria e cena da quattro portate per trainare le prevendite fino all’ultimo fiacche assai: 50 euro tutto compreso, di cui 30 per stare a tavola anche in ristoranti da guida Michelin, dove normalmente a quel prezzo ci si mangia al massimo un primo e un calice di buon vino: di fronte a tale occasione ci son venuti persino da Foligno.

Alvise, va detto, s’è dato da fare sul palco che ha ospitato solo i grandissimi della musica, del balletto e del teatro: ce l’ha messa tutta anche se dopo un po’ s’è reso conto che era meglio affidarsi all’Altissimo, sordo fino ad allora al misticismo delle musiche di Gustav Holst, Giya Kancheli e del pur più noto Leonard Bernestein del suo programma. E così a un certo punto intorno alle 21 e 20 sul podio s’è fatto il segno della croce dopo che per la prima mezz’ora abbondante dalla platea non si era levato alcun applauso, mentre in compenso era cominciato a piovigginare. Ma il peggio doveva ancora venire: la colomba bianca che ha razzolato dal primo minuto sotto al tamburo, vicino ai piedi dell’organo e minacciosa a insidiare pure le scarpe lucide di ottima fattura di Casellati jr era, insomma, solo l’antipasto: in pochi minuti la voce bianca, comprensibilmente emozionata data la giovane età, ha preso un paio di stecche e ci si è messa pure l’arpa, da accordare in corso d’opera. Il vento che ha spazzato il leggio del direttore presidenziale ha fatto il resto con un capitombolo di fogli finiti in ogni dove, specie sotto al tamburone a scacciare provvisoriamente il candido ospite pennuto.

Iella nerissima come la mise di Alvise e del coro, generoso, dell’Accademia nazionale di Santa Cecilia. Lui, il direttore, ha continuato a sbracciarsi fino all’applauso finale, liberatorio. Perché poteva finire peggio. Poteva piovere, per fortuna solo qualche goccia che non ha spento i mal di pancia dei palati raffinati abituati ai bei vecchi tempi del grandissimo Gian Carlo Menotti. “Quel gran signore ha fatto vivere per tanti anni noi spoletini su un set internazionale”, sospira il signor Antonio che non molla nonostante i tempi dei Pavarotti, dei Gigi Proietti, delle regie di Luchino Visconti siano ormai un ricordo. La serata di oggi? “Siamo quasi in chiusura del Festival che ha tutt’altra tradizione rispetto al coro di un’Accademia pur prestigiosa”, mormora qualcun altro.

Alla fine storce il naso persino la prima fila riservata ai papaveri di Confcommercio Spoleto, quelli della convenzione con super sconto che ha convinto a venire Betti e Corrado che il Festival lo conoscono bene perché ci hanno lavorato una vita. “C’è stata un’epoca in cui tutto era fatto in grande stile: abiti stupendi delle migliori sartorie di Firenze, gran lusso, il mondo ruotava intorno a Spoleto grazie a Menotti. Venivano tutti qui, persino i beatnik americani alla Allen Ginsberg. Poi, piano piano, il livello è sceso o forse siamo invecchiati noi. Quest’anno abbiamo preso i biglietti per il concerto di Casellati perché solo per questa data c’era il pacchetto concerto-cena”. Ma qualcuno invece è più che soddisfatto, come una bella dama dai capelli rossi. “Questo Festival non ve lo meritate: stasera il programma è stato coraggioso”. L’Alvise ringrazia e dispensa sorrisi, anche se non lo richiamano per il bis.

La ricerca: “C’è poca differenza tra Dad e lezioni tradizionali”

La didattica a distanza non ha cambiato il modo di fare scuola alle superiori: la maggior parte dei docenti ha usato ancora i libri di testo; verifiche e compiti a casa sono state le uniche attività proposte dai professori e i ragazzi non hanno imparato di più o di meno di quanto avrebbero appreso a scuola. Non solo. A detta dei dirigenti scolastici, è emerso un bisogno formativo degli insegnanti da colmare. A presentare questa analisi, ieri, è stata la fondazione “Giovanni Agnelli” che ha svolto una ricerca dal titolo “La dad nell’anno scolastico 2020-21: una fotografia. Il punto di vista di studenti, docenti e dirigenti”, realizzata insieme al centro studi “Crenos” e al dipartimento di scienze economiche e aziendali dell’Università di Cagliari. Per la prima volta si è preso in considerazione il punto di vista di tutti i protagonisti dell’istruzione raccogliendo complessivamente le risposte di 105 dirigenti scolastici, 3.905 docenti, 11.154 studenti. Il quadro che ne esce è a tinte fosche. Ciò che colpisce è che l’impianto didattico tradizionale non è stato modificato per nulla. Per nove studenti su dieci, lezioni in video, verifiche e compiti a casa sono state le uniche proposte dai docenti. Solo in un caso su tre sono state svolte ricerche che gli studenti potevano fare in autonomia e/o in gruppo, mentre in meno di un caso su cinque sono state sperimentate le più innovative piattaforme digitali che propongono giochi didattici, app ed esercizi interattivi. Un dato confermato dai docenti e dai presidi. Poco usati anche i laboratori tecnico-pratici per i quali le indicazioni ministeriali consentivano l’offerta in presenza: più di due docenti su tre non li hanno proposti. Persino le valutazioni non sono cambiate: due studenti su tre hanno affermato che i loro voti sono rimasti identici rispetto a quelli che avrebbero ricevuto in presenza.

Altre sanatorie e ritorno alle classi pollaio: i passi indietro delle norme sulla scuola

La politica è do ut des: ieri, in Commissione Bilancio alla Camera, nel Sostegni bis il Pd ha ottenuto di allargare le assunzioni dei docenti precari per coprire gli eventuali posti vacanti che ci saranno a settembre in cambio della concessione al M5S del voto sulle assunzioni per i docenti specializzati sul sostegno. Ancora altri posti, insomma, per i precari che hanno almeno tre anni di servizio, un’altra sanatoria che prevederà una prova all’ingresso (si vedrà poi in cosa consisterà) e una alla fine dell’anno per avere poi il tempo indeterminato e che, nonostante tutto, ha – apparentemente – innervosito la Lega che si è astenuta quando però era ormai consapevole che l’emendamento sarebbe passato. Astensione che, di fatto, fa bene sia all’immagine del Pd, sia a quella della Lega, sia ai 10mila docenti circa che potranno salire in cattedra. Potranno giovarne, per forza di cose, anche quelli già bocciati al concorso straordinario dei mesi scorsi o a quello ordinario (Stem) ancora in corso, come denuncia l’ex ministro dell’Istruzione Lucia Azzolina. “Non posso e non voglio nascondere la delusione per l’evidente disparità di trattamento (ci sono docenti assunti con sanatoria e altri che hanno fatto prove molto selettive) – ha detto Azzolina –. E anche un po’ di preoccupazione perché, a quanto pare, la qualità dell’insegnamento non interessa. Alla prova dei fatti, il principio del merito è finito nel cassetto. E 400 mila giovani, che si sono iscritti al concorso ordinario, sono stati messi all’angolo, ancora una volta”. Di contro, il M5S ha ottenuto l’assunzione di 11mila docenti di sostegno specializzati, che da anni mancano come il pane. L’accordo è stato talmente forte, così come le pressioni, da superare anche la strenua resistenza della Ragioneria di Stato che ancora giovedì sera non voleva dare il via libera.

Arriva poi anche l’assunzione del personale Covid: quest’anno, da quanto si apprende, le unità aggiuntive per fare fronte a una eventuale emergenza non saranno 70mila ma poco più di 40mila tra docenti e personale Ata, con contratto destinato a chiudersi al 30 dicembre 2021. Tornano le classi pollaio quindi e pure il distanziamento è a rischio. Il loro impiego sarà “finalizzato” solo “al recupero degli apprendimenti da impiegare in base alle esigenze delle istituzioni scolastiche nell’ambito della loro autonomia”. E non potrebbe essere altrimenti visto che non c’è traccia della deroga all’art. 81 del decreto del 2009 che stabilisce come debba avvenire l’organizzazione e la formazione delle classi.

Caso Genovese, l’imprenditore verso il processo

La Procura di Milano ha chiuso le indagini a carico dell’imprenditore del web, Alberto Genovese, per le presunte violenze sessuali ai danni di una 18enne, il 10 ottobre scorso a Milano nel suo attico di lusso “Terrazza sentimento”, e di una 23enne, il 10 luglio 2020 a Ibiza, dopo averle rese incoscienti con un mix di droghe. La chiusura dell’inchiesta riguarda anche la fidanzata dell’epoca di Genovese per il caso di Ibiza. La Procura ha stralciato, invece, le contestazioni su presunti abusi denunciati da altre due ragazze e per i quali il gip Tommaso Perna, non ritenendo credibili le loro versioni, aveva negato l’arresto chiesto dai pm. Per questi episodi, dopo ulteriori valutazioni, si potrebbe profilare una richiesta di archiviazione.

La chiusura delle indagini si riferisce alle imputazioni di violenza sessuale aggravata, detenzione e cessione di stupefacenti e lesioni per il caso del 10 ottobre, quando l’ex fondatore di Facile.it, al termine di un festino nel suo attico di lusso con piscina e vista sul Duomo, avrebbe abusato per ore di una 18enne, che poi lo ha denunciato facendo scattare le indagini. Genovese su arrestato il 6 novembre. Il manager risponde anche dell’accusa di aver stuprato una modella di 23 anni a Ibiza il 10 luglio dell’anno scorso, sempre dopo averle fatto assumere un “cocktail” di cocaina e ketamina. L’accusa riguarda anche la fidanzata di Genovese, che non è stata arrestata. Per questa vicenda l’imprenditore 43enne aveva ricevuto una seconda ordinanza a febbraio. A maggio il gip aveva respinto la richiesta di giudizio immediato. Ora è arrivata la chiusura indagini che prelude alla richiesta di rinvio a giudizio cui seguirà l’udienza preliminare. Non è escluso che l’imprenditore scelga il rito abbreviato, che gli consentirebbe di ottenere uno sconto di un terzo sulla pena e un processo a porte chiuse.

“Non ce n’è Coviddi”: il padre di Angela da Mondello tra i furbetti del cartellino

Tra gli accusati di essere un “furbetto del cartellino” al Comune di Palermo e nelle partecipate Reset e Coime c’è anche Isidoro Chianello, 60 anni, dipendente di Reset. Chianello è padre di Angela, famosa come “Angela da Mondello” per la frase “non ce n’è Coviddi” pronunciata in un’intervista, poi diventata un tormentone e una canzone sulla pandemia. La donna, apparsa più volte in trasmissioni tv, ha avuto un periodo di celebrità sui social collezionando fino a 100mila follower.

Secondo l’accusa, dal 12 giugno al 7 agosto 2018 in sei occasioni Chianello si sarebbe allontanato dal lavoro per faccende personali, tornando poi “ai Cantieri culturali in bermuda e ciabatte per timbrare l’orario di uscita”, annota il gip Rosario Di Gioia nell’ordinanza che ha disposto anche l’obbligo di dimora per Chianello. Sono 42 gli indagati e 28 le misure cautelari eseguite per truffa ai danni di ente pubblico e falsa attestazione della presenza in servizio: colpiti 11 dipendenti del Comune di Palermo e 17 delle partecipate Reset e Coime che lavoravano ai Cantieri culturali della Zisa. Tra loro anche un indagato per mafia.

L’interpretazione dei test fai-da-te

La ricerca di anticorpi anti-SarSCoV2 è diventato un vero business. I diversi test, persino fai-da-te, affollano gli scaffali delle farmacie. Noi virologi abbiamo le chat colme di messaggi con richieste di chiarimenti, di interpretazione dei risultati ottenuti. Sono coperto? Intanto, coperto da cosa? I vaccini a nostra disposizione, e persino l’immunità acquisita dall’aver contratto la malattia Covid, non ci garantiscono di non infettarci o ammalarci una seconda volta (una terza?). Quindi, eventualmente, la domanda corretta dovrebbe essere se si è “attualmente” immuni. Le nostre difese immunitarie sono affidate a due tipi di cellule: B e T. Non tutti i microrganismi stimolano la loro formazione nelle stesse fasi dell’infezione, non tutti ne producono nella stessa quantità e per la stessa durata. Studiando nel tempo individui che si erano infettati con SarSCoV2 si è notato che le cellule B della memoria specifiche per il virus sono presenti nelle prime fasi della convalescenza. Gli anticorpi (IgG) raggiungevano il picco 20 giorni dopo l’infezione, mentre le cellule B persistevano per oltre 200 giorni. Anche se si può avere un calo degli anticorpi sierici, l’immunità è assicurata dalla persistenza delle cellule B. Le cellule T sarebbero un’efficiente protezione anche quando dovesse mutare la proteina spike. Cosa succede? Malgrado possano diminuire gli anticorpi, resta una memoria che ci protegge molto più a lungo di quanto non si pensi. Allora servono i test pungidito? Dipende dai test e dall’interpretazione. Un recente articolo, pubblicato su Nature evidenzia come un buon numero di individui, dal 20 al 50% della popolazione, abbia un’immunità acquisita nei confronti di alcuni virus respiratori (quello influenzale e il Citomegalovirus) utili per la SarSCoV2. E questa immunità non viene evidenziata dagli attuali test. Insomma, virus schiaccia virus. Ancora una volta, è sempre meglio aver fiducia nella Natura.

direttore microbiologia clinica e virologia del “Sacco” di Milano