Discoteche: slittano ancora le riaperture

Neanche ieri il Consiglio dei ministri ha deciso la data in cui potranno riaprire le discoteche, se ne è discusso brevemente ai margini della riunione, ma la questione resta aperta e per i gestori dei locali da ballo si preparano ristori. I ministri di centrodestra hanno chiesto con insistenza una data. Matteo Salvini ha protestato, chiede “perché punire ancora i giovani?”, sottolinea la penalizzazione di “3.000 imprenditori e 100.000 lavoratori”. Ma anche Mario Draghi al momento è piuttosto prudente. Benché dati siano buoni – con i contagi stabilmente sotto i mille al giorno e una media di 33 morti ogni 24 ore nell’ultima settimana – preoccupa la variante Delta in aumento mentre le vaccinazioni proseguono al di sopra delle 500 iniezioni al giorno ma il ritardo nelle forniture allungherà certamente i tempi. E tutti ricordano la cattiva esperienza dell’anno scorso, quando però i vaccini non c’erano. Sono oltre 34 milioni gli italiani che hanno completato il ciclo, più del 18 per cento della popolazione over 12.

Da oggi c’è il green pass europeo che si sovrappone, con qualche difficoltà, a quello italiano, rilasciato a chi ha fatto la prima dose di vaccino da almeno 14 giorni, a chi è guarito dal Covid e a chi risulta negativo al tampone (ma in questo caso solo per 48 ore). Vale per i matrimoni e gli eventi sportivi o culturali che lo prevedono; varrà per le discoteche quando riapriranno. L’hanno già scaricato 16 milioni di italiani. C’è la versione digitale con il Qr code e quella cartacea. Resta aperta la discussione sulla raccomandazione dell’Ue di rilasciarlo solo dopo la seconda dose, non vincolante e accolta da molti ma non tutti i Paesi membri: così con il pass italiano si può viaggiare verso alcune destinazioni e altre no. È opinione diffusa tra i medici che, considerata la limitata efficacia della prima dose nei confronti della variante Delta, sarebbe più prudente riservare il pass solo a chi ha completato il ciclo vaccinale: a questa posizione, espressa tra gli altri dal sottosegretario Pierpaolo Sileri, si è aggiunta ieri la voce autorevole dell’immunologo Alberto Mantovani. Il governo non ha ancora deciso. Il tema potrebbe essere sottoposto al Cts.

Il ministro della Salute, Roberto Speranza, ieri ha sottolineato, in un convegno dell’Unipol, che “i dati delle ultime settimane hanno segnato un importante miglioramento e sono frutto di una campagna di vaccinazione molto positiva, in cui continuiamo a fare 500.000 dosi al giorno e abbiamo avuto oltre 51 milioni di dosi somministrate”. Tuttavia, “la priorità delle prossime settimane sarà ancora la lotta contro il Covid, perché è vero che siamo in condizioni molto migliori di qualche settimana fa, ma non possiamo considerare chiusa la partita. Dobbiamo coltivare il percorso di gradualità”. Speranza ha risposto anche al question time di Fratelli d’Italia, che nelle scorse settimane ha ottenuto al Consiglio di Stato l’accesso agli appunti della task force costituita alla Salute nel gennaio 2020 dopo l’allarme diffuso dall’Organizzazione mondiale della Sanità per l’epidemia in Cina: ha rivendicato la “massima trasparenza”.

 

Europei a Roma, paura Delta 4 mila biglietti per gli inglesi

C’è un gol che rischia di rovinare l’Europeo dell’Italia, e non l’hanno subito gli azzurri. Quando l’Inghilterra ha battuto la Germania negli ottavi, a Palazzo Chigi, ministero della Salute, Viminale, si sono messi le mani tra i capelli. Il campo ha regalato a Roma il peggior accoppiamento possibile per il suo quarto di finale, l’ultima partita che sarà giocata all’Olimpico, nonostante il tentativo di Draghi di “scippare” la finale a Wembley: sabato arriva l’Inghilterra. Quindi arrivano gli inglesi. Fino a 4 mila persone, insieme allo spauracchio della variante Delta.

Fino all’ultimo le istituzioni italiane hanno “tifato” Germania, si sarebbero volentieri risparmiate il pericolo degli inevitabili arrivi da Londra, epicentro della variante che spaventa l’Europa: ieri oltre 25 mila contagi in Uk. Magari per una sfida contro la Svezia, facile da gestire sotto tutti i punti di vista. Invece tocca Inghilterra-Ucraina, con l’ulteriore preoccupazione dell’ordine pubblico per due tifoserie aggressive. Ma da Kiev gli arrivi sono quasi impossibili: gli ucraini allo stadio saranno pochi, appartenenti alla nutrita comunità locale. Il problema sono gli inglesi. O meglio, gli inglesi che potrebbero arrivare comunque dall’Inghilterra, nonostante la legge lo vieti.

Provvidenziale è stata l’ordinanza del ministro Speranza che da due settimane impone la quarantena dal Regno Unito. Entrata in vigore in ritardo, per non irritare la Uefa su Italia-Galles, che ha visto 2 mila stranieri a Roma. Proprio i gallesi sono stati gli unici sostenitori britannici a viaggiare per l’Europa, in questo torneo itinerante che sta contribuendo alla risalita dell’epidemia. Dopo i casi in Danimarca e Finlandia, il Dipartimento di salute scozzese ha individuato 1.300 nuovi positivi che erano stati a Londra per il “derby” Scozia-Inghilterra, che fin qui avevano sempre giocato in casa. Adesso però l’Europeo li porterà a Roma. I numeri in possesso delle istituzioni sono preoccupanti: circa 2 mila biglietti venduti da tempo a inglesi, non si sa quanti su territorio inglese. Altri 2 mila a disposizione della Football Association, che però ha bloccato il botteghino per i residenti in patria. Il problema dunque sono i primi. Con la quarantena “impossibile” di 5 giorni entro sabato, in teoria non dovrebbe arrivare nessuno. Il timore è che qualcuno ci provi comunque. I metodi per aggirare le restrizioni non mancano, e i tabloid inglesi fanno a gara a suggerirli. Il più comune è quello dello scalo, spezzando il biglietto aereo in un altro Paese Ue. Ancora più difficili da controllare gli arrivi via terra: con mezzo proprio (e meno di 36 ore di permanenza), non c’è quarantena. Senza dimenticare quelli che, sbarcati in Italia, potrebbero ignorarla, presentandosi allo stadio come se nulla fosse. L’allerta è alta. Il Lazio ha pubblicato un appello ai tifosi inglesi a non mettersi in viaggio, ricordando le restrizioni in vigore (ma sottolineando che non spetta alla Regione verificarle). È già scattato il dispositivo del Viminale per il rafforzamento dei controlli alle frontiere, autostrade, stazioni, aeroporti. La questura monitorerà piazze e fan Zone a Roma.

Poi c’è una categoria per cui non c’è controllo che tenga. I giocatori, ovviamente. Ma anche gli addetti ai lavori, gli accompagnatori, gli ospiti, i giornalisti. Per chi fa parte dell’evento non c’è quarantena. La Uefa ha preteso un salvacondotto anche per gli italiani che hanno seguito a Londra la nazionale per il match con l’Austria, ma lì i paletti sono stati rigidi: un unico charter autorizzato da meno di 100 persone per il gruppo squadra, via libera solo a titolari di accrediti o pass. Non a caso i tifosi italiani sono stati tutti fermati, e non ci sono state violazioni. In Italia invece le maglie sono più larghe. La nostra normativa consente l’ingresso a tutti quelli che partecipano (in senso lato) a una competizione sportiva, o per motivi di lavoro (e un periodo inferiore a 120 ore). Difficile quantificarli. Un po’ di inglesi arriveranno comunque. Andranno allo stadio, in piazza, si mischieranno alla festa di Euro 2020. Poi torneranno a casa. Sperando non ci abbiano lasciato prima la variante.

“Sulla giustizia non con Salvini”

“Siamo assolutamente contrari al quesito sulla custodia cautelare proposto da Matteo Salvini”. Il deputato e responsabile Giustizia di Fratelli d’Italia, Andrea Delmastro Delle Vedove, lo dice senza paura di fare un torto all’alleato di centrodestra.

Onorevole, Salvini sta puntando sui sei quesiti referendari sulla Giustizia tra cui c’è l’abolizione della custodia cautelare per molti reati. Voi di Fd’I che ne pensate?

Capisco l’esigenza di mettere un freno allo smodato uso della custodia cautelare, ma noi siamo assolutamente contrari perché non si può privare gli inquirenti di uno strumento così efficace che serve per evitare un’attività criminosa che altrimenti proseguirebbe imperterrita. Con l’eliminazione del criterio della reiterazione del reato, in carcere non ci andrà più nessuno.

Che effetti potrebbe avere il quesito?

Le faccio un esempio: la custodia cautelare è la misura essenziale per colpire gli spacciatori. Questi vivono dei proventi dello spaccio e quindi hanno necessità di reiterare il reato. Per questo la custodia cautelare è necessaria. Questo vale ovviamente anche per altri reati, dallo scippo ai furti in abitazione. E per il reato di stalking che facciamo? Lasciamo libero chi perseguita?

Salvini vorrebbe abolire il carcere anche per i reati dei colletti bianchi.

Il criterio della reiterazione del reato per disporre il carcere deve rimanere per qualunque delitto: dai reati della criminalità comune alla corruzione, la bancarotta e i reati fiscali. Punto.

Il leader della Lega che voleva “legge e ordine” per criminali e immigrati irregolari è incoerente?

Non lo so, Fd’I è per la certezza della pena, sempre. Non possiamo sostenere questo quesito.

E gli altri?

Premessa: noi non abbiamo paura del popolo e non pensiamo, come il Pd, che i referendum siano una clava contro qualcuno. Detto ciò preferiamo presentare emendamenti alle riforme in Parlamento. Come sul Csm dove noi proponiamo il sorteggio: Salvini lo voti in Parlamento.

E sul quesito che abolisce la legge Severino per ricandidare pregiudicati qual è la vostra posizione?

La legge ha effetti distorsivi e incostituzionali per gli amministratori locali condannati in primo grado, ma dei criteri di ineleggibilità e incandidabilità per i condannati devono restare. Sono contrario a eliminarla del tutto.

“Comitato Leopolda 9 e 10”: la nuova Open dei renziani

C’è un nuovo veicolo usato dai renziani per incamerare finanziamenti privati. Si chiama “Comitato Leopolda 9 e 10”, come le kermesse organizzate a Firenze da Matteo Renzi, e visti i nomi dei donatori sembra aver sostituito la Fondazione Open, nel frattempo finita nel mirino dei pm di Firenze che ritengono esser stata un’“articolazione politico-organizzativa” della componente renziana del Pd. Dopo l’esplosione dell’indagine, è stato creato il “Comitato Leopolda 9 e 10”, del quale in Internet non c’è traccia. I documenti ottenuti dal Fatto mostrano che questa struttura ha ricevuto parecchi soldi anche da alcune persone e aziende vicine a Italia Viva: solo nel 2020 il nuovo Comitato – poi chiuso a gennaio 2021 – ha incassato 428mila euro (contributi leciti e registrati). Il legale rappresentante era Alberto Bianchi, ex presidente della Open, indagato dalla procura di Firenze (insieme a Matteo Renzi e ad altri) per concorso in finanziamento illecito nell’ambito dell’inchiesta sulla Fondazione. Come spiegano fonti vicino a Bianchi “il Comitato è stato creato per lo svolgimento delle Leopolde 2018 e 2019, e solo quelle. Ha raccolto i contributi tutti leciti e ha pagato tutti i fornitori. È chiuso da gennaio 2021”. Ma perché se le Leopolde sono quelle degli anni 2018-2019, il Comitato ha ricevuto donazioni solo nel 2020? “Ci sono anche contributi 2019 – spiegano fonti vicine a Bianchi –. I contributi servono a pagare dopo i fornitori che hanno fiducia nel legale rappresentante del comitato organizzatore”. I documenti pubblici analizzati dal Fatto dicono che il Comitato ha ricevuto finanziamenti privati solo nel 2020.

Nel 2020 il donatore più generoso del “Comitato Leopolda 9 e 10” è stato Gianfranco Librandi. Eletto alla Camera nel 2018 con il Pd e poi emigrato in Italia Viva, il parlamentare-imprenditore di Saronno (Varese) nel 2020 ha versato nelle casse della nuova creatura 340mila euro. I soldi, regolarmente registrati, sono stati bonificati in parte dal suo conto personale, in parte da quello da due sue società, Tci Elettromeccanica e Tci Telecomunicazioni Italia Srl, specializzate nella produzione di sistemi di energia e illuminazione al led. I rendiconti pubblici sulle donazioni ai partiti dicono che Librandi è oggi il principale finanziatore privato della politica italiana. 66 anni, con un passato tra le file di Forza Italia e poi di Scelta Civica, è a capo di un gruppo industriale che conta 223 dipendenti e viaggia con il vento in poppa: il bilancio relativo al 2019 segna un fatturato di 151 milioni di euro e un utile netto di 5,7 milioni.

Se oggi Librandi finanzia il “Comitato Leopolda 9 e 10”, fino a qualche anno fa i suoi soldi li donava alla Fondazione Open. Secondo quanto riportato negli atti dell’inchiesta di Firenze, le due sue aziende, Tci Telecomunicazioni Italia e Tci Elettromeccanica (società estranee all’indagine fiorentina, così come Librandi), “nel periodo dal 08.12.2017 al 11.07.2018 hanno effettuato finanziamenti per un importo complessivo di 900.000 euro” verso Open.

Nel luglio del 2019, in seguito ad alcune operazioni legate al rientro di capitali dalla Svizzera, Librandi ha anche ricevuto un’ispezione della Guardia di Finanza presso le sue aziende. Abbiamo chiesto a Librandi che esito avesse avuto questa vicenda, ma non ci ha risposto. Allo stesso modo sono rimaste senza risposta le altre nostre domande sulla donazione al “Comitato Leopolda 9 e 10”.

Ma il nome di Librandi non è l’unico denominatore comune tra la Fondazione Open e il nuovo Comitato. Tra coloro che nel 2020 hanno donato denaro al Comitato c’è anche quello di Alberto Bianchi, che ha versato 8mila e che ne era il legale rappresentante.

Anche altri finanziatori del “Comitato Leopolda 9 e 10” sono legati a Italia Viva: ci sono Annalisa Renoldi (10mila euro), coordinatrice provinciale di Italia Viva a Varese, e Marco Caronni (5mila euro), responsabile del partito di Renzi a Saronno. Altri 5mila euro poi sono stati donati da Cesare Trevisani, vicepresidente del Gruppo Trevi, società leader nell’ingegneria del sottosuolo, partecipata anche da Cassa Depositi e Prestiti. Lo stesso nome si ritrova nella lista dei finanziatori della Fondazione Open, con un bonifico da 10mila euro effettuato nel 2017. Il Fatto ha contattato il Gruppo Trevi per capire il perché della donazione, non è arrivata alcuna risposta.

Al “Comitato Leopolda 9 e 10”, poi sono stati donati 30mila euro dalla Telefin Spa. È un’azienda di Verona del gruppo Ducati Energia, di proprietà della famiglia Guidi, quella dell’ex ministra renziana dello Sviluppo economico, Federica (vicepresidente del Cda di Ducati Energia Spa). Telefin Spa fornisce servizi di telecomunicazione e deve il suo fatturato anche a Rfi, società del gruppo Ferrovie dello Stato.

La destra esalta Beppe: non è più “Benito Grillo”

Un tempo, poco prima delle elezioni del 2013 e del boom del M5S, era il “Benito Grillo” che in pochi giorni era passato “da profeta a dittatore” (Il Giornale), “il Duce Beppe” (Libero), “lo squadrista che fa paura” (Giuliano Ferrara). Il Giornale di casa Berlusconi, oltre a ricordare “l’omicidio” di Limone Piemonte, lo accostò anche a “Bin Laden” e “all’Islam” solo perché la moglie Parvin Tadjk è di origine iraniana. Due mesi fa, invece, dopo il video choc in cui aveva difeso il figlio Ciro accusato di stupro, non lo avevano risparmiato: “Il suicidio di Grillo”, titolava il 20 aprile il Giornale; “Grillo infanga una ragazzina”, gli faceva eco Il Tempo, mentre La Verità di Maurizio Belpietro ci andava giù ancora più pesante: “Grillo stupra la giustizia (e anche un po’ le donne)”. Oggi, tutto d’un tratto, è tutto dimenticato: per i giornali e i leader del centrodestra, Beppe Grillo è diventato un politico da stimare. Un punto di riferimento da elogiare. Quasi uno statista. Perché? Perché ha avuto il merito di bloccare la corsa alla leadership del M5S di Giuseppe Conte.

Dopo il post di martedì in cui Grillo ha accusato l’ex premier di non avere “né visione politica, né capacità manageriali, né capacità di innovazione”, ieri è scattata la ola della destra che ha esultato per la mossa del Garante che ha “liquidato” Conte e ha “ripreso le redini” del M5S. Augusto Minzolini, da poco direttore de Il Giornale, solo due giorni fa, commentando la conferenza stampa del leader in pectore, si ergeva ad avvocato di Grillo accusando Conte di “scippo” e di “furto con destrezza”: l’ex premier “ha tentato di rubare il M5S a Grillo”. Ieri, dopo la rottura con il fondatore, il titolo emblematico: “Un vaffa a Conte”. Strategia fotocopia de La Verità di Belpietro che due giorni fa titolava: “Conte prova a scippare il M5S a Grillo”. E ieri: “Grillo liquida Conte: ‘È una droga’”. Bene, bravo, bis! Non poteva mancare Il Tempo di Franco Bechis: “Conte strappa a Grillo i suoi 5 Stelle”, scriveva martedì prima di festeggiare ieri legando la querelle del M5S allo sblocco dei licenziamenti che parte oggi: “È Conte il primo licenziato”. Per non parlare di Libero, diretto da Alessandro Sallusti, che quasi si bea del fatto che Grillo abbia “violentato” Conte elogiandone “il colpo di teatro”, pur specificando che il comico è “culturalmente violento e pronto a farsi esplodere con il nemico”. Però intanto ha fatto la cosa giusta, sostiene Libero.

La rottura tra Conte e Grillo e lo sfaldamento del M5S ovviamente fa esultare anche il fronte politico del centrodestra che non arriva a elogiare direttamente il fondatore del Movimento, ma giudica positivamente la sua mossa in grado di azzoppare l’ex premier che gode ancora di un’alta popolarità. Tutti puntano ai voti dei delusi del M5S. Matteo Salvini a In Onda ha spiegato che quella del M5S è “una parabola esaurita”. Anche Matteo Renzi, che a gennaio ha fatto cadere il governo Conte-2 e dopo aver detto che “il M5S è morto e non ha futuro”, martedì ha esultato: “È andato tutto bene, secondo previsioni”. Chi prova esplicitamente ad attrarre i voti dei delusi del M5S è la leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni: “Non vedo un futuro roseo per il M5S, tornerà il bipolarismo”, ha detto ieri. Che l’obiettivo sia quello lo spiega anche il deputato di FdI Mauro Rotelli, braccio destro di Meloni: “Molti elettori di destra in passato hanno votato M5S e sono rimasti delusi per l’incoerenza dei grillini: noi oggi parliamo a loro perché tornino a casa”.

M5S, L’arma fine di mondo: sfiduciare il garante

Le soluzioni proposte finora sembrano inconciliabili. Giuseppe Conte chiede di votare il suo Statuto su SkyVote, la piattaforma cui si era rivolto dopo l’addio a Davide Casaleggio. Beppe Grillo tira dritto e indice una consultazione per eleggere il Comitato direttivo, riabbracciando Rousseau. Nel mezzo, un’ipotesi finora neanche mai concepita in oltre dieci anni di vita del Movimento, ma tuttora prevista dallo Statuto: la possibilità di sfiduciare il Garante.

In questa cornice ieri Grillo e Vito Crimi si sono scambiati accuse pesanti. Con il capo reggente pronto persino all’addio: “Grillo ha indetto la votazione del comitato direttivo impedendo una discussione e una valutazione della proposta di riorganizzazione del M5S. Pur rientrando fra le sue facoltà, non concordo con la sua decisione. Il voto non potrà avvenire sulla piattaforma Rousseau, poiché è inibita al trattamento dei dati degli iscritti. Gli avvenimenti di questi giorni mi inducono ad una profonda riflessione sul mio ruolo nel Comitato e sulla mia permanenza nel M5S”. Un post a cui Grillo ha risposto con la minaccia del tribunale: “Credo che tu non abbia ben interpretato il provvedimento del garante della privacy. Rousseau può trattare i dati in caso di esplicite e specifiche richieste del Movimento. L’unico modo per rispettare lo Statuto rimane fare questa consultazione su Rousseau. Ti invito ad autorizzare entro 24 ore la piattaforma Rousseau al trattamento dei dati. Sarai ritenuto direttamente e personalmente responsabile per ogni conseguenza dannosa dovesse occorrere al MoVimento per le scelte contrarie allo statuto che dovessi operare”.

Tutta questa confusione in realtà ha già un primo punto di caduta i cui confini sono quelli consentiti dalle attuali regole interne al Movimento. Cosa consente di fare lo Statuto? E chi sono, nel M5S, i soggetti titolati a muoversi?

Bivio scegliere un capo o il comitato dei cinque?

Lo scorso 17 febbraio gli iscritti 5Stelle avevano approvato alcune modifiche allo Statuto per introdurre il Comitato direttivo, una segreteria collegiale a 5 al posto del capo politico. Era il risultato di una riflessione durata mesi e figlia di un contesto politico già desueto nel momento stesso della votazione, vista la caduta del governo Conte. A fine febbraio, infatti, Grillo ha chiesto all’ex premier di prendere in mano il Movimento, superando ciò che gli iscritti avevano appena deciso.

Dopo aver fatto saltare il banco, ora Grillo torna sul progetto del Comitato direttivo, che nel frattempo non era mai stato nominato. Con un paradosso: tra i primi a candidarsi per questo Comitato c’è Nicola Morra, senatore che avrebbe dovuto essere espulso dal M5S insieme alle decine di non allineati sul sostegno a Draghi, ma la cui pratica è rimasta in un cassetto. Anzi, nel frattempo il collegio dei probiviri ha pure perso un pezzo, visto che Raffaella Andreola si è dimessa lasciando un posto vuoto a fianco a Jacopo Berti e Fabiana Dadone. Da notare che, al momento, le funzioni del Comitato direttivo sono ricoperte da Vito Crimi: è lui infatti il membro più anziano del Consiglio di garanzia, l’organo di vigilanza in cui siedono anche Giancarlo Cancelleri e Roberta Lombardi.

Conte, invece, chiede di votare la sua proposta di Statuto, con cui si tornerebbe alla figura del leader. In quel caso, l’iter sarebbe più lungo: in prima consultazione serve il quorum della maggioranza degli iscritti, altrimenti si vota di nuovo.

Poteri guerra di posizione sull’indizione delle urne

Come ha ammesso Crimi, “rientra nelle facoltà” del fondatore convocare l’elezione del Comitato direttivo, perché in effetti da Statuto “la consultazione in Rete degli iscritti (…) è indetta dal Comitato direttivo, ovvero, in sua assenza o inerzia, dal Garante”. Ma, parlando dei lavori dell’Assemblea degli iscritti, lo Statuto chiarisce anche che “il Comitato direttivo o, in assenza o inerzia, il presidente del Comitato di garanzia, determinano le modalità di svolgimento e votazione dell’assemblea”. Come a dire: dovrebbe essere Crimi a decidere chi e come vota per il Comitato. E infatti il Comitato di garanzia in queste ore ha scritto a Grillo per pretendere “una richiesta formale” sulla votazione e ribadendo il suo ruolo nell’attivare “tutte le procedure necessarie” per le urne.

Di certo c’è che Conte in questa partita non è soggetto in causa: non essendo neanche iscritto al M5S, ha bisogno che qualcuno si faccia carico della sua proposta di votare il nuovo Statuto. Escluso Grillo, potrebbe in teoria farlo Crimi, dato che più volte negli anni è stato il capo politico a indire le consultazioni (da ultimo, quella sull’ingresso nel governo Draghi). Ma essendo Crimi reggente, la sua posizione non è così solida.

Nodo webi 5S s’oppongono al ritorno su Rousseau

Grillo ha fatto di testa sua pure nella scelta della piattaforma, annunciando il ritorno a Rousseau per evitare – sostiene il fondatore – di esporre il Movimento a ricorsi legali: “Prima di poter votare su un’altra piattaforma è necessario modificare lo statuto con una votazione su Rousseau”. Il cortocircuito è dovuto al fatto che lo Statuto, a oggi, prescrive Rousseau come piattaforma di riferimento. A inizio giugno, però, l’Autorità garante per la protezione dei dati personali ha imposto a Rousseau di consegnare i dati degli iscritti al Movimento pur senza indicare la persona titolare, con Grillo che ora sibila sulla “controversa reggenza” di Crimi (voluta però dallo stesso fondatore). La decisione ha messo fine a una guerra burocratica tra il M5S e Casaleggio, dopo la quale Conte e Crimi hanno cercato una nuova piattaforma per le future votazioni, trovandola in SkyVote. Grillo ora sottolinea che, nonostante la sentenza, Rousseau “può trattare i dati in caso di esplicite e specifiche richieste del Movimento”. Vero, ma servirebbe una marcia indietro di tutto il M5S (altrimenti pure qui sarebbe enorme il rischio di ricorsi), che in ogni suo organo accetti di riconsegnarsi a Rousseau.

Non a caso Grillo ha chiesto a Crimi di procedere “entro 24 ore” al passaggio dei dati. Nei progetti del Garante, quindi, gli iscritti voterebbero per l’ultima volta su Rousseau, togliendo dallo Statuto il riferimento alla piattaforma, e poi proseguirebbero altrove. Tra l’altro Casaleggio ha ancora una copia fisica dei dati, ma per aprirla servirebbe una password nota solo a Crimi, il quale non sembra aver intenzione di seguire Grillo.

Sullo sfondo resta poi SkyVote, a sua volta spiazzata dall’uscita di Grillo. Due giorni fa, Giovanni Di Sotto, amministratore delegato dell’azienda che controlla la piattaforma, si è detto “stupito” dalla vicenda: “Noi eravamo pronti per la votazione e ora scopriamo che forse la farà Rousseau. Non so cosa succederà. Ci hanno chiesto la piattaforma, l’abbiamo preparata. È pronta e attivabile in qualsiasi momento”. SkyVote non ha i dati degli iscritti, ma eroga solo lo strumento per la votazione. Di volta in volta, gli elenchi verrebbero trasferiti dal M5S a SkyVote attraverso la piattaforma Odoo, anch’essa contattata dopo il divorzio con Casaleggio.

Soluzione Estrema: licenziare il fondatore

Nessuno si era mai immaginato di porsi il problema, ma la questione è diventata attuale: il Movimento può sfiduciare Grillo? Sì, stando allo Statuto. L’elezione del Garante rientra infatti tra le prerogative degli iscritti e la carica, seppur a tempo indeterminato, è revocabile. In ogni momento il Comitato di garanzia può dunque decidere di rimuovere Grillo, purché la proposta sia deliberata “a maggioranza assoluta dei propri componenti” (Crimi, Lombardi, Cancelleri) e poi ratificata degli iscritti con un quorum della metà più uno.

Una volta sfiduciato il Garante, sarebbe ancora il Comitato di garanzia a proporre almeno tre candidati per il ruolo, indicando “figure che si siano distinte per il determinante contributo alla storia e all’azione politica del Movimento”. Particolare non da poco: se però il piano saltasse e gli iscritti non ratificassero la sfiducia o non si raggiungesse il quorum, il Comitato di garanzia sarebbe azzerato.

A oggi i tre componenti si sono schierati tutti con forza contro Grillo, criticandone sia l’indirizzo politico sia la volontà di tornare su Rousseau, e minacciando di lasciare presto Comitato e Movimento. Il problema, però, al netto della volontà dei colonnelli di scaricare Grillo, sarebbe di nuovo tecnico: dove votare?

Grillo ha appena dichiarato di riconoscere soltanto le consultazioni su Rousseau, gli altri non ne vogliono sentire parlare. Tutti motivi che suggerirebbero una mediazione, più che un Ok Corral. Ma il dubbio è che sia troppo tardi.

Di Maio tace e invita alla calma. L’incognita pesa sulla scissione

Il Senato è la riserva di caccia di Giuseppe Conte, è già chiaro. Ma alla Camera no, alla Camera è tutta un’altra storia. E ieri sera, nella sala in cui sono riuniti i deputati, rimbombano parole di fuoco contro l’avvocato che “è stato un buon premier, ma non un buon politico”. Vincenzo Spadafora, l’ex ministro che ha più volte criticato la scarsa collegialità di Conte, non è certo un grillino della prima ora, piuttosto un dimaiano di ferro.

Eppure – è uno dei paradossi di questa guerra intestina in cui amici e nemici hanno improvvisamente cambiato panchina – ora si ritrova seduto sulla stessa riva del fiume di Beppe Grillo, insieme ad altri, diversissimi da lui, come Angelo Tofalo e Francesco Berti, notoriamente vicino a Davide Casaleggio e alla sua associazione Rousseau. Su quel lato si trovano diversi deputati al primo mandato, ostili ai veterani che vorrebbero cancellare o almeno stingere il vincolo dei due giri in Parlamento, non a caso difeso da Grillo (ma con meno veemenza nel discorso di giovedì ai deputati). Sul versante opposto invece c’è un’altra ex ministra, Lucia Azzolina, da tempo schierata con Conte, figuriamoci ora che il Garante ha detto che al governo non hanno combinato nulla. Proprio loro, ricorda l’ex titolare dell’Istruzione, a cui l’esperienza nell’esecutivo giallorosa ha lasciato in dote la scorta. “E poi non possiamo rottamare le persone come fa Matteo Renzi” lamenta.

L’uomo che ministro lo è ancora, Luigi Di Maio, invece all’assemblea non c’è. Non è tempo di esporsi, di parlare. Lo ha detto chiaro e tondo, mercoledì sera, nella riunione ristretta tra i “big” del Movimento: “Dobbiamo restare calmi, non è il momento di fare dichiarazioni, di prendere parte”, ha detto Di Maio ai colleghi di governo – Stefano Patuanelli, Federico D’Incà, Fabiana Dadone – ma pure agli ex come Riccardo Fraccaro e Alfonso Bonafede, nonché al presidente della Camera Roberto Fico. Tace da tre giorni, Di Maio, anche grazie alla fortuita coincidenza che lo ha visto impegnato al G20 proprio mentre era in corso la guerra tra il fondatore e l’aspirante capo. Giura – con tanto di preventiva smentita dei retroscena che lo vedono tramare nell’ombra – che sta lavorando in silenzio per provare a ricucire, che ancora vede e spera nella strada che non costringe Conte (e nemmeno lui) a scegliere se stare “dentro o fuori il Movimento”. Ai suoi che chiedono lumi ammette che si rischia “l’implosione”. E raccontano che avrebbe preferito un Conte meno reattivo ieri sera, dopo il video di Grillo. “In effetti quella di Beppe potrebbe sembrare anche una parziale retromarcia” ragionano alcuni parlamentari. Di sicuro tanti, tra gli eletti, sono convinti che di fronte al bivio Di Maio, alla fine, resterebbe fedele a Beppe: “Il problema – dicono i veterani – è che il progetto di Conte adesso è un progetto ‘contro’ i Cinque Stelle, diventa difficile sostenerlo”.

Per questo si prova ancora a ricucire. Tenta anche Paola Taverna: “Votiamo la proposta di Conte”, dice, sperando sia la chiave per ricompattare i vertici con la base. “Il vecchio statuto non andava bene, le parti vanno rimesse assieme”, insiste anche Federico D’Incà, contiano molto vicino anche a Fico, che però non vuol sentire parlare di scissioni. Stefano Buffagni, lombardo, uno che rivendica sempre di essere innanzitutto “pragmatico”, ricorda che lì fuori ci sono certi equilibri di cui ricordarsi: “Per una volta chiediamo noi a Beppe e Giuseppe responsabilità, la nostra nemesi non può finire con Silvio Berlusconi al Quirinale perché divisi”. Dall’altra parte del fiume, in Senato, gli eletti in gran parte per Conte discutono di un documento di sostegno all’ex premier. “Ma io non voglio un testo democristiano” protesta più d’uno. Tradotto, c’è chi chiede un comunicato duro nei confronti di Grillo, a sancire anche formalmente la frattura. Mentre da Bruxelles gli europarlamentari del Movimento manifestano “grande preoccupazione” e lanciano quasi un ultimo Sos: “Si deve fare di tutto per evitare drammatiche spaccature”. Come fare, però, non lo sa nessuno, neppure ipotizzare. Perché il caos non si governa.

Grillo ora fa l’offeso e già se la prende con chi se ne andrà

Si fa vivo per la terza volta in ventiquattr’ore, Beppe Grillo. E se ancora vale il parametro per cui meno si parla e meno si sbaglia (e più si conta) l’infilata di messaggi che arrivano dal fondatore è il segnale che la situazione non è esattamente sotto controllo. Ha letto, Grillo, la fiumana di commenti che è comparsa sotto al post che ha pubblicato martedì per dare il benservito a Conte e alla sua bozza di Statuto “seicentesco”. E deve aver anche intuito che “l’avvocatese” che ha rimproverato all’ex premier è lo stesso con cui lui, ieri, ha vergato l’ultimatum a Vito Crimi, minacciandolo via Facebook di portarlo in tribunale se non metterà presto ai voti su Rousseau l’organo collegiale per la guida del Movimento. Così, ieri sera, ha deciso di ridarsi alla mozione degli affetti: un video, che lui all’orale è sempre andato meglio, registrato “con il cuore”. E in cui – con insolita calma – Grillo spiega la sua versione dei fatti degli ultimi quattro mesi, dall’investitura all’hotel Forum fino al vaffa indirizzato a Conte tre giorni fa.

Ha bisogno di chiarire, ammette. Arriva a dire che gli sfottò rivolti all’ex premier durante l’assemblea con i parlamentari erano solo “battute”, che poi sono da sempre “gli effetti collaterali” della sua arte oratoria. Si giustifica, il Garante, mentre mette in fila gli avvenimenti: la bozza di Statuto che “era una roba in cui si metteva al centro lui”, la carta dei valori vista una sola volta, il codice etico di cui non si è mai parlato, la visione che manca: “La transizione al 2050 forse Conte se l’era pure dimenticata”. Arriva alla conclusione definitiva: “Abbiamo pensato che fosse la persona giusta, invece non lo era”. Non cita mai né Rousseau né Casaleggio, che sa essere fumo negli occhi per il corpaccione dei parlamentari, che non hanno nessuna intenzione di tornare a versare l’obolo all’ex casa madre milanese. Di fatto non dice una parola sul futuro: chiede solo di “restare uniti” e invita chi deciderà di prendere strade diverse a fare i conti con la propria “coscienza”. È offeso, il fondatore, con quelli che ora lo stanno abbandonando via agenzie. Parla al plurale, usa il “noi”, ma avverte tutta l’irriconoscenza di chi gli volta le spalle, di chi scrive di non riconoscersi “nemmeno in una parola” di quelle pronunciate dal fondatore. “Ci sono dichiarazioni che mi fanno anche male, perché non le merito”, confessa, mentre ricorda che è lui, è il suo Movimento, quello che ha permesso che uno sconosciuto professore diventasse presidente del Consiglio. Solo – è l’appunto che ha fatto in privato – quel professore ha scambiato i Cinque Stelle “per una cattedra”, dimenticando che invece lassù c’è seduto sempre lui.

È un messaggio accorato, quello di Grillo, costretto a garantire che non voleva “niente di più” di quello che ha adesso, che non è “un padre padrone”, ma solo “un papà”. Di fatto, però, mentre elenca le sue velleità sulla comunicazione, sui valori, sulla linea politica del Movimento ammette che, di “ristrutturare” la sua creatura, non aveva nessuna voglia.

Sa di poter fare breccia ancora nell’animo di tantissimi eletti, quelli che hanno provato “sollievo” nel vederlo tornare. Parla a quelli che hanno ancora un mandato davanti: se vince lui nessun “big” glielo potrà rubare. Parla ai nemici di Conte, quelli che l’avvocato non l’hanno mai potuto soffrire. E pochi, almeno alla Camera, non sono.

Addio 5S, Conte va avanti con il suo nuovo partito

Ha già saltato il fosso, l’avvocato. È già oltre il Movimento, Giuseppe Conte. “C’è tanto sostegno dai cittadini, abbiamo fatto un progetto politico ed evidentemente non lo voglio tenere nel cassetto, perché non può essere la contrarietà di una singola persona a fermare questa proposta politica che ritengo ambiziosa e utile anche per il Paese”. Poco prima delle otto della sera, l’ex premier conferma che in politica c’è e ci resterà. Beppe Grillo, l’avversario, non può bloccarlo. Così la scissione per l’avvocato è già un’opzione da immaginare con numeri e nomi, una domanda rivolta ai big e ai maggiorenti compulsati nelle ultime ore: “Tu stai con me o con Casaleggio?”.

Conte ormai pensa al suo partito, alla sua lista, da costruire svuotando il M5S di Grillo. E per agevolare l’operazione, deve anche abbattere la statua del padre che ha bollato come “padrone”, smentirlo. “Ho sempre rispettato e continuerò a rispettare Beppe Grillo, ma gli chiedo solo di non dire falsità sul mio conto e il mio operato”, scandisce l’ex premier alla nube di telecamere e cronisti che assedia casa sua. Ce l’ha con le verità diffuse dal fondatore in un video, poco prima. Retroscena di cartapesta, secondo il Conte che parla come gli viene più naturale, da avvocato: “Abbiamo una fittissima corrispondenza documentale, se Grillo mi autorizza sono disposto a pubblicare perché agisco sempre in trasparenza”. È un’altra sfida, dopo quella non raccolta sulla votazione del nuovo Statuto contiano. Fondata su accuse: “Grillo voleva più di una diarchia, ha chiesto di rappresentare a livello internazionale il M5S e il coordinamento della comunicazione. E il mio Statuto non era seicentesco, era la sua proposta a essere medievale”. E per rafforzare il concetto, presto lo presenterà il suo Statuto. Sarà la base della sua creatura politica, dove non si troverà traccia della figura del Garante, come in una damnatio memoriae. Nell’ attesa, va via con le auto e la scorta.

Dietro, si lascia la sua tela. Fatta innanzitutto delle telefonate per sondare i tanti indecisi del Movimento e cementare le sue truppe, già forti, maggioritarie in Senato. Ma bisogna correre, perché il tempo è poco, anzi forse siamo già ai supplementari. “Ancora qualche giorno e Giuseppe rischia di rimanere nelle sabbie mobili” sospira un fedelissimo. Non è un caso che ieri Grillo abbia ordinato al reggente Vito Crimi di convocare entro 24 ore la votazione del comitato direttivo sulla piattaforma Rousseau, quella di Davide Casaleggio. Ma Crimi, primo avversario del figlio di Gianroberto, sostiene che no, su Rousseau non si può tecnicamente votare e che non concorda con il Garante. Per questo ha minacciato di lasciare il comitato di Garanzia e il Movimento. E il Senato a trazione contiana si è schierato tutto con lui, con il ministro Stefano Patuanelli primo a fare muro: “A Vito esprimiamo il nostro incondizionato sostegno, vada avanti”. Anche Roberta Lombardi e Giancarlo Cancelleri, gli altri membri del comitato, respingono il diktat del Garante e paventano l’addio. È una rivolta, che di sicuro farà perdere tempo a Grillo, e gli toglierà altro ossigeno. Ma anche Conte non può sprecarne. Anche se una contiana come Paola Taverna cerca la terza via con un post: “A Conte è stato chiesto un progetto innovativo e la democrazia diretta è un principio di cui va garantito il reale esercizio, quindi il futuro del Movimento va deciso dal Movimento, cioè dagli iscritti”. Ergo, il nuovo Statuto contiano va votato, e Grillo si rassegni.

Ma pare impossibile tornare indietro adesso, sono stati bruciati troppi ponti. “Con Conte siamo almeno un centinaio – giura un senatore – e qui a Palazzo Madama siamo compatti”. Certo, in Senato per creare un gruppo parlamentare autonomo servirebbe il simbolo di una forza politica già esistente, e non è un dettaglio. Casomai è un problema: l’ennesimo.

 

Partito e dipartito

Ogni giorno, per sapere come la penso e cosa faccio, consulto i quotidiani di destra e un paio di siti-fogna che sembrano conoscere a menadito i miei pensieri e azioni. Per anni hanno rivelato che consigliavo Grillo, ovviamente a nostra insaputa (mai Beppe mi ha chiesto un consiglio né mai gliene ho dati). Poi divenni il consigliere occulto di Di Maio, talmente occulto che non ne sapevamo nulla né io né lui, che infatti faceva quasi sempre l’opposto di quel che avrei fatto io. Nell’ultimo biennio fui promosso a suggeritore di Conte, a mezzadria con Casalino. Qualche “bene informato” ha addirittura scritto che fui io a suggerirgli di andare allo scontro con l’Innominabile (che, com’è noto, lo adorava) per il gusto di mettere a repentaglio il suo governo e cercare voltagabbana per strada: senza di me, il Conte-2 sarebbe ancora vivo e vegeto grazie al tetragono sostegno di Iv. E vi risparmio, per esigenze di spazio, i bei tempi in cui secondo Repubblica suggerivo assessori alla Raggi e secondo Bisignani preparavo il partito di Conte (“Con-te”) con Scanzi e tali Rospi e Capozza. Poi Grillo e Conte, consigliati entrambi da me, hanno scazzato. E io, non potendo fare come Totò e Peppino nei panni dei cugini Posalaquaglia, falsi testimoni sia per l’imputato sia per la parte civile, ho scelto Conte perché così fa un nuovo partito senza un soldo e con tutti i media contro. Magari, viste le mie virtù diplomatiche, mi fa ministro dei Rapporti col Parlamento. E posso coronare il sogno condiviso con Scanzi, Rospi e come si chiama quell’altro? ah sì: Capozza.

Fine della fantascienza, torniamo sulla terraferma. Grillo fa un oggettivo favore a Conte: lo libera da ogni residuo legame affettivo con i fu 5Stelle e lo costringe a dare una casa nuova a eletti, iscritti ed elettori (vecchi e nuovi) che non si riconoscono più in un Movimento trasformato nel bunker a due piazze del fondatore e del redivivo Casaleggio. Il marchio è ancora forte. Ma senza l’effetto Conte, che ne ha attutito la picchiata dopo la resa incondizionata a Draghi, si sfarinerà. E una battaglia interna per scalarlo a dispetto del fondatore terrebbe Conte&C. impegnati in altre beghe legali infinite e sfibranti. Se non c’è modo di portare il nuovo Statuto al voto degli iscritti, chi non vuole morire con Grillo non può che uscire e navigare in mare aperto. Ma sapendo che un nuovo partito non si improvvisa e non deve somigliare neppure lontanamente a un partito personale. Il “partito di Conte” potrà avere successo solo se sarà costruito a misura di tutti i cittadini che votano i 5Stelle, che li votavano ma hanno smesso e che avrebbero potuto votarli se fossero stati meno settari e più aperti. Cioè se non sarà “il partito di Conte”.