La festa di Adriana Lima, la tendenza in america e la strategia di Buffon

Ogni custode moderno del fuoco sacro, della sensitività e della malinconia primigenia, si difende da questa nostra civiltà intesa al successo, come di gente seduta intorno a tavoli di bisca, coltivando la pazienza cordiale e la volontà silenziosa, affinché la sua vita prosegua serrata, e si arricchisca: lentissimamente, ma senza sperperare nulla. E poiché la vita ideale si sviluppa per profondità e modo (essa è tema, è forma), niente di meglio che affidare il nodo delle inquietudini contemporanee alle proprie Pagine di diario.

Ogni donna, in circostanze opportune, è capace di mentire. Ma non ogni donna è capace di guidare il camion. Per cui, mentire e guidare i camion non sono tanto simili quanto si pensa.

Ho un’idea. Prendo tre file di pietre, due pietre per ogni fila. Non riesco a immaginare cosa fare poi.

È un vantaggio pesare più di un quintale. Vai a fare un picnic, le formiche non ti portano via.

Non possiamo permettere alle persone di uccidersi solo perché non hanno un motivo per vivere. Se lo facessimo, non ci sarebbero più impiegati statali.

Disastri aerei, incidenti ferroviari: Milton Halifax era sempre fra i primi ad accorrere. Poi, non visto, si sdraiava fra i rottami, e quando arrivavano i soccorsi faceva finta di risvegliarsi, confuso, dicendo: “Cosa è stato?”

Come fai a far galleggiare un bambino morto? Prendi una tazza di latte caldo e ci versi due cucchiaini di bambino morto in polvere.

Nella credenza ho una barra di cioccolato svizzero. È ferma. Segna l’ora esatta due volte al giorno.

Una volta Adriana Lima mi invitò al suo compleanno. Non ci andai. Perché sapete come funziona: tu ci vai, poi devi invitare lei al tuo compleanno, poi lei ti invita a casa sua, poi tu devi invitarla a casa tua. Non sai mai come possono andare a finire, ’ste storie.

Roma fu fondata da un milanese che un giorno disse: “Sì, mi piacciono lo smog e la corruzione, ma non è caldo abbastanza”.

C’è chi si rade il pelo pubico per far sembrare il proprio pisello più lungo. Ci ho provato, ma non mi sembrava molto più lungo. Allora sulla pancia mi sono fatto un tatuaggio trompe-l’œil della galleria degli Uffizi di Firenze che dà l’illusione della profondità.

Quelli che telefonano alle line erotiche spendono per una telefonata quanto basterebbe a sfamare dieci bambini africani per un mese. È giusto rinunciare alle telefonate per sfamare i bambini affamati? E nessuno pensa alla soluzione più semplice: mettere i bambini affamati a rispondere alle line erotiche.

Lo yoga è ridicolo. Ti metti in una posizione strana, e senti le tue palle che dicono: “Cosa stai facendo?”

In America c’è una nuova tendenza nelle coppie millennials: la riverginità. In pratica, le coppie smettono di fare sesso fino al matrimonio, in modo da concentrarsi su altri aspetti della relazione. Mi chiedo a quale membro della coppia sia venuta in mente questa idea.

Buffon. Se continua a giocare a calcio, diventerà qualcuno. Vedrete.

Nel M5S, alla fine, decide sempre Grillo, ma un parlamentare può sempre fare tante cose, nel M5S: per esempio andarsene.

La parte più divertente degli abusi della polizia nel carcere di Santa Maria Capua Vetere? La manganellata delicata al detenuto in carrozzella.

 

“Non Cacciateli, Per favore…” Quell’accordo così è una farsa

È stato reso noto solo alle 13.45 di ieri, cioè meno di dodici ore prima che scadesse il blocco dei licenziamenti, il decreto governativo che mira a scongiurare l’avvio di una stagione di macelleria sociale. Draghi, intervenuto in zona Cesarini, confida probabilmente che alla Confindustria non convenga metterlo in difficoltà, e che le aziende intenzionate a licenziare procedano in maniera soft, almeno inizialmente.

Ma è un fatto che gli imprenditori sono pervenuti a riottenere mano libera. Il cosiddetto “avviso comune” concordato a Palazzo Chigi con i sindacati, non va al di là di una mera raccomandazione: “Le parti sociali… si impegnano a raccomandare l’utilizzo degli ammortizzatori sociali… in alternativa alla risoluzione dei rapporti di lavoro”. Le aziende in crisi potranno usufruire di 13 settimane di cig gratuita ma, in assenza di una riforma organica degli ammortizzatori sociali, quanto a lungo si potrà contare sulla loro benevolenza?

La Cgil è rimasta isolata nel pretendere, invano, maggiori garanzie. L’unità sindacale resta solo di facciata. E il governo si limita a esercitare una sorta di moral suasion, scommettendo sulla ripresa a pieno ritmo della produzione.

Quanto a lungo potrà bastare? Non aveva torto ieri Il Sole 24 Ore nella sintesi pilatesca del suo titolo: “Il governo: Cig o licenziamenti”.

Impressiona, semmai, la disinvoltura con cui la (ex) grande stampa minimizza e sorvola su una vicenda riguardante il destino di un gran numero di lavoratori e delle loro famiglie. Che da oggi hanno perso una garanzia di stabilità del proprio reddito. Può darsi che i sindacati non avessero la forza di ottenere la proroga del blocco dei licenziamenti. Ma la storia insegna che in questi casi è sempre meglio riconoscere di fronte ai lavoratori il passo indietro a cui si è costretti, piuttosto che spacciare un auspicio per una vittoria.

Cina e politica estera: la furia dell’elevato

I sismografi del cattivo umore qualcosa avevano già registrato lo scorso 12 giugno dopo la visita di Beppe Grillo all’ambasciatore cinese, un colloquio di tre ore al quale però non aveva preso parte Giuseppe Conte. In quelle ore il rapporto tra il Garante e l’ex premier non registrava particolari turbolenze, ma tra i due, probabilmente, già qualcosa aveva cominciato a scricchiolare. Anche perché Grillo si aspettava di essere accompagnato da Conte, il quale invece si era reso uccel di bosco adducendo “impegni e motivi personali”. Un contrattempo che i commentatori avevano interpretato come una scusa addotta per evitare un problema diplomatico e di galateo istituzionale. Nel giorno di apertura del G7 in Cornovaglia, alla presenza del premier Mario Draghi, non sarebbe stato piuttosto imbarazzante se il predecessore a Palazzo Chigi si fosse incontrato con il rappresentante del governo di Pechino, che aveva appena definito il vertice “un piccolo circolo” e “un esempio di politica di gruppo”? L’Elevato, del resto, non ha mai fatto mistero delle sue simpatie “cinesi” (come non ha mai nascosto una certa attenzione nei confronti dell’Iran, altra bestia nera dell’Occidente). Ma forse ciò che davvero gli ha fatto saltare la mosca al naso è stata la rivendicazione piuttosto compiaciuta di Conte che, riletta dopo i noti sconquassi, può spiegare alcune cosette. Ovvero: “Ho incontrato già nelle scorse settimane ambasciatori e leader politici stranieri in qualità di ex presidente del Consiglio e leader in pectore del Movimento 5 Stelle”. E ancora: “Faremo in modo che l’esperienza che ho maturato a livello internazionale sia un valore aggiunto per un Movimento che intende rinnovarsi profondamente”. Proviamo a immaginare come questa preventiva avocazione di ruoli apicali nel Movimento (“leader in pectore”), addobbata da molteplici e prestigiose relazioni (l’aver incontrato “ambasciatori e leader politici stranieri”, ma pur sempre “in pectore”) l’abbia presa quell’altro a cui forse già giravano le scatole (a mmmia). Che difatti nella fase del sono incazzato nero, tra le condizioni irrinunciabili imposte a Conte, pretese la guida della politica estera (che nel codice non scritto del qui comando io è un po’ come il diritto di ballare con la reginetta di bellezza). Per carità, lungi da noi ridurre l’ira funesta del Supremo a una questione di supremazia gradassa, ma insomma.

Logistica, altro operaio investito

Ancora un camion contro operai. Ancora imprenditori e padroncini cinesi contro manodopera immigrata. Come a Briandate, dove il 18 giugno ha perso la vita il sindacalista Si Cobas Adil Belakhdim. Come nel cuore del tessile, alla Textprint di Prato, con l’assalto a colpi di mattoni contro i pachistani che denunciano lo sfruttamento.

Il 30 giugno è stato il turno del Piemonte: un operaio dei Cobas investito e ricoverato all’Ospedale di Voghera. “È stato il responsabile dell’azienda che ha accelerato vedendo il presidio” dice al Fatto Aboutabikh Mahmoud, sindacalista e testimone. La protesta? Contro “stipendi da mille euro per 10 ore di lavoro” e il licenziamento di sei operai, rientrati sotto lockdown al proprio Paese d’origine e poi costretti alla quarantena al ritorno in Italia. Siamo alla Miliardo Yida di Pontecurone. Impresa che si occupa di raccolta e riciclaggio di carta e plastica. Qui il conflitto lavoro e capitale prende la forma della frattura etnica: lavoratori immigrati da Asia e Africa che si sono sindacalizzati nei Cobas contro la proprietà cinese di prima e seconda generazione. Con la società intestata a Fule Chen, classe ’93, con il 35% delle quote. I suoi soci? La 22enne Valentina Chen e Xuefen Yang. Dai documenti societari risultano 17 dipendenti. “Sono 60 – dice il sindacalista – ma il pagamento in nero è la normalità”.

Così lo sblocco selettivo dei licenziamenti colpisce selettivamente etnie e lavoratori. Il premier Mario Draghi ha spaccato col meccanismo a scaglioni il fronte del lavoro precario che vira verso la disoccupazione, ma non si troverà unito in piazza. I Cobas invece non mollano. Ventiquattro ore prima, la sigla era a Roma al ministero del Lavoro. In 400 a pretendere l’incontro promesso dal ministro Andrea Orlando. Sono i 400 licenziati della FedEx di Piacenza, nonostante le garanzie date il 9 febbraio 2021 al Prefetto della città Daniela Lupo dalla multinazionale logistica americana. Per l’Italia? “Alcun impatto sul personale” hanno fatto mettere nero su bianco gli avvocati di FedEx e dell’amministratore delegato, Stefania Pezzetti. Un mese dopo? Chiusura dell’hub. Sfruttando la finestra temporale concessa dagli arresti dei leader piacentini Cobas: Carlo Pallavicini e Mohamed Arafat, rilasciati 15 giorni dopo dal Riesame di Bologna.

Il ministro Orlando ha convocato il 7 luglio il tavolo sul contratto della logistica: nell’annuncio parla di “sottoscrittori” del Ccnl, definizione che taglia fuori le sigle di base, firmatarie solo di accordi territoriali o aziendali. L’impressione è che si voglia trattare con le sole Cgil, Cisl e Uil, anche al costo di qualche cedimento su tempi e ammortizzatori sociali rispetto alla linea dura delle imprese, che vogliono mano libera per riorganizzare le filiere. È la mossa che FedEx ha tentato contro i Cobas prima dello sblocco dei licenziamenti per evitare “l’autunno caldo”, una stagione che rischia di arrivare in anticipo.

Da oggi licenziare si può: l’intesa non è vincolante

Il giorno dopo i toni sono entusiastici. “Un messaggio importante al Paese”, lo definisce il leader della Cgil Maurizio Landini. “Un segnale politico fondamentale”, per Pierpaolo Bombardieri della Uil. “Un grandissimo risultato”, dice il ministro del Lavoro, Andrea Orlando. Ma cosa sia l’accordo, o meglio la “presa d’atto” o “avviso comune” – come recita la nota di Palazzo Chigi – siglato martedì sera tra governo e parti sociali sul blocco dei licenziamenti è difficile dirlo. Dietro la facciata, però, nei sindacati, o almeno nella Cgil, un qualche imbarazzo c’è, perché questo gentlemen agreement vincola giuridicamente assai poco i contraenti.

Ieri il governo ha approvato, a 24 ore dalla fine del blocco generalizzato, il decreto correttivo del dl Sostegni bis che interviene, tra le altre cose, sul tema. Come previsto, il blocco iniziato a marzo 2020, cessa ma resta per tre mesi solo per tessile e comparti collegati (calzaturiero, moda). I sindacati chiedevano di arrivare a ottobre per tutti (come per piccole imprese e servizi), dopo un giorno di negoziati si è arrivati all’intesa “volontaria”: sette righe, in cui le “parti sociali” – i sindacati confederali, Confindustria, Legacoop e Confapi – “si impegnano a raccomandare l’uso degli ammortizzatori sociali che il decreto legge prevede in alternativa alla risoluzione di lavoro”. Il testo stanzia 13 settimane di Cig straordinaria cui le imprese dovrebbero attingere prima di licenziare.

Il condizionale è d’obbligo. “L’intesa impegna, anche se teoricamente – spiega Marco Barbieri, giuslavorista ed ex membro della commissione ministeriale per la riforma degli ammortizzatori sociali – solo i datori iscritti alle associazioni firmatarie, gli altri possono ignorarlo, anche se operanti nei settori coinvolti. Quelli aderenti sono ugualmente liberi, salvo poi dover affrontare le possibili rimostranze dell’associazione. È il famoso ‘dovere d’influenza’, studiato negli anni 60 per il fronte opposto: le cosiddette ‘clausole di tregua sindacale’ che impegnavano i sindacati a non scioperare, ma ovviamente non gli iscritti. Ora si ribalta sul lato padronale in questa forma debolissima. Una volta che il governo ha deciso questa misura ingiusta, i sindacati hanno accettato la piccola concessione. Peraltro il governo curiosamente firma il testo, anche se non assume nessuno impegno anzi, l’intesa nasce dal suo disimpegno”. “Meno di così era difficile”, ironizza Piergiovanni Alleva, giuslavorista e già responsabile della consulta giuridica della Cgil, che preferisce vedere almeno il “mezzo passo avanti nella direzione di dare precedenza a misure di tipo conservativo prima di licenziare. È la prima volta che viene messo nero su bianco, ma avrà forza solo se tradotta in legge”. E per ora non lo è. C’è però l’auspicio del segretario del Pd, Enrico Letta, per una riedizione del “grande patto per il lavoro” come quello del governo Ciampi nel ’93. Parliamo dell’accordo che aprì la stagione della moderazione salariale in Italia. Non un gran segnale.

A ogni modo, il decreto approvato era atteso anche per altre misure, tra cui lo stop al cashback deciso da Mario Draghi. “Una misura regressiva destinata a indirizzare le risorse verso le categorie e le aree del Paese in condizioni migliori”, l’ha definita in Cdm il premier. Ai 5Stelle resta il contentino della promessa, sulla carta, di farlo ripartire migliorato a gennaio. Nel frattempo, gli 1,5 miliardi risparmiati vanno alla riforma degli ammortizzatori sociali. Tra le altre misure, anche l’estensione del blocco delle cartelle fiscali a fine agosto.

Ponte sullo Stretto, il governo si impegna a finanziarlo. E la maggioranza va in pezzi

Le premesse per un incidente parlamentare c’erano tutte. Un tema più che mai divisivo, il famigerato ponte sullo Stretto di Messina, e lo sfaldamento del gruppo parlamentare più ampio, il M5S, in angoscia per la rottura tra Grillo e Conte e che sul tema del ponte si è diviso nelle ultime settimane. Così ieri, alla Camera, la maggioranza si è spaccata sulla grande opera di tradizione berlusconiana che dovrebbe collegare la Calabria alla Sicilia. Nella discussione sul “decreto fondone”, che riguarda 30 progetti da 30 miliardi che non possono essere finanziati con i fondi del Recovery, il centrodestra ha piazzato due ordini del giorno potenzialmente esplosivi: uno del deputato di Fratelli d’Italia Mauro Rotelli e un altro della forzista Stefania Prestigiacomo. Entrambi chiedevano al governo di impegnarsi a “reperire le adeguate coperture finanziarie” e “reinserire tra i progetti finanziati le opere inerenti la realizzazione del ponte sullo Stretto di Messina come collegamento stabile, viario e ferroviario”. Il governo, per bocca della sottosegretaria Pd al Tesoro, Alessandra Sartore, ha accettato i due odg riformulandoli, ma di fatto dando il via all’opera: l’esecutivo si è impegnato ad adottare “le opportune iniziative al fine di individuare le risorse necessarie per far realizzare un collegamento stabile, veloce e sostenibile dello Stretto di Messina”. Il meloniano Rotelli però non si è accontentato e ha chiesto di mettere ai voti l’ordine del giorno per verificare la tenuta della maggioranza. Che infatti si è spaccata: il centrodestra ha votato compattamente a favore (compreso FdI), LeU contro, mentre Pd (per lo più a favore) e M5S si sono divisi al loro interno alcuni sostenendo l’odg, altri no. I renziani invece non hanno partecipato al voto. Alla fine l’ordine del giorno di FdI è stato approvato con 264 voti favorevoli, 54 contrari e 17 astenuti. Un obiettivo che ha fatto esultare il centrodestra: “È passata una nostra battaglia” dicono i deputati leghisti, Edoardo Rixi e Domenico Furgiuele, mentre il meloniano Rotelli mette il dito nella piaga di una maggioranza “divisa sulle grandi opere”. “C’è la volontà trasversale di fare il ponte”, conclude la berlusconiana Prestigiacomo.

Il dibattito e il voto di ieri in Parlamento si inserisce nel contesto di un decreto, quello sul “fondone”, in cui il governo ha destinato ben 10 miliardi per finanziare i primi due lotti dell’Alta velocità ferroviaria Salerno-Reggio Calabria. Un’opera che costa oltre 20 miliardi e su cui mancano ancora gli studi di fattibilità. Il ponte è il suo completamento logico e il dibattito aperto da mesi serve a far digerire una spesa enorme per un’infrastruttura, l’Av Salerno-Reggio Calabria, senza alcuna reale stima di traffico.

“Autenticò quadri falsi”, Sgarbi prosciolto. Il Gup: “Il fatto non è reato”. In 19 a giudizio

Nessun processo per il critico d’arte Vittorio Sgarbi, prosciolto dal Gup di Roma dall’accusa di avere certificato l’autenticità di alcune opere dell’artista Gino De Dominicis, tra il 2014 e 2015. Per la Procura di Roma e il comando Tutela patrimonio culturale dei carabinieri le opere erano dei falsi, ma il giudice ha ritenuto il non luogo a procedere perché il fatto non costituisce reato per Sgarbi e per Duccio Trombadori. Il Gup ha osservato che il “catalogo ragionato realizzato nel 2011” su De Dominicis conta 632 opere, ma “secondo alcune stime l’artista in tutta la sua vita non avrebbe prodotto più di 800/850 opere”. A giudizio, invece, andranno 19 persone collegate alla Fondazione Archivio Gino De Dominicis di Roma. L’ipotesi: associazione a delinquere finalizzata alla contraffazione di opere d’arte, ricettazione e truffa. “Hanno accusato me e Trombadori che eravamo amici di De Dominicis, ma quelle opere sono autentiche. Come si fa a dichiarare false delle opere concettuali? Hanno meno di cinquant’anni, quindi non sono tra i beni tutelati dallo Stato”, ha commentato il critico.

Lampedusa, strage di donne e bambini “7 morti in mare”

Sette donne sono morte e 9 persone sono disperse, molti potrebbero essere bambini. È l’ennesimo naufragio, avvenuto all’alba di ieri, a 7 miglia da Lampedusa. Sul barchino viaggiavano 62 persone, hanno raccontato i 46 superstiti, partito dalla costa tunisina di Sfax con la speranza di poter raggiungere l’Europa.

Quell’Europa che si era riunita pochi giorni fa a Bruxelles, alla presenza dei leader dei 27 Stati, e che aveva dedicato appena dieci minuti al tema immigrazione, approvando senza modifiche e né discussione la bozza sui flussi migratori.

Per una giornata intera al largo di Lampedusa, le motovedette dei carabinieri, della Capitaneria di porto e della Guardia di finanza di Agrigento hanno cercato i dispersi. La Procura coordinata da Luigi Patronaggio ha aperto un’inchiesta per naufragio e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, al momento senza indagati, e ascoltato i diversi sopravvissuti portati all’hotspot di Lampedusa. Secondo il loro racconto, “in molti sono finiti in mare” quando hanno visto arrivare “le motovedette della Guardia costiera”, perché “si sarebbero sbilanciati in un lato dell’imbarcazione”, un movimento repentino che ne ha provocato la perdita di equilibrio. Oltre a ricostruire le dinamiche del naufragio, gli inquirenti puntano a risalire ai trafficanti e agli scafisti. Nel frattempo sono stati disposti degli accertamenti sul Dna delle vittime. Due superstiti sono state trasferite d’urgenza a Palermo, una donna incinta avrebbe delle complicazioni legate alla gravidanza, la seconda ha un edema polmonare acuto.

Sono state ore frenetiche ieri sull’isola, anche per via degli sbarchi: 357 in giornata, che hanno portato a 760 gli ospiti dell’hot spot. Intanto, il canale di Sicilia resta teatro di naufragi, sulla quale l’Ue ha sempre promesso di intervenire, senza mai fare atti concreti: per l’Unhcr tra il 2014 e il 2020 sarebbero 16.400 i dispersi in mare.

Bollette alle stelle, il governo stanzia 1 mld in extremis

Asorpresa ieri è stato inserito nel dl Lavoro, varato dal Consiglio dei ministri, anche un fondo da oltre un miliardo di euro per attutire sensibilmente l’impatto derivante dall’aumento dei prezzi delle materie prime (così come sta accadendo per acciaio, plastiche, cemento e bitume sotto la spinta dell’aumento del prezzo del petrolio) che da oggi avrebbe comportato una maxi-stangata sulle bollette di luce e gas. Nel mercato tutelato, infatti, ogni tre mesi l’Arera (l’Autorità per l’energia) comunica le tariffe che vengono utilizzate per il calcolo delle bollette. E quelle per i prossimi tre mesi sarebbero state salatissime: Nomisma negli scorsi giorni ha stimato rincari del 12% per la l’elettricità e del 21% per il gas con un incremento della spesa media di una famiglia di 300 euro all’anno. Mentre andiamo in stampa, l’Arera non ha ancora comunicato la nuova rivelazione perché deve attendere che il testo approvato in Cdm venga bollinato. È certo, però, che non si tratterà di rincari così alti: con l’aggiornamento degli oneri, l’Arera è infatti riuscita già a inglobare “lo sconto” e dare così una variazione effettiva, che altrimenti sarebbe stata più alta senza i fondi messi a disposizione dal governo per la riduzione oneri. Negli scorsi anni, per aiutare le famiglie, l’Arera è già intervenuta per “congelare” una parte dei costi che gravano in bolletta, rinviandone il pagamento di trimestre in trimestre. Ieri, però, a soprpresa il governo ha deciso di intervnire con la creazione del fondo da 1 miliardo. Intanto da oggi, dopo gli aggiustamenti dell’Arera, parte ufficialmente anche il bonus sociale. È un’agevolazione, inizialmente prevista per lo scorso gennaio, che consente uno sconto automatico sui consumi di luce, gas e acqua per le famiglie numerose e ai cittadini in condizioni di disagio economico, sociale e fisico.

Botte in cella, ora Cartabia si sveglia: “Agenti sospesi”

C’è voluto il video delle violenze animalesche nel carcere di Santa Maria Capua Vetere perché la politica iniziasse a dare una risposta. A distanza di 450 giorni dalla mattanza nella galera campana – era il 6 aprile 2020 – il ministero della Giustizia è riuscito ad abbozzare qualche parola e un primo timido intervento: Marta Cartabia ha disposto la sospensione dei 52 indagati, tra funzionari e agenti della Polizia Penitenziaria, coinvolti nell’inchiesta giudiziaria. Ieri, a più di un anno dall’inizio delle indagini, la ministra ha convocato il vertice dell’amministrazione penitenziaria (Dap) Bernardo Petralia – che resta al suo posto – e ha disposto approfondimenti “sull’intera catena di responsabilità e un rapporto anche sugli altri istituti”.

Il video pubblicato da Domani ha mostrato all’opinione pubblica quello che era stato raccontato attraverso gli atti giudiziari e le inchieste giornalistiche: nel carcere campano si sono consumate vessazioni brutali e ripetute, una pagina orribile per lo Stato. La forza delle immagini ha mosso l’incredibile inerzia delle istituzioni.

Un silenzio che inizia da lontano, dall’amministrazione dell’ex ministro grillino Alfonso Bonafede. Rispondendo a un’interrogazione parlamentare, il 16 ottobre 2020, il suo sottosegretario Vittorio Ferraresi definì il blitz sanguinolento degli agenti “una doverosa azione di ripristino di legalità e agibilità dell’intero reparto”. Inerzia che è continuata per 450 giorni: i protagonisti delle violenze hanno lavorato nella struttura casertana fino a ieri. Nel frattempo uno dei detenuti ha perso la vita: un mese dopo il blitz è stato trovato morto il 27enne algerino Lamine Hakimi, malato di schizofrenia. Per il gip è suicidio, secondo la procura era “morte come conseguenza di altro reato”. Ovvero percosse.

Persino nel giorno delle misure cautelari per i 52 indagati, lunedì 28 giugno, Cartabia commentava “rinnovando la fiducia nel corpo della Polizia Penitenziaria, restando in attesa di un pronto accertamento dei gravi fatti contestati”. Quarantotto ore dopo – potenza delle immagini – la ministra ha cambiato versione, sollecitata anche dalle proteste del Pd (i deputati Piero De Luca ed Emanuele Fiano hanno chiesto che la ministra riferisca in Parlamento). Ora Cartabia si è accorta che è stata “tradita la Costituzione”.

Sempre in difesa della polizia, invece, Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Il leghista è della stessa idea, anche dopo il video vergogna: “Il mio pensiero, la mia solidarietà umana e politica va alle donne e agli uomini in divisa”, ha detto in un video. “Chi sbaglia paga, ma giù le mani dalle forze dell’ordine. Per controllare più di 1.000 detenuti ci sono meno di 500 agenti, di cui 40 sono ora agli arresti. Il mio pensiero a loro, alle loro famiglie”. Oggi il capo della Lega, sempre più primo contraente del governo Draghi, va in visita nel carcere della mattanza. Per solidarietà agli aggressori.