“Per me la musica e la vita sono una questione di stile”, diceva il grande Miles Davis, uno dei pochi jazzisti in grado di esprimere al meglio, anche dal punto di vista commerciale, il proprio potenziale artistico, e probabilmente l’ultimo ad avere anche un profilo di star dell’industria discografica mondiale. E non è un caso se in Francia, dove venne nominato Cavaliere della Legion d’Onore, si guadagnò il soprannome di “Picasso del Jazz”, accostato a un artista che dipingeva gli oggetti per come li pensava e non per come li vedeva: questione di stile.
Qualche sera prima di ricevere l’ambito riconoscimento, dall’allora ministro della Cultura Jack Lang, il 1º luglio 1991, e 90 giorni prima della sua morte, Miles Davis si era esibito nella serata di apertura dell’annuale Jazz à Vienne Festival, nel sud-est della Francia, con una formazione – il Miles Davis Group – che comprendeva il sassofonista Kenny Garrett, il batterista Ricky Wellman, il tastierista Deron Johnson, il bassista Richard Patterson e il “bassista solista” Joseph McCreary, Jr. quest’ultimo così soprannominato per via dell’accordatura del suo strumento di un’ottava più alta, che gli permetteva di emulare il suono di un chitarrista solista.
La registrazione di quella performance, che mette in mostra una band esperta, che suona una fusion ibrida fra jazz, funky e R&B, e che è rimasta a lungo inedita, viene pubblicata 30 anni più tardi, nell’ambito delle celebrazioni della Black Music, pubblicata dalla Rhino Records col titolo Merci Miles! Live at Vienne, con le note di copertina del produttore Ashley Kahn, e impreziosito da brani scritti da Prince per Davis nel 1988 e interpretazioni di canzoni di Michael Jackson e Cyndi Lauper.
Nel 1991, Miles Davis è il trombettista più celebre al mondo con ben cinque decenni di evoluzione musicale alle spalle, avendo trovato – da genio alchimista della musica qual era – il modo di combinare il jazz con l’R&B, il rock e il funk, in una sintesi teosofica, che ha plasmato il corso della musica pop e che ne ha alimentato la sua leggenda. Sebbene questa nuova registrazione nulla aggiunga allo sterminato catalogo del grande jazzman, quel che s’apprezza è il fatto che, anche se in condizioni di salute cagionevoli, Miles Davis guida la band con fare sorprendentemente energico e muscoloso. Ascoltandolo si nota che la band impiega qualche minuto prima di immettersi nel suo tipico groove ipnotico. Ma quando si entra nel vivo, e le dinamiche si intensificano man mano che Davis dialoga coi suoi musicisti e inizia a destreggiarsi, assumendo una posizione fetale, ogni assolo diventa fisico e la magia derivata si sprigiona con tutta la sua potenza.