Il primo quesito referendario riguarda la responsabilità civile dei magistrati. Il quesito è: Volete voi che sia abrogata la legge 13 aprile 1988, n. 117 (Risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati), nel testo risultante dalle modificazioni e integrazioni a essa successivamente apportate, limitatamente alle seguenti parti: art. 2, comma 1, limitatamente alle parole “contro lo Stato”; art. 4, comma 2, limitatamente alle parole “contro lo Stato”; art. 6, comma 1, limitatamente alle parole “non può essere chiamato in causa ma”; art. 16, comma 4, limitatamente alle parole “in sede di rivalsa,”; art. 16, comma 5, limitatamente alle parole “di rivalsa ai sensi dell’articolo 8”?
Provo a rendere il quesito intellegibile. L’attuale normativa sulla responsabilità civile dei magistrati, frutto di varie modifiche, prevede che chi lamenta di aver subito un danno ingiusto per effetto di un comportamento, di un atto o di un provvedimento giudiziario posto in essere dal magistrato (compresi, con certi limiti, quelli onorari e giudici popolari delle Corti d’assise) con dolo o colpa grave nell’esercizio delle sue funzioni, ovvero per diniego di giustizia può agire contro lo Stato per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e anche di quelli non patrimoniali che derivino da privazione della libertà personale. Il magistrato, se lo ritiene, può intervenire nel giudizio contro lo Stato (per il caso che lo Stato non si difenda accuratamente).
In caso di condanna al risarcimento del danno, lo Stato deve poi rivalersi sul magistrato ed è obbligatorio esercitare l’azione disciplinare.
Ovviamente questa procedura non vale nelle ipotesi in cui la condotta del magistrato integri un reato, perché la responsabilità penale dei magistrati è identica a quella di qualsiasi altra persona, sicché in tale ipotesi è già possibile l’azione diretta di chi si ritiene persona offesa, nel processo penale attraverso la costituzione di parte civile.
Tutti i magistrati si sono assicurati sulla responsabilità civile stipulando polizze che coprono sia il risarcimento che le spese legali, il cui costo pagano personalmente. Sarebbe infatti da incoscienti non farlo visti i danni che gli atti che un magistrato adotta possono cagionare.
Lo slogan “chi sbaglia paga” è seducente ma sbagliato. Per esempio i dipendenti pubblici che conducono veicoli sono assicurati, ma l’assicurazione è pagata dagli enti pubblici dai quali dipendono.
Lo scopo del referendum è quindi quello di consentire l’azione diretta in sede civile contro il magistrato da parte di chi si ritiene danneggiato anche al di fuori dei casi in cui sia instaurato un procedimento penale. Peraltro rimarrebbero sia l’azione contro lo Stato che quella di rivalsa dello Stato verso il magistrato.
Perché sorgono problemi di ammissibilità di una azione diretta contro il magistrato?
Dopo un giudizio di legittimità della richiesta referendaria da parte della Corte di cassazione, la legge prevede infatti un giudizio di ammissibilità del referendum da parte della Corte costituzionale. Quest’ultima, con sentenza n. 26 del 1987, in sede di giudizio di ammissibilità del referendum abrogativo degli articoli 55, 56 e 74 del codice di procedura civile (anche quello sulla responsabilità civile dei magistrati, ritenne che “la peculiarità delle funzioni giudiziarie e la natura dei relativi provvedimenti suggeriscono condizioni e limiti alla responsabilità dei magistrati, specie in considerazione dei disposti costituzionali appositamente dettati per la Magistratura (artt. 101 e 113), a tutela della sua indipendenza e dell’autonomia delle sue funzioni”. La stessa Corte, con sentenza 19 gennaio 1989 n. 18, richiamando quanto aveva affermato con le pronunzie 15 maggio 1974 n. 128 e 3 aprile 1969 n. 60, aveva ricordato che “la disciplina dell’attività del giudice deve perciò essere tale da rendere quest’ultima immune da vincoli che possano comportare la sua soggezione, formale o sostanziale, ad altri organi, mirando altresì, per quanto possibile, a renderla “libera da prevenzioni, timori, influenze che possano indurre il giudice a decidere in modo diverso da quanto a lui dettano scienza e coscienza””.
Attualmente, in ipotesi di azione contro lo Stato, la giurisprudenza ha escluso che, salva l’ipotesi di intervento volontario del magistrato nel giudizio contro lo Stato, il magistrato non assume la qualità di debitore di chi tale domanda abbia proposto. Ciò si verificherà invece in caso di azione diretta. La conseguenza sarà la possibilità di togliersi di torno un magistrato ritenuto scomodo semplicemente iniziando una causa contro di lui con la conseguenza di obbligarlo ad astenersi o di poterlo ricusare. Tutto ciò, si badi bene, a prescindere dalla fondatezza della pretesa di chi si ritiene danneggiato, dal momento che l’eventuale fondatezza sarà valutata solo all’esito del giudizio (cioè dei suoi tre gradi).
Vi è il rischio inoltre di una “giustizia difensiva”, volta a scansare grane, inducendo il magistrato ad evitare scontri con le parti più forti, più ricche o più potenti, a tutto danno delle parti più deboli. Esattamente il contrario di quella che viene gabellata come “giustizia giusta” da parte dei promotori del referendum. È forse “giusta” una giustizia che schiaccia i deboli e permette ai forti di intimidire i magistrati? Alla luce delle precedenti pronunce della Corte costituzionale e delle considerazioni di buon senso sembra probabile che tale referendum non verrà considerato ammissibile. Peraltro, anche laddove il referendum fosse ritenuto ammissibile e ottenesse la maggioranza dei voti, in assenza di un intervento del legislatore volto a riscrivere la normativa, si profilerebbero questioni di legittimità costituzionale della normativa, come modificata dall’esito referendario, proprio alla luce delle precedenti affermazioni della Corte costituzionale.