“Tifo Conte capo 5S. Draghi in continuità, salvo sul fisco”

Punta alla guida di Roma con il biglietto da visita del ministro dell’Economia che ha contribuito a portare all’Italia i 200 miliardi del Recovery Fund, Roberto Gualtieri. E mentre spera che la crisi dei 5Stelle trovi una soluzione sotto la guida di Giuseppe Conte, considera il governo Draghi in continuità con il Conte2.

Una ricomposizione nel M5S sotto la leadership dell’ex premier è possibile?

Spero che il progetto di Conte vada avanti e si raggiunga un’intesa nel M5S. Ho trovato ingenerose le parole di Grillo nei suoi confronti. E trovo positiva la sua linea, che colloca il Movimento nel campo progressista-europeista.

L’alleanza col M5S può ancora essere una priorità del Pd? O reputa il Movimento troppo fragile?

Condivido la linea di Letta di formare un fronte largo di centrosinistra che si allei con i Cinque Stelle. Noi col M5S abbiamo salvato l’Italia dalla destra: dobbiamo perseguire questa alleanza.

Lei per primo paga il prezzo di un mancato accordo per una candidatura condivisa: correrà contro Virginia Raggi.

Quello che è successo a Roma è responsabilità della Raggi, che non ha saputo trarre le conseguenze dal fallimento della sua amministrazione. Con la sua candidatura ha messo in difficoltà anche molti dirigenti M5S.

Il Cdm ha approvato una riforma della giustizia che reintroduce in parte la prescrizione, un totem per il Movimento, che voi del Conte 2 non eravate riusciti ad abbattere.

La mediazione proposta dalla Cartabia è positiva. Tra noi e i Cinque stelle c’erano posizioni diverse. Il governo sta facendo bene.

Considera il caloroso endorsement di Bettini, che è stato accusato di averle sbagliate tutte, un valore aggiunto o un boomerang?

Bettini è un uomo colto, intelligente e ha sempre combattuto battaglie politiche a viso aperto. Sono onorato del suo sostegno.

Come valuta i primi mesi di Letta? Si dice che la sua sia una linea politica di sinistra.

La linea di Letta è giusta: è giusto dire che equità sociale e giustizia fiscale sono fondamentali per la crescita e lo sviluppo. Trovo provinciale il fastidio per posizioni che sono maggioritarie nel campo progressista mondiale.

Draghi sul blocco dei licenziamenti doveva fare di più?

Sono contento di averlo introdotto, ma è anche giusto che finisca. In parte è stato prorogato e poi è stato fatto un patto sociale con i Sindacati e Confindustria per ricorrere alla Cig e non licenziare. Il governo e il ministro Orlando hanno fatto un ottimo lavoro.

Non le pare che il governo Draghi sia spostato a destra?

Trovo una positiva continuità di questo governo con il nostro. Dal punto di vista del sostegno alla povertà ha confermato misure come il Rem e rafforzato la Naspi. E ha proseguito sulla nostra linea per i Sostegni. Sulla riforma fiscale pesano le posizioni conservatrici della destra in Parlamento, di oggettivo ostacolo a un’impostazione più avanzata.

Il Recovery scritto da voi era molto diverso?

No, lo schema è rimasto lo stesso. È stato completato, con il rafforzamento della parte sulle riforme e l’aumento di risorse su digitale e green.

Sulla governance è ufficialmente caduto il governo giallorosso. Si è trattato di un Conticidio, voluto da più mondi?

La governance di ora è positiva. Conte è stato fatto cadere da Iv che si è unita all’opposizione perché non condivideva l’impianto progressista di quel governo. Per fortuna, c’era la disponibilità di Draghi.

Tornando a Roma: teme Calenda?

No. Registro la sua scelta di non partecipare alle primarie, e di mettersi fuori dal centrosinistra. Così dà una mano alla Raggi da destra. Ma al ballottaggio sono fiducioso che i suoi elettori sosterranno me.

Lei parla di ballottaggio: è certo di andarci? E con chi?

Penso che sarà tra me e Michetti.

Chiederà i voti della Raggi?

I voti non sono nella disponibilità dei candidati sindaci, ma dei romani. Sono fiducioso che voteranno per me e non per Michetti. Penso di aver dimostrato di saper governare bene e penso che i romani ricordino i disastri della destra a Roma.

Che idea della città oppone?

Una città più verde, innovativa e inclusiva, che punta sulla cultura, sul lavoro e valorizza i beni comuni. Con il Recovery si può trasformare Roma, facendo decine di asili nido, decine di case comunità per la sanità territoriale, realizzando infrastrutture sociali e welfare di prossimità. La Raggi ha dimostrato di non essere in grado di spendere le risorse. Io ho contribuito con Conte a ottenere le risorse europee: credo di essere la persona giusta per usarle a Roma.

Perché le periferie dovrebbero votarla?

Il cuore del mio programma è la città dei 15 minuti. Che riduce le distanze e realizza servizi in tutti i quartieri.

G8, eternit e stragi: così la schiforma affosserà i processi

La riforma Cartabia è stata approvata all’unanimità. La tagliola della prescrizione si abbatterà su tutti i processi che non si concluderanno in secondo grado entro due anni, o entro tre, contando la Cassazione. La riforma arriva dove nemmeno Berlusconi con le sue leggi ad personam era riuscito. A rischio ci sono i processi per i grandi disastri e quelli sulle pagine più oscure della Repubblica. Ecco tutti i processi che rischiano di non arrivare più alla fine, e quelli che non avremmo mai visto.

Il Ponte Morandi. Il 14 agosto del 2018 il crollo del viadotto Polcevera ha provocato 43 vittime. A tre anni dai fatti la Procura di Genova ha chiesto il rinvio a giudizio per 59 persone e per due società, la concessionaria Autostrade per l’Italia e la controllata Spea, mentre un fascicolo bis, in fase di indagine, riguarda le falsificazioni sistemiche. Nessuno, ad oggi, ha chiesto il patteggiamento. Si annuncia dunque un dibattimento monstre: “Prima di esprimermi vorrei leggere il testo della proposta – premette il procuratore Francesco Cozzi – certo, prima di stabilire limiti simili occorrerebbe studiare i numeri e la capacità del sistema. Non mi faccia dire altro”. Egle Possetti, portavoce dei familiari delle vittime: “Le premesse sono molto negative”.

Il disastro di Viareggio. Marco Piagentini a Viareggio ha perso due figli e la moglie. In questa stagione dell’anno può uscire solo all’alba e la notte, il suo corpo ustionato non può più sopportare i raggi del sole. La riforma Bonafede era nata proprio per evitare che si ripetesse un caso simile: un disastro colposo con 32 morti cancellata dalla prescrizione. “Sarebbe più onesto dire ai cittadini che non si fanno più i processi perché non servono – dice con amarezza – questa proposta è una vergogna, il messaggio che passa è devastante”.

L’Ilva di Taranto. L’inchiesta “Ambiente Svenduto” di Taranto sull’ex Ilva è arrivata a sentenza 9 anni dopo le prime perquisizioni: il 31 maggio 2021. Gli ex proprietari dello stabilimento Fabio e Nicola Riva sono stati condannati a 22 anni di carcere. Tra i condannati anche l’ex governatore della Puglia Nichi Vendola, 3 anni e 6 mesi. Con la nuova riforma il processo Ilva dovrebbe correre per essere chiuso in tre anni. “La prescrizione non è l’unico tema – spiega Lorenzo La Porta, avvocato delle parti civili – bisogna intervenire sulla capacità dello Stato di portare avanti questi processi”.

L’amianto e la Eternit. Il maxi-processo sui morti per l’amianto di Casale Monferrato, sede della Eternit, è stato prescritto nel 2014: “L’Unione Europea ci chiede sanzioni effettive e dissuasive – ragiona Raffaele Guariniello, ex procuratore di Torino – È nostra responsabilità fare sì che storie simili non cadano nel niente, che non passino messaggi di impunità o giustizia negata. Il tema non è la prescrizione: i processi dovrebbero durare meno per tutti, imputati e vittime. Occorre una Procura nazionale per i disastri e una modifica legislativa: la prescrizione non può essere contata dalla chiusura della fabbrica, la gente continua a morire oggi”.

I morti di Rigopiano. Dodici rinvii in tre anni, dilazioni provocate dall’emergenza Covid e dagli scioperi degli avvocati. Dal 18 gennaio 2017, giorno in cui una valanga investì l’albergo Rigopiano-Gran Resort provocando 29 morti, il comitato delle vittime aspetta che si concluda l’udienza preliminare. “I rinvii tattici servono solo a raggiungere la prescrizione –­dice sconsolato Gianluca Tanda, fratello di Marco, morto sotto la valanga –. È impossibile che il nostro processo arrivi in fondo. Quella di Bonafede era una norma giusta, cancellarla è un errore”.

La trattativa Stato-Mafia. Con le norme della riforma Cartabia, sarebbe prescritto anche un altro importante processo, quello sulla Trattativa Stato-mafia, oggi in appello. In primo grado le condanne sono arrivate ad aprile del 2018 e hanno coinvolto alti ufficiali del Ros dei carabinieri e l’ex senatore Marcello Dell’Utri. Con la nuova riforma il processo sarebbe già finito.

I guai giudiziari di B. Silvio Berlusconi è tra i più grandi prescritti della storia. Nel suo carnet giudiziario – che conta anche alcuni proscioglimenti e assoluzioni – l’ex Cavaliere vanta almeno 8 prescrizioni definitive. È avvenuto anche nel caso della condanna per frode fiscale a 4 anni anni di reclusione: buona parte dei capi di imputazioni sono stati falcidiati dalla prescrizione. E non solo. Berlusconi si è salvato grazie alla prescrizione anche in altri processi. Il primo fu “All Iberian”. Al centro del processo c’erano i 25 miliardi di lire versate in nero al leader socialista Bettino Craxi. In primo grado Berlusconi è stato condannato a 2 anni e 4 mesi, Craxi a 4 anni, assolti tutti i manager del Biscione. Quando il processo arriva in secondo grado (inizia il 17 ottobre 1999) il finanziamento illecito è già prescritto. Ma ci sono anche casi recenti. Come l’inchiesta Unipol. Il 31 maggio 2015 la Cassazione ha confermato la prescrizione per Paolo e Silvio Berlusconi nel processo per rivelazione del segreto d’ufficio legato all’intercettazione di una telefonata tra l’ex segretario degli allora Ds Piero Fassino e l’ex ad di Unipol Giovanni Consorte, nella quale l’ex sindaco di Torino pronuncia la famosa frase: “Abbiamo una banca”. E poi c’è il caso della compravendita dei senatori, con l’inchiesta della Procura di Napoli sui 3 milioni di euro consegnati all’allora senatore di Idv Sergio De Gregorio per passare al centrodestra votando la sfiducia al governo Prodi nel 2008. In primo grado Berlusconi è stato condannato a tre anni di reclusione. In appello arriva la prescrizione.

G8 di Genova. Le violenze e i depistaggi alla scuola Diaz, l’ormai nota “macelleria messicana” e le torture nella caserma di Bolzaneto. Molti dei reati violenti andarono prescritti perché l’Italia, poi condannata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, non aveva una legge sulla tortura. I processi sono durati 12 anni, anche per “l’ostruzionismo della polizia”. Molti dei picchiatori della Diaz non sono stati identificati. Il quattordicesimo funzionario che firmò i verbali falsi dell’irruzione nella scuola non è mai stato identificato.

Moby Prince. La sera del 10 aprile 1991, il traghetto Moby Prince entra in collisione con la petroliera Agip Abruzzo nella rada di Livorno: le fiamme si propagano velocemente e il bilancio è di 140 morti e un unico superstite. Partono le indagini ma due mesi dopo, come ha accertato la commissione d’inchiesta parlamentare nel 2018, la Navarma, la Snam che arma la petroliera, l’Agip e gli assicuratori firmano un accordo segreto: Snam avrebbe pagato i danni ambientali, Navarma avrebbe risarcito i familiari delle vittime che in cambio avrebbero rinunciato all’azione legale. Il processo di primo grado per omissione di soccorso e omicidio colposo contro ufficiali di Marina e comandante della capitaneria di porto si conclude nel 1997: tutti assolti perché “il fatto non sussiste”. Due anni e mezzo dopo, però, la Corte d’appello di Firenze ribalta tutto riconoscendo la responsabilità dell’ufficiale Agip Valentino Rolla, ma ormai tutti i reati sono prescritti. Nessun colpevole.

Martina Rossi. Tra i casi recenti più noti di prescrizione c’è quello di Martina Rossi, la ragazza di 20 anni morta il 3 agosto 2011 cadendo dal balcone di un hotel di Palma di Maiorca dove era in vacanza: per l’accusa stava fuggendo dal tentativo di stupro da parte di due ragazzi di Arezzo. Un reato che si prescriverà a settembre. Il padre Bruno Rossi è affranto: “Per un genitore a cui hanno ammazzato la figlia, la prescrizione è una cosa incredibile, assurda”.

Il comitato delle vittime. Le vittime dei disastri italiani si sono costituite di recente nel comitato “Noi 9 ottobre”: “Non è degno di un Paese civile lasciare prescrivere disastri legati al mancato rispetto delle norme di sicurezza – commenta l’avvocato Massimiliano Gabrielli –, occorre tenere fuori da questa riforma i processi di questo tipo”.

“Ce lo chiede l’Europa”: l’ultima balla dei Migliori

IIl governo guidato dall’ex presidente della Bce, Mario Draghi, propone una riforma della Giustizia che non ha nulla a che vedere con quanto ci chiede l’Europa. Da ultimo, la Ue, per concedere i fondi del Recovery, ci ha chiesto una giustizia civile efficiente, dato che la sua paralisi finora ha disincentivato gli investimenti stranieri, e una riforma penale in grado di velocizzare i processi. Ma certo non facendoli morire senza sentenze definitive e permettendo di farla franca a molti imputati colpevoli e potenti, in grado di pagare mega parcelle ai loro avvocati per raggiungere l’obiettivo della prescrizione, secondo la proposta della ministra Marta Cartabia. Per avvocati navigati è un gioco da ragazzi riuscire a sforare i tempi prefissati per l’Appello e la Cassazione in modo da ottenere l’estrema unzione dei processi. Cambia ben poco o nulla e fa ingresso verosimilmente la incostituzionalità della norma, se i tempi prestabiliti saranno, come chiesto da M5S, per alcuni reati gravi come la corruzione e la concussione, rispettivamente 3 anni e 18 mesi, invece che gli inizialmente previsti, per tutti i reati, 2 anni e 1 anno.

Quando ancora non c’era la legge Bonafede, che da gennaio 2020 blocca la prescrizione dopo il primo grado, l’Europa si era lamentata per il nostro sistema. Per esempio, 4 anni fa la Commissione Ue, commentando la nostra prescrizione, scriveva: “Il sistema attuale ostacola considerevolmente la repressione della corruzione, non da ultimo perché incentiva tattiche dilatorie da parte degli avvocati”. Era il febbraio 2015, presidente del Consiglio era Paolo Gentiloni, ministro della Giustizia Andrea Orlando. Pochi mesi dopo la prescrizione cambia, viene varata la legge Orlando, approvata con riserva dall’Europa: passo avanti “anche se la proposta non mette fine ai termini di prescrizione dopo una condanna di primo grado (come suggerito dal Gruppo di Stati del Consiglio d’Europa contro la corruzione)”, cioè il gruppo denominato “Greco”. Quella riforma era, comunque, meno peggio della proposta attuale perché allo sforamento dei tempi processuali prestabiliti, non seguiva la morte dei processi per “improcedibilità” ma ripartiva il calcolo della prescrizione.

La linea europeista, invece, l’ha tenuta il successore di Orlando, il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, premier Giuseppe Conte: viene approvata nel 2019 la legge Spazzacorrotti che include la nuova prescrizione. La Commissione Ue apprezza: “Una riforma benvenuta, che blocca la prescrizione dopo la sentenza di primo grado, cosa che è in linea con una raccomandazione specifica formulata da tempo”. Una riforma che, anche secondo l’Europa, doveva essere seguita, però, da misure per accorciare i tempi dei processi. E l’ex ministro Bonafede le aveva già pronte, con la copertura dei finanziamenti del Recovery. Ma non ha fatto in tempo a illustrarle nella relazione al Parlamento, a fine gennaio, perché in quei giorni è caduto il Conte 2. Quel piano di investimenti per l’ufficio del processo, nuove assunzioni di personale amministrativo, digitalizzazione degli uffici e altro è stato poi recepito dalla ministra Cartabia. Quindi, la cancellazione della Bonafede (il fatto che resterebbe per il primo grado è uno specchietto per le allodole, dato il meccanismo che abbiamo spiegato) è solo il frutto dei diktat di centro-destra e renziani che fanno finta di non sapere che nel resto dell’Europa solo la Grecia ha un sistema dove la prescrizione corre anche in pieno processo. Inoltre, se questo governo volesse ascoltare l’Ue, metterebbe un filtro alle impugnazioni in Appello, il grado di giudizio dove si prescrivono più processi. Non fa, cioè ,l’unica cosa sensata per contribuire a snellire i tempi di giustizia: eliminare il divieto di reformatio in peius, l’impossibilità per i giudici dell’Appello di aumentare la pena per chi impugna e così, senza deterrente, ogni anno continueranno a esserci migliaia di ricorsi pretestuosi per ottenere la prescrizione.

“È una Caporetto”. La rabbia nel M5S per i 4 sì a Draghi

Restava solo la giustizia, l’ultima trincea. Ma anche l’ultimo stendardo è perso. Ancora acefali, divisi e quindi fragilissimi, i Cinque Stelle sacrificano la riforma della prescrizione dell’ex Guardasigilli Bonafede, il totem che non si doveva sfiorare. Al limite scalfibile solo con il lodo Conte-bis (non Giuseppe) che prevedeva regole diverse solamente per gli assolti in primo grado. La linea rossa da non varcare, posta come condizione per entrare nel governo Draghi, posta al voto degli iscritti. Ma il tempo e la voglia di sopravvivere al governo sono più forti, di tutto. Così il M5S vota perfino sì, alla controriforma della ministra Cartabia, perché i quattro ministri grillini non sono compatti abbastanza per portare fino in fondo la loro (relativa) minaccia, quella di astenersi in Cdm. In cambio del voto favorevole portano a casa qualche correttivo su corruzione e concussione, per cui i tetti processuali verranno allungati. Provano a dire che è stato un pareggio. Senza crederci.

Certo, non era facile dire no al Draghi che tutto ottiene. “E poi, anche se andassimo alla battaglia in Parlamento la riforma verrebbe cancellata del tutto” dicono diversi 5Stelle. Deve averlo pensato anche il capo ancora ipotetico, Giuseppe Conte, che in giornata aveva benedetto la linea dell’astensione, nel nome del pragmatismo. Ma tra i 5Stelle, a Consiglio dei ministri ancora non iniziato, già tanti ruminano di “Caporetto”. Molti sanno che palazzo Chigi ha respinto al mittente la richiesta di un rinvio di una settimana. Perché Draghi e Cartabia hanno fretta, e sanno perfettamente quanto sia fragile il M5S. Così i grillini iniziano una lunga teoria di riunioni. E sin dalla mattina discutono se astenersi o meno, perché ad alcuni già non dire sì a Draghi pare eversivo. I capigruppo Ettore Licheri (Senato) e Davide Crippa (Camera) incontrano la sottosegretaria alla Giustizia, Anna Macina. È lei a informarli che Draghi e Cartabia hanno accettato una delle controproposte del M5S, allungare a tre anni in appello e a un anno e mezzo in Cassazione il tetto per svolgere il processo, almeno per corruzione e concussione. Il massimo (minimo) possibile.

Poi i capigruppo fanno il punto con i ministri e con Bonafede, Il capodelegazione Patuanelli spinge per l’astensione in Cdm: “La prescrizione non doveva essere toccata, era stata una condizione per entrare nel governo”. Luigi Di Maio invece non dice quasi nulla. Ma butta lì un monito: “Vi ricordo che lo scontro sulla giustizia ha rappresentato il requiem già per altri governi”. Tradotto, i governi Conte 1 e Conte 2 sono stati abbattuti anche per la prescrizione. E se ora il M5S si prendesse la responsabilità di dire no, è il sottotesto, verrebbe accusato di volere una crisi di governo. I direttivi delle Camere però sono nervosi, e nelle riunioni pomeridiane chiedono l’astensione, a gran voce. Mentre l’ex sottosegretario Gianluca Castaldi avverte tramite social: “Mi aspetto una presa di posizione dei nostri in Cdm, ricordiamoci perché siamo qui”. La stessa indicazione di Conte, dentro la partita. Anche perché – sussurrano – la disfida con Beppe Grillo sarebbe non lontana dalla risoluzione. Con il Garante che pare disposto ad accettare il no alla diarchia dell’avvocato. Ma ora la realtà è l’accordicchio sulla giustizia. Un 5Stelle di governo scuote la testa: “Non si poteva fare diversamente”. Ma tanti grillini vorrebbero urlare di rabbia, Bonafede tace ma è furibondo. E Alessandro Di Battista bombarda “la controriforma Cartabia, un maxi-regalo all’impunità”.

I 5 Stelle si arrendono: prescrizione addio, ok alla riforma Cartabia

Alla fine, dopo un paio di giorni di riunioni, tormenti e trattative, c’è pure il via libera dei 5 Stelle. Il Movimento sacrifica gran parte della riforma della prescrizione di Alfonso Bonafede, accettando la “nuova” prescrizione portata in Consiglio dei ministri da Mario Draghi e dalla Guardasigilli Marta Cartabia. E lo fa strappando un’unica condizione: che i reati contro la pubblica amministrazione siano inseriti tra quelli più gravi, per i quali i tempi del processo possono allungarsi (senza però rientrare nella categoria degli imprescrittibili). Non più cioè solo due anni in appello e uno in Cassazione – tetto dopo cui i processi si interrompono per “improcedibilità” anche se non si è arrivati a sentenza – ma tre anni in secondo grado e 18 mesi alla Suprema Corte. È questo il compromesso che serve ai 5 Stelle per rivendicare un risultato – “Su corruzione e concussione non arretriamo di un millimetro” – e per evitare la frattura col governo, dopo che per diverse ore i ministri avevano pensato all’astensione.

E così il Cdm, previsto per le 17, slitta fino alle 19 per dare il tempo ai 5 Stelle di cercare una mediazione con il presidente del Consiglio e la ministra della Giustizia. Alla fine l’intesa è sulle stesse modifiche su cui c’era stato un accordo di massima già dal mattino e che, di fatto, sconfessano la ratio della riforma Bonafede. I 5Stelle la ottengono dopo aver minacciato di astenersi in Cdm. E un Draghi piuttosto scocciato li riporta sul sì ridando al M5S quanto gli aveva già concesso e poi tolto, in un gioco dell’oca quasi beffardo.

Non è un caso che a festeggiare siano soprattutto il centrodestra e i renziani, che pure fino all’ultimo provano a logorare i 5 Stelle contestando persino l’allungamento dei tempi per i reati contro la pubblica amministrazione. Così il Consiglio, già slittato, viene sospeso. C’è da riportare nei ranghi innanzitutto Forza Italia, con Renato Brunetta che invoca “miglioramenti” e Maria Stella Gelmini che avverte: “Il nostro gruppo potrebbe non reggere su questo testo”. E ovviamente la renzianissima Bonetti protesta. Ma quando Draghi si appella al “senso di responsabilità” e chiede ai ministri se il sostegno al testo sia unanime, nessuno obietta. E Lucia Annibali, capogruppo di Iv in commissione Giustizia alla Camera, brinda: “Siamo soddisfatti perché oggi si chiude definitivamente l’era Bonafede. I 5 Stelle hanno voluto un contentino last minute per digerire la loro sonora sconfitta”. Figurarsi poi Matteo Salvini, che pure la riforma Bonafede l’aveva votata durante il primo governo Conte e ora invece si sfrega le mani di fronte alla svolta promossa dalla Cartabia: “La riforma della giustizia è necessaria e urgente. I 5 Stelle fanno le bizze, per loro la prescrizione non esiste e siamo 60 milioni di presunti colpevoli”. D’altra parte il testo di Cartabia, che presenta 26 punti, ricorda quella riforma della giustizia da anni auspicata da Silvio Berlusconi e dai suoi, che infatti oggi applaudono: “La riforma è necessaria e urgente – è la versione di Anna Maria Bernini – Il Movimento non ha la maggioranza assoluta in Parlamento e non ci sono più alleati disposti a seguirlo nella deriva pangiudiziaria. Ne prendano atto”. Già, gli alleati. Come se non bastasse un M5S in balia del proprio marasma interno, sulla questione il Pd fa il gioco della destra, assecondando la proposta della ministra.

Nel pomeriggio, quando ancora il Movimento vive il proprio dilemma astensionista, è il segretario dem Enrico Letta a schierarsi: “È ora l’occasione per riformare la giustizia in Italia, dopo decenni di blocchi e di scontro politico. Competenza e terzietà della ministra Cartabia sono una garanzia per tutti. Si tratta di un obiettivo non più rinviabile”.

Pessima premessa per una battaglia, quella in difesa della prescrizione, che il Movimento soffre, tantissimo. Fino alla rassegnazione in serata, che qualcuno vorrebbe pure spacciare per vittoria.

Forza Italia

Gli unici coerenti sul Salvaladri Draghi-Cartabia sono quelli che l’hanno sempre voluto, cioè i berluscones. Tutti gli altri devono semplicemente vergognarsi. Parliamo di una controriforma nata con tre teste, una più mostruosa dell’altra. 1) Il ritorno della prescrizione in Appello (se dura più di 2 anni) e in Cassazione (se dura più di 1) incentiva le impugnazioni e gli ostruzionismi strumentali, moltiplicando il numero e la durata dei processi. 2) Il divieto di appello per il pm, ma non per l’imputato, è stato dichiarato incostituzionale già due volte, da Ciampi e poi dalla Consulta, quando B. ci provò col ddl Pecorella. 3) La direttiva annuale del Parlamento alle Procure sui reati da perseguire e da ignorare è altrettanto illegittima, perché viola l’obbligatorietà dell’azione penale (art. 112); ma è anche indecente perché favorisce i colpevoli dei reati tipici dei parlamentari (e dei loro amici e finanziatori), che si affretteranno a escluderli. Draghi dice che ce lo chiede l’Europa. Falso come Giuda: l’Europa ci ha sempre chiesto di cambiare le regole della prescrizione e ci ha elogiati per come le ha cambiate la Bonafede (norma popolarissima, che contribuì a portare il M5S al 33% e che ora un premier senza un voto cancella con un tratto di penna).

Salvini attacca la legge Bonafede perché è roba dei 5Stelle (“per loro la prescrizione non esiste e siamo 60 milioni di presunti colpevoli”), ma l’aveva promessa anche lui alle vittime della strage di Viareggio: infatti la votò anche la Lega nel 2018-2019, altrimenti non sarebbe mai passata. Per la Serracchiani, capogruppo Pd, la controriforma è “un’opportunità irripetibile per fare una riforma di sistema che serve al Paese. Non si può restare fermi, anche per non mettere a rischio le risorse del Pnrr. È il momento delle soluzioni condivise per il bene della comunità nazionale e non dei muri ideologici che in passato hanno impedito le riforme”. È raro trovare tante falsità e scemenze in sole tre frasi. “Irripetibile” non è, visto che ripete paro paro le controriforme di B., contro cui la Serracchiani si scagliò per vent’anni (basta Google per farla vergognare). Se “serve al Paese”, perché la combatté quando la proponeva il centrodestra, privando il Paese di cotale toccasana? In nome di “muri ideologici” che “hanno impedito le riforme” a causa sua? Il Pnrr non c’entra una mazza: nessuno ha mai promesso all’Europa né l’Europa ci ha mai chiesto di ripristinare la prescrizione, di rendere l’azione penale facoltativa (a discrezione dei politici) né di abolire l’appello del pm. L’Europa ci chiede una giustizia più semplice, efficiente e rapida, quindi con meno prescrizioni, ergo senza impugnazioni né cavilli dilatori.

L’esatto opposto del Salvaladri Cartabia&C. Che andava affossato a ogni costo, anche a quello di far cadere il governo. I classici due piccioni con una fava. Visti questi cinque mesi di “migliori”, ogni giorno che passa è un danno in più. Invece i 5Stelle, partito di maggioranza relativa senza cui il governo non sarebbe mai nato e non esisterebbe più, si sono piegati anche questa volta, anziché votare contro o almeno astenersi e farsi rincorrere da chi voleva salvare la baracca. E l’han fatto nella forma più mortificante, nascondendosi dietro una fogliolina di fico esposta al primo sbuffo di vento: oltre, forse, al ripristino dell’appello del pm, l’allungamento della durata massima dei processi d’appello (3 anni invece di 2) e di Cassazione (18 mesi anziché 12) per alcuni reati, tipo la corruzione (come se le vittime degli altri reati fossero figlie della serva). Una norma chiaramente incostituzionale, che durerà fino al primo ricorso alla Consulta: la prescrizione si calcola in base ai massimi di pena e fissare regimi differenziati per reati puniti con pene simili è illegittimo. Intanto, per gli avvocati o i magistrati collusi sarà un gioco da ragazzi far durare il secondo grado 36 mesi e il terzo 18 per garantire l’impunità ai clienti o compari (bel progresso, rispetto ai 24 e ai 12 mesi di prima). E non più con la prescrizione, che in fase processuale implica un giudizio di colpevolezza e fa salvi i risarcimenti alle vittime: ma con l’“improcedibilità”, che lascia pulita non solo la fedina penale, ma pure la coscienza del criminale impunito. La Cartabia, ex presidente della Consulta, lo sa bene e ha messo nel sacco gli allocchi grillini. I quali peraltro non vedevano l’ora di cacciarvisi: ormai, in piena sindrome di Stoccolma, digeriscono anche i sassi.

Fortuna che erano entrati nel governo Draghi per “vigilare”, “controllare” e “difendere” le loro conquiste: cadute quelle sulla giustizia, dopo il salario minimo, il cashback, l’ambiente, la progressività fiscale, i poteri dell’Anac, il dl Dignità, il no al Ponte sullo Stretto e alle altre opere inutili, i concorsi nella scuola, resta solo il Reddito di cittadinanza. Che sarà raso al suolo quanto prima insieme con loro. Cose che capitano a chi, come Icaro, si avvicina troppo al sole del potere, si ritrova le ali di cera liquefatte e si schianta al suolo. L’unica cosa che in cinque mesi i 5Stelle han saputo “controllare” è il loro harahiri. A questo punto, anche se troverà un accordo con Grillo, Conte dovrà valutare seriamente se gli convenga ereditare un guscio vuoto, anzi pieno di pusillanimi che svendono ideali e princìpi per un piatto di lenticchie. O se non sia meglio costruire qualcosa di nuovo, senza zavorre fra i piedi. O, in alternativa, tornare al suo lavoro, lui che ha la fortuna di averne uno.

Berrettini vola in semifinale, mentre Federer si è arreso

Sono le 6 della sera a Wimbledon. Campo centrale. Prima palla. Serve il canadese Felix Auger-Aliassime. Contende a Matteo Berrettini l’accesso alla semifinale. L’anticamera della gloria tennistica. L’Italia del pallone passa il testimone all’ambiziosa Italia della racchetta.

Aliassime e Berrettini sono amici. Molto. Alja Tomijanovic, la ragazza (tennista pure lei) di Matteo e Nina Ghaibi, la compagna croata di Felix, sono cugine. I due si allenano spesso insieme. E insieme hanno visto le partite dell’Italia. Si conoscono (pur)troppo bene. E questo può generare confusione.

È di Felix il primo punto del quarto di finale. Ma è un fuoco di paglia. A Matteo bastano 38 minuti per intascare il primo set, un netto 6-3, dopo aver fallito però ben sei set-point. Il 25enne romano alterna punti magnifici a errori marchiani. Si trascina le incertezze nel secondo set. Il canadese infatti gli strappa il servizio due volte, e vince per 7 a 5. Matteo si irrigidisce. Patisce l’astuzia dell’amico che sa quali sono le debolezze dell’italiano. Felix, poco per volta, lo conduce sul suo terreno: gioco più prevedibile, lineare, puntiglioso.

Per Auger-Aliassime è il primo quarto in un Grande Slam, mentre Matteo è l’unico tennista italiano ad avere raggiunto in tutti i 4 tornei del Grande Slam gli ottavi, approdando alla semifinale degli Us Open due anni fa, e due mesi fa ai quarti del Roland Garros. Entrambi, sono consapevoli di quanto possa significare l’ingresso in semifinale. Stanno giocando nell’arena più prestigiosa dell’All England Club, il tempio del tennis che gli inglesi dicono di aver inventato, il che non è proprio esatto (però l’hanno codificato). È il torneo più antico del mondo, l’unico “Grande Slam” a essere giocato sull’erba, dà il senso della considerazione di cui gode il nostro migliore tennista, ormai stabilmente dentro l’élite della racchetta, la Top Ten. Un salto di qualità. Segno di rispetto. E di timore per chi, pochi giorni prima, ha vinto il Queen’s, sempre sull’erba, altro torneo molto caro ai british. Qui a Wimbledon gli italiani non hanno mai fatto granché, in semifinale ci arrivò solo Nicola Pietrangeli, nel 1960 (già ai quarti nel 1955) dove venne sconfitto da Roid Laver. Il primo a giocare un quarto è stato l’elegante Uberto de Morpurgo detto il Barone, nel 1928. Nel 1979 venne il turno di Adriano Panatta, battuto ai quarti, come Davide Sanguinetti nel ’98. Nel frattempo, Roger Federer – potenziale avversario in semifinale – è eliminato dal polacco Hubert Hurkacz, n. 14 del tabellone (6-3, 7-6, 6-0), e questo dovrebbe spronare Matteo. Sembra di assistere, in chiave tennistica, a Italia-Spagna. Sofferenza. E speranza. Infatti, il miracolo: a fatica, Berrettini passa con 6-3, 5-7, 7-5, 6-3.

“Ci vorrebbe un premio ‘Raffa’. E Dante era uno psichedelico”

La mia idea è omaggiare la Carrà con il Premio Raffa.

Domani, da Marostica, parte il tour. In che consiste il tributo?

Nel dedicarle l’invito allo scapezzolamento che rivolgo alle ragazze durante Regina di cuori. Spesso si aggiungono, non richiesti, anche gli uomini.

Lei, Piero Pelù, è della generazione che negli anni 70 fu folgorata dall’ombelico e dal Tuca Tuca.

Una fortuna, essere nella pubertà quando arrivò Raffaella e non nei ’50 e ’60 della tv supercastigata. Lei ci scatenò l’ormone. Sapeva essere nazional-popolare e trasgressiva. Una persona vera, in un ambiente di falsi. Solare, simpatica, intelligente, brillante, sexy, materna, compagnona. E fumava come un camionista turco.

Quando vi sentiste per l’ultima volta?

L’anno scorso, per il suo compleanno. Raffaella era nata in giugno, come mamma. L’ultima volta che la vidi fu nel 2016, una mia ospitata a The Voice come suo special vocal coach. Tre anni prima era stata lei, la star ingaggiata nel format, a pretendermi nel cast.

Un’amicizia di lungo corso.

Nel 2000 si era innamorata di Toro Loco e mi aveva invitato a Carramba. In tanti mi dicevano: un rocker come te in una trasmissione trash? Snobismo tutto italiano, perché in Spagna era amata dai metallari. E guardate oggi. I radical chic se lo ficcassero in quel posto, il trash.

L’anno successivo Raffaella la chiamò a Sanremo.

Dove mi permise di parlare delle mine antiuomo prodotte in Italia. Era una donna di cultura, informata. Che faceva una tv popolare.

Sì, ma in tournée non se la caverà senza accennare sul palco a una delle canzoni della Carrà. Un frammento di Rumore?

Perché no? Rumore è la cosa più rock di Raffa, e ha lo stesso beat di Regina di Cuori.

Questo viaggio con i Bandidos arriva in ritardo di un anno.

Saranno con me anche i ragazzi di Fridays for Future. Darò loro spazio in scena e fuori. Dopo la pandemia dobbiamo tornare sulle questioni cruciali del pianeta. E occhio che le mafie non si ciuccino i miliardi del Recovery. Poi, sul fronte artistico, ospiterò i vincitori del contest che avevo organizzato: musicisti, come il duo fiorentino dei Manitoba, danzatori, poetesse.

A proposito di poeti: Dante?

Ho girato l’Italia con Aldo Cazzullo per lo spettacolo tratto dal suo libro. Ho interpretato canti della Divina Commedia, memore delle terzine che alla maturità mi salvarono il culo. Erano sepolte nella mia memoria, le ho collegate anche a due canzoni che ho proposto come crooner: Povera Patria di Battiato per le invettive nel Purgatorio, L’Isola che non c’è di Bennato per il canto di Ulisse.

Lei è El Diablo, l’Inferno è il suo piatto forte.

Nei diavolacci di Malebolge vedi la grandezza di Dante, la commedia dell’arte con secoli di anticipo. Però pure il Paradiso è rock.

Psichedelico.

Il punto è capire di quali droghe si facesse. C’è più Lsd nelle tre cantiche che nei quadri di Bosch.

E anche tanti papi all’indice. Che dire del Vaticano sul ddl Zan?

La Santa Sede dovrebbe far luce su casi horror come i bambini sepolti in Canada. E che i preti gay vengano allo scoperto. Anzi, si sposino, se hanno questa voglia di trombare! L’ho fatto persino io.

Con sua moglie Gianna era al sud quando foste minacciati dalla criminalità per una canzone sui ragazzi di Locri…

Ripartimmo subito, e forse la ’ndrangheta salvò la vita a mio padre Giovanni.

In che senso?

Appena tornati, fu colto da infarto. Faticai a convincerlo a ricoverarsi. Ora ha 94 anni, e si è calmato. Ma fino a poco tempo fa si arrampicava sulle Apuane.

Dove ha origine la sua famiglia. Lo racconta nel libro Spacca l’infinito.

Nonna Guglielmina era convinta che Giovanni fosse stato fucilato dai partigiani. Perché, nel tempo delle rappresaglie, volevano farla pagare a nonno Pietro, diventato fascista per via di un fratello ammazzato dagli anarchici. Si sparse la voce che avessero giustiziato un ragazzo con le fattezze di Giovanni. Ma papà era stato risparmiato da un compagno di scuola, partigiano. Il morto era un altro. Voglio portare un fiore sulla sua tomba, come ogni estate ha fatto mio padre.

C’è Carrère: Cannes al vento

Se ne sono accorti perfino gli americani, che tra Europei di calcio e Festival di Cannes non c’è storia. L’influente deadline ha registrato la fuga dei giornalisti a metà della première di Annette, adducendo spiegazione assai poco cinefila: “Possibly to watch the Spain v Italy soccer match penalty shootout”. Non solo gli Europei, anche l’Europa rema contro, o comunque al largo della Croisette: la Commissione europea opta per iniziative online.

Forse Cannes riuscirà davvero a catalizzare la ripartenza cinematografica continentale, ma i problemi in loco sono evidenti: distanziamento in sala e in coda inesistente, sistema di prenotazione delle proiezioni assai perfettibile, cronisti che incitano alla sollevazione popolare (ieri in sala Bazin per Ha’berech di Nadav Lapid) contro gli organizzatori, sputi come se piovesse, seppur a uso tampone salivare. Insomma, il festival per più di qualcuno non andava fatto, di sicuro non così, e già c’è chi guarda a Venezia, che parte tra otto settimane: Parallel Mother di Pedro Almodovar, chiamato qui a consegnare la Palma d’onore a Jodie Foster, Nightmare Alley di Guillermo Del Toro, con cast all star, The Power of The Dog di Jane Campion, Spencer di Pablo Larrain con Kristen Stewart nei panni di Lady Diana, The Hand of God di Paolo Sorrentino, l’offerta accreditata da The Hollywood Reporter alla Mostra è lusinghiera. Nel frattempo, la Croisette perde quel che l’ha resa inimitabile: le star.

Juliette Binoche è in America e, un colpo al Covid e uno al set, non accompagna il terzo passaggio dello scrittore Emmanuel Carrère dietro la macchina da presa, Ouistreham (Between Two Worlds), che inaugura la Quinzaine des Réalisateurs e verrà distribuito in Italia (da Teodora Film) e Francia a inizio 2022. Dopo il tappeto rosso, Adam Driver salta la conferenza stampa di Annette, e lascia a cantare la sola Marion Cotillard, che proprio sulla celebrità riflette: “Che significa essere una star? È una domanda che mi sono posta spesso nella mia vita. Perché hai bisogno di essere guardato, amato da tante persone? Può costruire la tua fiducia… ma può distruggerti ancora di più. Soprattutto quando non hai molto amore per te stesso. Abbiamo visto tante celebrità morire”. Con divi e dive assenti o a mezzo servizio che senso ha il festival? Anche per la supposta ripartenza, giacché l’intervallo oltremodo dilatato tra stimolo (presentazione a Cannes) e risposta (uscita in sala) è palese: troppi i film in coda causa pandemia, perché il lancio sia subitaneo.

In realtà, segnali positivi non mancano: la Francia ha registrato (mercoledì 30 giugno – domenica 4 luglio) il weekend migliore in epoca Covid con tre milioni e mezzo di biglietti staccati, la Spagna s’è fermata a 612.000 ingressi, comunque un record. E noi? Vinciamo sul campo, meno in sala: complice la Nazionale, martedì 6 luglio abbiamo un primo incasso, Per Lucio, da 17.057 euro. Appunto, non stacchiamo gli occhi dai film.

Carrère fa Yoga, “Io sono arrivato dopo, il film nasce dal desiderio di Juliette Binoche”, ma nell’adattamento del romanzo-inchiesta della giornalista Florence Aubenas, protagonista una scrittrice infiltrata per mesi tra le donne delle pulizie del ferryboat che attraversa la Manica, qualche merito se lo ritaglia. Siamo dalle parti identitarie de L’avversario, e le conseguenze deontologiche perfino più pregnanti: il fine giustifica la menzogna? Soprattutto, l’artista col culo parato può empatizzare con gli ultimi? Temi ancor più sensibili per François Ozon, anch’egli chiamato a dirigere e sceneggiare a partire da un libro: Tout s’est bien passé (Everything went fine) chiama Sophie Marceau, André Dussollier, Hanna Schygulla e Charlotte Rampling a riflettere sul fine vita, celando in una confezione elegante questioni etiche deflagranti. Olia il meccanismo la grazia della Marceau, impareggiabile nella bellezza e nella bravura senza sforzo. Nessuno dei due titoli, e chissà se ne vedremo uno tra gli oltre ottanta del cartellone bulimico e scimunito di Cannes 74, è un capolavoro, ma in sala – Ozon arriverà con Academy Two – troveranno conforto. A differenza di Ha’berech dell’israeliano Lapid, il cui precedente Synonymes aveva giustamente ottenuto l’Orso d’Oro alla Berlinale 2019: altrimenti detto “Il ginocchio d’Ahed” dal nome dell’attivista palestinese Tamimi, tallona un regista antigovernativo israeliano ma perde pubblico, ragione e interesse in un batter d’occhio.

@fpontiggia1

Gli uomini sono esseri anfibi e Hitler è cugino di Mussolini

I cugini dittatori, l’uomo- anfibio, l’accanimento da Covid e pure l’ammissione di colpa. Maturità, ci risiamo. Strafalcioni inclusi.

La sensazione è che quello di questi giorni sia stato l’esame di Maturità della rinascita, arrivato dopo vaccini e prime riaperture, con la prospettiva di una estate quasi normale. La certezza, invece, è che come tutti gli altri, pandemia o non pandemia, didattica a distanza o meno, anche quello di quest’anno porti con sé un bel bottino di situazioni surreali, lapsus e castronerie. Professori inclusi. Ecco allora la nostra ormai tradizionale breve antologia del meglio delle scorse settimane, con annessa votazione.

Gli untori. “Le professoresse ci salutavano solo da lontano – racconta Claudia F., che ha affrontato l’esame in un paesone dell’entroterra campano – si creavano degli assurdi teatrini: quando provavamo ad avvicinarci, scappavano via impanicate urlando ‘distanziamento, distanziamento’. Ci ha fatto molto ridere”. C’è poi chi ha inventato patologie strane: “Soffro di artrite” si è giustificato un professore in provincia di Campobasso per potersi togliere la mascherina e non è mancato, racconta Skuola.net, chi invece non si è neanche giustificato di non averla indossata per tutta la durata del colloquio. “Sono allergico” è stata la risposta più gettonata. Ma alla domanda “a cosa?” nessuno ha saputo rispondere. Voto:80/100 per la creatività.

L’igiene genera mostri. Si narra che una povera lavagna interattiva sia stramazzata sotto l’eccessivo zelo della commissione: qualcuno ha insistito talmente tanto per riempire di gel igienizzante la penna elettronica che il povero dispositivo si è spento definitivamente per non partire mai più. Voto: 59/100 per l’innovazione.

Scambisti. In letteratura e in poesia, invece, si sa che uno vale l’altro. Basta poco e Se questo è un uomo, il celebre libro di Primo Levi, sarebbe stato scritto da Italo Calvino mentre il Decameron sarebbe stato invece firmato da Dante e non da Boccaccio. A questo punto, il gioco della sedia fa un salto di seicento anni: Dante diventa Saba e Leopardi D’Annunzio. E il Diario di Anna Frank? Chissà chi lo ha scritto… Voto: 100/100 per la memoria.

Questi uomini!Sentimentale invece la testimonianza di una ragazza su Twitter. “Durante l’esame di maturità stavo spiegando come le donne nelle opere di Pirandello in alcune circostanze vengono viste come madri dai partner e dato che ero in ansia ripetevo meccanicamente. A un certo punto inizio a pensare al mio ragazzo e alle coccole e al sostegno che gli do e dico ‘…gli uomini vedono le donne come madri e cercano in loro un rifugio…’, Poi mi accorgo della gaffe e recupero: ‘Questo per Pirandello, ovviamente’. La prof sorride e annuendo sorniona mi dice: ‘ceeerto, ovviamente’” Voto: 98/100 per il romanticismo.

I preferiti. E non si dica, comunque, che questi giovani d’oggi non prendono posizione. “Zola? Era più positivo di Verga e anche più bravo” e se proprio bisogna scegliere, meglio optare per la “curva di Gassman” che quella di Gauss non è che proprio se la ricordino sempre. Come per “D’Annunzio”. Parallelismi? “Era come un tedesco di cui non so pronunciare il nome”. Voto: 70/100 per l’obiettività.

Storia di famiglia. In storia non va molto meglio. Va bene che l’ingresso dell’Italia nella Prima guerra mondiale sia avvenuta nel 1918 invece che nel 1915 (si dirà: sempre in ritardo era!), ma qualcuno avrebbe dovuto avvisarci prima del fatto che Mussolini avesse avuto un noto parente tedesco: con Hitler, secondo uno studente, oltre alle “affinità” ideologiche (che elettive proprio non è parola da poter usare) sarebbero stati addirittura cugini. Teoria del complotto? Qualcosa che ci nascondono? No, solo molta immaginazione e probabilmente l’incapacità di comprendere metafore e similitudini. Peccato: ci si sarebbe potuti appellare almeno a una tara genetica… Voto:100 per la fantasia

Arte scientifica. Il premio Scienza 2021 tocca invece alla ragazza, che con grande determinazione, ha sostenuto che gli esseri umani siano degli anfibi. Rospi e salamandre, notoriamente restii al contatto con noi bipedi e mammiferi, potrebbero non essere stati proprio contenti di questa definizione. Resistenza, invece, per la povera malcapitata che avrebbe impiegato oltre trenta minuti del suo esame orale spiegando e approfondendo dettagliatamente i più piccoli particolari di un’opera d’arte, scoprendo solo alla fine di averla chiamata con un altro nome per tutto il tempo. Voto: decisamente 100 e lode per la tenacia.

I campioni. Poi ci sono loro, quelli che sanno di non sapere e socraticamente esortano i professori a non prendersi in giro. Quest’anno, si legge sulla rassegna locale, in un istituto tecnico il candidato era alle prese con l’elaborato di meccanica-macchine-energia e ha guardato negli occhi il suo commissario: “Bon, prof. Non ho portato nessuna formula e vabbè… Diamole per scontate”. Voto: 60 e via.

Gli ansiosi. Ultimi, ma non nel cuore, quelli che proprio non ce la fanno. Un maturando, mentre era interrogato, ha totalmente rimosso la natura del progetto che avrebbe dovuto presentare riguardante i suoi percorsi di PCTO (l’alternanza scuola lavoro). Il migliore di tutti, però, è lui: nel momento dei saluti finali, uscendo dall’aula, si è rivolto alla presidente della sua commissione d’esame e l’ha chiamata “mamma”. Voto: 100 e bacio in fronte.