Si sarebbe preso beffa di calciatori, allenatori, manager e imprenditori. Si è fatto affidare decine di milioni di euro, ha detto ai suoi clienti che li avrebbe investiti in fondi bancari garantiti, ma poi è “fuggito” dall’altra parte del mondo. O queste, almeno, sono le accuse mosse nei suoi confronti dagli inquirenti. È finito la scorsa notte a Giacarta, in Indonesia, l’esilio dorato, di circa 18 mesi, di Massimo Bochicchio, il broker casertano noto per la presunta truffa, fra gli altri, all’ex allenatore di Juventus e Inter, Antonio Conte, cui avrebbe sottratto oltre 30 milioni di euro. Indagato per riciclaggio internazionale, lo hanno arrestato gli agenti dell’Interpol, che hanno eseguito il mandato di arresto emesso nei mesi scorsi dalla Procura di Milano, dopo gli accertamenti della Guardia di Finanza meneghina. Secondo i magistrati – che nel febbraio 2020 hanno emesso anche un decreto di sequestro preventivo da 10,9 milioni – Bochicchio ha raccolto “da clientela italiana capitali sottratti ad imposizione fiscale” e li ha investiti “in strumenti finanziari esteri, anche mediante transito su rapporti bancari inglesi e successivamente allocati in paesi a ridotta tassazione”. Due le società utilizzate: la Tiber Capital Llp con sede in Londra e la Kidman Holding Limited. Nella Tiber aveva un ruolo Daniele Conte – anche lui raggirato dalle presunte “bugie” di Bochicchio – fratello dell’allenatore Antonio. Secondo il racconto, agli atti dell’inchiesta, del suo ex amico, il presidente del Coni Giovanni Malagò, “quel furfante” di Bochicchio “è riuscito a far figurare la Kidman come una società partecipata al 100% dalla Hsbc (nota banca svizzera, ndr) traendo così in inganno gli investitori”. Contro il broker anche una sentenza della Royal Court of Justice di Londra. Intercettato il 25 agosto 2020, Bochicchio affermava di star gestendo “un investimento di ben 1,8 miliardi”, perché “poi non lo dicono ma non sono 30 di Antonio Conte, in realtà l’investimento è di 106 milioni”. Nella lista stilata dagli inquirenti delle persone che avrebbero affidato denaro a Bochicchio ci sono anche i calciatori Stephan El Shaarawy e Patrick Evra, l’ex ct della Nazionale, Marcello Lippi e suo figlio, il procuratore Davide Lippi, l’altro fratello di Conte, Gianluca, e diversi imprenditori residenti a Monaco. L’inchiesta ora passa da Milano a Roma. È probabile che Bochicchio finirà ai domiciliari: il broker sta trattando con le parti la restituzione dei soldi.
La prima nota sulla “mattanza”: “I detenuti sono pieni di lividi”
C’è una nota del 10 aprile 2020 del coordinatore dei magistrati di sorveglianza, Giuseppe Provitera, che forse è il primo atto ufficiale a mettere nero su bianco la mattanza dei detenuti del carcere di Santa Maria Capua Vetere, avvenuta il 6 aprile. Il magistrato riferì al provveditore campano alle carceri Antonio Fullone, al procuratore di Santa Maria Capua Vetere e al direttore del carcere, che all’esito di un’ispezione del collega Marco Puglia “veniva altresì constatato che alcuni dei detenuti (…) presentano vistose ecchimosi agli occhi e ad altre parti del corpo, che gli stessi riferivano essere state causate dall’aggressione della polizia penitenziaria”. Puglia – e non solo lui – era lì compulsato da alcune segnalazioni, e raccolse le proteste di otto reclusi del Reparto Nilo tra i 14 mandati in isolamento al Reparto Danubio perché indicati come quelli che avevano opposto particolare resistenza alle “perquisizioni”. Gli otto lamentavano di essere stati privati della biancheria da letto e della possibilità di lavarsi e tra loro c’era anche il povero Hakimi Lamine, l’algerino morto suicida all’incirca un mese dopo. Fullone ricevette via mail la nota il 14 aprile e chiese immediatamente alla direzione del carcere “di relazionare con urgenza sui motivi di tali mancanze e su quant’altro evidenziato nella mail”.
Attenzione alle date, in questa vicenda sono fondamentali. Come ha affermato l’allora capo del Dap Francesco Basentini ai pm di Santa Maria Capua Vetere in un verbale pubblicato ieri sul Fatto, Fullone al telefono gli espresse il timore che forse qualcuno “doveva aver esagerato durante le operazioni di perquisizione del 6 aprile 2020”. Non indicò allora le fonti di questa preoccupazione, ma certo erano giunte anche a lui diverse segnalazioni informali, tali da rappresentare fin da subito una situazione con criticità. Segnalazioni che, nell’annotazione dei magistrati di sorveglianza del 10 aprile, trovano una prima conferma.
Fullone, nella relazione di servizio al Dap datata 22 aprile 2020, pur non entrando nel merito della materia oggetto del procedimento in corso, fa riferimento alle “presunte violenze che si sarebbero consumate, pare di comprendere, durante la perquisizione straordinaria” e alla “refertazione sanitaria di un cospicuo numero di personale penitenziario” così come di diversi detenuti, che “restituisce un contesto di resistenze da parte di queste ultime alle operazioni”. A quel punto ci sono dei soggetti refertati, ma quali furono gli accertamenti che il provveditore e la direzione del carcere avevano fin lì assunto? E quando? Quale fu la documentazione prodotta a riguardo? A definire il quadro – scrive sempre Fullone nella relazione a Basentini – “non aiuta la frammentarietà delle comunicazioni della direzione, tanto che lo scrivente ha richiesto tutta la documentazione prodotta”.
Lo stesso provveditore spiega che quella perquisizione si rese necessaria – sottolineandone a più riprese la paternità della scelta – oltre che per le rivolte del 9 marzo e del 5 aprile, dal particolare contesto di quel carcere. Caratterizzato da una “paralizzante debolezza da parte della governance dell’istituto”, con uno “scollamento tra direzione e comando (della polizia penitenziaria, ndr) che emerge nitidamente negli atti prodotti, spesso in modo frammentario. A volte è come se mancasse una assunzione di quelle che sono le inevitabili responsabilità di posizione. Censurabili sono anche i tempi di riscontro alle note”.
Uccise col suv due 16enni. Ora Genovese è già libero
Dagli 8 anni di carcere inflitti in primo grado per omicidio stradale plurimo ai 5 anni e 4 mesi concordati in secondo. Con gli arresti domiciliari che diventano obbligo di dimora. È la pena concordata in appello dai legali di Pietro Genovese, il 22enne che nel dicembre 2019 investì e uccise con il suo Suv due sedicenni in Corso Francia, a Roma. La vicenda processuale nata dalla morte di Gaia Von Freymann e Camilla Romagnoli si conclude così in maniera definitiva.
Avevano festeggiato l’inizio delle vacanze di Natale con gli amici alla pista di pattinaggio dell’Auditorium “Parco della Musica” e in quella notte tra il 21 e il 22 dicembre di due anni fa per tornare a casa stavano attraversando Corso Francia, arteria a scorrimento veloce del quadrante nord di Roma. Sulla Capitale pioveva a dirotto e il Suv guidato dal figlio del regista Paolo Genovese, arrivato a forte velocità, le aveva travolte uccidendole sul colpo. Nelle 197 pagine di motivazioni con cui il 19 dicembre 2020, con rito abbreviato (quindi con la pena ridotta di un terzo), il Gup Gaspare Sturzo aveva condannato Genovese a 8 anni, si legge che Gaia e Camilla furono investite mentre erano “sulle strisce pedonali, (…) dopo che queste avevano iniziato l’attraversamento con il verde pedonale ma si erano fermate per aver notato alla loro sinistra provenire dal precedente semaforo ad alta velocità tre auto”. Il 22enne, scrive ancora Sturzo, aveva “effettuato una serie di sorpassi utilizzando al contempo un cellulare con cui mandava messaggi; superando il limite di velocità in ora notturna; iniziando un ultimo sorpasso di un’auto che aveva cominciato a frenare e, poi, si era fermata”. Dietro quell’auto c’erano Gaia e Camilla. Inutili i soccorsi prestati alle ragazze riverse sull’asfalto. Portato sotto shock in ospedale, Genovese sarebbe risultato positivo all’alcol: il test segnava quota 1.4, tasso 3 volte superiore al consentito, quando nel suo caso, essendo patentato da poco, non avrebbe dovuto bere neanche un bicchiere.
Ieri la Corte d’Assise di Appello di Roma ha ratificato l’accordo raggiunto nelle scorse settimane dalla difesa del ragazzo e dalla Procura generale. Così, dopo un anno e 7 mesi, Genovese non sarà più costretto agli arresti domiciliari: avrà l’obbligo di dimora e dovrà farsi trovare in casa tutte le notti tra le 22 e le 7 del mattino. Per i giudici la misura disposta è adeguata “all’esigenza cautelare sociale” perché è incensurato, si è comportato correttamente durante il processo e la patente gli è stata revocata. “Abbiamo sempre voluto la verità e quella è rimasta. La colpa è solo del ragazzo, l’entità della pena non ci interessa, riguarda la coscienza dei giudici”, ha commentato la madre di Camilla. Le famiglie non comparivano più come parte civile nel processo d’appello perché hanno ottenuto un risarcimento: nella sentenza di primo grado il Gup aveva previsto una provvisionale di 180 mila euro in favore di ciascun genitore, già pagati da un’assicurazione.
“Riaperture inglesi illogiche e poco etiche”
Ciò che si temeva sembra essere avvenuto: i campionati europei di calcio potrebbero essere parte della causa del rapido aumento del contagio di Covid-19 rilevato nelle ultime due settimane in Inghilterra, soprattutto tra gli uomini. La conferma arriva da uno studio dell’Imperial College di Londra.
Intanto oltre cento esperti mondiali hanno scritto una lettera, pubblicata da Lancet, in cui criticano aspramente le riaperture annunciate dal premier britannico Boris Johnson, definendo il piano del governo “pericoloso e poco etico”. Secondo gli esperti, rimuovere le restrizioni rischia di causare milioni di infezioni e di suscitare nei pazienti problemi cronici e disabilità legati al “long Covid”. Una trasmissione non mitigata colpirà soprattutto i bambini non vaccinati e i giovani, che hanno già sofferto molto, senza dimenticare che gli alti tassi di trasmissione nelle scuole e nei bambini porteranno a problemi significativi dal punto di vista dell’educazione. Inoltre una strategia del genere potrebbe fornire un terreno fertile per nuove varianti resistenti ai vaccini, e avere un impatto pesante sui servizi e gli operatori sanitari che non hanno ancora recuperato dalle ondate precedenti. Per gli scienziati “ogni strategia che tollera alti livelli di infezione è non etica e illogica. Il governo si sta imbarcando in un esperimento pericoloso e poco etico, e chiediamo una pausa al piano di abbandonare le misure di mitigazione il 19 luglio”.
Già ora in Inghilterra si sta registrando una crescita dei casi, dovuta molto probabilmente anche a Euro2020, con il 30% in più di positività tra gli uomini. “L’aver visto le partite di calcio potrebbe aver portato gli uomini ad avere piú attività sociale del solito”, rileva Steven Riley, autore dello studio. In particolare la ricerca segnala che la prevalenza del virus SarsCov2 è passata dallo 0,15% dell’inizio di giugno allo 0,59% dell’inizio di luglio. La crescita delle infezioni è diffusa in tutte le fasce d’età sotto i 75 anni, soprattutto tra quelle più giovani, con l’1,33% tra i 13-17 anni e l’1,4% tra i 18-24 anni. Si è inoltre visto che i vaccinati under 65 sono tre volte meno a rischio di essere infettati rispetto ai non vaccinati della stessa età, e che due dosi di vaccino danno una protezione del 72% contro il contagio.
E proprio sull’efficacia del vaccino contro la variante Delta è arrivato un nuovo studio dell’Istituto francese Pasteur, pubblicato sulla rivista Nature, da cui emergono dati importanti. La variante riesce infatti parzialmente a sfuggire agli anticorpi generati o da una precedente infezione da virus SarsCov2, o con una sola dose di vaccino (sia Pfizer sia AstraZeneca), nonché ad alcuni anticorpi monoclonali realizzati in laboratorio. La variante Delta è quattro volte meno sensibile, rispetto alla Alfa, agli anticorpi presenti nel sangue di persone guarite dal Covid fino a dodici mesi dopo l’infezione. Anche una sola dose di vaccino è risultata poco o per niente efficace contro le varianti Beta e Delta: solo il 10% delle persone immunizzate con una dose è riuscito a neutralizzare la Delta. La buona notizia è che con la seconda dose di vaccino invece si genera una risposta neutralizzante nel 95% delle persone. L’indicazione degli esperti di accelerare ora con le vaccinazioni sembra dunque confermata e urgente.
Spagna a “rischio estremo”, ma per l’Italia rimane aperta
L’attenzione di tutti è sull’Inghilterra, ma a preoccupare al ministero della Salute a Roma c’è anche il rapido aumento di contagi e focolai nella penisola iberica. A Parigi, seppur soltanto con una raccomandazione, ieri si sono mossi: “Quelli che non hanno ancora prenotato le vacanze evitino il Portogallo e la Spagna – suggerisce Clément Beaune, ministro degli Affari europei –. Meglio restare in Francia o andare in altri Paesi”. Per ora il governo francese si limita, quindi, a consigliare i propri cittadini, ma Beaune non esclude l’adozione di “misure rafforzate” nei confronti di Spagna e Portogallo nei prossimi giorni se i contagi dovessero continuare ad aumentare. Da Roma, invece, non parte ancora nessuna indicazione, nonostante Spagna e Portogallo siano mete da sempre tra le preferite degli italiani e nonostante ci sia un sostenuto “traffico” turistico anche in questi giorni; al ministero della Salute c’è preoccupazione, appunto, ma le risposte sono lapidarie: “Al momento monitoriamo costantemente la situazione di tutti i Paesi, se ci saranno situazioni particolari interverremo”.
Eppure in Spagna la situazione è già ritenuta “particolare” e, fra le altre cose, la Catalogna ha chiuso le discoteche (in Italia infuria il dibattito sulle riaperture dei locali da ballo) per due settimane. Da Barcellona Oriol Mitjà, docente di Malattie infettive, membro dell’Erc (Consiglio europeo della ricerca), spiega: “Il numero di nuovi casi in Spagna è simile a quello dello scorso gennaio ormai. Ma l’età media dei contagiati si è abbassata a 16/29 anni. La situazione degli ospedali è stabile, per esempio a Barcellona di sei grandi ospedali solo nel Clinic, che serve quartieri di persone benestanti e ricche, si registra un graduale aumento di ricoveri per Covid, con età media 40 anni. Questo perché, a differenza delle precedenti ondate adesso il contagio si sta diffondendo soprattutto nei quartieri abitati dalle classi più ricche, con focolai che partono da eventi notturni, discoteche e festival anche all’aperto. Qualche giorno fa dopo una notte in una discoteca di Solsona, sempre in Catalogna, si sono contati 70 nuovi positivi”. Solo alle Baleari un focolaio ha riguardato 2.500 positivi. E l’incidenza dei contagi in Spagna è tornata al di sopra dei 250 casi registrati negli ultimi 14 giorni ogni 100 mila abitanti, numeri che collocano il Paese iberico di nuovo in fase di “rischio estremo”.
Nonostante questo quadro l’ambasciatore della Spagna in Francia, José Manuel Albares Bueno, però, non ha preso bene i “consigli” del governo Macron e ha ribattuto: “Incoraggio tutti i francesi che lo desiderano ad andare quest’estate in Spagna nel rigido rispetto delle misure in vigore nel Paese: non c’è nulla da temere per i turisti francesi che vogliano recarsi in Spagna; il mio Paese è tra quelli che lottano maggiormente contro il Covid attraverso l’unico mezzo di cui disponiamo per contrastare veramente questo flagello: la vaccinazione. Il 57% della popolazione ha ricevuto una dose di vaccino, il 42% le due dosi o il monodose”.
Un altro Paese dell’area mediterranea molto caro alle vacanze degli italiani è in una situazione drammatica: la Tunisia ieri ha registrato 9.830 casi, 134 decessi. Qui, in più, la campagna di vaccinazione procede molto a rilento con appena il 5% della popolazione già coperta da due dosi di vaccino. Molte zone del Paese, tra cui la stessa capitale Tunisi, sono in lockdown. La portavoce del ministero della Salute di Tunisi, Nissaf Ben Alaya, teme il “crollo” del sistema sanitario: “L’attuale situazione sanitaria è catastrofica, il tasso di casi è aumentato in maniera enorme e il sistema sanitario è purtroppo al collasso”.
E mentre dall’altra parte del mondo il Giappone ufficializza la decisione di svolgere con stadi e impianti senza pubblico le Olimpiadi di Tokyo dal 23 luglio all’8 agosto, già rinviate lo scorso anno, l’Organizzazione mondiale della sanità sintetizza in un tweet: “Quest’estate, se vuoi viaggiare, pensa attentamente se è davvero necessario, farlo comporta rischi”.
Ex Ilva. Altre 13 settimane di Cig in attesa del piano
S ul futuro dell’ex gruppo Ilva il governo prende tempo: ha deciso per ora di estendere alla situazione di crisi in cui si trovano le acciaierie di ArcelorMittal, a un passo dal diventare Acciaierie d’Italia (il 21 luglio prossimo si insedia il nuovo cda con lo Stato al 50%), le 13 settimane di Cassa integrazione straordinaria senza costi per l’impresa, prevista – per alcuni casi particolari – dall’accordo firmato il 29 giugno con le parti sociali a palazzo Chigi, a fronte dello sblocco selettivo dei licenziamenti. L’annuncio è arrivato dal ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, nel corso dell’incontro convocato al Mise tra azienda, Invitalia e sindacati al termine di un nuovo intenso pressing delle parti sociali dopo il no del mese scorso del Consiglio di Stato allo spegnimento dell’area a caldo dell’ex Ilva di Taranto. “Al termine di questo periodo – ha detto Giorgetti – sarà necessaria e inevitabile la presentazione di un piano industriale aggiornato con nuove realtà a cominciare dal cda integrato”. Per i sindacati, l’impegno sulla soluzione cig è positivo: “È il risultato della mobilitazione dei lavoratori”, afferma la segretaria Fiom-Cgil, Francesca Re David. “Dopo l’insediamento del nuovo cda, si riprenda subito il confronto sul piano industriale”, dice il numero uno della Fim-Cisl, Roberto Benaglia. “Non abbiamo ricevuto alcun tipo di rassicurazione”, commenta il leader della Uilm, Rocco Palombella.
Batterie, per la “gigafactory” Stellantis ha scelto il Molise
La Stellantis di Carlo Tavares ha scelto Termoli: la terza gigafactory europea del gruppo per le batterie delle auto elettriche sorgerà in Molise. Invece, la memoria della Fiat e della famiglia Agnelli “tradisce” Torino e il vecchio stabilimento di Mirafiori: John Elkann, presidente del colosso, neo cavaliere del Lavoro, figlio dello scrittore Alain ma anche nipote dell’Avvocato, non ha potuto (o forse non ha voluto) fare nulla per i luoghi della sua dinastia.
L’annuncio dell’Ad, pronunciato ieri durante l’Electrification Day di Parigi, segna comunque una svolta per la nostra filiera dell’automotive. Senza la “fabbrica delle batterie”, infatti, sarebbe stato impossibile garantire i futuri volumi produttivi: “La scelta di Termoli è coerente nel percorso di Stellantis verso la transizione energetica, sulla scia di Douvrin in Francia e Kaiserslautern in Germania”. Un caposaldo italiano, nella rivoluzione elettrica di Stellantis disvelata ieri: in gara con gli altri produttori mondiali su chi riuscirà per primo a uscire dal motore termico. “Investiremo oltre 30 miliardi di euro entro il 2025 nell’elettrico, mantenendo un’efficienza esemplare per il comparto, in particolare con investimenti del 30% superiori rispetto alla media. L’obiettivo? Vendite di veicoli elettrici, entro il 2030, oltre il 70% in Europa e oltre il 40% negli Usa”.
Ma è la partita che si è giocata sulla scelta tra il Sud e Torino a suscitare più di un interrogativo, soprattutto per il ruolo del governo Draghi e dei ministri dello Sviluppo Economico, Giancarlo Giorgetti, e della Transizione ecologica, Roberto Cingolani. Qualcosa che, con molta amarezza, spiega Giorgio Airaudo, leader della Fiom del Piemonte, che aveva guidato il tentativo di creare una lobby piemontese per assicurare la gigafactory a Torino, forte soprattutto delle competenze del suo Politecnico sulla mobilità elettrica. Con poco seguito, però: un primo appello della sindaca Chiara Appendino, poi una lettera promossa ancora dalla prima cittadina e dal presidente della Regione Alberto Cirio, un appoggio del centrodestra locale e un’attenzione molto distratta del centrosinistra. Cirio e Appendino, ieri, hanno parlato con durezza di “un tradimento” da parte di Stellantis della storia della Fiat e della città.
“Di fatto – dice Airaudo – il governo ha scambiato l’arrivo della gigafactory in Italia con la libertà di scelta, su dove farla, riservata solo all’azienda. La decisione di collocarla a Termoli umilia Torino, nei cui confronti Elkann si dimostra un ingrato”. L’allarme sul futuro è forte: “Sulla decisione devono aver pesato i soldi pubblici del Pnrr per il Sud. Così, però, il governo rinuncia a una politica industriale nazionale e, salvando un territorio a discapito di un altro, si riduce a comparsa. A Torino restano invece gravissimi problemi: perché con la transizione all’elettrico si ridurranno le lavorazioni sui cambi, mettendo a rischio l’occupazione alle Meccaniche di Mirafiori e a Verrone. Si dovrà anche capire come interrompere i 14 anni di cassa integrazione e, soprattutto, come riempire i 3 milioni di metri quadrati di Mirafiori”. Nel suo comunicato di ieri, Stellantis aggiunge che dei vari stabilimenti italiani si parlerà “gradualmente e a tempo opportuno”.
Secondo Airaudo è proprio questa l’ultima spiaggia per Torino: “Questo il governo deve rifiutarlo: prima ha lasciato fare su Melfi, poi non ha interferito sulla gigafactory. Ora invece bisogna costringere Tavares a dare garanzie sulle produzioni in tutta Italia”. Una risposta che l’esecutivo potrebbe pretendere proprio partendo dai soldi necessari per allestire la “fabbrica delle batterie”. Tra i 4 e 5 miliardi secondo le stime: il nostro Pnrr, invece, sbilanciato sull’idrogeno, assegna poco più di un miliardo all’elettrico. Mentre, intanto, partono i primi “scaricabarile”. Con Stellantis che lascia trapelare “il Sud l’ha indicato il governo” e ambienti del Mise che precisano “le scelte finali sono state trattate con Draghi”.
Cashback, licenziamenti & C.: ruspa Draghi
In origine, dopo un mese dall’insediamento del “governo dei migliori”, arrivò il condono fiscale. La prima “manina” che inserì nel decreto Sostegni, nato per ristorare i commercianti rimasti chiusi a causa della pandemia, una sanatoria per tutte le cartelle esattoriali fino a 5 mila euro tra il 2000 e il 2010 per i cittadini con reddito fino a 30 mila euro. Un condono di tradizione berlusconiana che alle casse dello Stato è costato la bellezza di 666 milioni. Non proprio bruscolini. E il centrodestra, la Lega su tutti, iniziò a esultare.
Ma quello del 19 marzo è stato solo l’antipasto di una serie di provvedimenti del governo Draghi con cui è stata smantellata la legacy del Conte-2 e il cui baricentro si è spostato subito a destra. Per rimanere sul fronte dell’evasione fiscale basti pensare al blitz di Draghi in Consiglio dei ministri dell’1 luglio: il cashback finanziato dal governo giallorosa con 4,7 miliardi, che ha dato buoni risultati in termini di moneta elettronica e consumi, è stato sospeso per 6 mesi. Motivo? Per Draghi è una misura costosa e regressiva. Peccato che non ci siano i dati ufficiali per capirlo.
Sul fronte del lavoro, il governo in questi mesi si è dimostrato da subito prono al volere di Confindustria: oltre allo smantellamento del decreto Dignità (ne scriviamo sopra) e all’accantonamento del progetto (spinto dal M5S) del salario minimo che si trovava nella prima versione del Pnrr, le norme più controverse sono state quelle sullo sblocco dei licenziamenti. Il 20 maggio il ministro Andrea Orlando aveva portato in Cdm una norma che prorogava il blocco fino a fine agosto, ma l’asse Confindustria-centrodestra aveva convinto Draghi a rimangiarsi tutto lasciando la data del 30 giugno. A fine giugno però, dopo le proteste di sindacati e di buona parte della maggioranza, il governo ha approvato il decreto correttivo del Sostegni bis che ha prorogato il blocco fino a ottobre per il settore tessile, mentre per tutti gli altri è arrivata la beffa: l’impegno delle aziende è “volontario”. Tant’è che dall’1 luglio le imprese hanno iniziato a licenziare.
Il governo nei primi cinque mesi ha dato anche un’impronta molto poco green nonostante ci sia un ministro dedicato, Roberto Cingolani alla Transizione Ecologica. Questa è stata fatta a misura delle grandi imprese con la Valutazione di Impatto Ambientale da concedere in tempi rapidissimi, la preferenza per gli inceneritori e l’occhio di riguardo per il gas (fonte fossile). Da ultimo è arrivato, come ha scritto ieri Il Fatto, lo scippo di 350 milioni destinati ai parchi nazionali e alla tutela della biodiversità e dell’ambiente tolti al Mite nel decreto correttivo del Sostegni bis per ridurre i mega rincari delle bollette.
Tra i provvedimenti più discutibili di questi mesi ci sono anche le sanatorie sui docenti precari per accontentare Pd e sindacati del ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi, lo svuotamento dei poteri dell’Anac del titolare della Pa Renato Brunetta e un indirizzo chiaro sulle infrastrutture del ministro di area dem Enrico Giovannini: con il decreto Semplificazioni è stata messa una pietra sopra sull’analisi “costi-benefici” del governo Conte-1 e si è tornati al potere del ministro di gestire le faraoniche opere dei prossimi decenni senza controlli. Si è tornati alla legge Obiettivo di Pietro Lunardi. Solo che oggi a Palazzo Chigi non c’è Berlusconi ma Draghi.
M5S nel caos, Pd e destra smantellano il dl Dignità
Si potrebbe quasi definire un blitz, se non fosse che di fatto l’hanno votato tutti i partiti, salvo poi – almeno nel caso di 5 Stelle e LeU – pentirsene. Sta di fatto che è arrivata la prima vera picconata al “decreto Dignità”, che dal 2018 (governo gialloverde) ha messo un tiepido argine al ricorso ai contratti a tempo determinato, esplosi dopo il famoso “decreto Poletti” del governo Renzi che nel 2014 li aveva liberalizzati del tutto. Un autogol per il Movimento 5 Stelle che quel testo lo aveva fortemente voluto e ora tace imbarazzato. Un successo per la Confindustria, che lo ha da sempre messo nel mirino, insieme al Reddito di cittadinanza, e anche per la destra. “Abbiamo aperto una breccia nelle rigidità ideologiche di un decreto fallimentare”, esulta la forzista Anna Maria Bernini.
La modifica, arrivata con un emendamento depositato in commissione Bilancio dai deputati del Pd (primo firmatario Antonio Viscomi), ma identico ad altri presentati da FdI, Lega e Forza Italia, è di poche parole ma dirompente. In sostanza, al netto dei tecnicismi, consente di derogare ai vincoli del decreto dignità permettendo ai contratti collettivi – di qualsiasi tipo, nazionali, territoriali e perfino aziendali, stipulati dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative – di introdurre nuove ipotesi di ricorso ai contratti a termine.
Per capire la portata serve un breve riepilogo. La norma interviene sulle cosiddette “causali” che le aziende devono inserire per motivare il ricorso ai contratti a termine. Dopo la liberalizzazione totale del governo Renzi, il decreto Dignità ha ridotto da 36 a 24 i mesi di durata massima dei contratti e, salvo i primi 12 mesi liberi, ha reintrodotto in parte le causali (esigenze temporanee e oggettive; esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili dell’attività ordinaria etc.). Le causali possono essere impugnate davanti ai giudici e questo scoraggia gli abusi. Per la Confindustria, invece, sono un ostacolo da superare a tutti i costi.
Con la modifica approvata arriva un quasi liberi tutti. Quasi perché le norme prevedono comunque che i contratti siano stipulati dai sindacati nazionali o locali aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative. Niente contratti pirata, dunque, ma non sarà difficile trovare un sindacato confederale pronto a firmare tutto di fronte alla minaccia di non procedere con le assunzioni. Tanto più che è stata una esplicita richiesta di Cisl e Uil.
Questa modifica è la prima davvero strutturale al dl Dignità, visto che finora le causali erano state sospese solo temporaneamente (fino a dicembre) per l’emergenza Covid, e arriva in modo quasi surreale. L’emendamento è stato presentato e riformulato, ottenendo il parere favorevole del relatore in Commissione Bilancio alla Camera dove si stanno votando le modifiche al decreto Sostegni Bis. È stato votato giovedì insieme a diversi emendamenti, ma i 5 Stelle paiono essersi accorti solo dopo di quel che hanno approvato. Fuori di taccuino, l’imbarazzo è palpabile, nessuno vuole parlare e in molti ammettono di non averci capito molto. Il ministero non pare aver dato parere favorevole, a differenza del relatore, che peraltro è del M5S (Giuseppe Buompane). Per tutta la giornata dal Movimento non è arrivata una sola dichiarazione. Solo Stefano Fassina, di LeU, ammette di aver votato per errore e fa sapere che proporrà una modifica correttiva nel primo provvedimento utile (per il Sostegni Bis, ormai, non c’è più tempo: in Senato arriverà blindato). “L’impatto di questa norma può essere devastante – spiega Marco Barbieri, giuslavorista già membro della commissione ministeriale per la riforma degli ammortizzatori sociali – In questa situazione, l’affidamento alla contrattazione aziendale di una norma del genere scatenerà una concorrenza basata sul ricorso alla precarietà. La cosa più sbagliata da fare nella fase di uscita dalla pandemia”.
La novità arriva nel momento in cui i numeri certificano che si è tornati al trend pre-Covid: è solo il lavoro a termine a crescere. Durante l’emergenza, visto il blocco dei licenziamenti, si sono persi quasi 800 mila lavoratori a tempo determinato. Nel trimestre marzo-maggio gli occupati precari sono saliti di 188 mila unità, mentre gli stabili sono scesi di 70 mila unità. Confindustria spinge per un ricambio degli organici liberandosi dei lavoratori più tutelati. E il governo le viene incontro.
Bernardo si presenta, Salvini lo oscura
Doveva essere la sua prima uscita pubblica da candidato del centrodestra a Milano. E la presentazione ufficiale da parte della Lega. Insomma, il giorno di Luca Bernardo. Che però è stato totalmente oscurato da Matteo Salvini, che ha tenuto banco ieri pomeriggio a Palazzo delle Stelline. Referendum sulla giustizia, ddl Zan, aperture post Covid, rapporto con l’Europa i temi toccati dal segretario della Lega stimolato dalle domande (tutte per lui) del neo direttore del Giornale, Augusto Minzolini.
Bernardo ha ripetuto a macchinetta cose già dette: andare nelle periferie, ascoltare le persone, dare importanza al sociale: “La città è in degrado e i milanesi si sentono soli. Hanno paura a uscire di casa”. Poi ritocca a Salvini: “Il giorno dopo la tua vittoria andremo a sbianchettare la pista ciclabile in Buenos Aires”. Per ora davvero poca roba, ma secondo un sondaggio di Tecné il centrodestra sarebbe addirittura in vantaggio: 45% contro 44%. “Sala? Vedo un certo nervosismo…”, dice il leghista, annunciando che “la squadra sarà pronta la prossima settimana, mi auguro con Albertini”. Poi il Capitano parla del governo – “Il ruolo della Lega è di equilibrio – senza accennare al partito unico. In compenso, ne parla Fedele Confalonieri in un’intervista al Financial Times, dando un dispiacere a Berlusconi: “Sono contrario. Ma è un progetto pensato per rilanciare un impero mediatico in difficoltà”. Sembra un film già visto (datato 1994).