Sedicenne uccisa a Bologna, il killer: “Sentivo i demoni”

Ai carabinieri ha parlato di “una presenza demoniaca che lo spingeva a compiere atti sempre più violenti verso le persone”. Ha detto anche “di essere infastidito dalle avances” di Chiara, elemento “confermato da alcuni amici”, trapela dalla Procura. Ma gli inquirenti, ha spiegato Riccardo Angeletti, comandante della Compagnia di Bologna Borgo Panigale, sono al lavoro “per risalire al movente reale” che ha mosso il 16enne reo confesso e indagato per omicidio premeditato per l’omicidio di Chiara Gualzetti. La ragazza sarebbe stata uccisa a coltellate poco dopo essere uscita di casa con lui domenica mattina nello stesso luogo in cui è stato trovato il corpo. “Lo conosco il ragazzo – ha detto Vincenzo, il padre di Chiara – non ha mai dimostrato demoni, sarà forse uno dei primi alibi che si sta creando”. Il 16enne è stato rintracciato già domenica sera e nella sua abitazione sono stati trovati il coltello, gli abiti sporchi di sangue e il cellulare della vittima. Ora sono al vaglio i telefonini dei due coetanei per risalire alle chat che il ragazzo ha cancellato prima di essere fermato.

Pestaggi in carcere, “negati i tg ai detenuti”. In un video le manganellate e i calci in testa

Il giorno dopo l’esecuzione di 52 misure cautelari nei confronti di funzionari e poliziotti dell’amministrazione penitenziaria, accusati di aver partecipato a vario titolo ai pestaggi furiosi dei detenuti nel carcere di Santa Maria Capua Vetere (Caserta), è successo un fatto strano. Una ventina di familiari delle persone ristrette nel penitenziario casertano hanno contattato il Garante dei detenuti della provincia di Caserta, Emanuela Belcuore, lamentando “distacchi della corrente all’interno del carcere per non far vedere la televisione ai detenuti, e la mancata consegna dei giornali”.

Il Fatto ha potuto ascoltare alcuni audio di queste comunicazioni. Sono le voci allarmate di signore che raccontano quanto riferito loro dai familiari in cella durante telefonate più brevi del solito. Sarebbe successo proprio nel giorno in cui tutti i notiziari dei tg hanno mandato in onda servizi sulle presunte violenze nell’istituto penitenziario, e tutti i giornali hanno pubblicato ampi servizi sul caso. “Se questo episodio fosse accertato, saremmo di fronte a una gravissima violazione ai danni dei detenuti” dice la garante Belcuore, che conferma i contatti: “Sto ricevendo decine di segnalazioni da parte di familiari di persone ristrette che denunciano un vero e proprio black-out dell’informazione all’interno dell’istituto penitenziario. Tv fuori uso per mancata corrente e giornali acquistati non distribuiti. Leso il diritto all’informazione. Sono sconcertata”.

Contattata dai giornalisti, il direttore del carcere Elisabetta Palmieri smentisce la circostanza: non ci sarebbe stata nessuna interruzione di corrente e la mazzetta dei quotidiani sarebbe stata regolarmente distribuita. Alcune testate locali hanno messo in prima pagina i volti degli agenti di polizia penitenziaria arrestati e su questo è intervenuto il Garante nazionale dei diritti delle persone detenute, Mauro Palma. “Inaccettabile – si legge in una nota – l’esposizione cui sono state sottoposte le persone sotto indagine per le presunte violenze nell’Istituto di Santa Maria Capua Vetere. Una esibizione che nulla aggiunge all’informazione sull’indagine in corso”. Intanto ieri hanno iniziato a girare i video dei pestaggi: detenuti in ginocchio con le mani dietro la testa e la faccia rivolta al muro, poi le manganellate e i calci, anche a un uomo in carrozzella.

Uk, folla allo stadio. Ora inglesi a Roma

Come se niente fosse. E che Dio ce la mandi buona. È possibile che questo sia il pensiero dominante ai piani alti dell’Uefa e del governo inglese, almeno stando al colpo d’occhio offerto dallo stadio di Wembley a Londra ieri pomeriggio: oltre 40 mila tifosi inglesi e tedeschi assiepati per Inghilterra-Germania (per la cronaca, 2-0 per gli inglesi), l’ottavo di finale dei lusso di Euro 2020. Quarantamila persone in un Paese dove il numero quotidiano dei contagi Covid (per quasi totalità variante Delta) supera da giorni quota 20 mila. E questo nonostante la notizia dei due focolai di Covid-19 (in gran parte variante Delta) originati dai match eliminatori del Gruppo B giocati a Copenaghen e San Pietroburgo, i cui impianti hanno ospitato spettatori fino al 75% della capienza.

Eppure, come annunciato più volte, e ribadito sia dall’Uefa che dal governo britannico, per le finali e le semifinali (6, 7 e 11 luglio), la capienza dell’impianto londinese sarà aumentata fino a 60 e 75 mila spettatori sui 90 mila disponibili. Non così a Roma e Monaco, che ospiteranno rispettivamente due quarti di finale il 2 e il 3 luglio. L’Olimpico (capienza 72 mila) e l’Allianz Arena (79 mila), permetteranno l’ingresso a non più di 20 mila persone. Roma, peraltro, ospiterà la prossima gara dell’Inghilterra sabato sera. Essendo ancora in vigore la quarantena di 5 giorni per chi arriva dal Regno Unito nel nostro Paese, non dovrebbe esserci un problema di tifosi in arrivo. Ma il condizionale, in questi casi, è sempre d’obbligo.

E ieri dalla Germania sono arrivate ieri le critiche più aspre. Il ministro dell’Interno Horst Seehofer ha definito “irresponsabile” la decisione del governo britannico di aumentare il numero di spettatori alle restanti partite di Euro 2020 a Londra. Il premier dello Stato bavarese, Markus Soeder, invece, ha preso di mira l’Uefa. La decisione di aumentare la capienza degli stadi in questo momento è “impossibile da capire – ha detto –. Quello che sta facendo la Uefa ora non è accettabile per me, perché qualsiasi aumento del numero di spettatori in un modo così arbitrario, senza alcun senso o scopo, rischia che si crei la possibilità di diffonderlo in tutta Europa”. Molto critica anche la presa di posizione dell’Unione europea: “L’Uefa – ha detto il vicepresidente della Commissione europea Margaritis Schinas – deve valutare molto attentamente la situazione nelle semifinali e nella finale di Wembley. Per due ragioni. La prima: perché ci saranno molte persone e l’idea dello stadio pieno mentre è presente la preoccupazione per la variante Delta. La seconda – conclude Schinas – perché l’idea del Regno Unito che impone restrizioni ai cittadini che viaggiano in Unione europea, ma accetta una massiccia presenza di visitatori europei, è una asimmetria che va considerata”.

Variante Delta verso il 30%. Il Green pass può cambiare

Si moltiplicano le segnalazioni di contagi da variante Delta, anche di vaccinati ma questi non gravi. Dall’Abruzzo alla Toscana, da Padova a Napoli, dove il sequenziamento di 35 tamponi positivi del 22 e il 23 giugno ne ha registrati 11, quasi un terzo, attribuiti alla mutazione. Registrata per la prima volta in India, cresce in Gran Bretagna, in Europa e ha già riportato in emergenza l’Australia, dilaga da tempo in Russia e ha comportato il ripristino di alcune misure restrittive a Los Angeles e in altre zone degli Stati Uniti. In Francia è al 20 per cento dei contagi, in Germania al 50 e i dati italiani attesi nei prossimi giorni dovrebbero attestarsi a un livello superiore a quello francese. C’è preoccupazione per gli aeroporti, benché siano stati reintrodotti l’isolamento di cinque giorni e il tampone per chi arriva dal Regno Unito. Elisabetta Strada, consigliera regionale dei Lombardi Civici Europeisti, chiede controlli a Malpensa e negli scali internazionali della Regione.

Studi britannici stimano che la variante Delta sia più contagiosa di circa il 60 per cento e perciò destinata a soppiantare la mutazione inglese detta Alpha, oggi prevalente nel nostro Paese, che a sua volta superava del 50 per cento la trasmissibilità di quella originaria. Fa scalpore in Australia la notizia di un contagio avvenuto attraverso un contatto di pochissimi secondi. Tuttavia nel Regno Unito, anche per effetto delle vaccinazioni, ai maggiori contagi (ieri 20.479) non corrisponde anche un aumento dei ricoveri e dei decessi (sempre ieri 23). E in Italia non si registrano impennate: ieri sono state registrate 679 nuove infezioni (lo 0,36 per cento dei tamponi, il dato più basso di sempre) e 42 vittime, tra le quali però ce ne sono 22 che dipendono da un ricalcolo dei dati campani.

C’è invece un dibattito aperto sui green pass, che sono due: quello italiano si rilascia anche a 15 giorni dalla prima dose di vaccino (o dopo il certificato di guarigione o con tampone negativo ma solo per 48 ore) e consente l’accesso a diversi eventi e quando riapriranno permetterà anche di andare a ballare nelle discoteche; quello europeo, che entra in vigore domani, prevede invece entrambe le dosi ed è necessario per andare nei Paesi dell’Unione europea. Insomma, c’è una certa confusione: due green pass con regole diverse. Il sottosegretario alla Salute Pierpaolo Sileri vorrebbe cambiare e concedere il pass italiano solo dopo le due dosi. Soprattutto perché, come ormai sappiamo, la prima dose non offre protezione valida dall’infezione a volte grave con la variante Delta (per AstraZeneca il dato è 33 per cento, per i vaccini a mRna è più alta). Sono d’accordo con lui diversi specialisti, dall’infettivologo Massimo Andreoni di Roma Tor Vergata al microbiologo Andrea Crisanti: “Il green pass con una sola dose è un grave errore”, dice. Ma per il momento non c’è il via libera del il ministro Roberto Speranza. A Palazzo Chigi confermano che il tema è in discussione, potrebbe occuparsene in questi giorni il Comitato tecnico scientifico.

C’è poi un altro problema che riguarda il green pass: manca una norma attuativa che consenta di rilasciarlo, come previsto dal decreto legge, agli italiani che si sono immunizzati all’estero con i vaccini approvati nell’Unione europea o in Paesi dell’Unione europea. Così ora i nostri connazionali residenti altrove si rivolgono ad ambasciate e consolati, ai quali però nessuna norma ha conferito i relativi poteri.

Vaccini in vacanza. Via all’accordo Piemonte-Liguria

Dopo l’annuncio di qualche settimana fa, il 1º luglio prende il via la vaccinazione “reciproca” tra Piemonte e Liguria. I cittadini delle due regioni che trascorreranno almeno 14 giorni di vacanza sui reciproci territori potranno richiedere la somministrazione della seconda dose nel luogo di villeggiatura tramite le reciproche piattaforme: “Un cittadino piemontese in vacanza per almeno due settimane in Liguria (e viceversa) potrà vaccinarsi senza rientrare a casa con alcune pratiche procedure – spiega il presidente della Regione Liguria, Giovanni Toti – Si tratta di un accordo fatto seguendo anche le linee guida della struttura nazionale del commissario Figliuolo”.

Alle due regioni potrebbe presto aggiungersi la Lombardia: “So che il mio gabinetto e la direzione generale sono in contatto con la direzione generale Salute della Regione Lombardia e nelle prossime ore si terrà una conference call anche con i tecnici per stimare la capacità di dialogo dei sistemi informatici – prosegue Toti –. Abbiamo davanti le 8 settimane principali dell’estate e cercheremo di attivarlo il prima possibile”. Secondo le stime la platea di turisti liguri che si sposta nel vicino Piemonte per le vacanze è di circa 50 mila persone, 250 mila invece i piemontesi che raggiungono le coste liguri nei mesi estivi.

Lo stop al Cashback nonostante i dati record

Promosso dal governo Conte-2 tra non poche polemiche lo scorso 8 dicembre, il cashback termina oggi la sua breve esperienza nella stessa modalità: una ridda di polemiche a incorniciarlo e il governo spaccato dopo la clamorosa sospensione del programma per incentivare i pagamenti elettronici attraverso un meccanismo di premi e rimborsi. La destra esulta, il Pd si piega e M5S si scopre solo nella battaglia per salvare la misura il cui improvviso stop porterà allo Stato un risparmio di circa 3 miliardi. Una decisione talmente repentina, quella presa dal premier Mario Draghi lunedì sera durante la cabina di regia dell’esecutivo, che sembra quasi uno sgarbo istituzionale nei confronti di Conte, in quei minuti impegnato in conferenza stampa. Sorpresi gli stessi leghisti, tra i più acerrimi nemici del cashback, che nel corso dei mesi si erano ammorbiditi constatando l’efficacia della misura che, a dire dei commercianti, è riuscita a dare una “grande mano alla ripresa dei consumi” ormai schiacciati dagli acquisti online.

Il sistema di cashback è stato promosso direttamente dall’ex premier che aveva finanziato il progetto con 4,7 miliardi fino al 30 giugno 2022 come misura principale del piano cashless con un buon riscontro di risultati nonostante iniziali problemi tecnici, critiche aspre della destra (contraria ad aumentare la tracciabilità dei pagamenti per ridurre l’evasione fiscale) e un problema di equità sociale da risolvere. Il premier Draghi ha deciso, però, di sospenderlo almeno per i prossimi sei mesi con la motivazione di “studiare dei correttivi per i diversi difetti della misura”. Non ci sarà, quindi, almeno per ora, un secondo semestre e l’operazione si fermerà alla scadenza di oggi con il pagamento nel mese di agosto delle somme accumulate e con l’erogazione per la prima volta del super-premio da 1.500 euro ai maggiori utilizzatori. Sono in pochi a credere che la misura verrà ripristinata. Da ieri mattina Stefano Patuanelli, ministro dell’Agricoltura M5S, spiega che “la sospensione del cashback è un errore” augurandosi “che si possa tornare indietro sulla decisione”. “La sua sospensione è un errore e un pessimo messaggio”, dice l’ex ministra dell’Istruzione, Lucia Azzolina. E se contro la decisione si schiera anche Marco Furfaro, della direzione nazionale del Pd (“Il cashback ha costretto esercizi che si facevano pagare in nero a installare il Pos, contribuendo alla lotta all’evasione”), i dem svicolano con il responsabile economico Antonio Misiani: “La sospensione sia l’occasione per un monitoraggio accurato dei risultati e per introdurre i correttivi necessari a migliorare la misura”.

Insomma, un’interruzione improvvisa tra molte discussioni politiche e nessuna prova che abbia smentito la bontà della misura il cui scopo resta la lotta contro l’evasione. Mettiamo in fila quello che ad oggi è riscontrabile.

Numeri. Per l’anno 2021 il cashback sarebbe costato alle casse dello Stato 1,75 miliardi. Da dicembre, sono 8,94 milioni gli italiani che hanno aderito per un totale di 799,8 milioni di operazioni effettuate. Che i servizi digitali della Pa, finora altamente snobbati, abbiano avuto un exploit grazie al cashback è evidente. I picchi registrati dalle iscrizioni all’app “Io” e all’identità digitale (Spid) necessarie per accedere ai rimborsi dimostrano l’enorme interesse per il programma: i download dell’app Io, che hanno superato 12 milioni, prima di Natale erano fermi a 6. Una spinta in avanti è arrivata anche per carte, bancomat e app cresciuti, secondo Bankitalia, del 20%: il maggior numero di operazioni è stato effettuato per acquisti con cifre tra i 25 e i 50 euro. Gli italiani hanno anche iniziato a pagare senza contanti il caffè, soprattutto dopo che da inizio anno sono state eliminate le commissioni per i pagamenti con importo fino a 5 euro. Inoltre, il cashback, secondo l’ultima rilevazione, sta avendo un impatto positivo sui consumi (+23 miliardi nel 2021-2022) e sul gettito (+9 miliardi nel 2021-2025). Dati che dovrebbero ammorbidire anche la critica mossa al cashback: una misura dalla forte disuguaglianza sociale che avvantaggia soprattutto le famiglie a reddito medio-alto, residenti al Nord e nelle grandi città. Cioè quelle che – ha fatto notare lavoce.info – già utilizzano carte e bancomat.

Le resistenze. È Fratelli d’Italia il partito che ha ostacolato di più il cashback arrivando a presentare lo scorso aprile una mozione in Senato, poi bocciata, per chiedere di dirottare le risorse alle imprese in crisi. “Siamo stati l’unica forza politica a dire chiaramente da subito che cashback e lotteria degli scontrini sono un’idiozia che ci costa 4 miliardi. Un tentativo di controllare gli italiani in cambio di una elemosina”, ha commentato ieri Giorgia Meloni. Eppure, fino a oggi, non esiste un dossier ufficiale sulla misura (la relazione dello scorso novembre dell’Ufficio parlamentare di Bilancio ha evidenziato solo “carenze progettuali e operative da colmare”) che possa confermare le critiche. Si può solo fare riferimento al recente studio della Community Cashless Society secondo cui il 62% dei cittadini dà un giudizio positivo o estremamente positivo alla misura, “che potrebbe ridurre di molto il ritardo dell’Italia nell’uso delle carte di pagamento e permettere di recuperare oltre 4 miliardi di evasione fiscale tra sommerso e Iva”. Anche il ministro dell’Innovazione tecnologica, Vittorio Colao, lo scorso marzo ha parlato di “un grande successo” del cashback, che ha permesso a “molti italiani di imparare o cominciare a fare cose che prima non facevano”. Per Colao “l’effetto traino c’è già stato”, chiedendo però al Mef una valutazione dell’impatto economico. L’ultimo documento ufficiale, in ordine di tempo, è quello della Corte dei Conti. Due mesi fa ha scritto di non poter dare un giudizio completo sul progetto “perché mancano dati compiuti sulle risultanze ottenibili”, spiegando però che “la prosecuzione del Piano dovrà risolvere le differenziazioni nell’incentivo tra il piccolo negozio e la grande distribuzione in termini di emersione di ricavi e compensi precedentemente occultati”. Insomma, nessuna bocciatura ma l’ennesima dimostrazione che la misura andava nella giusta direzione: la lotta all’evasione.

Recupero evasione. Secondo uno studio del Forum Ambrosetti, il cashback avrebbe consentito un potenziale recupero dell’evasione di 1,2 miliardi. I pagamenti digitali, oltre a ridurre i costi e i tempi delle transazioni, sono molto più complicati da nascondere al fisco. Non poco per un Paese che nell’Ue è al sestultimo posto nell’utilizzo di strumenti di pagamento cashless e tra le 35 economie che più utilizzano il contante.

I furbetti. È il tallone di Achille del cashback, ma si tratta dello 0,24% degli utenti attivi che hanno collezionato decine di micro-transizioni da 50 centesimi pur di scalare la classifica del superpremio da 1.500 euro. Nelle scorse settimane si è anche intervenuti con qualche aggiustamento al sistema. Nelle scorse settimane il governo aveva fatto sapere che il monitoraggio sul cashback era costante e che gli esiti sarebbero stati utili anche per “proporre eventuali modifiche”. Un confronto che non c’è mai stato.

Licenziamenti, arriva la proroga ma “volontaria”

L a soluzione arriva in serata, a poco meno di 24 ore dalla fine del blocco generalizzato dei licenziamenti. È più formale che fattuale: la fine dello stop ci sarà, ma di fatto dovrebbe arrivare una proroga, per così dire, “volontaria”, con l’impegno di Confindustria siglato con i sindacati a non procedere ai licenziamenti prima di aver utilizzato gli ammortizzatori sociali. Sul tavolo ci sono le 13 settimane di Cassa integrazione (gratuita) ipotizzate dal governo. È la linea che i sindacati hanno portato ieri a Palazzo Chigi.

Draghi aveva convocato i leader di Cgil, Cisl e Uil alle 15 per comunicare la decisione della cabina di regia di lunedì: fine del blocco, con eccezione del tessile e dei comparti collegati e 13 settimane di Cig straordinaria per le aziende coinvolte nei tavoli di crisi aperti al ministero dello Sviluppo o in Regioni e Prefetture. L’incontro, però, si è trasformato in un vero negoziato non stop. Quasi sette ore di trattativa con almeno altrettante pause per poter trovare un’intesa. “Non molliamo mai…”, twitta in serata il segretario della Uil Pierpaolo Bombardieri, insieme a Maurizio Landini (Cgil) e Luigi Sbarra (Cisl). Lo stesso premier rientra alle 21.30 a Palazzo Chigi, per fare il punto con le sigle e i ministri Daniele Franco (economia) e Andrea Orlando (Lavoro). E l’intesa viene chiusa.

Come noto, i sindacati chiedevano la proroga del blocco generalizzato a fine ottobre, quando scadrà quello per le piccole imprese e per i settori non coperti dalla Cig. Linea appoggiata da parte della maggioranza (Pd e 5Stelle chiedevano almeno una mini proroga a fine agosto). Alla fine l’accordo si traduce in un “avviso comune” che impegna le aziende a utilizzare gli ammortizzatori sociali prima di procedere ai licenziamenti. Il documento congiunto sarebbe stato firmato (mentre andiamo in stampa) dal premier Mario Draghi, dal ministro del Lavoro, Andrea Orlando, dai leader di Cgil, Cisl e Uil e da Confcooperative, Cna, Confapi e Confindustria.

Tecnicamente, insomma, il blocco termina domani – salve le eccezioni per tessile, moda, etc – ma viene sostituito da un’intesa che in teoria impegna le imprese a procedere usando la Cig prima di licenziare. I sindacati alla fine firmano, ma la vittoria sembra più mediatica che concreta. La linea di Mario Draghi di fatto pone fine alla misura varata a marzo 2020, nella fase più acuta della crisi Covid, e prorogata fino ad ora. L’accordo prevede anche un tavolo di monitoraggio a Palazzo Chigi sull’evoluzione della situazione occupazionale nel Paese e per verificare e affrontare ogni rischio di emergenze sociali.

La soluzione andava trovata entro oggi, quando il Consiglio dei ministri dovrà varare il nuovo decreto Sostegni: oltre alle eccezioni settoriali, conterrà lo stanziamento delle ulteriori settimane di Cig, peraltro già coperte dai risparmi di cassa registrati sulle misure del precedente dl (il “Sostegni Bis”). Sempre oggi si dovrebbe capire quanto sarà vincolante il gentlemen agreement siglato dalle parti sociali.

Ovviamente, il testo che il governo approverà oggi conterrà diverse altre misure. Un capitolo sarà riservato all’Alitalia. Lo stallo con la Commissione Ue per ottenere la nazionalizzazione della compagnia farà slittare la nuova società pubblica, “Ita”, a ottobre. L’ex vettore di bandiera in amministrazione straordinaria riceverà un nuovo prestito ponte che le consenta di operare fino all’autunno e passare il testimone a una società più che dimezzata. Di sicuro, arriverà la proroga al 31 agosto del blocco sulla riscossione delle cartelle esattoriali. Resta il nodo del cashback, il programma per incentivare i pagamenti elettronici voluto dall’esecutivo Conte-2. Draghi ha imposto lo stop alla misura da domani, incassando, di fatto, l’ok della maggioranza, eccetto i 5 Stelle (lo leggete a destra). Difficile, però, che oggi in Cdm la resistenza dei ministri grillini sarà determinante.

La base scatenata sui social: “Beppe, ‘affanculo’ vacci tu”

L’effetto è da tragedia di Crono, di un padre che divora la sua creatura per paura di esserne esautorato. I commenti su Facebook al post di Beppe Grillo sono una valanga e praticamente tutti della stessa natura: stai uccidendo il Movimento 5 Stelle. Raramente un messaggio su una pagina pubblica – dove interagiscono per lo più i sostenitori del personaggio in questione – viene accolto in modo così negativo.

Scorrendo le frasi con più interazioni sotto al post di Grillo si fa fatica a trovare qualcuno d’accordo. Il commento con più apprezzamenti in assoluto è quello del giornalista Gianluca Daluiso (di dichiarate simpatie contiane). Cita e dileggia una delle frasi di Grillo: “‘Non possiamo lasciare che un movimento nato per diffondere la democrazia diretta e partecipata si trasformi in un partito unipersonale’. Disse colui che decide da solo se Conte può essere o meno il leader del Movimento. Senza dare la possibilità agli iscritti di votare. Bella democrazia diretta e partecipata”.

Monica Cipriani si dichiara “iscritta da 10 anni” e molto addolorata: “Conte ha dato un valore enorme al nostro Paese, sia traghettandoci fuori da una pandemia, che ai tavoli europei portando al nostro Paese 209 miliardi… e per te costui non ha visione politica? Non sarò certo io a dirti se stai sbagliando… ma posso dirti che sarò con Conte”. Centinaia di “like” anche per le parole di Matilda Spinotto. “Per quanto mi riguarda la mia adesione al M5S finisce qui! Mai si ritroverà una persona come Conte, mai! Delusione infinita, la fine di un sogno!”. È un fiume di attacchi al fondatore dei Cinque Stelle da parte degli ex elettori. Niccolò Barberio: “Beppe Grillo parli di democrazia diretta, ma quando c’è da far votare gli iscritti questi diventano soprammobili. La tua democrazia diretta è una farsa, una presa in giro”. Gabriele Virzì gli rinfaccia le vecchie promesse: “‘Ci sarà un giorno in cui l’Italia non avrà più bisogno del Movimento’ dicevi. Prima ancora è arrivato il momento in cui il Movimento non ha più bisogno di te, ma tu non l’hai capito. E anziché sotterrarti per far crescere un nuovo fiore hai sotterrato l’ultima speranza di questo movimento. Ciao Beppe!”. Il mito di Crono riverbera anche nelle parole di Mino Giglio: “Per la serie: come ti ho creato, ti distruggo. Ma perché in Italia non si capisce mai quanto è il momento di mettersi da parte?”. E ancora, Rosa Tassara: “Fatti da parte, Beppe, lascia stare le arrampicate sugli specchi, Conte non ha nulla da dimostrare e il sogno, utopia, illusione che tu propugnavi è fallito. Ora è tempo di realtà, Conte è la miglior realtà che ci possiamo permettere e che vogliamo. Piantala”. E poi c’è il contrappasso, il catartico “vaffanculo” che dopo tanti anni viene restituito al mittente: “Caro Beppe – scrive Rosa Botta – dovevi chiedere agli iscritti. Invece come sempre ti senti una mente eccelsa pensando di decidere tutto anche per me… ma io non ci sto… hai fatto scappare i migliori è adesso ci porterai alla distruzione… fino ad oggi ti ho difeso ma da oggi in poi puoi anche andare AFFANCULO…”. E il cerchio forse è chiuso.

5S sotto choc: scissione vicina. E ora tutti cercano Di Battista

La bomba del Garante li rende muti, li svuota. Soprattutto, cambia il loro modo di guardarsi. In un pomeriggio di brutta afa, stipati in Parlamento, i Cinque Stelle restano increduli. “Mai visto uno sconforto così”, riassume un big che tifa “rivolta” contro Beppe Grillo. Nell’attesa, ogni eletto scruta già il vicino con occhi diversi. Perché si chiede da che parte starà o starebbe. Il post con cui Grillo ha scagliato all’inferno Giuseppe Conte e la sua rifondazione è una porta con vista sulla scissione, o almeno su una durissima battaglia interna.

Da una parte i contiani, decisi a vendere la pelle dentro o anche fuori il M5S: dall’altra i fedelissimi a prescindere del Garante. Già, perché “c’è anche chi ha tirato un sospiro di sollievo – sussurra una deputata al primo mandato – convinto che Conte sia stato troppo egoista e che con lui il Movimento sarebbe troppo cambiato”. E a naso, tra i soddisfatti abbondano gli eletti al primo giro, quelli che come Grillo non vogliono toccare il vincolo dei due mandati. In mezzo, le variabili.

E la prima e principale si chiama Alessandro Di Battista, l’ex deputato da alcune settimane in Bolivia. In questi giorni, anime sparse del Movimento lo hanno cercato con messaggi anche lì. E nella serata in cui i 5Stelle esplodono, Di Battista sembra già il giocatore che tutti cercano, quello che se lo prendi potrebbe fare la differenza per le rispettive squadre. Lui rientrerebbe nel Movimento, magari candidandosi nel comitato direttivo evocato da Grillo? Appena rientrato in albergo, Di Battista risponde così al Fatto: “Finché il M5S starà nel governo Draghi io non voglio avere nulla a che fare con il M5S, sono lineare”. Ma lei con chi si schiera, in questa disfida? “Io mi siederò al tavolo con chi mi garantirà voti in meno a questo esecutivo”. È la sua precondizione, mentre i 5Stelle dall’altra parte del globo friggono sui propri dolori. Roberta Lombardi, membro del comitato di garanzia, ci mette tutte e due le gambe: “Non condivido una riga del post di Grillo, così ci rimette nella gabbia di Rousseau”. Ed è uno dei tanti lati del problema, perché riabbracciando in un amen Davide Casaleggio, il Garante ha fatto infuriare molti 5Stelle, soprattutto della vecchia guardia. Intanto, però, che fare? Il direttivo della Camera, pressato dai deputati disorientati, convoca per le 19 di oggi un’assemblea. E non sarà facile: “Cercasi mediatori di comprovata esperienza, no perditempo”, dice l’ex ministro Vincenzo Spadafora. Invece in Senato, il cuore del M5S contiano, gli eletti si radunano già ieri. Cercano di capire cosa fare, come reggere e come coesistere innanzitutto con il Grillo tornato genitore-padrone, come lo definirebbe Conte. D’altronde è a Palazzo Madama che ci sono fedelissimi dell’avvocato come Stefano Patuanelli, Paola Taverna, l’ex capogruppo Gianluca Perilli e Alessandra Maiorino. “Ma i contiani avranno il coraggio di staccarsi?” è la domanda di un deputato di peso. Forse il tema principale nei colloqui tra eletti. L’unica certezza per ora è l’emergenza.

E per questo in serata si riuniscono i big del 28 febbraio, cioè i maggiorenti che quella domenica di febbraio assieme a Grillo incontrarono Conte sulla terrazza di un hotel romano sui Fori Romani, chiedendogli di prendersi il Movimento. Ma Luigi Di Maio, l’ex capo politico, “uno dei migliori ministri degli Esteri della storia” secondo il Grillo di giovedì scorso, non può esserci, impegnato al G20. Il Garante gli affiderebbe volentieri il ruolo di primus inter pares nel comitato direttivo, cioè ripartirebbe innanzitutto da lui. Ma Di Maio non ne ha nessuna voglia, almeno non ora, non così. “Luigi ha mediato fino all’ultimo” ripetono dal suo giro. Poi però Grillo ha calato la sua sentenza, e “subito dopo il telefono di Di Maio è esploso”, dicono.

Quando su Roma cala il tramonto, sono gli altri maggiorenti a ritrovarsi per cercare un filo in mezzo alla follia. “Ma uscire vivi da questo casino sarà un’impresa” sibila un veterano. In tutto questo, lì fuori ci sarebbe sempre un governo, quello di Mario Draghi. Un nodo centrale per Di Battista, ma non certo solo per lui. Così ecco la senatrice Susy Matrisciano: “Caro Beppe, prima di questa votazione direi forse che occorre votare la permanenza al governo oppure no, che ne dici? Visto che hanno bloccato il cashback, credo anche Davide sia d’accordo…”. Verranno giorni ancora più difficili, per il Movimento.

Il fondatore scavalca Crimi e riabbraccia Rousseau (che però non può usare i dati)

Ci risiamo. Come se non ci fossero stati mesi di battaglie legali e ripicche personali, il Movimento 5 Stelle torna tra le braccia di Rousseau e di Davide Casaleggio.

Lo fa per volontà di Beppe Grillo, che nel silurare Giuseppe Conte indice la votazione per il Comitato direttivo della sua creatura e dispone che le urne si aprano sul vecchio portale: “Il voto su qualsiasi altra piattaforma – scrive il fondatore – esporrebbe il Movimento a ricorsi in Tribunale per la sua invalidazione, essendo previsto dall’attuale statuto che gli strumenti informatici attraverso i quali l’associazione si propone di organizzare le modalità telematiche di consultazione dei propri iscritti sono quelli di cui alla piattaforma Rousseau”.

E in effetti l’attuale Statuto del Movimento, aggiornato lo scorso febbraio, rimanda proprio a Rousseau. Ma la fuga in avanti di Grillo spiazza tutti, compreso il capo reggente Vito Crimi, perché con Rousseau si è appena chiusa una guerra durata mesi, al termine della quale – anche grazie al lavoro di Conte – il Garante per la privacy ha ordinato a Casaleggio di consegnare i dati degli iscritti al M5S. E i 5Stelle si erano già organizzati , rompendo col figlio di Gianroberto e rivolgendosi alla società Sky Vote Cloud, che non a caso ieri a AdnKronos si è detta “stupita” dalle parole di Grillo proprio perché “pronta” per essere utilizzata.

Adesso invece si torna indietro. Ma al di là del post di Grillo, non sembra tutto così semplice. Anche perché il Garante per la privacy, nella delibera con cui ordinava la consegna degli elenchi al Movimento, metteva nero su bianco l’impossibilità per Rousseau di utilizzare di nuovo quei dati: “Si ingiunge altresì – è scritto nella sentenza – di astenersi da ogni ulteriore trattamento dei dati personale in questione”. L’unica eccezione ammessa dal Garante è per “esplicite, specifiche richieste del Movimento”. Va da sé che Grillo abbia allora scavalcato Crimi, membro anziano del Consiglio di garanzia, e tutte le altre componenti del M5S, decidendo in solitaria – ma a nome di tutto il Movimento – di tornare a Rousseau. Dopo la sentenza del Garante, peraltro, Casaleggio ha conservato una copia in hard disk degli elenchi, protetti però da una password nota solo a Crimi. Per tornare sulla vecchia piattaforma servirebbe sbloccare l’hard disk – ma col placet di Crimi – o di organizzare un nuovo trasferimento di tutti i dati.

C’è poi un altro problema. Il fondatore ha indetto la consultazione per il Comitato direttivo, ma anche in questo caso la mossa è controversa. Lo Statuto impone che le urne digitali siano convocate “dal Comitato direttivo, ovvero, in sua assenza o inerzia, dal Garante”. Oggi a fare le veci del Comitato direttivo c’è Crimi, che però non è stato consultato da Grillo prima di pubblicare il post. Nello Statuto, poi, si dice pure che “il Comitato direttivo o, in assenza o inerzia, il presidente del Comitato di garanzia, determinano le modalità di svolgimento e votazione dell’assemblea”. Ergo: Crimi non può essere ignorato. Neanche dal Garante.