Un “X Factor” sotto la Madonnina, sai le risate

Chissà le risate di Giorgia Meloni, romanamente di Roma, ora che ha appioppato a quegli sfessati arroganti dei milanesi un pediatra candidato sindaco, un tale Luca Bernardo, primario del Fatebenefratelli, incaricato, ove mai vincesse, di misurare l’aria nel pancino degli appalti prossimi venturi, la ricorrente febbre della Borsa, il prurito nel naso degli eroi digitali che starnutiscono start-up ogni lunedì mattina, dopo il jogging nel parco e il sushi da consolle. Per sceglierlo è servita una selezione durata due volte X Factor, venti candidati, tutti rigorosamente sconosciuti ai più, tranne l’eterna mascotte di Comunione e fatturazione, Maurizio Lupi, esperto in opere di bene e orologi da polso. Tutti perfettamente inconsapevoli del mestiere di sindaco, che a occhio, doveva essere la qualità indispensabile per candidarsi a umiliare i milanesi. I quali nonostante si siano già sciroppati i commercialisti ladri della Lega, il Trota e l’igienista dentale, continuano a credersi i campioni della competenza. E dell’indifferenza. Non contenta del capolavoro, Giorgia ha arricchito il piatto con due altri emergenti della destra che ogni giorno trionfa nei sondaggi più venduti: il giornalista Vittorio Feltri, 78 anni (“non saprei amministrare nulla, neanche un condominio”) e il sociologo Francesco Alberoni, che a 91 anni si prepara a diventare assessore all’amore del Terzo millennio. Dicono che il bravo Luca Bernardo sia il pediatra di Licia Ronzulli, ultima badante di Silvio B. e che sia stato incoronato per questo. Ma non è del tutto vero. La scelta Giorgia l’ha certamente perfezionata con il suo tonno preferito, Salvini Matteo, che in ogni comizio, se siete stati attenti al suo ultimo periodo rosa, collocabile tra Medjugorje e il ddl Zan, parla sempre a nome e per conto “dei nostri bimbi”. I bimbi! Prima i bimbi! E dai bimbi al pediatra è un attimino.

Mail box

 

Le “Pietre” di Montanari per una società più giusta

Gentile Marco, sono Marco Francia, suo lettore abbonato al Fatto. La rubrica del lunedì Pietre e Popolo di Tomaso Montanari è imperdibile per chi crede in una società diversa, fondata sui valori cari alla sinistra. Questi articoli dovrebbero essere letti minuziosamente, sottolineando i passi fondamentali con la matita. È un esercizio che consiglio agli amministratori e ai politici che tentano un’altra via, diversa da questa, che tra orribili ingiustizie, ci sta conducendo verso il precipizio. Con stima e affetto.

M. F.

 

Giornalisti “bugiardi, ma senza gloria”

Caro Direttore, grazie per la disponibilità. Sto leggendo il suo libro Bugiardi senza gloria. Vorrei chiederle che cosa spinge un giornalista a mentire, sapendo di farlo? Sono arrivato al capitolo che parla della copertura mediatica differente riguardo la sindaca Raggi e gli scandali Sala e Consip. Mi chiedo se questi giornalisti scrivano certe cose in buona fede (obbedendo agli editori e quindi da bravi dipendenti eseguono), oppure godono nel farlo. Secondo lei non hanno un briciolo di rimorso/dignità? Che cosa si può fare per cambiare tendenza? Io nella vita faccio tutt’altro e non ho idea di come si debba scrivere un articolo di giornale, però è irritante vedere come alcune persone diventino schiave del potere screditando i pochi che vogliono cambiare qualcosa. Secondo lei la stampa cambierà con le nuove generazioni?

Giovanni Barbon

Caro Giovanni, le consiglio il vecchio saggio “Discorso della servitù volontaria” di Étienne de La Boétie

M. Trav.

 

Lavoratori in vacanza (forzata). E la sinistra?

Come da intervista di Cofferati al Fatto, l’accordo storico di Landini e compagnucci pubblicizzato dal “rosso metalmeccanico” in tv, ha prodotto i primi licenziamenti: alla faccia dell’autorevolezza di Draghi, che consigliava l’uso della cig. Centinaia, forse

migliaia, di lavoratori vanno in vacanza forzata e i progressisti continuano a litigare tra loro per decidere chi deve comandare e sembrano l’armata Brancaleone, che va in guerra senza esercito tanto loro il lavoro non lo perdono: che vergogna e che tristezza! Se a questo aggiungiamo l’ottimismo del rosso Erri De Luca, che sul Fatto vedeva in giro una voglia di sinistra, non ci resta che pensare “sono tutti omologati” o che non si è ancora capito che essere sinistra significa stare con i più deboli e dare in base ai bisogni, non fare le solite “pippe mentali” tanto care a filosofi, intellettuali e giornalisti progressisti da talk-show che vanno dalla Gruber pensando di fare “la rivoluzione”, ma quella da salotto che forse fa solo aumentare la curiosità (e lo share) e procura ingaggi facoltosi. Il popolo intanto è in vacanza, in cerca della movida e della libertà di assembramento. E la destra avanza!

Lettera firmata

 

5S: Conte non faccia la fine della rana sciocca

Caro Direttore, confesso di aver votato il Movimento 5 Stelle, perché ritenevo che ai partiti tradizionali servisse una scossa salutare dal torpore (è un eufemismo), che li pervade da decenni. Il mio voto ha voluto esprimere una protesta contro le storture di una politica avulsa dalla realtà del paese e, ormai, giunta al lumicino. E come me, milioni di italiani hanno sostenuto il movimento, nonostante gli eccessi di Grillo. Fortuna ha voluto che il M5S abbia espresso con Giuseppe Conte una personalità di alto rigore morale e competente, il quale ha rivelato una finezza politica di cui si avvertiva la mancanza. Perciò, auspico vivamente che il presidente Conte non si lasci convincere in alcun modo a fare accordi con Grillo (rammentiamoci della favola della rana e dello scorpione), poiché solo distaccandosene nettamente potrà, a mio avviso, raccogliere i consensi necessari alla formazione di una forza politica autonoma, seria e affidabile.

Michele Spirito

 

Una petizione contro Berlusconi presidente

Un recente articolo del Fatto, ventila l’ipotesi, per me aberrante, che Silvio Berlusconi sia candidato per diventare il prossimo presidente della Repubblica. Potrebbe il suo giornale promuovere una petizione, affinché si senta la voce chiara e netta di tutti quei cittadini che non vogliono essere rappresentati da questo signore pregiudicato e senza onore, che non ha fatto altro che infangare il nome degli italiani nel mondo? Sono sicura che avrebbe un grande successo. Io e i miei familiari ne saremmo tutti quanti firmatari.

Stefania

Cara Stefania, per ora le possibilità sono sotto zero. Se dovessero aumentare, siamo pronti per partire.

M. Trav.

 

Pregiudicati: concorsi no, ma Colle sì. Assurdo

Requisito indispensabile per accedere alle prove concorsuali per Assistente, Aiuto e Primario ospedaliero, negli ospedali pubblici, è quello di non aver riportato condanne penali! È possibile che un pregiudicato possa candidarsi alla Presidenza della Repubblica? In caso, mi chiedo in quale Stato sia vissuto finora!

Mario A. Querques

L’ex premier è stato fatto fuori anche per colpire il Sud

Caro direttore, caro Marco, ho appena finito di leggere I segreti del Conticidio: eccellente. Non mi dilungo in complimenti e mi limito a sottolineare che andrà consultato a lungo. Alle tue analisi aggiungo un ventunesimo “movente”: evitare che fossero tanti meridionali a gestire i miliardi del Recovery Plan, destinati (parole di Conte in Parlamento) “per il 50 per cento al Sud”. Il 50 con Draghi è diventato 40, ma – occhio! – 40 per cento non di tutto, ma della quota territorializzabile. Come fa una spesa pubblica a non avere ricadute sui territori? Hanno questa caratteristica le missioni all’estero, di cui però ovviamente non c’è traccia nel Pnrr. Nel testo non sono esplicitate, ma da quanto ho potuto accertare tra le voci considerate “non territorializzabili” ci sono l’elettrificazione dei porti di Genova e Trieste e il sistema Ertms di controllo del traffico ferroviario, il quale però – lo svelano le 14 pagine inviate tra gli allegati alla Ue e non diffusi in Italia – è territorialmente definito e quasi tutto al Nord.

Il tema non è se la percentuale per la “priorità Sud” sia del 50, del 40 o del 30 per cento, il punto è che un governo non può mentire affermando che i 3 miliardi per l’Ertms non sono territorializzabili, mentre invia a Bruxelles le tabelle che informano tratta per tratta dove sarà effettuato l’investimento. Infine: il sistema dei bandi, se privo di una quota minima garantita per le aree territoriali più deboli, tende ad allocare le risorse dove le attività economiche sono sviluppate. L’esempio più clamoroso riguarda gli asili nido: il primo bando del Pnrr si è chiuso il 21 maggio (a Pnrr non ancora approvato, ma tant’è) e prevede 700 milioni per scuole dell’infanzia e asili nido, ovvero l’infrastruttura sociale di cui è più carente il Mezzogiorno. Ma il bando assegna un punteggio di favore ai Comuni che cofinanziano (cioè con soldi in cassa), avvantaggiando così Reggio Emilia su Reggio Calabria. In pratica il diritto di un bimbo di 2 anni di frequentare o non frequentare il nido è messo all’asta tra gli enti locali. Far fuori il premier di Volturara Appula – primo meridionale a Palazzo Chigi dal 1989 – vuol dire (anche) tornare alle politiche del “prima il Nord”, il quale non è mai stato il motto di un solo partito.

Marco Esposito

 

Comunali a Milano: il dottor Bernardo, candidato corazzato

Per capire chi è Luca Bernardo, candidato sindaco del centrodestra a Milano, bisogna conoscere i suoi angeli custodi. Ne ha avuti due. Uno aleggiava sulla sua coloratissima Casa pediatrica dell’ospedale Fatebenefratelli: Nicole Minetti. L’altro gli ha fatto da sponda con la politica, necessaria per far carriera nella sanità alla milanese: Fabio Altitonante. Che cosa c’entrano i due con il superpediatra del Fatebene? Flashback. È il 2012. Nicole è consigliera regionale di Forza Italia, eletta nel “listino” bloccato del presidente Roberto Formigoni su richiesta di Silvio Berlusconi, che la vuole ringraziare per i suoi servigi. È stata la sua preziosa igienista dentale presso l’ospedale San Raffaele. Ma è stata anche l’infaticabile organizzatrice delle feste del bunga-bunga ad Arcore. Luca Bernardo, sfruttando la sua formidabile rete di relazioni tra i riccastri milanesi e gli ottimi rapporti con le aziende (specialmente farmaceutiche), ha costruito al Fatebenefratelli la Casa pediatrica, cioè un reparto per i bambini finanziato con soldi della Regione e con donazioni private. All’inaugurazione arrivano vip, damazze e belle signore, tra cui Donata Berger e Gabriella Magnoni Dompè (la regina dell’Oki). Madrina, Michelle Hunziker. Ma la Hunziker non è la prima scelta: prima che a lei, Bernardo aveva chiesto a Nicole Minetti di diventare “angelo custode” della Casa pediatrica. Poi aveva dovuto fare marcia indietro, perché la stampa – ingrata e giustizialista – aveva cominciato a ironizzare sull’“angelo” dei bambini malati che proprio in quelle settimane veniva raccontata nuda al palo della lap dance nella saletta del bunga-bunga di Arcore. La volitiva Nicole, quando ricevette l’invito a diventare “angelo”, era già indagata per favoreggiamento della prostituzione nella vicenda dei festini a luci rosse che stava facendo il giro del mondo (fu poi condannata a 2 anni e 10 mesi).

Il secondo “angelo custode”, Fabio Altitonante, ha avuto maggior fortuna ma è scomparso anche lui dalla scena politica. Quarantenne, abruzzese, ingegnere, è stato prima consigliere comunale di Forza Italia a Milano, poi assessore provinciale, infine consigliere regionale della Lombardia. È cresciuto dentro Forza Italia coltivando un settore molto sensibile dell’amministrazione, quello dell’urbanistica, del territorio, delle infrastrutture e dei lavori pubblici. Proprio grazie a questo impegno del settore edilizia della politica, è riuscito a ottenere un buon numero di citazioni nelle carte delle indagini della Procura distrettuale antimafia di Milano, guidata prima da Ilda Boccassini e poi da Alessandra Dolci: per i suoi contatti, incontri, rapporti con personaggi a loro volta in contatto con i boss calabresi della ’ndrangheta attivi in Lombardia. A sua insaputa, per carità. Mai indagato. Parlava con gente che poi viene indagata per mafia, ma lui che ne sapeva? Quando poi viene promosso alla Regione Lombardia, Altitonante passa a interessarsi del settore più gustoso dell’amministrazione regionale: la sanità, che è la fetta più grossa del bilancio regionale. Lo fa giocando di sponda proprio con Luca Bernardo. Comincia a sfornare una newsletter dal titolo “Fabio Altitonante, la tua voce in Regione”, che arriva inesorabilmente a tutti i medici e a tutti i dipendenti degli ospedali Fatebenefratelli e Macedonio Melloni. Qualcuno gli ha evidentemente passato la lista degli indirizzi email degli ospedali. Può un politico usare la posta di un ospedale pubblico per farsi propaganda? Altitonante sì. Prova a unificare le pediatrie degli ospedali Fatebenefratelli e Buzzi (l’ospedale dei bambini di Milano) in un “polo per la mamma, il bambino e l’età evolutiva”: un grande centro di potere costruito su misura per l’amico Luca Bernardo. Riesce a metà. Poi Altitonante esce di scena. Bernardo resta e ora tenta il grande salto nella politica.

 

Commedia umana. La politica in Italia: come chiedere a un lombrico di volare

Confesso di leggere le cronache politiche con la stessa attenzione e lo stesso trasporto emotivo con cui leggerei i risultati dell’hockey su prato. Con qualche eccezione, perché ci sono personaggi della comédie humaine che travalicano le pagine delle cronache del potere e diventano macchiette esilaranti, caricature. A volte le metafore sono così evidenti che chiamarle metafore diventa un’offesa: la motovedetta libica regalata ai libici dagli italiani che sperona e spara su migranti indifesi è una di quelle. E se la mettete accanto alla foto del presidente del Consiglio che si congratula per lo spirito umanitario della guardia costiera libica, vi darà un’idea di dove siamo finiti: in un gorgo in cui la realtà non c’entra niente, quel che c’entra è il raccontino della realtà, ad uso e consumo di questo e di quello (cioè di questo, Draghi, oppure di quello, Draghi).

Dunque, scorro le pagine e guardo i Tg con l’aspettativa del paradosso che esplode, è il mio Helzapoppin’ quotidiano. Sommario su Repubblica: “Letta richiama Italia Viva alla coerenza”, che è come chiedere a un lombrico di volare. Seguono righe e righe e righe di analisi (questo ovunque) in cui si spiega e analizza che forse i renzisti non sono così di centrosinistra come qualche poveretto ha creduto per anni, e ora – che sorpresa! – brigherebbero insieme a Salvini per portare al Quirinale un presidente della destra. Minchia, che intuizione.

E poi c’è la dietrologia, chiamata così perché “davantologia” fa brutto e bisogna far finta che per vedere la realtà si è scavato a fondo, mentre invece è lì sotto gli occhi di tutti. Che esista un asse ideologico tra i naufraghi di Italia Viva e le potenze della destra rampante e populista è conclamato da anni, ma lo si presenta come “colpo di scena”, “inaudita svolta”, “perbacco”, “ma guarda un po’”. Lo spettacolo d’arte varia di vedere arguti commentatori venir giù dal pero non ha prezzo.

Insomma, c’è da pensare che nei giornali non leggano i giornali, e allora perché diavolo dovremmo leggerli noi? L’ultimo Tetris è quello del Quirinale, per cui si interpretano le astute mosse dei filo-sauditi di Italia Viva sul ddl Zan come una cosa che non c’entra niente con il ddl Zan, ma con il futuro presidente della Repubblica, sulla cui elezione cui i 45 di Italia Viva potrebbero fare l’ago della bilancia. Eletti col Pd, speranzosi di finire in doppia cifra (in effetti, a parte la virgola, 1,5 è doppia cifra), sempre in prima linea per tentare di far vincere la destra (Scalfarotto candidato in Puglia con l’appoggio della “bracciante” Bellanova, ah, che spettacolo!), vengono intervistati come fossero Cavour redivivo, e tutto questo senza scoppiare a ridere, che sarebbe a ben vedere la reazione più sana.

Naturalmente, ogni volta che Renzi fa il suo salto della quaglia c’è chi la prende alla larga e ci spiega con il ditino alzato che ogni compromesso è un compromesso al ribasso, e che bisogna piantarla di fare gli estremisti. Sono gli oliatori, i facilitatori, gente che dalla legge sul divorzio avrebbe tolto l’articolo uno, ma anche il due, il tre, il quattro e così via, perché sono “divisivi”. Se poi alzi gli occhi dalla prima pagina pensando “ma questi sono scemi”, ti prendi dell’ideologico, che secondo loro è una parolaccia tranne quando sono ideologici loro, sempre al servizio occulto di baciatori di salami e di baciatori di pantofole (principesche e saudite). Il vecchio Cuore avrebbe titolato: “Hanno la faccia come il culo”, oggi non si può, sarebbe “divisivo”.

 

Tifare per la distruzione del M5S è da veri sciocchi

Posso comprendere la tentazione cui indulge un esteso “partito trasversale” di ripagare con un “vaffa” il M5S alle prese con le sue attuali convulsioni, avendone esso abusato un po’ indistintamente alle sue origini. Verso partiti e istituzioni. E tuttavia lo considero un grave errore. Sia per il passato, sia per il presente, sia per il futuro.

Per il passato: anche i più critici dovrebbero riconoscere che il M5S ha parlamentarizzato istanze, sentimenti e risentimenti, che, in altri Paesi, hanno gonfiato le vele di formazioni estremiste ben altrimenti inquietanti. Dando voce a domande, reattive e partecipative, largamente diffuse. Specie tra i giovani. Come altrimenti spiegare il loro exploit di consensi sino alla conquista del voto di un italiano su tre? Per il presente: piaccia o non piaccia, il M5S è tuttora decisivo, esprimendo un terzo delle assemblee parlamentari, nel sostegno al governo Draghi e, a breve, nella partita per il Quirinale. Per il futuro: chi non si rassegna a consegnare il Paese alla coppia dei sovranisti nostrani senza neppure provarci ad approntare un’alternativa dovrebbe seriamente interrogarsi se è saggio tifare per la dissoluzione del M5S. Penso persino alla miopia dell’establishment che gradirebbe “eternizzare” soluzioni tecnocratiche di sospensione della dialettica politica alla Draghi, esorcizzando quel fastidioso dettaglio che sono le elezioni. Perché si dovrà pure votare. Ma penso pure al pezzo schizzinoso del Pd, il cui segretario Letta esordì annunciando di ambire certo al governo, ma, finalmente, una tantum, dopo avere vinto le elezioni. Non grazie ad alchimie parlamentari ex post. Levandosi di dosso la nomea di partito ministeriale “condannato a governare” (già Martinazzoli, a proposito della Dc, con autoironia, parlava di una condanna che essa si autoinfliggeva volentieri). Dunque vincere come? Con chi? Con un partito inchiodato sotto il 20 per cento? Come se non fosse bastata la disfatta del 2018 originata dalla teoria megalomaniaca renziana dell’autosufficienza.

Ecco perché, a mio avviso, un sincero democratico, ancorché non di sinistra, dovrebbe resistere alla tentazione cui ho fatto cenno. Ciò detto, non nascondo la preoccupazione e persino un certo scetticismo. Temo che sia assai difficile porre rimedio al danno prodotto dalla delegittimazione di Conte operata da Grillo. Essa ha posto un dilemma quasi insolubile. Comprendo i pontieri, consapevoli dei costi di una scissione. Un danno per tutti. Ma fatico a credere che si possa venire a capo del conflitto, personale e politico, ritoccando qua e là la bozza di statuto stilata da Conte. Per due ragioni. La prima: mi pare irrimediabilmente minato il rapporto di fiducia e comunque questo sciagurato passaggio ha depotenziato gli uni e gli altri, semmai dilatando a dismisura i fronti esterni ostili. La seconda: a mio avviso, Conte incarna il positivo approdo di un processo di maturazione del M5S sotto vari profili: senso delle istituzioni, cultura di governo, europeismo, scelta di campo.

Mancava e manca un solo ma decisivo scoglio: appunto quello della democrazia interna, diciamo pure – perché no – della forma-partito. Punto cruciale, come ammonisce la Costituzione all’articolo 49. Non un mero affare interno, ma questione sistemica, che decide dell’affidabilità di una forza politica. Questione che ricade appunto sullo statuto. È sciocco o in malafede chi fa dell’ironia sull’asserita vacuità del problema. Semmai il contrario: “Hic rhodus, hic salta”. Sembrava che si fosse al passo ultimo e decisivo quando, forse non a caso, lo si è rimesso in discussione. Trattasi di nodo eminentemente politico, non di puntiglio personale. Se non lo si scioglie ora e senza equivoci, esso puntualmente si ripresenterà.

 

I casini in Iraq di Rummy: un bordello previsto, un capolavoro d’ipocrisia

Ancora su Rumsfeld e i casini che, diventato capo del Pentagono, combinò con la guerra in Iraq. Come abbiamo visto, era basata su menzogne che lui e altri collaboratori di Bush cercarono di dissimulare, aiutati dall’Iraq Group del maligno Karl Rove, esperto in offensive mediatiche fatte di distorsioni, esagerazioni e false informazioni. Bush: “False informazioni? Quali false informazioni? L’Iraq è PIENO di petrolio!”. Non riuscendo a gestire il bordello che i pacifisti di tutto il mondo, protestando, avevano previsto, Bush chiese l’aiuto dell’Onu. Voleva la copertura politica a posteriori delle schifezze in atto. Ma l’Onu giustifica l’intervento militare solo nei casi in cui un Paese membro venga attaccato. E così Kofi Annan disse: “La guerra in Iraq è illegale”. (Quindi Bush e i suoi alleati, Blair e Berlusconi, sono pure criminali di guerra. Attendiamo fiduciosi il processo). La Casa Bianca forzò allora il voto unanime del Consiglio di sicurezza sulla risoluzione n. 1511 (vale a dire l’istituzione di una forza multilaterale che si occupasse dell’occupazione fino all’instaurazione di un governo iracheno) proponendosi quattro obiettivi: indurre l’invio di truppe da parte di Stati riluttanti; costringerli a contribuire finanziariamente alla ricostruzione (ma costavano di più le bombe sganciate dei palazzi distrutti); obbligare Kofi Annan a far tornare lo staff civile Onu in Iraq; e soprattutto convincere gli iracheni di non essere sotto occupazione straniera.

Il preambolo della risoluzione, che riaffermava “il diritto del popolo iracheno a determinare il proprio futuro politico e a controllare le proprie risorse naturali”, era un capolavoro di ipocrisia, data la determinazione dell’amministrazione Bush a favorire gli investimenti dei lobbisti del suo partito. Era la nuova strategia americana: “Pensare globalmente, scavare pozzi localmente”. I bombardamenti Usa rasero al suolo la città di Falluja. 15 dollari di danni. Vinta la guerra, come primo ministro del nuovo governo iracheno ad interim gli Usa misero un medico ex baathista, Iyad Allawi, che aveva rotto con Saddam Hussein perché questi gli chiedeva di continuo consulti gratis: “Mi dai un’occhiatina a questo eritema? Dovrei farmi visitare da uno specialista, secondo te?”. I bambini iracheni furono subito entusiasti del governo fantoccio. Alle 12 ora locale, Rumsfeld consegnò al nuovo presidente, Ghazi al-Yawar, un sunnita di Mosul, il Guinzaglio d’oro, un gesto simbolico che sanciva solennemente il ritorno dei poteri dagli Usa alla Cia. Cinque minuti dopo, cominciava la nuova guerra civile irachena. Fu ritrovata la testa di Paul Johnson, l’ostaggio Usa rapito e decapitato a Riyad. Era in una cesta di palloni da basket. Grazie alla democrazia esportata, a Baghdad cominciarono a vendere parabole per il satellite. Costavano 300 dollari. 250 se volevi prendere anche Rai1. Allawi si recò in visita alla Casa Bianca, e Bush affermò che le cose in Iraq stavano andando bene, ma Allawi ammise che c’erano ancora sacche di terrorismo, la maggior parte delle quali in un’area chiamata Iraq. Allawi ringraziò Bush per aver liberato l’Iraq da Saddam, poi aggiunse: “Oh, ti prego! Non farmi tornare laggiù! Ti prego ti prego ti prego!”. In vista delle elezioni in Iraq, Allawi dichiarò il coprifuoco, dato che in Iraq non era prudente essere in strada di notte. O di mattina. O di pomeriggio. Anche l’ora del tè era pericolosina. Lo stato d’emergenza fu applicato a tutto l’Iraq, tranne che alle regioni del nord, dove in pratica si facevano pigiama-party tutto il tempo.

(2. Continua)

 

Battaglia per 3mila medici free-vax

Fioccano i ricorsi nei Tar di mezza Italia: migliaia di operatori sanitari rifiutano il vaccino contro il Covid. Un braccio di ferro iniziato contro Asl e ordini professionali che ora finisce davanti ai tribunali amministrativi di mezza Italia.

Tremila sanitari italiani contro l’obbligo vaccinale anti-Covid. Dopo il primo ricorso al Tar di Brescia tre giorni fa – presentato da 300 fra medici, infermieri, assistenti sociosanitari, psicologi e dentisti – oggi il Tribunale amministrativo di Genova dovrà decidere su una nuova azione legale portata avanti da altri 450 lavoratori della sanità. Personale che non vuole essere vaccinato e che, al tempo stesso, ritiene illegittimi i provvedimenti che il datore di lavoro potrebbe prendere contro chi si oppone alla somministrazione e le possibili azioni disciplinari da parte degli ordini professionali di appartenenza. Queste cause pilota sono un assaggio di quanto sta per accadere: istanze gemelle a breve pioveranno su Bologna, Milano, Torino, Parma, Ancona e Bologna. I ricorsi si muovono sostanzialmente su tre direttive: l’incertezza “sui rischi derivanti dall’assunzione” e sperimentazioni “troppo brevi per essere considerate affidabili”; la “percentuale di fallimenti nel produrre immunità dovuti alle nuove varianti”; l’illegittimità dell’imposizione ai lavoratori della sanità. “L’Italia ha approvato un singolare e liberticida obbligo vaccinale in danno degli operatori sanitari – si legge nel ricorso dell’avvocato Daniele Granara, avvocato dei sanitari – costretti a sottoporsi a uno dei quattro vaccini autorizzati in Italia senza avere la certezza della loro efficacia e sicurezza e, peraltro, senza nemmeno avere la possibilità di scegliere quale”.

I ribelli del vaccino ci tengono a non essere definiti No Vax: “Qui stiamo parlando di persone che credono nella scienza e lavorano nel mondo sanitario – precisa Granara –, il problema sono le perplessità sulla velocità del processo che ha portato ad approvare questi vaccini. L’Aifa nella sua circolare parla di un’approvazione ‘temporanea’ e ha stabilito come termine il dicembre del 2023 per fornire la relazione finale sullo studio clinico per confermare efficacia e sicurezza. Al tempo stesso, si chiede agli utenti di firmare di manlevare qualsiasi responsabilità riguardante le conseguenze”.

La posizione delle Asl è nota: se un medico o un infermiere non si vaccina mette a rischio i pazienti. Per questo sono già partite le sospensioni. Il paradosso è che la protesta parte proprio da quel mondo sanitario che è stato coperto per primo dalla campagna vaccinale: i dati su medici e infermieri hanno in effetti confermato l’abbattimento di contagi, malattia grave e morti. “Contestiamo la modalità – conclude Granara –, l’Italia è l’unico Paese in cui il vaccino è imposto a chi lavora nelle professioni sanitarie, un principio che viola la legge europea”.

“Indietro sulle dosi ai prof”. E Bianchi insiste sui bimbi

La scuola e il rientro settembrino mandano nel panico il governo e rendono evidenti i buchi e il ritardo del piano-Figliuolo, il generale demiurgo scelto dal premier Mario Draghi lo scorso marzo per sostituire Domenico Arcuri come commissario all’emergenza Covid con l’obiettivo di vaccinare tutta l’Italia in tempi record. Il punto è che, dopo un anno, sulla scuola in sicurezza non si sono fatti troppi passi avanti, tralasciando il capitolo nero dei trasporti che si ripresenterà puntuale, tanto che il Cts qualche giorno fa ha consigliato il solito: distanziamento e mascherine. Inevitabile anche il ricorso alla didattica a distanza.

Ma il ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi, insiste per le lezioni in presenza e per accelerare anche con le vaccinazioni agli studenti over12. Capitolo controverso, perché nonostante l’autorizzazione dell’Ema, l’agenzia europea del farmaco, rimangono dei margini di incertezza, come spiega, pur prendendo posizione a favore della vaccinazione dei bambini, il direttore dell’Istituto farmacologico Mario Negri Giuseppe Remuzzi: “In generale si sa che tra 15 e 24 anni la reattività immunologica è più vivace che negli adulti. I dati dicono che la sicurezza c’è, in quanto non si sono rilevati eventi avversi inaspettati, ma solo disturbi comuni come febbre, mal di testa e dolori articolari. È anche vero che questi casi sono pochi per vedere eventuali eventi avversi”. La Germania, infatti, attende dati più solidi prima di considerare vaccinabili i più piccoli: l’Istituto tedesco Robert Koch raccomanda che la vaccinazione con il siero mRna Biontech Pfizer tra i 12 e i 17 anni sia effettuata solo nei bambini e negli adolescenti con malattie pregresse che potrebbero aumentare il rischio di un grave decorso di Covid-19. E Jörg Dötsch, presidente della Società tedesca di Pediatria e Medicina dell’adolescenza, ha spiegato a ilfattoquotidiano.it: “L’immunità di gregge non può essere un criterio. I più giovani non possono essere costretti a proteggere gli adulti. Mancano ancora i dati per quanto riguarda i potenziali effetti collaterali della vaccinazione su larga scala di bimbi e adolescenti”.

Inoltre il vero problema, a meno di due mesi dal ritorno in classe, è il ritardo del generale Figliuolo e della macchina governativo-regionale sugli insegnanti e sul personale scolastico. Tanto che è lo stesso Figliuolo ieri ad ammettere: “Siamo un po’ indietro, ma abbiamo spinto molto su 70-80enni, ora dobbiamo spingere sui cinquantenni e convincere i 215 mila insegnanti e operatori scolastici che mancano a vaccinarsi per tornare a scuola in sicurezza”. L’ultimo report del governo indica 1.063.903 professori e operatori scolastici vaccinati, ma ancora 216.221 che non hanno fatto la prima dose. Due settimane fa ce ne erano 235.899 e 7 giorni fa 227.537: in 15 giorni sono stati raggiunti meno di 20 mila docenti: irrisorio. Cinque regioni registrano ancora professori senza alcuna copertura sopra il 25%, la Sicilia è maglia nera col 43,58%. Panico, insomma, tanto che il ministro Bianchi evoca l’obbligo vaccinale: “Non c’è l’obbligo, ma ricordo che la Costituzione riconosce i diritti individuali, ma anche la necessità e il dovere della solidarietà”. Il presidente dell’associazione dei presidi, Antonello Giannelli, in mezzo al guado, attacca: “Servono azioni concrete: l’emergenza non può diventare ordinarietà sulla pelle della scuola”. Nulla lascia intravedere, per ora, il contrario.

Dissero: “Giudice della sentenza Mediaset insultò B.”, archiviati i 3 camerieri di Ischia

Silvio Berlusconi esulta. Da Napoli arriva una buona notizia per le ragioni del suo ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo contro la sentenza che lo ha condannato per frode fiscale sui diritti Mediaset. Ricorso che ha tra le sue basi le registrazioni “rubate” del giudice Amedeo Franco sul presunto pregiudizio degli altri magistrati che firmarono quella sentenza. “Un plotone di esecuzione” secondo Franco (poi deceduto), che volle incontrare Berlusconi dopo averlo condannato. Faceva parte del collegio della sezione feriale di Cassazione che il 1° agosto 2013 rese definitiva la condanna. Con quattro pagine di motivazioni, il Gip Giovanni Vinciguerra ha infatti archiviato la denuncia del giudice Antonio Esposito, presidente di quel collegio di Cassazione, contro tre dipendenti di un hotel di Lacco Ameno di proprietà del senatore di Forza Italia Domenico De Siano. I tre misero a verbale di aver ascoltato Esposito mentre insultava gratuitamente in pubblico Berlusconi sei o sette anni prima. Esposito li aveva accusati di false dichiarazioni al pm, e aveva accusato l’avvocato Bruno Larosa che le raccolse, di abuso d’ufficio (reato prescritto) e usurpazione di funzioni del pm. Con l’archiviazione, il Gip ha stabilito che le sue indagini difensive non violarono il codice. Giovanni Fiorentino, Michele D’Ambrosio e Domenico Morgera, il 3 aprile 2014 dichiararono che Esposito era solito ingiuriare ad alta voce B. e De Siano, tra il ristorante e la hall dell’albergo. “Il tuo datore di lavoro sta con quella chiavica di Berlusconi… ancora li devono arrestare… a Berlusconi se mi capita l’occasione devo fargli un mazzo così…”, avrebbe detto Esposito secondo le ricostruzioni dei tre dipendenti dell’albergo, messe nero su bianco dall’avvocato Larosa, incaricato da Berlusconi di preparare una istanza di revisione del processo (formalizzata solo sei anni dopo). Ricostruzioni “inverosimili”, scriveva Esposito nella denuncia e nell’opposizione all’archiviazione. Ma che secondo il Gip “non possono comunque considerarsi ‘false’ non solo sulla base degli elementi di prova disponibili, ma anche di quelli che l’opponente collega agli accertamenti patrimoniali ‘trascurati’ nelle indagini”.

Esposito aveva infatti chiesto di indagare su eventuali arricchimenti dei tre camerieri, come peraltro sollecitato dal pm Sergio Amato, primo titolare del fascicolo, nella delega alla Finanza. Il Gip, nel non ritenere “false” quelle parole, non afferma che siano vere. Questa partita deve essere ancora disputata e il suo campo di gioco è a Strasburgo. La Cedu ha dichiarato ammissibile il ricorso e ha formulato dieci quesiti all’Italia. Poi convocherà le parti, giudice Esposito compreso.