Tifosi, fumogeni sulla prudenza

Potremmo utilizzare, adattandolo alla questione, il detto popolare “Paese che vai, usanza che trovi”, ovvero “situazione che hai, virus che trovi”. Una partita a calcio necessita di un quarantena di 5 giorni! È la prima volta. Come ci è consigliato per garantire sicurezza ai nostri viaggi, è buona norma, prima dei nostri spostamenti, consultare il sito del ministero degli Esteri, www.viaggiaresicuri.it. Nell’elenco C sono compresi molti Paesi europei, nonché Gran Bretagna e l’Irlanda. La pagina continua con le normative relative all’Ingresso/Rientro in Italia – dal 21 giugno al 30 luglio 2021. Nel caso in cui non sia possibile presentare la Certificazione verde Covid-19, è comunque possibile entrare in Italia, a condizione di: sottoporsi a isolamento fiduciario e sorveglianza sanitaria per un periodo di 10 giorni, presso l’abitazione o la dimora, informando il Dipartimento di prevenzione dell’Azienda Sanitaria competente per territorio; effettuare un test molecolare o antigenico al termine dell’isolamento fiduciario. Ma ecco, a complicare la vita dei tifosi, subentrare l’ordinanza Ulteriori misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da Covid-19, pubblicata il 18 giugno. Per Regno Unito e Irlanda del Nord sono previste nuove misure. Si prevede che tutti coloro che hanno soggiornato o transitato nei 14 giorni antecedenti all’ingresso in Italia nei suddetti Paesi, è fatto obbligo di: a) sottoporsi, a prescindere dall’esito del test di cui… alla sorveglianza sanitaria e a un periodo di 5 giorni di isolamento fiduciario presso l’abitazione… previa comunicazione del proprio ingresso nel territorio nazionale al Dipartimento di prevenzione dell’azienda sanitaria competente; b) effettuare un ulteriore test molecolare o antigenico al termine dei 5 giorni di isolamento fiduciario. Domanda: il Green pass è valido o no, i Paesi vanno ancora una volta in ordine sparso? La nuova misura non è adottata nei Paesi a noi confinanti. Ha un senso? La vaccinazione ci protegge o no dalle conseguenze dell’infezione da variante Delta? Qual è il dato scientifico che ha suggerito (solo) 5 giorni di quarantena a giugno e 10 in altre situazioni, come, ad esempio, per il rientro da Paesi del gruppo D (Australia, Canada, Giappone, Nuova Zelanda, Repubblica di Corea, Ruanda, Singapore, Stati Uniti, Tailandia), indicati a basso rischio epidemico?

I 2 ex premier e gli lgbt finiti in mezzo

Matteo Renzi, più che modificare il ddl Zan, vuole indebolire Enrico Letta. Il quale Letta è deciso a non modificare neppure una virgola del ddl pur di non darla vinta a Matteo Renzi. Questo lo hanno capito tutti, ma è solo il primo tempo del match. Nel secondo tempo, e se il provvedimento non dovesse passare al Senato, Letta ne addosserà tutta la colpa a Renzi accusandolo di aver tramato in combutta con Matteo Salvini. Negando così, per sordidi interessi, una conquista di civiltà, la possibilità di potersi difendere dai comportamenti violenti a quelle persone discriminate in odio alla loro identità sessuale e disabilità. Ugualmente, Renzi, scaricherà su Letta la responsabilità del naufragio per non avere accettato il compromesso da lui proposto con Salvini. Nel tal caso, Letta verrebbe facilmente messo sotto accusa nel Pd dai renziani incappucciati (anche se li conoscono tutti), cosicché al Nazareno possa ricominciare la rumba sulla ricerca del nuovo segretario (tranquilli, Stefano Bonaccini non fa che riscaldarsi a bordo campo come Bernardeschi).

Esiste anche l’ipotesi che la legge sulla omotransfobia diventi definitivamente legge, con reciproca soddisfazione di Letta e Renzi (scusate, ma qui un po’ ci scappa da ridere). Si dirà: ok, ma da che mondo e mondo questo è il gioco della politica. Si risponderà: ok, ma allora che senso ha tirare in ballo i diritti civili, la difesa dei più deboli, i colori dell’arcobaleno, le sfilate dell’orgoglio gay, gli anatemi vaticani, i silenzi di Papa Francesco, i valori della cristianità, Dio, Patria e Famiglia, l’utero in affitto, sono gli eterosessuali quelli da difendere, salvate l’uomo bianco, scompariranno la mamma e il Natale, ti arrestano se sei contrario all’utero in affitto, come diventare trans sarà materia d’insegnamento obbligatoria nelle scuole, la carestia, le cavallette e (horribile dictu) il futuro del governo dei Migliori, ma forse anche l’esito della finale di Wembley, per non parlare dei Ferragnez, se poi tutto deve ridursi allo scazzo eterno, irriducibile, insanabile di uno che un giorno tolse la campanella del Consiglio dei ministri a quell’altro?

La destra renziana e i 5 stelle di Bologna

Al renziano desaparecido Ernesto Carbone, ex deputato del Pd e trombato nel 2018 perché gli elettori gli hanno fatto “ciaone” (citazione sua), non basta conquistarsi il suo quarto d’ora di celebrità su Twitter sproloquiando contro il M5S, il partito che aveva contribuito a eleggerlo (il Pd) e difendendo le gesta di Renzi. Ora Carbone vuole pure mettere bocca sulle alleanze dei giallorosa in vista delle Comunali di Bologna. Lui sostiene che “i grillini non sono in coalizione”: “Il Pd chiarisca – dice Carbone – i 5S non hanno firmato il patto del centrosinistra”. Non solo il renziano Carbone ha provato a rompere l’alleanza Pd-M5S facendo correre Isabella Conti, ma ora, dopo la sconfitta della sindaca alle primarie contro Matteo Lepore, vuole anche buttare fuori i 5S dalla coalizione elogiando l’ex ministro Udc, Gian Luca Galletti. Il tutto mentre a Roma i renziani flirtano con la Lega. Il famoso “centrosinistra” alla Carbone.

Direttive politiche ai Pm: ossessione dai tempi di B.

Che ci sia ognun lo dice, dove sia nessun lo sa…

La frase, coniata per l’Araba fenice, poi applicata alla “fede degli amanti” e persino al Green pass, con un po’ di spregiudicatezza si potrebbe estendere alla riforma del processo penale. Nel senso che se ne sente parlare da sempre, ma con scarsi risultati. Persino dopo la riforma del 1989 che avrebbe dovuto essere “epocale” e invece ha risolto ben poco. Anzi ha scatenato un lungo “corpo a corpo” fra Parlamento e Corte costituzionale. Finché il Parlamento non ha preso il toro per le corna: imponendosi con una legge costituzionale del 1999 e con la legge ordinaria del 2001 sul giusto processo, così da modificare profondamente l’intero assetto del processo riformato nel 1989.

Troppo “giusto” però il nuovo processo non è riuscito a essere, e sono riprese polemiche feroci in un quadro di sfascio inarrestabile della giustizia. Ed eccoci di nuovo daccapo, con i progetti predisposti prima dal ministro Alfonso Bonafede e ora dalla ministra Marta Cartabia con l’apposita commissione presieduta da Giorgio Lattanzi.

Cartabia e Lattanzi sono stati presidenti della Corte costituzionale. Conoscono certamente il “corpo a corpo” di cui abbiamo detto, e quindi sanno bene quanto il potere politico sia suscettibile e non tolleri di essere contraddetto dai giudici, fossero pure quelli supremi della Consulta. È bene sottolinearlo perché il progetto Lattanzi (quanto meno allo stato degli atti) prevede una novità clamorosa: le linee guida sui criteri di priorità dell’esercizio dell’azione penale che dovrebbe tracciare il Parlamento (rectius, la maggioranza politica contingente). Vero è che sarebbero anche previste interlocuzioni con il Csm e che alla fine spetterebbe agli uffici giudiziari tradurre in cifra operativa gli indirizzi della politica, ma il precedente del “corpo a corpo” è inquietante.

Tanto da autorizzare alcuni dubbi. Cosa accadrebbe se la magistratura (Csm e singoli uffici) non si uniformasse ai dettami della politica perinde ac cadaver, come i gesuiti sono tenuti a fare col Papa? Ci sarebbe un rischio per l’effettività dell’indipendenza della magistratura?

Interrogativi legittimi, se si pensa che quello delle direttive politiche per la trattazione prioritaria di alcuni temi escludendone altri è stato un chiodo fisso di una certa politica, in particolare ai tempi di Berlusconi. Oggi qualcuno potrebbe approfittare della crisi catastrofica della magistratura non per arginarla davvero, ma per realizzare il vecchio disegno (sogno?) di regolare definitivamente i conti con una magistratura troppo molesta in quanto troppo indipendente. Indubbiamente Cartabia e Lattanzi sapranno come tener conto anche di questo profilo, senza che occorrano segnalazioni altrui. Ma la posta in gioco è troppo alta per non rischiare di essere persino petulanti.

Per esempio provando a fare un esempio concreto, se si vuole ai limiti del paradosso, ma utile per intendersi. Supponiamo che la maggioranza politica del Parlamento un bel giorno decida di indirizzare le priorità nel senso di posporre a tutti gli altri (in sostanza non farli più) i processi per concorso esterno in associazione mafiosa – che tanto infastidiscono certi galantuomini – argomentando magari sul fatto che sono troppo lunghi per la loro obiettiva complessità. Csm e magistrati che osassero dissentire dovrebbero prepararsi a subire ondate furibonde di recriminazioni e attacchi da parte della politica, che parlerebbe a tutto spiano di attentato al suo primato, invasione di campo, golpe giudiziario ecc. Ne vale la pena, oppure è roba che fa a pugni con il principio della separazione dei poteri, tanto poco amato (absit iniuria…) da un certo Orbán?

Basentini: “Il funzionario mi disse: hanno esagerato”

C’è un momento in cui l’allora capo del Dap sembra esser informato che nel penitenziario di Santa Maria Capua Vetere qualcuno “doveva aver esagerato durante le operazioni di perquisizione del 6 aprile 20”. Gli “rappresentò, adombrò” “la sua convinzione” il provveditore campano alle carceri Antonio Fullone “in tempi che non riesco a contestualizzare, durante una telefonata, non so sulla base di quali fonti. Ciò avvenne durante una conversazione relativa a un altro argomento, le problematiche dell’emergenza Covid. Io, comunque, attesi la relazione di Fullone del 22 aprile 2020”. Che, conferma l’ex capo del Dap, non riportava una riga sulle aggressioni ai detenuti.

È uno dei passaggi chiave del verbale reso da Francesco Basentini davanti ai pm di Santa Maria Capua Vetere che indagano sui furiosi pestaggi compiuti dalla polizia penitenziaria nel carcere sammaritano.

Sentito il 30 ottobre 2020 come persona informata dei fatti, ricostruisce il clima di quei giorni: le azioni messe in campo per contenere la diffusione del contagio negli istituti penitenziari, la conseguente sospensione dei colloqui tra detenuti e familiari, le rivolte. Che ci furono anche a Santa Maria Capua Vetere. E poi quella “perquisizione straordinaria” ordinata oralmente da Fullone e degenerata nelle violenze ormai note attraverso la diffusione di numerosi video. Fullone è stato sospeso dal giudice e poi sollevato dall’incarico. La Procura lo accusa, tra l’altro, di aver disposto una perquisizione “arbitraria e abusiva perché operata al di fuori dei casi consentiti dalla legge”. Sul punto, Basentini dice ai pm: “Durante la mia esperienza non ricordo alcuna situazione in cui il provveditore regionale abbia disposto una perquisizione straordinaria orale, non ho idea se ciò sia mai accaduto”. Aggiungendo che durante i suoi 2 anni alla guida del Dap “non sono stato mai informato delle modalità formali, scritte o meno, attraverso cui era stata disposta una perquisizione straordinaria od ordinaria, non rientrando ciò nelle funzioni del capo del Dap”. Basentini ai pm racconta anche di una telefonata durante la quale “Fullone – è scritto a verbale – mi rappresentò e adombrò, durante una telefonata – non so sulla base di quali fonti – la sua convinzione del fatto che qualcuno doveva aver esagerato durante le operazioni di perquisizione del 6 aprile”. Abbiamo chiesto a Basentini chiarimenti su questo passaggio. Già in quei giorni vi era il sospetto di violenze? E cosa fu fatto dopo? “Sicuramente neanche Fullone aveva alcuna convinzione o certezza, poteva aver maturato l’idea che era successo qualcosa… ma bisogna contestualizzare, a Santa Maria Capua Vetere c’era stato un mese prima un atto di sommossa e stava per essercene un altro. Ma mai in quei giorni immaginammo quelle violenze”. Al Dap poi il 27 aprile arriva la relazione di Fullone: “Diedi subito disposizione al direttore generale di svolgere valutazioni di tipo disciplinare”, spiega Basentini al Fatto. Ma torniamo all’interrogatorio davanti ai pm. Basentini parla anche di una denuncia dell’associazione Antigone. In un passaggio del verbale l’ex pm dice che l’esposto riguardava il carcere di Opera, in un altro – stando al verbale riassuntivo – però spiega che invece parlava di Santa Maria Capua Vetere. “Quando ad un esposto proveniente da Antigone ho proceduto ad inoltrarla alla procura di Santa Maria Capua Vetere. (…) Non ho preso alcuna iniziativa a seguito di tale esposto, limitandomi a trasmetterlo, senza procedere a iniziative ispettive, come normalmente accade nei casi di indagine preliminare in corso”. “Io ricordo un esposto che riguardava il carcere di Opera (Milano), non nego ciò che ho detto ai pm ma ricordo una cosa diversa ora”, spiega Basentini al Fatto. Ma perché non mandare un’ispezione? “Le ispezioni straordinarie non possono essere disposte finchè non c’è un nulla osta dell’attività giudiziaria”. E aggiunge: “Anche se avesse voluto disporre l’ispezione straordinaria il 17 aprile non sarebbe stato possibile: non entrava nessuno in carcere, tutto sospeso per il Covid”.

Ai pm Basentini ha consegnato anche le sue chat con Fullone. Il 15 aprile ad esempio i due tornano a messaggiarsi. Fullone lo informa che “sembrerebbe che stasera Chi l’ha visto? dedicherà spazio al presunto caso Santa Maria… io penso che stiano montando una vera e propria regia”. Fullone quindi gli invia le foto di taglierini, pentole e oggetti contundenti rinvenuti nelle celle. “Un piccolo assaggio di quello che abbiamo trovato”, dice.

L’ex Br Faranda: “Noi, Nar e 007 in via Gradoli? Fu coincidenza”

Coincidenze, solo quello. Per Adriana Faranda, storica brigatista, non c’è nessun collegamento nell’aver condiviso con i Nar un covo di proprietà dei servizi segreti. L’ex terrorista, condannata per il sequestro e l’omicidio di Aldo Moro, è stata sentita come testimone assistita dalla Corte d’Assise bolognese nel nuovo processo sulla strage del 2 agosto 1980. Un processo che vede come principale imputato Paolo Bellini, ex di Avanguardia Nazionale, e che sta provando ad approfondire il ruolo dei mandanti e organizzatori dell’attentato, tra cui Licio Gelli e Federico Umberto d’Amato. A interessare i magistrati, il covo di via Gradoli 96, a Roma, usato dalle Br durante i giorni del sequestro Moro, nel 1978, e tre anni più tardi, nel 1981, dai Nar. Dall’inchiesta della Procura generale è emerso che gran parte degli appartamenti a quel civico erano gestiti da società o persone riconducibili ai servizi segreti. “Non ero a conoscenza che in via Gradoli ci fossero appartamenti riconducibili ai servizi segreti e non ho mai neanche avuto il sospetto che ci fossero contatti tra i brigatisti e i servizi”. Faranda pagava le bollette a Domenico Catracchia, oggi imputato per false dichiarazioni ai pm. L’ex postina venne arrestata nel maggio 1979 in un appartamento insieme alla proprietaria Giuliana Conforto: figlia di Giorgio, spia del Kgb. Come ha ricordato il sostituto pg Umberto Palma, “Giorgio Conforto faceva anche il doppio gioco Usa e Italia”. Sempre Palma ha ricordato all’ex brigatista che l’avvocato di Giuliana Conforto, Alfonso Cascone “era un agente del Viminale”, confidente dell’Ufficio affari riservati di Federico D’Amato (uno degli organizzatori della strage secondo l’accusa). Una ulteriore particolarità, evidenziata ancora dai Pg, ma bollata da Faranda come coincidenza, è che lo stabile di via Massimi 91 a Roma, dove trovò rifugio nel ’78 il brigatista Prospero Gallinari, ospitava “il cardinal Egidio Vagnozzi, che aveva contatti nei servizi e con Giorgio Di Nunzio”, faccendiere oscuro legato a Licio Gelli.

Vaticano, le mani della “cricca” sui fondi Asl. Quella “nota” da 40 milioni per la coop Osa

Il “sistema marcio” che, per gli inquirenti, lucrava sui fondi della Segreteria di Stato del Vaticano, aveva messo le mani anche sui soldi della sanità pubblica laziale. Ben 40 milioni di euro pronti a finire in “gestione” al broker Gianluigi Torzi – indagato dalla gendarmiera d’Oltretevere per peculato, appropriazione indebita ed estorsione nei confronti del Vaticano – e i suoi presunti sodali. Lo strumento doveva essere la Cooperativa Osa, una delle coop bianche più importanti d’Italia, che fornisce migliaia di infermieri agli ospedali romani e non solo. “È in arrivo anche operazione note sanitarie direttamente dal Vaticano per 40 m”, si legge in un messaggio Whatsapp inviato dall’avvocato Manuele Intendente (consulente di Ernst&Young, molto vicino a Torzi) al finanziere Renato Giovannini, “fra coloro che avevano pensato di usare l’Obolo di San Pietro come un bancomat”, scrive il gip riprendendo le indagini effettuate dal Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria della Guardia di Finanza di Roma.

L’sms è del 5 giugno 2018. Dalle carte dell’inchiesta si apprende che il giorno successivo, il 6 giugno, Giovannini incontra Giuseppe Maria Milanese, direttore della Osa (prima indagato e poi prosciolto dopo le dichiarazioni collaborative rese agli inquirenti). Il 28 luglio, Intendente scrive a Torzi: “Oggi ho visto le persone della Segreteria che conoscerai a settembre”; poco dopo gli manda il link della cooperativa Osa: “Ti danno intanto i loro crediti (40 milioni) e vorrebbero comprare San Pietro (albergo di Giovannini) tramite il tuo ponte per lo sviluppo. Con accordo blindato oggi per l’acquisto successivo”. La trattativa slitta all’autunno. Il gruppo si rivede il 25 ottobre. Il 9 novembre, Milanese riceve da Intendente un messaggio in cui gli veniva chiesta “una esclusiva per la gestione dei crediti”. Nella stessa giornata, Torzi scrive a Intendente: “Bello allora Osa avanti tutta! Piglia tutto”. La trattativa sui (presunti) crediti Osa, per gli inquirenti, viaggiava di pari passo con quella relativa all’affare del palazzo di Londra – il cui regista occulto, per i pm, era il cardinale Angelo Becciu (nella foto sopra) – che avrebbe portato nelle tasche di Torzi ben 15 milioni di euro. L’obiettivo del gruppo era la “cartolarizzazione” di questi 40 milioni di crediti, che sarebbero potuti essere scontati e reinvestiti nelle “speculazioni” in atto. L’inizio del processo è fissato per il 27 luglio, ma è possibile che le difese chiederanno di posticipare il via alle udienze

Md vuole uscire da Area: “Scissione ormai inevitabile”

Ci sono i “prudenti” e i “radicali”, ma tutti d’accordo che Magistratura democratica debba fare una scissione, anche se questa parola ai magistrati non piace. La sostanza è che, sia pure con analisi diverse sul passato prossimo e sulle modalità di alleanze da fare, dentro la corrente di sinistra sono tutti d’accordo che Md debba tornare a essere un soggetto autonomo e non “disperdersi” in Area, di cui finora ha fatto parte insieme a Movimenti per la Giustizia, formando il cosiddetto cartello progressista dei magistrati. E la scissione da Area sarà al centro del congresso di Firenze, i prossimi sabato e domenica, quando saranno eletti i nuovi vertici in scadenza: al posto di Riccardo De Vito, come presidente, potrebbe essere eletta la giudice romana Silvia Albano e al posto di Mariarosaria Guglielmi, come segretario, il più quotato è Stefano Musolino, pm della Dda di Reggio Calabria, tra i firmatari del documento che ha raccolto più adesioni e scritto, ci risulta, da De Vito e Fabrizio Vanorio, pm napoletano. È un documento che non fa sconti interni rispetto allo scandalo nomine: “Area e Md non possono essere confuse col ‘sistema Palamara-Ferri’ ma “sta anche a Md il compito di prendere nettamente le distanze” da chi in Md e Area ha impropriamente “interloquito con Palamara”. La segretaria uscente Guglielmi, che è tra i “prudenti”, i quali vogliono mantenere, comunque, un rapporto preferenziale con Area, nella sua relazione, invece, accusa di scorrettezza i vertici di Area, e implicitamente il segretario Eugenio Albamonte, per le sue dimissioni da Md, insieme a un’altra decina di toghe: parla di “percorsi paralleli”, di “non detti” e di critiche “pretestuose” subite da Md. Su 4 consiglieri del Csm, di Md, eccetto Alessandra dal Moro, giudice milanese, rimasta iscritta, anche se con il cuore tutto dentro Area, gli altri 3 togati, Peppe Cascini, Elisabetta Chinaglia e Ciccio Zaccaro si sono dimessi da Md nei mesi scorsi.

“La mia querela archiviata senza svolgere indagini”

Il Gip del Tribunale di Napoli, Giovanni Vinciguerra, ha archiviato la mia denuncia nei confronti dei tre dipendenti dell’albergo di Lacco Ameno che mi avevano attribuito dichiarazioni da me mai pronunciate nei confronti di Silvio Berlusconi.

Scrive il giudice nel suo confuso provvedimento: “Le dichiarazioni dei tre dipendenti (…) non sembrano idonee ad integrare il prospettato reato di cui all’art. 371 c.p.: il falso giuramento della parte”, laddove, invece, il “reato prospettato” era quello di false dichiarazioni rese (all’avvocato La Rosa) da persone informate dei fatti nel corso di investigazioni difensive (penali). È sconcertante che il giudice parli di “un falso giuramento della parte”, che può avvenire in un giudizio civile, giudizio civile che, però, non è mai esistito né vi è mai stato un “giuramento della parte”, né giammai è stato “prospettato” tale reato. Così come è sconcertante che il giudice scriva che “l’usurpazione di funzioni pubbliche sia altra condotta ipotizzata ex art. 371 c.p.”, (cioè, ancora una volta, il falso giuramento), laddove il reato di usurpazione di pubbliche funzioni è previsto dall’art. 347 c.p.

Resta, inoltre, inspiegabile perché – con provvedimento non soggetto ad impugnazione – mi sia stata negata la possibilità di far accertare in che modo e da chi l’avvocato La Rosa sia venuto a conoscenza che tre dipendenti di un albergo di Lacco Ameno, di proprietà del senatore e coordinatore regionale di Forza Italia, De Siano, erano disponibili a rendere le dichiarazioni in questione; così come è del tutto improprio che il giudice non abbia disposto che venissero eseguiti quegli accertamenti di natura patrimoniale sui tre dipendenti, già a suo tempo, ordinati dal Pm Sergio Amato alla polizia giudiziaria, e non espletati e che, dovevano, comunque, essere effettuati non essendo mai stato revocato l’ordine di eseguirli.

 

Nel regno di Mou: zero quarantena, zero mascherina

In sella a una Vespa alla Gregory Peck, forse giusto un filo più impacciato, sfreccia fra i viali alberati di Trigoria. Pubblica foto sui social network, fa cose, vede gente, con la mascherina ma non sempre, per non rovinare un’abbronzatura già invidiabile. Lo sbarco di José Mourinho nella Capitale assomiglia più alle Vacanze romane del film che alla triste e rigida quarantena cui avrebbe dovuto sottoporsi come chiunque altro arrivi dall’Inghilterra alle prese con la recrudescenza del Covid-19. Ma lui, in fondo, è sempre stato, e non a caso, lo “Special One”.

Accolto, appena sceso all’aeroporto di Ciampino dall’aereo privato guidato dal presidente Dan Friedkin, come una star planetaria, tra murales, fumogeni e caroselli festanti di tifosi in giro per la città ancora prima di vincere un trofeo – ma che dire, almeno una partita – l’avventura di Mourinho alla Roma è iniziata con un piccolo contrattempo: la fastidiosa ordinanza firmata dal ministro della Salute, Roberto Speranza, che da qualche settimana ha disposto cinque giorni di quarantena obbligatoria per chi fa ritorno dal Regno Unito. Mister Triplete, in realtà, proviene dal Portogallo, ma nelle ultime due settimane era stato a Londra e quindi è incappato nella restrizione. È atterrato venerdì 2 luglio, dunque avrebbe dovuto essere in quarantena fino alla giornata di ieri. E quarantena è stata, anche se un po’ particolare.

Le immagini di questi giorni lo hanno ritratto in occhiali da sole e maglietta sbarazzina della Roma. Mentre osserva i suoi nuovi giocatori che si allenano sul campo (ma rigorosamente da dietro la rete di recinzione). Oppure chiacchiera amabilmente con alcuni dirigenti e l’azzurro Leonardo Spinazzola, appena rientrato dall’Europeo, dopo il terribile infortunio subito contro il Belgio. Insomma, non proprio un isolamento, durante il quale bisognerebbe rimanere all’interno di una stanza dedicata ed evitare contatti di ogni genere, tantomeno domiciliare.

Non è la prima volta che i comportamenti anti-Covid di Mourinho fanno discutere: ad aprile 2020, in pieno lockdown, era già stato pizzicato mentre dirigeva un allenamento di alcuni giocatori del Tottenham in un parco londinese, in barba ai divieti, tanto da essere costretto a scusarsi pubblicamente. In questo caso però non si è verificata nessuna violazione: dalla società giallorossa assicurano che Mourinho sta rispettando le condizioni poste dall’autorità sanitaria, in virtù di un protocollo firmato dalla As Roma e la Asl Roma 2 lo scorso ottobre, che permette ai tesserati del club, in caso di isolamento, di continuare ad allenarsi senza uscire dal tragitto “casa-lavoro-casa”. E lo stesso è stato applicato a Mourinho. Considerata la sua situazione (ha il certificato vaccinale e ha viaggiato con un volo privato), i due tamponi al giorno a cui è stato sottoposto e i ritmi ancora blandi in questa primissima fase di preparazione (non ci sono veri allenamenti di gruppo o grandi riunione), la Asl gli ha accordato il permesso di trascorrere la quarantena nella foresteria del centro sportivo, dove può anche lavorare (e quindi avere contatti con staff, dirigenza, calciatori). Il tutto a condizione di rimanere a Trigoria, da cui non può uscire. Ma con oltre 20 ettari di terreno, campi da calcio, tennis, piscina, palestra, ristorante, uffici, hai voglia a passare il tempo: è quasi un villaggio turistico.

Con mascherine in luoghi chiusi e il giusto distanziamento negli spazi aperti, Mou è libero di scorrazzare per Trigoria e familiarizzare con l’ambiente giallorosso. Certo, nel video pubblicato dal sito del Corriere dello Sport in cui il mister parla con Spinazzola e almeno altre tre persone – Vito Scala, già manager di Francesco Totti, ancora in staff a Trigoria; il general manager Tiago Pinto; il team manager Valerio Cardini; e Massimo Manara medico sociale della Roma che ha accompagnato l’esterno infortunato in Finlandia – sono tutti senza mascherina e appaiono un po’ troppo vicini, anche per le regole del protocollo. Magari è la prospettiva che schiaccia e che inganna. O è solo il fascino magnetico che Mourinho esercita, a cui è impossibile resistere. Di sicuro adesso la clausura (si fa per dire) forzata è finita: il termine scadeva ieri e oggi José Mourinho farà il suo gran debutto da allenatore giallorosso, nella conferenza stampa di presentazione sulla splendida terrazza Caffarelli, con vista panoramica sulla Capitale. C’è da scommetterci, sarà speciale. Come tutto ciò che riguarda Mou, quarantena compresa.