La “Delta” cresce, l’Uefa la ignora Tokyo: Olimpiadi senza pubblico

La variante Delta è ormai in cima ai pensieri dei capi di Stato e di governo di mezzo mondo. Ieri anche Joe Biden lo ha detto senza mezzi termini: “Sono preoccupato dalla possibilità che le persone non vaccinate vengano contagiate dalla variante e la facciano circolare ad altri non vaccinati. Non sono preoccupato per la possibilità di una nuova epidemia a livello nazionale, ma preoccupato dalla possibilità che si perdano altre vite”. Negli Stati Uniti l’obiettivo di quota 70% di vaccinati il 4 luglio, giorno della festa dell’indipendenza, è già sfumato.

Il grande malato di Delta, però, è il Regno Unito, +46% in una settimana, dove ieri sono stati registrati altri 27 mila nuovi casi, con più di 1,1 milioni di tamponi processati. E in Italia il ministero della Salute continua ad attaccare l’Uefa, il governo del calcio europeo, sorda all’ipotesi di spostare la fase finale di Euro2020 da Londra, nonostante si siano già pronunciati in questo senso il premier italiano Mario Draghi e anche la cancelliera tedesca, Angela Merkel. Il ministro Roberto Speranza ha ribadito: “Sicuramente sarebbe da evitare di giocare a Londra, è incomprensibile che l’Uefa non voglia cambiare sede”; seguito a ruota dal sottosegretario Andrea Costa: “Circa due mesi fa fu il premier inglese a dire che sarebbe stato opportuno giocare più partite in Inghilterra, perché in quel momento era uno tra i Paesi col minor numero di contagi. Oggi oggettivamente lo scenario è cambiato e, se era una riflessione di buon senso, allora lo è anche adesso, quando diciamo che forse sarebbe stato opportuno, valutando la situazione dei contagi in Inghilterra, valutare l’ipotesi di individuare altre sedi” per la fase finale dell’Europeo di calcio. Ma tant’è, l’Uefa non si smuove: ieri è stata giocata a San Pietroburgo Svizzera-Spagna e in Russia la situazione dei contagi è da giorni fuori controllo, con più di 600 morti quotidiani. Forse l’epidemia russa è addirittura la più preoccupante per il basso numero di vaccinazioni completate nella popolazione.

E stasera si giocherà all’Olimpico di Roma Ucraina-Inghilterra, partita per la quale sono stati annullati i biglietti venduti negli ultimi giorni e addirittura bloccati i voli. Costa ammette: “Un po’ di preoccupazione c’è, ma confidiamo nel senso di responsabilità, da più parti sono arrivati gli appelli ai tifosi inglesi di rimanere nel loro Paese, di non venire in Italia, c’è una regola ben chiara che il nostro Paese ha introdotto, cioè l’obbligo di quarantena, quindi ci auguriamo che venga rispettato. Dopodiché dobbiamo controllare, verificare, sono state messe in campo tutta una serie di iniziative che sicuramente permetteranno il controllo rigido e il rispetto di questa regola”. Anche perché come da rapporto settinanale dell’Istituto superiore di sanità, diffuso ieri, tutte le regioni italiane sono adesso a “rischio basso”, con le terapie intensive sotto al 3%, quindi assolutamente sotto soglia critica. Ma Silvio Brusaferro, presidente dell’Iss, mette in guardia rispetto alla variante Delta che è già arrivata a quota 22,7% di tutti i contagi dell’ultima settimana. Nel frattempo è l’Unione europea a rassicurare, è la presidente della commissione Ursula von der Leyen a chiarire: “Siamo preoccupati riguardo alla variante Delta, vediamo che è molto più trasmissibile e vediamo che il tasso di infezione sta salendo, ma abbiamo anche buone notizie perché vediamo che i vaccini sono efficaci contro le varianti, vediamo anche che le persone vaccinate con due dosi sono molto ben protette e coloro che hanno una sola dose se contagiati sono affetti da sintomi meno severi”.

Se l’Uefa e il calcio europeo fanno orecchie da mercante, la situazione pare diversa per il Cio, il Comitato olimpico internazionale, che ieri si è detto pronto, attraverso Seiko Hashimoto, presidente del comitato organizzatore di Tokyo, ai primi Giochi olimpici della storia a porte chiuse, senza pubblico negli impianti. Solo qualche ora prima, il primo ministro, Yoshihide Suga, aveva annunciato: “C’è la possibilità che non ci siano spettatori alle Olimpiadi. La nostra priorità massima è proteggere il popolo giapponese”.

La furia della pandemia di coronavirus, nel frattempo, sta investendo per la prima volta in modo serio il continente più povero e meno fornito di vaccini, l’Africa, come denuncia l’Organizzazione mondiale della sanità: spinta dalla variante Delta, una nuova ondata di contagi sta investendo il continente africano, dove aumentano nuovi casi, ricoveri ospedalieri e decessi. Il Sudafrica ha i dati più preoccupanti, con oltre 20 mila nuovi casi segnalati nelle ultime 24 ore. Secondo i Centri africani per il controllo e la prevenzione delle malattie, si tratta di oltre il 30% dei 5,5 milioni di casi segnalati dai 54 Paesi africani.

Destra al verde: niente candidati

Ci sono i veti, i contro-veti, la spartizione di potere a seconda del luogo geografico – a Milano decide Matteo Salvini, a Roma Giorgia Meloni – e le antipatie personali. Ma non solo.

Nella ricerca spasmodica, e finora fallimentare, dei candidati del centrodestra in vista delle elezioni amministrative , c’è un altro fattore che spiega perché molti candidati testati abbiano rifiutato di scendere in campo: i soldi. Le casse di Lega e Forza Italia infatti piangono. Il partito berlusconiano ormai è in rosso da mesi: l’ultimo bilancio di Forza Italia relativo al 2019 racconta di un rosso da 99 milioni, di cui 2 milioni e mezzo relativi ai mancati versamenti di parlamentari e consiglieri regionali di quell’anno (900 euro mensili). Anche la Lega non può stare serena: secondo l’ultimo bilancio, infatti, nel 2020 il Carroccio ha dimezzato l’avanzo passato da 903mila euro a 480mila. A via Bellerio si è dimezzata anche la disponibilità di liquidità nelle casse: dagli oltre 3 milioni del 2020 agli 1,6 di oggi.

E dunque, nelle molteplici riunioni dei leader in vista delle Comunali, è stato deciso che i partiti finanzieranno solo la campagna elettorale dei candidati in lista mentre i candidati a sindaco dovranno pagarsela di tasca propria. È anche per questo che la scelta è ricaduta quasi ovunque su nomi civici e non politici. Così nelle grandi città sono state candidate figure di imprenditori, manager, benefattori e personaggi della società civile che sono in grado di sostenere autonomamente i costi della campagna elettorale. A Torino il centrodestra ha sostenuto l’imprenditore delle acque minerali Paolo Damilano il cui gruppo, secondo il Sole 24 Ore, nel 2019 ha fatturato 75 milioni. Lo stesso a Napoli con il pmCatello Maresca appoggiato da Salvini ma non da FI e Fd’I, ma anche a Bologna dove sono scesi in campo gli imprenditori Fabio Battistini e Roberto Mugavero. A Milano sono stati testati soprattutto manager come Oscar di Montigny (Mediolanum) o Andrea Farinet (Pubblicità Progresso). Quella della scelta del candidato sotto la madonnina ormai sta diventando un rebus anche se Salvini ieri, dopo aver firmato la carta dei valori con i partiti sovranisti dell’Ue, ha detto che la squadra arriverà entro la fine della settimana. Il nome in pole è quello del primario del Fatebenefratelli Luca Bernardo (nella foto).Ma proprio per i soldi – e per le responsabilità civili e penali dei sindaci – negli ultimi mesi hanno rifiutato in molti: da Guido Bertolaso a Roma a Gabriele Albertini a Milano (che infatti vuole fare il vice). Anche Vittorio Feltri ha detto “no” perchè da sindaco guadagnerebbe “molto meno” e perchè si sarebbe dovuto pagare da solo la campagna elettorale. E intanto il centrodestra resta senza candidati.

“Sallusti mi caccia? Che paura. Fa il duce grazie a Palamara”

Oggi intervistiamo il peso morto Vittorio Feltri, 78 anni ben portati.

Peso morto l’ho scritto io.

Non mi sarei mai permesso se non l’avessi in qualche modo autorizzato.

Ho solo fatto la cronaca di quel che sta succedendo a Libero.

Che hai fondato, hai portato al successo e hai venduto agli Angelucci.

Feci un sacco di soldi.

Forse Sallusti ti caccia, mettiamolo in conto.

E che problema c’è? Fa il duce, c’è qualcosa che non quadra.

Ti sei messo di traverso, poi a lui stai sul gozzo.

Sto sul gozzo l’ho scritto io.

Non mi sarei mai permesso se non l’avessi già detto tu.

Sì, con me è cambiato, sento distanza eppure ricordo di averlo assunto quattro volte.

Ieri erano tre.

Ho ricontrollato: quattro.

Ricordo, al tempo del ménage Sallusti-Santanchè, che li chiamasti Olindo e Rosa, la coppia di Erba, protagonista di un grande fatto cronaca nera.

Mi sembrò un paragone possibile, e anche un po’ spiritoso.

Chiami spirito il veleno puro.

Ero abbastanza imbufalito per quel che mi aveva combinato facendomi pubblicare il documento-patacca su Dino Boffo (direttore di Avvenire poi dimessosi, ndr).

Siamo nel 2008, tu dirigi Il Giornale.

Lui è il condirettore, viene da me e mi dice: abbiamo questo documento su Boffo. Gli faccio: siete sicuri? Hai controllato? Mi fa: certo, tutto a posto. Risultato: l’Ordine mi appioppa sei mesi di sospensione, oltre tutto il casino che ne viene. E lui ancora a dirmi: guarda che Ruini è contentissimo (o forse era Bertone? ndr). Ma va là.

Da qui in poi Olindo. Capisci da te che ti caccerà.

Ma sai quanti anni ho? Brrr che paura.

Eppure vi volevate financo bene.

Non esageriamo, però siamo andati sempre d’accordo.

E perché diavolo adesso non riuscite più a fare gli amiconi?

Noto che da quando ha pubblicato con successo il libro che gli ha dettato Palamara, ha mutato atteggiamento.

Un pizzico più algido?

Da qualche giorno non mi arriva la nota di giornata. Come sai, arrivo in redazione sempre verso le 10.30, leggo la nota e parto col lavoro. Io ho sempre fatto i giornali scegliendo tre notizie dalla nota. Sceglievo e indicavo. Qui naturalmente do consigli, se richiesti. Ma vedo che non sono richiesti.

Senza nota sei come un gattino cieco.

Ho gli occhi aperti, guardo il giornale, vedo le cose che non vanno e lo dico. Che male c’è? Non mi sembra di aver esagerato. Senaldi non è un genio e si sa. E poi mica ho detto che Sallusti è cornuto?

Se non avessi venduto Libero. La tua ossessione per i soldi ti ha tradito.

Guarda che io cercavo un socio, ma gli Angelucci volevano un giornale tutto per sé. Sono abituati a fare i padroni.

O tutto o niente.

Così, bravo.

Hai la lingua lunga.

Sai quante volte me ne sono rammaricato? Altrettante volte mi sono perdonato.

Tu vuoi far perdere le staffe a Sallusti.

Ma no!

Massì. Ti cacciano.

Possono farlo, se credono.

Hai troppi nemici. Eri un fior di leghista, anzi il leghista vip, e nemmeno con Salvini vai più d’accordo.

Non mi può vedere perché gli ho detto che non si capisce nulla delle sue alleanze. Con i 5stelle la prima volta. E va bene. Poi te ne vai, svolazzi per le piazze come una falena velenosa, poi ti rimetti con i 5stelle e financo col Pd. Ma allora chi sei?

Intuisco l’approdo: Fratelli d’Italia.

La Meloni mi piace. È costruita bene, la voterò.

Qualche giorno fa ho letto un tuo tweet sentimentale, una carezza scritta a tua moglie. Insolito per te.

Stiamo insieme da 53 anni e mi sono accorto che cosa significhi dire: lei è la mia metà.

È bello sentirtelo dire.

Niente smancerie o sentimentalismi tra noi. Però poi, nel tragitto che ti porta lontano, resta il fatto che la tua vita completa la sua, e quella sua è linfa per la tua. E quando a ottobre lei è stata male, anch’io non sono stato bene. Mi sono finanche detto: se muore mi sparo.

Pestaggi, Hakimi morto in cella “Ora gli agenti rischiano di più”

Chi piange ora Hakimi Lamine, l’algerino scomparso a 28 anni nel carcere delle torture di Santa Maria Capua Vetere un mese dopo il furioso pestaggio del 6 aprile 2020? Chi chiederà giustizia per questo ragazzo schizofrenico morto da solo nella cella 17 del reparto Danubio? Grazie al Garante dei detenuti campani, Samuele Ciambriello, sappiamo solo che la salma di Hakimi riposa in patria. “Sono stato in stanza con lui 15 giorni e lo sogno tutte le notti”, confidò uno dei detenuti, A. Z, al magistrato di sorveglianza. Hakimi si spense tra intemperanze e lamenti per i forti dolori alla testa segnata da un vistoso ematoma. “Gridava ‘la medicina’… ”. Due connazionali, M. B. e C. M. W., ne ascoltarono la disperazione. “Mi ha raccontato di essere stato massacrato, di non aver mai perdonato gli abusi subiti, e che si era fatto arrestare per vendicarsi con gli agenti e in particolare con un ispettore del Reparto Nilo (dove avvenne la mattanza, ndr) che lo torturava psicologicamente dicendogli che era uno scarafaggio”. La notte prima di morire Hakimi farfugliò parole incomprensibili per l’agente di turno che chiese a C. M. W. di salire e tradurgli cosa stesse dicendo. “Ripetette per cinque volte ‘salutami mia madre’. Si sentiva abbandonato”.

Il Gip di Santa Maria Capua Vetere Sergio Enea sostiene che la morte dell’africano non dipese dalle manganellate, dalle presunte mancate terapie o dall’isolamento che, secondo l’accusa, fu illegittimo. “Fu un suicidio provocato dall’ingestione di un oppioide”. E l’isolamento non fu un provvedimento ingiusto “ma la conseguenza del rifiuto degli altri detenuti a stare con lui” a causa del suo squilibrio mentale. Ma il pm ha presentato un ricorso al Riesame affinché rilevi i gravi indizi di colpevolezza anche per maltrattamenti di persona sotto custodia. E stabilisca che la sua morte fu conseguenza di un altro reato. Così i 23 indagati per le violenze sull’algerino vedrebbero aggravata la loro posizione: solo 5 di loro sono stati messi in carcere e 9 ai domiciliari. Numeri che potrebbero aumentare. Ieri un ispettore ha affermato al Gip “di aver provato a difendere i detenuti e che furono gli agenti di Secondigliano a prendere in mano la situazione”.

Quando Salvini abbracciava i torturatori

Matteo Salvini era corso ad abbracciarli subito, in senso metaforico e materiale. Una sponda politica eccellente per i torturatori di Santa Maria Capua Vetere, gli agenti della mattanza nel carcere casertano: quelli degli sputi, dei caschi sui denti, delle botte sulle scale, degli schiaffi “del soldato” nei corridoi, delle barbe tagliate e delle vessazioni ai detenuti in ginocchio, faccia contro il muro.

L’11 giugno 2020, quando 44 agenti della polizia penitenziaria nell’istituto campano finiscono sotto indagine con l’ipotesi di atti violenti e tortura, il capo della Lega non aspetta di leggere i primi atti giudiziari o le ricostruzioni giornalistiche. Non gli interessa capire cosa sia successo davvero: Salvini parte il giorno stesso per Santa Maria Capua Vetere per portare la sua solidarietà ai poliziotti poliziotti e trasformare l’indagine su di loro in una battaglia della Lega. Arriva di fronte al carcere e inizia lo show: rilascia dichiarazioni, improvvisa comizi, stringe mani, abbraccia gli uomini in divisa e fa selfie di gruppo con gli agenti. Tra di loro – Salvini ancora non può saperlo, ma potrebbe avere la cautela per immaginarlo – ci sono poliziotti estranei ai fatti, ma pure gli autori di una delle azioni di polizia più malvagie e ignobili della recente storia repubblicana.

La propaganda politica non contempla esitazioni e non conosce complessità: per Salvini, i 44 indagati sono vittime di una follia giudiziaria. La storia di quei giorni – vista dal mondo alla rovescia del leghista – si può raccontare al ritmo battente dei suoi messaggi in difesa dei poliziotti violenti.

Il tamburo di Salvini inizia a rullare l’11 giugno alle 15 e 16, con il primo post su Facebook: “Incredibile! 44 poliziotti in servizio nel carcere di Santa Maria Capua Vetere (Caserta) sono indagati come violenti TORTURATORI per aver bloccato la rivolta dei detenuti del 6 aprile scorso, che provocò danni per centinaia di migliaia di euro. Ho rimandato tutti gli impegni del pomeriggio e parto subito per la Campania, per portate la mia (e vostra) solidarietà alle donne e agli uomini in divisa che, invece di essere ringraziati, vengono indagati. È una vergogna!”.

Alle 16 e 24 Salvini è già di fronte ai cancelli dell’istituto penitenziario e lancia la prima diretta social con queste parole: “UNA VERGOGNA CONTRO I POLIZIOTTI! In diretta dal carcere di Santa Maria Capua Vetere (Caserta), 44 poliziotti qui in servizio sono indagati come TORTURATORI per aver bloccato la rivolta dei detenuti. Una vergogna! Sono qui per portare la mia e la vostra solidarietà”. Alle telecamere spiega: “Ero in ufficio, avevo un appuntamento con Bruno Vespa questa sera, ho chiuso tutto e sono venuto qui. Perché non si possono indagare e perquisire come delinquenti 44 servitori dello Stato”.

I servitori dello Stato che il 6 aprile avevano massacrato di botte i detenuti di Santa Maria Capua Vetere sono tra il pubblico che gli dedica un applauso scrosciante. “Per quello che mi riguarda – aggiunge Salvini – visto che le rivolte non è che le tranquillizzi con le margherite, pistola elettrica e videosorveglianza prima arrivano e meglio è per tutti”. Le immagini della mattanza diranno che gli autori se la sono cavata egregiamente anche senza taser.

Dentro al carcere, Salvini è circondato dall’abbraccio caloroso degli agenti, pubblica i selfie di gruppo sui social. Quando esce, alle 19 e 23, il capo della Lega ha le idee ancora più chiare e si ferma di nuovo con i giornalisti (ancora in diretta su Facebook): “Sono venuto a portare la solidarietà mia, della Lega e di tutto il popolo italiano a dei servitori dello Stato che sono indegnamente indagati”. Indegnamente. “Sono stati svegliati questa mattina alle 7, gli è stato portato via il telefonino. Viviamo veramente in un Paese folle in cui hanno il telefonino i detenuti, ma viene sequestrato ai poliziotti. Penso che oggi sia una giornata di lutto per l’Italia, lo griderò con tutta la mia voce. Non hanno pagato nulla i delinquenti che hanno distrutto le carceri e ferito poliziotti, a pagare per tortura dovrebbero essere i poliziotti che hanno riportato in cella i delinquenti. Non vedo l’ora che nelle carceri tornino a valere il diritto, la legge, le regole, l’ordine e la disciplina. I buoni sono quelli in divisa, gli altri devono solo obbedire e fare le persone perbene”.

Nei giorni successivi, i fatti del carcere casertano sono in cima agli argomenti della “Bestia” salviniana. 13 giugno: “Rivolte dei detenuti ancora in corso e poliziotti feriti al carcere di Santa Maria Capua Vetere. I delinquenti hanno preso il controllo di un reparto. Una vergogna indegna di un Paese civile. Altro che ‘torturatori’. Bonafede dove sei? #Bonafedebocciato”. Più tardi, lo stesso giorno: “VIOLENZE ANCHE STANOTTE!! Carcere di Santa Maria Capua Vetere (Caserta): prima la rivolta in carcere, senza che un delinquente sia stato punito. Poi 48 poliziotti indagati per ‘tortura’, e stanotte altre violenze e altri poliziotti feriti. Basta, il limite è stato superato: ministro Bonafede, sveglia!”.

Il 14 giugno: “Se lo Stato cala le braghe, i criminali alzano la cresta: non è un caso se le gravi violenze continuano come dimostrano le rivolte nell’istituto di Santa Maria Capua Vetere. L’Italia deve ripartire anche da ordine, sicurezza, certezza della pena e valorizzazione delle donne e uomini in divisa. Conte farebbe bene a invitare alla sua bella villa i rappresentanti della Polizia Penitenziaria”.

È lo stesso Salvini che l’altroieri – tra un milione di distinguo – è tornato a Santa Maria Capua Vetere per separare i poliziotti “buoni” da quelli “cattivi”, perché “la violenza non è mai la risposta”, “chi sbaglia paga, anche se porta la divisa”. Malgrado i travestimenti, il suo cuore batte sempre per quelli con il manganello.

“Ci fidammo del Dap. E non si potevano scavalcare le toghe”

Le violenze degli agenti di polizia penitenziaria che il 6 aprile 2020 pestarono a sangue i detenuti del carcere di Santa Maria Capua Vetere, per alcuni politici e alcuni quotidiani e tv furono favorite dal clima giustizialista del governo precedente e dal ministro della Giustizia M5S, Alfonso Bonafede, accusato di inerzia nei confronti di quegli agenti picchiatori. Sotto accusa è finito anche l’ex sottosegretario M5S Vittorio Ferraresi, per una sua risposta all’interrogazione parlamentare del 16 ottobre 2020. Poche settimane dopo, il 5 novembre, le stesse parole furono riferite, a seguito di un’altra interrogazione, dal sottosegretario Andrea Giorgis, Pd. Ferraresi è stato subissato di critiche perché, in risposta all’interrogazione del deputato radicale Riccardo Magi, disse che a Santa Maria Capua Vetere c’era stata un’operazione di “ripristino della legalità”. È ovvio che se si guarda il video della “mattanza” e si lega alla parola “legalità” – diciamo a Ferraresi – non stupisce l’attacco nei suoi confronti. Ma l’ex sottosegretario respinge le accuse: “Quello che sta emergendo da alcuni giornali e dichiarazioni televisive non corrisponde assolutamente alla verità. Mai mi sarei permesso di giudicare questi fatti gravissimi come ‘ripristino della legalità’ e dunque è falso e inaccettabile, come qualcuno vuole far credere, che il ministero della Giustizia abbia giudicato tollerabile quelle violenze, trasformandole in un’operazione di ‘ripristino della legalità’”.

Quindi, quando ha pronunciato quelle parole a cosa si riferiva?

La risposta del ministero della Giustizia in Parlamento si riferiva a notizie avute dal Dap (Il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, ndr) rispetto alla motivazione per la quale gli agenti erano stati inviati nell’istituto, non ovviamente a quanto concretamente successo.

Magi ribatte che anche allora, a sei mesi di distanza dai fatti, lei avrebbe potuto già pronunciare delle parole di condanna delle violenze perché c’erano già articoli di stampa e voci su quanto era accaduto, anche se non c’era il video…

Quindi, secondo Magi, il ministero della Giustizia non avrebbe dovuto rispondere come ha fatto, in base ad atti in possesso del Dap fino a quel momento, ma in base a voci, a notizie di stampa? Avrebbe dovuto scavalcare la magistratura che stava indagando?

Ma perché non vi siete mossi per valutare un’azione disciplinare?

Le indagini interne si possono fare se la procura titolare dell’inchiesta penale dà il nullaosta, perché in caso contrario c’è un concreto rischio di ostacolare le indagini stesse con le relative conseguenze. Nel caso specifico, abbiamo richiesto gli atti per adottare eventuali iniziative amministrative ed eventuali provvedimenti urgenti a carico di agenti e dirigenti, ma l’autorità giudiziaria non ci ha trasmesso nulla, nonostante le reiterate richieste, per la comprensibile esigenza di tutela del segreto investigativo.

Quindi, secondo lei, il ministero guidato da Alfonso Bonafede davvero non poteva fare nulla?

Il ministero si è attivato, ma, ripeto, senza il via libera dell’autorità giudiziaria non si poteva fare altro. È evidente che, come accade sempre quando c’è un’inchiesta, l’indagine amministrativa deve fermarsi per non rischiare di comprometterla.

Adesso, però, ci sarà una commissione d’inchiesta interna del Dap, gli agenti sono stati sospesi…

Giustamente. Sulla gravità dei fatti non ci possono essere dubbi, è chiaro che ora si è in un’altra fase e ci sono ben altri elementi. Chi ci critica, però, compie una strumentalizzazione politica facendo credere che l’anno scorso fossimo in possesso delle stesse informazioni e delle stesse possibilità che ha adesso il ministero per poter agire. Ma non è assolutamente così, fatti alla mano.

“Beppe sta aiutando destra e padroni all’assalto del Rdc”

“Forse Beppe Grillo non se ne rende conto…”.

Di cosa, professor Revelli?

Il fondatore del M5S non si rende conto che con questa rottura con Giuseppe Conte sta facendo un enorme favore alla destra e a tutti quei poteri forti che da mesi si oppongono all’alleanza Pd-M5S.

Il Professor Marco Revelli, 73 anni, da storico e sociologo osserva con preoccupazione la rottura di questi giorni tra Grillo e Conte e soprattutto lo sfaldamento del M5S, che potrebbe favorire i partiti di centrodestra al governo – Lega e Forza Italia – e spostare l’esecutivo di Mario Draghi ancora più a destra facendo prevalere “la sua logica padronale” e “piegata agli interessi di Confindustria”.

Professore, cosa ne pensa dello scontro tra Conte e Grillo?

Grillo sta facendo un grosso errore, un atto inconsulto, difficilmente spiegabile con la semplice logica politica. È un gesto che solo la psicanalisi riesce a spiegare: la mossa di un creatore che non sopporta che la sua creatura cammini da sola. È un comportamento autodistruttivo grave.

Quali effetti potrà avere sul M5S?

Il Movimento era in crisi da tempo e tre esperienze di governo hanno messo in evidenza i suoi pregi e difetti. Una modifica del suo assetto era inevitabile e Conte stava lavorando a questo obiettivo. Il fatto che questa sia stata accolto con una reazione inconsulta del fondatore aggrava il tutto. Tra i due contendenti le ragioni stanno dalla parte di Conte.

L’ex premier adesso cosa dovrebbe fare? Fondare un suo partito?

Non lo so, ma ha due alternative: la conquista dall’interno del M5S attraverso una richiesta di esprimersi da parte dei suoi iscritti, oppure una chiamata a raccolta dei parlamentari che non seguono la follia di Grillo e la costituzione di un partito nuovo. Sia l’una che l’altra ipotesi comporterebbe un ridimensionamento del peso politico del M5S e di Conte.

La lacerazione del M5S provocherà effetti sul governo Draghi?

Non credo che destabilizzerà il governo, ma avrà un altro effetto molto peggiore…

Ovvero?

Ogni giorno questo si rivela un governaccio con una maggioranza parlamentare molto ampia: Pd e M5S dovrebbero essere i partiti egemoni, mentre la governance e l’indirizzo politico sono esplicitamente padronali, confindustriali, vicini a tutti i poteri che hanno spolpato il Paese. Un governo che si è messo sull’attenti davanti al presidente di Confindustria Carlo Bonomi quando si è trattato di modificare il decreto sul blocco dei licenziamenti, che ha molti consulenti neo-liberisti e che favorisce gli assetti padronali sulle grandi questioni, dall’Ilva alle Autostrade alla distribuzione dei fondi del Recovery. L’implosione del M5S confermerà e accentuerà l’indirizzo conservatore e reazionario del governo.

In che modo?

Basta guardare a quello che è successo in questi giorni. Mercoledì il governo si è impegnato a finanziare il ponte sullo Stretto e presto partirà l’assalto a tutte le bandiere di sinistra di questi anni del M5S. A partire dal reddito di cittadinanza, che era una buona misura di contrasto alla povertà. Questo governo non lo dice, ma la pensa come Flavio Briatore: i poveri mangiano perché esistono i ricchi.

Chi ci guadagna da questa situazione?

Lo sbandamento del M5S produce già scricchiolii nell’alleanza con il Pd. Le convulsioni fanno il gioco di tutti coloro che sono stati ostili a quell’asse: festeggia Matteo Renzi, festeggia Matteo Salvini, festeggiano i renziani nel Pd, festeggia Giorgia Meloni perché parte di quei voti potrebbero finire all’estrema destra e festeggiano i poteri forti che hanno sempre considerato insopportabile l’asse giallorosa. Il pezzo di potere che ha fatto saltare il Conte-2 vede completata la sua opera.

Su quali passaggi si vedranno questi effetti?

Prima sulle Amministrative e poi sull’elezione del capo dello Stato. Rischiamo che al Colle vada un presidente di destra.

Calabria, guai familiari con l’Antimafia: passo indietro della Ventura

“È una catastrofe politica. Oggi neppure uno straccio si candiderebbe più con noi”. Lo sconforto di un dirigente calabrese del Pd è evidente. La richiesta di anonimato è quasi una supplica. Le voci di un’interdittiva antimafia per l’azienda di famiglia si sono rincorse per tutta la giornata e hanno indotto a ritirarsi la candidata dal Pd, scelta da Letta, Conte e Boccia. A quattro mesi dalle elezioni regionali, il Partito democratico e il Movimento 5 Stelle non hanno un candidato, solo fallimenti.

A ufficializzare il ritiro dalla corsa è la stessa imprenditrice Maria Antonietta Ventura, la presidente dell’Unicef Calabria che aveva accettato di guidare la coalizione di centrosinistra alle prossime elezioni. “Avevo deciso – scrive in una nota – di raccogliere l’invito a candidarmi a presidente della Regione Calabria e condurre una battaglia fiera e leale, a viso aperto, con parole chiare e proposte concrete per ridare dignità alla Calabria e orgoglio ai calabresi”. L’entusiasmo di questi giorni, però, non c’è più: “Preferisco però, con dolore, – aggiunge – fare un passo di lato per evitare che vicende, che, lo sottolineo con forza, non mi riguardano personalmente, possano dare adito a strumentalizzazioni che nulla avrebbero a che fare con il merito della campagna elettorale. Ho la responsabilità di tutelare le oltre mille famiglie dei lavoratori diretti e indiretti relativi alle aziende del mio gruppo. L’impegno sociale e civico a tutela dei calabresi proseguirà, con ancora maggiore determinazione, nelle forme che da sempre porto avanti”. Per ora Maria Antonietta Ventura non spiega quali siano le vicende che “potrebbero dare adito a strumentalizzazioni”. Nel 1993, all’interno del borsello di Totò Riina era stato trovato un pizzino in cui il “capo dei capi” aveva appuntato, in relazione a un appalto ferroviario in Sicilia, il nome dell’azienda della famiglia Ventura. Sono passati 28 anni da quella vicenda e difficilmente l’ormai ex candidata si sarebbe ritirata per questo motivo.

Grillo cede ai big sul piano Conte. Comitato di 7 con Di Maio e Fico

La scissione che pareva sentenza evapora (forse) dopo le 22, mentre tutta Italia guarda la Nazionale che gioca contro il Belgio. Dispettoso come suo costume, Beppe Grillo pensa bene di annunciare che sì, una soluzione per evitare le macerie è arrivata. “Oggi – scrive su Facebook – ho ricevuto dai gruppi parlamentari una richiesta di mediazione in merito agli atti che dovranno costituire la nuova struttura di regole del Movimento (Statuto, Carta dei valori, Codice Etico). Ho deciso quindi di individuare un comitato di sette persone che si dovrà occupare delle modifiche ritenute più opportune in linea con i principi e i valori della nostra comunità”.
Tradotto, il pressing di tutti i maggiorenti, con Luigi Di Maio e Roberto Fico primi pontieri, ha funzionato. Il Grillo che aveva messo il veto su Conte e sul suo nuovo Statuto accetta la proposta dei big, quella di un tavolo per creare uno Statuto intermedio tra quello dell’avvocato, di Conte, e il corpus di modifiche che lui, il Garante, pretendeva. È la mossa per la tregua, cioè per fermare la scissione dell’ex premier, che ieri era pronto ad annunciare l’addio al M5S e la nascita dei suoi gruppi parlamentari, primo e principale serbatoio del suo partito prossimo venturo. Invece l’ex premier si ferma, convinto ad aspettare dai maggiorenti e da contiani di rango, come Federico D’ Incà, attivissimo nella mediazione. Di mattina parte, per un fine settimana. E di sera tardi arriva l’annuncio del Garante, quello di un comitato, composto dal reggente e presidente del comitato di garanzia Vito Crimi, dal capogruppo della Camera Davide Crippa e da quello del Senato Ettore Licheri, dal capogruppo in Parlamento europeo Tiziana Beghin, dal rappresentate dei ministri Stefano Patuanelli, da Roberto Fico e Luigi Di Maio.
In sintesi, i pesi massimi, con almeno due contiani doc come Patuanelli e Licheri. Ergo, non può essere una mossa fatta all’insaputa dell’ex premier. “Il comitato – conclude Grillo – dovrà agire in tempi brevissimi. La votazione sul comitato direttivo è quindi sospesa”. Bloccato quindi l’iter per quell’organo collegiale che ieri mattina Crimi aveva avviato sul nuovo sito del Movimento (Movimento5Stelle.eu) abbandonando il vecchio blog delle Stelle. La votazione secondo il reggente – pronto ad aggregarsi a Conte – si sarebbe dovuta tenere “su una nuova piattaforma di voto”. Ovvero su Sky Vote, la sostituta di Rousseau, la creatura di Davide Casaleggio che Grillo aveva incredibilmente rimesso in partita. Ma il comitato di Garanzia – Crimi, Roberta Lombardi e Giancarlo Cancelleri – aveva respinto l’indicazione. E il Garante ieri non aveva battuto ciglio, nonostante l’evidente porta in faccia. Ulteriore segno della mediazione in atto, con Di Maio e Fico a lavorare ai fianchi il Garante, assieme al capogruppo alla Camera Crippa, uno degli uomini più fidati di Grillo. “Beppe ha capito di aver esagerato” sussurrava ieri un veterano vicino all’artista genovese.
Ma anche Conte tra giovedì e ieri era stato messo di fronte ad alcuni dati di fatto. Quello dei numeri, per esempio, perché la consistenza delle sue potenziali truppe non era quella che si sarebbe atteso. E di sicuro l’avvocato era rimasto colpito dai volti scuri e dalle parole da emergenza dei big, come quel Di Maio che per evitare l’irreparabile era andato a trovarlo a casa,e di mediatori che Conte sente affini, come D’Incà – legatissimo a Fico – o Licheri. Volti e voci che giovedì, con una lunga teoria di telefonate, gli hanno raccontato la stessa verità: il trasloco di massa di grillini nel suo partito era ancora un’ipotesi, perché i dubbiosi, anzi gli impauriti, sono una legione.
Spaventati dall’abbandonare la casa del metaforico padre, Grillo, ma incerti anche perché non sanno nulla dell’abitazione dove dovrebbero trasferirsi. Su questo doppio fronte, quello del Garante in parte pentito e quello dell’avvocato meno sicuro di sé rispetto a due o tre giorni fa, i dirigenti del Movimento hanno lavorato per trovare il varco, un po’ di luce prima del baratro della scissione. Potrebbero averlo trovato. Tanto che Di Maio, a partita dell’Italia appena conclusa, celebra con metafora calcistica: “La forza del gruppo”. Adesso però bisognerà giocare di diplomazia e cavilli, innanzitutto con Conte. Un legale e professore di Diritto, capo designato che al suo testo aveva lavorato quattro mesi. E che ora si ritrova nel pacchetto di norme – circostanza che non è un dettaglio – quel Codice etico che aveva deciso di scrivere più avanti.
Perché voleva sciogliere proprio lì, nel Codice, il primo mistero doloroso del Movimento, quello relativo al mantenimento del vincolo dei due mandati. Voleva occuparsene con più calma, ma in queste ore il nodo potrebbe riapparire al tavolo del comitato dei sette. Ma Conte che ne pensa? Dal suo staff, nella serata dell’Italia che festeggia gli azzurri, non trapelano reazioni apparenti. Ma anche dal suo giro notano i contiani di ferro nel comitato. Fedeli all’avvocato, certo. Ma ad occhio contentissimi di provare a cercare una soluzione. Prima del salto nel buio.

Si prega di non disturbare

Sarà il caldo, saranno gli effetti cerebrali del Covid, ma ormai si ha l’impressione che la terra non ruoti più attorno al sole, ma a Draghi. Qualunque evento dell’orbe terracqueo non viene più giudicato per ciò che significa in sé, ma per gli effetti che potrebbe avere sul governo Draghi. Che è l’unico metro di misura e di giudizio. Manco facesse capoluogo. Chi fino a sei mesi fa fomentava l’instabilità a tutti i costi, tifando per la caduta del governo precedente in piena pandemia, campagna vaccinale e scrittura del Pnrr, inventando fake news e pretesti ridicoli per giustificare il Conticidio, s’è convertito al dogma della stabilità a ogni costo. Non importa più ciò che fa o non fa il governo: l’unica cosa che conta è che nulla possa disturbarlo. Ricordate i titoloni su Salvini fascista? Ora, anche mentre firma patti con Le Pen&Orbán e difende i massacratori di S. Maria Capua Vetere, è un sincero democratico solo perché sta con Draghi. Che è come il Dash: lava così bianco che più bianco non si può. I due principali quotidiani di destra, Repubblica e il Giornale, accusano per i pestaggi in carcere nientemeno che l’ex ministro Bonafede: “Li ignorò”, “Sapeva tutto”, titolano, salvo poi precisare negli articoli che non poteva sapere nulla perché l’indagine della Procura era segreta anche per lui (tralascio il comico Riformatorio, che dà la colpa a me).

Anche sui 5Stelle, l’unica cosa che conta non è se vince Conte o Grillo, ma che continuino a portare l’acqua con le orecchie a Draghi, possibilmente carponi. Infatti Di Maio, sempre dipinto come un bibitaro, viene esaltato come uno statista dalle cheerleader draghiane tipo Stefano Folli, nella speranza che garantisca al premier i voti grillini, ovviamente gratis. Polito el Drito iscrive praticamente alle Br chi osa criticare gli economisti di ultradestra tecnocratica in un governo a maggioranza di centrosinistra. E i giornaloni fanno a gara a spegnere con gl’idranti qualunque vagito di dissenso dalla linea destroide del governo, col decisivo argomento che sennò “si regala Draghi alla destra”. Cioè: uno fa un governo di centrodestra al posto di uno di centrosinistra, ne smantella a una a una le riforme, dà i ministeri chiave a politici e tecnici di centrodestra, deride e cestina le proposte di M5S, Pd e Leu, si circonda di economisti di centrodestra, ricordandosi del centrosinistra solo quando deve chiedere i voti, e chi fa notare la contraddizione deve tacere per non “regalarlo alla destra”, come se non le si fosse regalato già lui da un pezzo. Ma, per quanto bizzarro, il ricatto funziona, persino su di noi. L’altro weekend, mentre andavo al mare, mi tormentavo: ma non starò regalando Draghi alla destra? Poi per fortuna non è successo niente. Ma ci è calato poco.