Le città-gioiello etrusche: sfregio delle pale eoliche

La società privata Ewt Italia Development srl. con sede a Milano, ha chiesto il rilascio della autorizzazione alla costruzione e all’esercizio, nonché alle infrastrutture e alle opere connesse con “dichiarazione di pubblica utilità” – in un crocevia fra i più delicati e belli dal punto di vista paesaggistico e storico-artistico – di due impianti eolici fra i più impattanti. Essi sorgerebbero in prossimità di due centri storici dei più straordinari: quello di Civita di Bagnoregio chiamata anche “la città destinata a morire” per lo sfaldamento del colle di tufo sul quale venne edificata secoli fa dagli Etruschi, continuamente eroso dalle acque dei fiumi che la accerchiano e dal materiale tufaceo sul quale venne costruita, fortemente lesionato anche dai frequenti terremoti. Aveva migliaia di residenti secoli fa, gliene restano in tutto una dozzina, alcuni romani. Un centro storico quanto mai delicato che si raggiunge percorrendo un lungo ponte edificato anni addietro. A ogni persona colta e ragionevole non verrebbe certo in mente di sceglierlo come sito per piazzarci un vero e proprio parco eolico spezzettando ad arte il progetto per presentarlo in modo meno inaccettabile. L’altro centro scelto è Montefiascone.

Solo che la Provincia di Viterbo impiega pagine e pagine per documentare una posizione critica, mentre proprio il Comune di Montefiascone, diciamo la verità, impiega molto meno per descrivere l’osceno progetto e per bollarne la sostanziale follia e inutilità ai fini della pubblica utilità. Il frazionamento è stato voluto col chiaro fine di di evitare in tal modo la Via, cioè la valutazione di impatto ambientale. Anche la potenza di 1 MWpca. (0.999) è fissata per non oltrepassare il limite di potenza previsto dall’iter amministrativo semplificato. In realtà si tratta di un solo grande Parco eolico in quanto le torri sarebbero posizionate esattamente su una linea retta e due degli svariati aerogeneratori dovrebbero venire installati a nord del Comune di Montefiascone a poco più di 1 km l’uno dall’altro. Per dare un’idea, si tratta di torri alte 40 metri, presentate da 4 distinte società delle quali però 3 compartecipate fra loro. Si tratta di “pali eolici” con rotori a tre pale dal diametro massimo di 61 metri, con una altezza complessiva di 99,5 metri da terra per cui si renderà indispensabile una piazzola di manutenzione e una nuova strada di accesso e una piazzola di ricarica delle auto elettriche.

Tutto regolare? No, per il Consiglio di Stato, perché l’artificiosa suddivisione del progetto è stata operata per sottrarre lo stesso alla Valutazione di Impatto Ambientale che sarebbe stata obbligatoria per l’opera nella sua interezza, riconducibile al medesimo (privato) centro di interessi. Non solo: un artificioso frazionamento farebbe venir meno l’ammissione al meccanismo degli incentivi e quindi delle stesse tariffe incentivanti.

In conclusione le istituzioni locali della zona hanno espresso giudizi fortemente negativi. “È impensabile – si sostiene – realizzare impianti di questa natura nel luogo che forma un crocevia tra Orvieto (già funestata da pale eoliche, voglio notare), Bagnoregio, Bolsena e Montefiascone con tutte le zone di protezione speciale, senza la minima Valutazione di impatto ambientale o Valutazione di Incidenza”. Come non essere pienamente d’accordo? È o non è il Paese della Bellezza? Ma a chi verrà data ragione, ai cittadini, agli operatori turistici oppure agli speculatori più indifferenti ai valori della cultura e della storia? Etruschi e Falisci sono remoti, ma sono i nostri lontani padri.

 

Contagi: Kim e le purghe a funzionari pigri e incompetenti

Il virus che non aveva mai varcato – ufficialmente – le frontiere nord-coreane adesso miete vittime, forse solo metaforicamente, nella nomenklatura comunista: il leader Kim Jong-un ha pubblicamente denunciato un “grave incidente”, non meglio specificato, legato alla pandemia, che potrebbe mettere a repentaglio la sicurezza del Paese e dei suoi cittadini. La Kcna, l’agenzia di stampa ufficiale nord-coreana, comunica che Kim, presiedendo una riunione del Politburo del Partito dei Lavoratori, ha annunciato un repulisti di funzionari, che, “trascurando importanti decisioni del partito, hanno causato” il misterioso inconveniente, col loro atteggiamento “pigro e incompetente”. C’è l’ipotesi che Kim intenda così fugare i dubbi sul suo stato di salute e sul fatto che sia sempre saldo alla guida del Paese. Nei giorni scorsi, considerazioni su un suo visibile dimagrimento – avrebbe perso almeno venti chili dei 140 cui sarebbe giunto – avevano alimentato illazioni e congetture, tanto più che la Kctv, la tv di Stato, aveva mandato in onda il commento di un cittadino sulla condizione “emaciata” dell’ancor giovane leader. C’è chi ritiene che Kim giochi sull’aspetto fisico per apparire un leader “dedito al proprio popolo e laborioso”, mentre la Corea del Nord affronta una grave crisi alimentare, avendo perso la battaglia sulla produzione di grano e riso e avendo aperto scenari di carestia. Pyongyang aveva finora rivendicato l’assenza di casi di coronavirus nel Paese: un atteggiamento non suffragato da informazioni scientifiche attendibili. La Johns Hopkins University, che monitora l’andamento della pandemia globale, è scettica sulla pretesa della Corea del Nord di essere rimasta impermeabile al virus, nonostante una lunga frontiera con la Cina e oltre 31 mila test anti-virus condotti. Solo nel luglio del 2020 Pyongyang aveva ammesso una possibile breccia del virus nel Paese, quando un disertore sarebbe clandestinamente rientrato dalla Corea del Sud in una città di confine, Kaesong, non ci fu però mai conferma che l’uomo fosse positivo. Per Hong Min, analista dell’Istituto coreano per l’Unificazione nazionale di Seul, il grave incidente potrebbe essere un contagio di massa o una situazione in cui molte persone sono state a rischio contagio diretto. Altri esperti citati da dispacci della Kyodo ritengono che i termini vaghi lascino presagire scossoni politici o possano essere un modo di evocare brecce nel rigido lockdown adottato. Pyongyang tiene bloccato da inizio 2020 il traffico da e per Cina e Russia e vieta l’ingresso nella capitale.

Bolsonaro specula sul Covid. Brasile, mazzette sui vaccini

Da 35 giorni con una media di 1.000 morti per Covid ogni 24 ore, 280mila nell’ultimo anno, la beffa per il Brasile devastato dal virus è che il vaccino serva a far ingrassare le casse del governo di Jair Bolsonaro. “Un dollaro a fiala per 400 milioni di dosi”: sarebbe questa la mazzetta richiesta dal ministero della Salute del presidente negazionista a una delle aziende farmaceutiche che vende il siero Astrazeneca in Brasile. A rivelarlo al quotidiano Folha de S. Paulo è stato lo stesso rappresentante farmaceutico della Davati Medical Suplly, Luiz Paulo Dominguetti, che ha raccontato al giornalista la proposta di Roberto Diaz, direttore del ministero della Salute: in tutto 400 milioni di dollari per acquistare il vaccino di Oxford. Una proposta arrivata, a detta di Dominguetti, il 25 febbraio scorso durante una cena in un centro commerciale di Brasilia, al tempo dunque in cui a capo del dicastero c’era il generale Eduardo Pazuello, sostituto del dimissionario Nelson Teich a settembre 2020. Pazuello, a sua volta soppiantato dal medico Marcelo Queiroga a marzo scorso, è ministro già implicato nelle accuse di cattiva gestione del Covid, nell’affaire dell’approvazione dell’uso dell’idrossiclorochina e clorichina per il trattamento del coronavirus, nonché nel tentativo di nascondere i reali numeri delle morti per Covid-19, nel mancato acquisto dell’ossigeno per Manaus, la città amazzonica più colpita dalla pandemia e per finire, accusato di aver contravvenuto alla Costituzione partecipando da generale alle manifestazioni politiche del presidente.

Dominguetti ha confessato al quotidiano di Brasilia di non aver accettato la proposta: “Ho detto che non potevo farlo, che quello stabilito era il prezzo a cui vendevamo il vaccino anche agli altri Paesi e che non c’era modo di aumentarlo”, ha raccontato il rappresentate, di fronte alla cui risposta il funzionario ministeriale avrebbe ribattuto con l’offerta di “entrare nell’agenda del governo”.

Dall’esecutivo, neanche a dirlo, hanno già provveduto a prendere le distanze dall’ultima infamante accusa di aver speculato sui vaccini con l’attuale capo della Salute, Queiroga che si è subito messo al sicuro licenziando il funzionario implicato nella mazzette, tal Ferreira Dias e sottolineando che la sua assunzione risale al ministro Dem, Luiz Henrique Mandetta, colui che ora accusa Bolsonaro di aver sottovalutato la pandemia portando il Paese alla crisi. Quella sulle mazzette Astrazeneca è già la seconda inchiesta riguardante i vaccini brasiliani dopo quella che solo una settimana fa ha portato alla luce irregolarità nel contratto di acquisto di 20 milioni di dosi del vaccino indiano Covaxin e in base alla quale tre senatori dell’opposizione hanno chiesto l’apertura di un’inchiesta a carico del presidente Bolsonaro.

Intanto ieri la Commissione parlamentare sulla gestione della pandemia e dei vaccini chiamava a testimoniare l’imprenditore Carlos Wizard, uno dei 14 indagati per le irregolarità sui contratti del governo. Wizard, che inizialmente si era rifiutato di presentarsi e che ieri ha annunciato la sua presenza al Cpi via Instagram, ha poi fatto scena muta. A suo carico l’accusa di essere uno dei principali esponenti del “ministero parallelo” della Salute, specializzato nell’acquisto di farmaci e vaccini anti-Covid. “Vedrai che presto il Brasile sarà rifornito di farmaci dalla fase iniziale del trattamento”, aveva dichiarato Carlos Wizard in una diretta della rivista Istoé Dinheiro del maggio scorso, poco dopo l’assunzoione da parte di Pazuello della carica di ministro ad interim. Da Pazuello, Wizard ha dichiarato di aver ricevuto “la missione di monitorare i grandi appalti, perché si sa che il bilancio del ministero della Salute è uno dei più grandi, 150 miliardi di real”.

Wizard inoltre, secondo il Cpi avrebbe partecipato alla campagna per l’acquisto di vaccini da parte del settore privato, e non solo da parte del Sistema sanitario. Il prossimo testimone del Cpi sarà il rappresentante farmaceutico Dominguetti. Eppure non sembra che quest’altro scandalo possa scalfire il presidente, che come sottolinea lo stesso quotidiano Folha, sembra avere ancora un saldo appoggio politico contro qualunque tentativo di impeachment dell’opposizione.

L’importanza del bacio

2 luglio, giornata mondiale del bacio. La sua celebrazione cade, fortunatamente, in un momento di allentamento delle misure di contenimento della pandemia. Potremo baciarci? Questa manifestazione “sociale” non appare, di fatto, in nessun verbale del CTS, né nei vari decreti governativi. Eppure ci è stata di fatto vietata, anche se, immagino, molto trasgredita. La storia del bacio, anche se si trovano manifestazioni simili in tutte le specie animali, è propria del genere umano che lo arricchisce, nella sua evoluzione, di molti significati. Nasce, in comune a molte specie animali, come gesto di nutrizione dei piccoli, ma nella nostra specie, questa manifestazione diventa complessa e, da semplice gesto materno, ha assunto tanti altri significati. I latini riconoscevano tre tipi di baci, l’osculum, dell’amore filiale, il basium, dedicato alle mogli e il savium, quello libidinoso che si scambiava con le prostitute. Fondamentalmente si inquadra nell’espressione che ci dà un grande senso di sicurezza. Il bacio dei nostri genitori ci fa sentire protetti, quello dell’amante ci fa sentire scelti, amati. È suggello di un patto di intesa, come avviene in alcuni popoli, persino tra uomini d’affari. Dal punto di vista della nostra fisiologia, è opera di ben 35 muscoli facciali, accompagnata da un’accelerazione del battito cardiaco che aumenta il flusso circolatorio e la pressione sanguigna e infine, la secrezione dell’ormone della felicità, l’ossitocina. È praticato da più del 90% della popolazione a eccezione degli eschimesi e dei pigmei che preferiscono strofinarsi il naso. Pare sia importante anche nella scelta “biologicamente utile” del partner. Attraverso il bacio, infatti, è stato provato che avvenga un’indagine tra la compatibilità genetica dei due individui. Non dobbiamo però dimenticare che è anche “scambio” di microbi, batteri e virus, provenienti dalla bocca ma anche dalle alte vie aeree. Anche il Covid può essere trasmesso attraverso questa piacevole procedura e allora sarebbe meglio limitare i nostri baci ai conviventi o, se proprio necessario, richiedere il green pass, ma non rinunciarci! E allora… baci!!!

 

Draghi non è Biden, l’ha deciso la Cdu-Csu

Com’è notodall’altra parte dell’Atlantico un vecchio trombone centrista, Joe Biden, sta provando a cambiare il paradigma economico che ha governato l’Occidente negli ultimi decenni: un’economia che metta il piccolo davanti al grande, il salario alla rendita, il lavoro al profitto attraverso l’unico riequilibratore possibile in condizioni di mercato, la spesa pubblica. Perché Mario Draghi – e ovviamente qualunque altro premier italiano – anche volendo non può essere Biden? La risposta è: non ha la maggioranza. Dirà il lettore: ma come? Ha una maggioranza enorme! Certo, in Italia, ma non dove gli serve, cioè a Berlino: in un’area valutaria comune le politiche fiscali devono essere coordinate e se non lo sono i Paesi periferici (Italia) devono seguire i Paesi core (Germania), pena ritrovarsi nel 2011. Ebbene, neanche a Berlino c’è Biden. Lo desumiamo da certi stralci del programma della Cdu-Csu, il cui candidato Armin Laschet è il probabile successore della Merkel, citati ieri da Italia Oggi: “Ripristinare rapidamente le regole fiscali del Patto di stabilità e crescita e del Fiscal Compact”; “Il Next Generation Ue è temporaneo e una tantum”; “Continuiamo a rifiutarci di mettere in comune i debiti o i rischi degli Stati membri”; “Rifiutiamo il finanziamento statale monetario”; per gli Stati in difficoltà vanno adottate “procedure ordinate, fino alla procedura d’insolvenza” (quindi “sviluppare e completare il Mes”); “Rifiutiamo i salvataggi bancari da attuare con le entrate fiscali, così come una messa in comune dei costi nel quadro dell’assicurazione europea dei depositi”. La Germania anche dopo il Covid vuol vivere di export e deflazione salariale e noi dovremo stare in quella scia. Quando finisce la ricreazione Covid? Lo ha detto martedì Ursula von der Leyen: “Entro 18 mesi tutti e 27 i Paesi membri si saranno ripresi dalla crisi” (tradotto: dal 2023 fine dell’eccezione, si torna ai vincoli di bilancio). Sembra tutto molto complicato, ma per fortuna c’è il Pd che ci ricorda chi dovrà pagare per tutti: serve – ha detto ieri Enrico Letta – un nuovo accordo per la “moderazione salariale” tipo Ciampi ’93 (e questo dimostra pure che i tromboni centristi in Italia, a differenza che negli Usa, non evolvono con l’età).

MailBox

 

Spero che Grillo torni in sé, ma voterò per Conte

Ho 83 anni, ho sempre votato a sinistra sin dall’età consentita. Grazie al Fatto Quotidiano, da quando leggo gli articoli dei suoi giornalisti, mi sono reso conto che l’attuale destra è ciarpame colluso. Condivido, ammiro e stimo tutti i collaboratori del Fatto che giornalmente esprimono il loro parere e preoccupazioni per il futuro del Paese. L’inizio del male (potrebbe essere il titolo di un film) coincide col ventennio di Berlusconi, che per garantire, negli anni a seguire, le sue impunite coperture e falsità, ha imbottito i gangli dello Stato a tutti i livelli di disonestà e falsità. Questo danno fatto sin dall’inizio è ancora perfettamente funzionante. Spero che Grillo ritorni in sé e consenta a Conte di proseguire il suo programma pieno di speranza per tutti noi. La prossima volta voterò 5Stelle con Conte.

Romano De Flaviis

 

Direttore, perché Sallusti continua a nominarla?

Gentile direttore, rimango spesso basito nel leggere Sallusti che la nomina con cadenza settimanale come se lei fosse un esponente politico membro del governo piuttosto che un giornalista. Ci dica la verità. Sallusti è invidioso di Lei? Oppure ha una ossessione? Lei lo ha “stanato” diverse volte nei contenuti dei suoi articoli? Ci aiuti a comprendere. Grazie.

Antonello Lupiani

Credo che, ogni tanto, viste le sue compagnie, senta la mancanza di un giornalista.

m. trav.

 

L’Elevato è responsabile dell’ennesimo Conticidio

Bisognerebbe aggiornare i quattro tentativi di Conticidio, con quest’ultimo a opera di Beppe Grillo: a chi risponde realmente il cosiddetto “Garante”? Mi auguro che ministri e senatori del M5S insorgano e che nessuno risponda più ai suoi appelli di votazione o mobilitazione se non con un grandissimo “Vaffa”. Che grande delusione!

Eleonora Manconi

 

Scontro nel Movimento: la “presenza” del padre

Ho 70 anni, da qualche mese in pensione dopo 40 anni di medicina di famiglia. Ho anche tre figli di 36, 31 e 20 anni: sono attento al loro futuro. Non mi verrebbe mai in mente di anteporre la mia funzione originaria di “genitore” alle loro legittime aspirazioni. Ho cercato di dar loro gli strumenti per affrontare la vita, pur essendo presente per i riferimenti necessari che la mia esperienza sente l’obbligo di proporre. In questi anni ho appoggiato i milioni di giovani che hanno trovato in Grillo e Casaleggio i loro “genitori” politici. Ora è tempo di lasciar andare questi figli, liberi di decidere il loro futuro, liberi di sbagliare e di pagare i propri errori. Le vicende personali di Beppe Grillo sono lì a insegnarci che i figli non sono “roba nostra”, fanno parte dell’umanità e la nostra presenza è d’obbligo, ma discreta.

Gianluigi Tornei

 

Ristori allo sport: la beffa di cui il Mef non risponde

Buon pomeriggio, il mio nome è Giovanni e sono uno dei tanti collaboratori sportivi lasciati a se stessi dal governo nonostante le promesse di ristori mai arrivati. Scrivo a voi perché siete stati la testata giornalistica che ha portato all’attenzione la beffa del Mef riguardo le promesse di pagamento del 16 giugno che non furono rispettate, le quali sono poi state mantenute solo dopo il vostro articolo. Ci sono stati infatti promessi i bonus per aprile e maggio, per i quali abbiamo anche ricevuto delle mail dall’ente dello sport e della salute, nella quale si richiedeva la conferma dei requisiti. E da allora più nulla, nonostante nei precedenti ristori dopo due settimane seguisse un bonifico. È impossibile avere risposte. Se si contatta il Mef loro scaricano il tutto sull’Agenzia delle Entrate, a detta loro responsabile dei controlli incrociati. E infine, se si prova a chiamare l’Agenzia delle Entrate, semplicemente non risponde nessun operatore. Il tutto senza ricevere alcuna spiegazione né risposta dall’attuale ministro allo Sport Vezzali, la quale è assente e non è un punto di riferimento, cosa che invece è sempre stato Spadafora, essendo stato sempre puntuale nel tenerci informati sui pagamenti.

Giovanni

 

Le “variazioni” di Beppe aiutano la mala politica

Direttore, leggo i suoi ultimi editoriali e immagino che le “Variazioni Grillo” sul M5S, avvenute nel corso degli anni recenti, saranno raccontate in un poema epico che si chiamerà, presumo, “La Cireide”. Purtroppo tutto ciò manda in malora quello che è stato fatto per gli italiani, a dispetto della casta di feudatari che ci governa da tanto tempo, ci allontana dalle politiche europee più moderne e ridà fiato a prospettive politiche vecchie e miopi.

Giovanni Acchiardo

Qualità della vita. Terapia del dolore e cure palliative: si muova il governo

 

Recentemente, il Parlamento si è occupato di cure palliative e terapia del dolore (CP e TDol), con l’approvazione solo in maggio 2021 della mozione 1/00397 presentata in ottobre 2020 in piena pandemia. Verrebbe impegnato il governo ad attuare una lunga serie di indicazioni, molte delle quali però, risultando correlate al Covid che ora è in evidente ridotto impatto clinico, rischiano di non mostrare più la stessa pregnanza e interesse; ci si dovrebbe concentrare pragmaticamente su ciò che è volto al miglioramento della Qualità di vita dei sofferenti in ogni tempo. La mozione evidenzia soprattutto i fondamentali bisogni del fine vita, ricordando che “dall’inizio della pandemia da Covid-19 a oggi si sono registrati 121.000 decessi in Italia”, ma in realtà il numero delle persone che avrebbero avuto bisogno di sollievo dalla sofferenza era enormemente più elevato, includendo in varia misura tutta l’ampia platea dei ricoverati per Covid sintomatico, non solo quelli a prognosi purtroppo sfavorevole. Il Covid-19 è paradigmatico di che ciò accade in ogni grave patologia sintomatica, il soffrire è uno sgradito frequente compagno di viaggio in molte malattie e sarebbe largamente evitabile con la diffusione delle Cp e TDol. Nella mozione che impegna il governo, appare prioritario ciò che va al di là dell’emergenza, come il punto “h)… garantire un servizio di cure palliative (ambulatoriali e di consulenza) per ogni ospedale di base…” vera grave e concreta assenza, purtroppo sancita dal dm 70/2015 (regolamento degli standard ospedalieri) che aveva sforbiciato diffusamente la sanità pubblica e cancellato proprio le cure palliative dal novero delle discipline ospedaliere, dm in vigore ancor oggi, pur in violazione palese della legge 38/2010 e anche dei successivi Lea del 2017 (ai quali non è mai seguita la revisione del dm 70 incoerente). La pandemia ci ha colti impreparati in molti sensi, ma ha potuto generare maggiori sofferenze non controllate per tali impasse normative mai risolte seppur reiteratamente segnalate (2016 ecc). Non basta richiedere “mai più morti in solitudine”, occorre richiedere “mai più sofferenza non controllata”. Sarebbe opportuno quindi impegnare il governo a occuparsi di garantire il controllo di tutti gli stati di sofferenza, inclusi i dolori, cronici e non, di ogni tipo e in ogni fase di malattia, gestibili meglio, almeno per il livello intraospedaliero di base, da servizi unitari di Cp e TDol. La prognosi peraltro è sempre presuntiva e non può essere posta come parametro per la gestione o meno del soffrire, come dimostrato da malattie come il Covid, meritevoli di cure della sofferenza specialistiche attuate con “grano salis”, con titolazioni farmacologiche progressive, al fine di ridurre il distress senza inficiare eventuali possibilità di guarigione, anzi potenzialmente migliorandole, per la riduzione dello spreco della già scarsa riserva funzionale nel malato inutilmente sofferente.

Dott. Marco Ceresa

E ora Urbano Cairo sindaco di Milano per il centrodestra?

Un tempo a Milano ci si svegliava e si diceva: “Che cosa devo fare oggi per il mio business?”. Oggi invece ci si sveglia e ci si chiede: “Chi sarà il candidato sindaco di oggi del centrodestra?”. Ormai l’elenco è lungo. Nei mesi scorsi sono stati nominati, almeno per un giorno: Giulio Gallera, Alberto Zangrillo, Gabriele Albertini, Letizia Moratti, Franco Baresi, Paolo Veronesi, Sergio Dompè, Flavio Cattaneo, Ferruccio Resta, Alessandro Galimberti, Gianmarco Senna, Silvio Berlusconi, Marco Castoldi in arte Morgan, Maurizio Lupi, Luigi Santa Maria, Simone Crolla, Roberto Rasia dal Polo, Annarosa Racca, Riccardo Ruggiero, Maurizio Dallocchio, Fabio Minoli, Oscar di Montigny. L’elenco è certamente incompleto, mi scuseranno gli esclusi e i dimenticati. “Se un qualche leader o leaderino del centrodestra non ti è venuto a chiedere di candidarti, vuol dire che in città non conti proprio niente”, mi dice tra lo sconsolato e l’ironico un personaggio della Milano che invece conta eccome. Il barometro cambia previsioni a ogni soffio di vento. Uscito di scena l’ineffabile Di Montigny (dopo che il Fatto ha raccontato le sue gesta e rivelato che è un pregiudicato), oggi il barometro segna Andrea Farinet, imprenditore e presidente di Pubblicità Progresso, e Luca Bernardo, potente medico del Fatebenefratelli. Con Maurizio “Rolex” Lupi sempre pronto a scattare come “candidato politico” appena (e se) sarà esaurito l’elenco dei “candidati civici”. Ma la vera novità – ancora segreta – è un’altra: ci sta facendo un pensierino Urbano Cairo, l’editore del Corriere della Sera e di La7. È in corso un sondaggio riservato per valutare il suo peso elettorale e la sua capacità di contrapporsi al candidato del centrosinistra Giuseppe Sala. Per ora trapela soltanto che Cairo sarebbe capace di far tremare il sindaco uscente, che nei sondaggi era dato avanti solo di pochi punti anche in contrapposizione a candidati quasi sconosciuti: conquista il centro città, ma è asserragliato nel villaggio di Asterix assediato dalle periferie che voterebbero qualunque candidato gli si opponesse. Certo, Cairo avrebbe un problemino di conflitto d’interessi, ma non dimentichiamoci che siamo nell’Italia di Berlusconi. Una bella campagna elettorale potrebbe distrarlo dalle preoccupazioni che gli arrivano dall’America, dove il fondo Blackstone gli chiede 600 milioni di dollari di danni per la mancata vendita dell’immobile di via Solferino sede del Corriere.

In attesa che sbocci la candidatura Cairo – se son rose fioriranno – cerca di occupare la scena, almeno per qualche giorno, il dottor Bernardo. Il suo più grosso merito è quello di essere il pediatra di Licia Ronzulli, regista di Forza Italia nel tempo del declino di Berlusconi. Ma Luca Bernardo, inventore della coloratissima Casa pediatrica del Fatebenefratelli, in politica è figlio d’arte: suo padre era un deputato democristiano siciliano e suo fratello, Maurizio, è stato parlamentare berlusconiano del Pdl, poi dell’Ncd, infine candidato (non eletto) del Pd. Luca Bernardo, il pediatra, ebbe i flash della cronaca addosso quando nel settembre 2012 invitò a diventare “angelo custode” della pediatria del Fatebene una giovane consigliera regionale di Forza Italia: si chiamava Nicole Minetti, ex igienista dentale all’Ospedale San Raffaele di Milano – dunque un po’ collega – ma purtroppo allora già indagata per favoreggiamento alla prostituzione. La stampa, in quei mesi impegnata in maniera manettara a raccontare lo scandalo di Ruby e del bunga-bunga, non capì la scelta. Eppure la bella Nicole si presentò al reparto pediatrico per l’investitura angelica. Poi ebbe altro da fare: l’imputata nel processo bunga-bunga da cui è uscita con una condanna a 2 anni e 10 mesi. Se Bernardo resisterà come candidato, potrebbe convincerla a tornare in politica: come angelico assessore a Milano.

 

Verità sulla strage di Ustica: Presidente Draghi, intervenga

Abbiamo appena ricordato il 41° anniversario della strage di Ustica. Credo sia dunque il momento di rivolgere una richiesta precisa al presidente del Consiglio Mario Draghi: sia messa a disposizione la documentazione necessaria per dare un indispensabile contributo all’indagine giudiziaria in corso e per ricostruire la storia del nostro Paese. Era la serata del 27 giugno 1980 quando si persero i contatti di un aereo civile in volo tra Bologna e Palermo. La mattina successiva, affiorarono nel mar Tirreno frammenti di un relitto e di molti cadaveri: è la strage di Ustica.

Nel giro di pochi giorni calò il silenzio sulla vicenda. La verità è stata inghiottita come il mare ha inghiottito il relitto dell’aereo e le 81 vite di cittadini innocenti. Le indagini, passando da Palermo a Roma, persero colpevolmente ogni mordente, si lasciò avvalorare la tesi del “cedimento strutturale”, diffondendo la tragica ovvietà che gli aerei cadono. Negli anni seguenti, abbiamo assistito a una terribile e totale distruzione di prove. I parenti delle vittime sono rimasti soli nel loro dolore. Passano gli anni, l’impegno di giornalisti, intellettuali e uomini politici e dell’Associazione dei parenti risvegliano l’attenzione. Comincia a occuparsi della vicenda la Commissione parlamentare sulle stragi, presieduta dal senatore Libero Gualtieri. La magistratura riprende allora il filo delle indagini e dopo quasi vent’anni arriva la sentenza-ordinanza del giudice Priore: “Il Dc 9 Itavia è stato abbattuto all’interno di un episodio di guerra aerea”. Nel 2007, il presidente emerito Francesco Cossiga ha affermato, anche con deposizioni davanti ai giudici, che il Dc 9 è stato abbattuto da aerei militari francesi che volevano colpire il leader libico Gheddafi. È partita la nuova inchiesta della Procura di Roma.

Oggi crediamo che sia arrivato il momento per chiedere la conclusione dell’inchiesta, ma sappiamo che un grande ostacolo alle attività dei magistrati è stata la scarsa o inesistente collaborazione degli Stati amici e alleati di cui è documentata la presenza di velivoli attorno al Dc 9 prima della sua caduta in mare. Le rogatorie internazionali non hanno avuto risposte o hanno avuto risposte evasive. Per questo è ancora indispensabile un impegno della nostra diplomazia e della Presidenza del Consiglio a sostegno delle richieste degli inquirenti. Necessaria anche l’attuazione della direttiva Renzi del 2014 sulla desecretazione degli atti. Finora ha prevalso la “malavoglia” delle amministrazioni e il quasi totale dissesto degli archivi di ministeri e delle amministrazioni. L’impegno dei governi in questi anni è stato altalenante: si è passati da un impulso iniziale del sottosegretario Claudio De Vincenzi, a fasi di evidente caduta di interesse. Con il secondo governo Conte si era potuto cominciare ad apprezzare l’impegno del senatore Viti Crimi, ma ora mi sento di chiedere alla nuova Presidenza del Consiglio attenzione e determinazione. Nelle vicende della stagione delle stragi c’è ancora bisogno di documentazione sui comportamenti complessivi di tutti gli organi dello Stato: non si cercano ovviamente “pistole fumanti”, ma documentazione, contributi per le indagini giudiziarie e per la ricerca storica su anni difficili per il nostro Paese. Per la strage di Ustica, far funzionare davvero la direttiva Renzi e il suo Comitato consultivo significa spazzar via le polemiche, i depistaggi, le falsità che immancabilmente vogliono avvelenare l’informazione e screditare le verità raggiunte dalla magistratura.

Ecco perché al presidente del Consiglio Draghi mi sento oggi di chiedere un impegno per la verità sulla tragedia di Ustica e sulla storia complessiva del nostro Paese.

 

 

Conte come il domatore in gabbia, tra leoni e tigri

Nello psicodramma collettivo dei Cinquestelle, c’è un “fattore P” che può spiegare la personalità di Giuseppe Conte e il suo perdurante gradimento popolare registrato dai sondaggi. Al di là delle capacità dimostrate e dei meriti acquisiti nella doppia esperienza di governo, prima con la Lega e poi con il Pd, per lui – nato a Volturara Appula, in provincia di Foggia – questo fattore è la “pugliesità”. Un mix di tenacia e intraprendenza che, con tutti i limiti delle generalizzazioni, appartiene al Dna della sua gente. Quel “popolo di formiche”, come lo battezzò l’intellettuale socialista Tommaso Fiore, che discende dalla civiltà contadina e nello stesso tempo dalla tradizione marinara; temprato nel corso dei secoli dalla coltivazione della terra; avvezzo al pragmatismo mercantile e tendenzialmente levantino negli affari.

Da buon “Avvocato del popolo”, come lui stesso si definì all’esordio in politica, Conte ha messo in mostra doti di lucidità e resistenza anche nella disputa con Beppe Grillo per la leadership del M5S. Di fronte alle pretese egemoniche del “garante”, l’ex premier ha trovato la forza e il coraggio di rifiutare la diarchia, respingendo il ruolo di “figurante” e sfidando il fondatore nel voto online sul nuovo Statuto: è su questa base che avrebbe voluto rifondare il Movimento per trasformarlo in un “partito 2.0”, riformista e moderno, all’insegna della “democrazia deliberativa”.

La “scomunica” di Grillo, sferrando un colpo al centrosinistra e prestando oggettivamente un sostegno al centrodestra, minaccia adesso di ritorcersi come un boomerang contro il M5S e il suo stesso fondatore. Sembra di assistere alla rappresentazione scenografica della sindrome di Sansone, l’eroe biblico che fece crollare il tempio e morì sotto le rovine con tutti i filistei. Ma anche se fosse vero che l’ex premier “non ha visione politica” né “esperienza manageriale”, come ha sentenziato l’Elevato nella sua fatwa, un “padre padrone” che se ne accorge dopo tre anni e due governi – e soprattutto dopo aver già designato quella medesima persona alla guida del Movimento – appare ancor meno credibile e affidabile.

Qualche anno fa, in un’intervista al direttore di questo giornale, Conte si definì “un moroteo, fedele di Padre Pio”. E non c’è dubbio che dal conterraneo Aldo Moro ha assimilato le virtù della pazienza e della mediazione, mentre dal frate cappuccino delle stimmate può aver acquisito quella della sopportazione. Fatto sta che evidentemente queste due figure rappresentano per lui due modelli o comunque due punti di riferimento.

Nessuno può dire con certezza se l’avvocato pugliese sarebbe riuscito o meno nell’intento originario. Il suo ambizioso progetto deve fare i conti con una base che conserva tuttora in larga parte un’estrazione antagonista e antisistema. E perciò, l’azzardo di Conte ricorda in qualche modo un numero da circo equestre con il domatore che entra nella gabbia dei leoni o delle tigri, armato di frusta e di sedia.

Ora l’alternativa per lui è tra un sicuro ritorno alla professione privata e un incerto tentativo di fondare un nuovo partito, sull’onda della popolarità e del consenso che i sondaggi ancora gli accreditano. Nella prospettiva di questa seconda ipotesi, non concordo però con il mio vecchio e fraterno amico Antonio Padellaro che nei giorni scorsi gli ha consigliato di prendersi una pausa di riflessione, per riservarsi più avanti una rentrée politica in grande stile: gli elettori italiani sono alquanto volubili e nel giro di pochi mesi il Professore rischierebbe di perdere audience o addirittura di precipitare nell’oblio.

È un esercizio vano provare a disquisire oggi sulla natura più o meno “moderata” di Conte. La differenza fra Grillo e lui è quella che passa fra un “vaffa” e una pochette: quello stesso fazzoletto da taschino adottato recentemente pure dal ministro degli Esteri, Luigi Di Maio. Tanto esuberante ed estroverso l’ex comico, quanto riservato e composto l’avvocato. Ma è chiaro comunque che, in seguito a una spaccatura interna, i Cinquestelle disposti a restare sotto la guida del Professore non sarebbero più i “grillini” di una volta: quelli che volevano “aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno” e per i quali uno valeva uno.

La transizione da Movimento a partito delle istituzioni, tuttavia, può avvenire senza rinnegare la propria origine né il proprio orientamento legalitario, per assumere piuttosto un ruolo di maggiore responsabilità e partecipazione alla vita democratica nazionale. Nel bene o nel male, i Cinquestelle si sono integrati ormai nel sistema. E in futuro i seguaci di Conte, all’interno di uno schieramento riformatore e progressista, potranno contribuire alla crescita del Paese anche più di quanto abbiano fatto finora.