Elettori M5S, ancora critiche dure a Beppe: “Sei un guastatore”

“Sei e sei stato un grande, ma è il momento di dare fiducia a un uomo capace”. Il messaggio lo pubblica Lucia Cardicchi ed è la perfetta sintesi delle centinaia che gli attivisti 5 Stelle stanno lasciando in queste ore sui social di Beppe Grillo. Alcuni li abbiamo raccontati nei giorni scorsi, altri si sono aggiunti nella domenica che i simpatizzanti vivono come la vigilia della resa dei conti.

In mattinata il fondatore rilancia sul suo profilo Facebook una rassegna degli articoli usciti in settimana, ma l’attenzione dei suoi fan, più che sui temi del post, è sul destino del Movimento. Lo scrive Ilaria Ursini, il cui commento è tra i più cliccati: “Il vero leader è colui che viene riconosciuto e non ha bisogno di urlare. Che imbarazzo per il Movimento. Spero che la decisione di Conte ridia dignità prima di tutto a te. Fai un passo di lato”. Anche Pasquale Arculeo è critico: “Noto che tutti i commenti sono molto critici per la tua scelta di accantonare Conte, prendine atto, fai un passo indietro perché l’ultima parola è nostra, degli iscritti e dei votanti. Fai presentare il programma di Conte e il nuovo Statuto, magari ne presenti in alternativa uno pure tu, poi decideremo noi. Naturalmente se vinci tu allora scendi in prima persona senza re travicelli o tuoi fantocci”.

Così Carla Martinetti: “È arrivato il momento di mettersi da parte, quello che dovevi fare hai fatto e ti ringraziamo, ma dai spazio a Conte. Il Movimento te ne renderà merito, l’Italia te ne renderà merito”.

Ma testimone del malumore della base 5 Stelle è anche la casella mail del nostro giornale (lettere@ilfattoquotidiano.it), a cui da giorni diversi simpatizzanti scrivono per esprimere il proprio disorientamento.

Quasi tutte le decine di lettere ricevute sono dello stesso tono di quella mandata da Francesco Terenziani: “Sono un elettore del M5S e leggo con stupore e incredulità quanto sta accadendo in questi giorni sulla contrapposizione tra Beppe Grillo e Conte. A mio modesto avviso non è accettabile una diarchia che porterebbe a uno stallo totale e alla scomparsa del M5S. Beppe ha fondato un Movimento che ha raggiunto un successo elettorale impensabile all’inizio, e di questo gliene siamo tutti riconoscenti, ma ora il Movimento ha raggiunto la maturità e lui deve lasciarlo evolvere per diventare adulto, facendosi da parte come un buon padre dovrebbe fare con un figlio che vuole crescere”. Amareggiata è anche Barbara Rossi: “Grillo è rimasto al fermo immagine di lui e Casaleggio (Gianroberto) su quel palco, di fronte ad un folla sterminata, appena prima del primo trionfo del Movimento alle politiche e della Raggi sindaca di Roma. Il suo errore più clamoroso, per uno che, a volte a ragione, in passato è sempre stato considerato un visionario, uno avanti sui tempi, è credere che il Movimento sia rimasto esattamente quella cosa lì, quel mix di antipolitica e rabbia sociale che riempiva le piazze e che lui poteva orientare con un post o un comizio”.

Alessandro Canalicchio, un altro lettore del Fatto, ci racconta di come avesse creduto nella svolta: “Non vedevo l’ora che Conte si riappropriasse dei propri meriti e continuare il lavoro che aveva svolto con tanto coraggio. E invece la pugnalata arriva da parte di chi ha goduto del suo prestigio”. Quel fondatore che per tanti, oggi, è soltanto un guastatore.

Grillo scrive e telefona a Conte, ma non scioglie il nodo della “diarchia”

Dopo due giorni di guerra di posizione, Beppe Grillo muove un passo verso Giuseppe Conte. Ma non basta, perché nella sostanza i due restano lontanissimi, senza ancora alcuna soluzione per risolvere il vero tema dello scontro, cioè la gestione della leadership del nuovo Movimento.

Ieri il Garante ha scritto una mail all’ex premier e poi i due si sono sentiti per telefono. Segno del fatto che Grillo, che giovedì scorso aveva scaricato l’ex presidente del Consiglio di fronte ai parlamentari, ha capito la gravità della situazione del suo Movimento. Ma i contatti non hanno certo risolto la questione, con fonti vicine a Conte che confermano al Fatto che “passi in avanti sulla sostanza politica non se ne sono fatti”. Anche perché la mail e il colloquio hanno dimostrato la disponibilità di Grillo a rinunciare a qualche prerogativa, ma non hanno centrato il nodo dell’agibilità politica. Senza contare che testimonianze del clima burrascoso della chiamata – poi, evidentemente, tranquillizzatasi – sono comparse persino su Facebook, dove ieri in alcuni gruppi chiusi di sostegno all’ex premier qualcuno ha riportato le grida di Conte sentite da sotto la sua abitazione romana.

Oggi comunque parlerà lo stesso Conte, resta da vedere se in una conferenza o per altre vie, magari con un video sui social. Per tentare un’ultima mediazione, Grillo potrebbe allora anticipare l’ex premier scendendo a Roma dalla sua villa di Marina di Bibbona, in Toscana. Una pezza necessaria, ma forse tardiva. Ancora ieri chi ha sentito Conte lo descriveva rigido sulle sue posizioni. Troppa la delusione verso chi gli aveva chiesto di rifondare tutto, salvo poi imputargli di voler fare di testa sua.

Ma non è solo questione di amarezza personale, perché anche di fronte a un chiarimento resterebbe un enorme problema politico da sbrogliare, dal momento che non potrebbe esistere alcun Movimento a guida Conte se Grillo non rimettesse in discussione il suo ruolo, togliendo dal tavolo la pretesa di una diarchia che l’ex premier ritiene inaccettabile. Tradotto: il fondatore deve accettare di farsi da parte e il capo politico non può essere un mero esecutore della volontà altrui.

Oggi si vedrà, dunque. Il segnale distensivo di Grillo dovrà adesso trasformarsi in sostanza, ovvero soluzioni concrete per la nuova forma del Movimento. Di certo c’è che il Garante da giorni è pressato da più parti affinché si eviti il baratro, anche perché dentro ai 5 Stelle hanno tutti ben chiaro che se la frattura con il leader designato diventasse definitiva il danno sarebbe probabilmente irreparabile. Con ovvie conseguenze per il futuro degli attuali parlamentari e per i consensi del Movimento.

Non è un caso che nei giorni scorsi, dietro le quinte, si siano spesi due big del Movimento come Stefano Patuanelli e Paola Taverna, che insieme al capogruppo al Senato Ettore Licheri hanno provato ad ammorbidire la posizione di Conte. Anche Luigi Di Maio, la cui preoccupazione era parsa evidente fin da giovedì, ha tentato di calmare gli animi, consegnando ai social una versione edulcorata dello scontro in atto: “Insieme abbiamo affrontato diverse fasi, anche le più difficili e complicate. Il bene che vogliamo al Movimento è il pilastro su cui fondare le nostre decisioni. Mettiamocela tutta”.

La trattativa però, nonostante gli spiragli di ieri, resta in salita. I mediatori sperano almeno che oggi l’ex premier, durante il suo intervento, non chiuda del tutto la porta al Movimento, mettendo sì in chiaro le proprie pretese, ma senza formalizzare la rottura. Una strategia, questa, che consentirebbe per lo meno di guadagnare tempo, confidando che in un modo o nell’altro tra i due Beppe cali la pace.

Già, ma fino a quando? Perché il problema non esiste soltanto nei giorni caldi della definizione del nuovo Statuto e del passaggio di consegne. In mancanza di un chiarimento definitivo su ruoli e competenze, la leadership di Conte vivrebbe sotto il pericolo costante di smottamenti, in linea con gli umori del Garante. Non certo la premessa ideale per lasciare la cattedra universitaria e mettere la faccia sul rilancio del Movimento.

Ma mi faccia il piacere

Valori bollati.“La nostra federazione è unita con o senza l’apporto di Meloni. Abbiamo valori comuni” (Attilio Fontana, Lega, presidente Regione Lombardia, Stampa, 20.6). Lui però li tiene in Svizzera.

Minzolingua/1. “Ma io gli attacchi li capisco, come capisco chi lecca” (Augusto Minzolini, neodirettore del Giornale, Riformista, 24.6). E lui modestamente la nacque.

Minzolingua/2. “‘L’unico padrone è il lettore’, diceva Montanelli” (Augusto Minzolini, Giornale, 25.6). Ora, con lui, l’unico lettore è il padrone.

Papa Drago I. “Il Concilio di Draghi” (Foglio, 24.6). “Il Concordato di Draghi” (Giornale, 24.6). “Draghi scomunica la Chiesa” (Claudia Fusani, Riformista, 24.6). Papa subito.

Solo noi. “Una super-pagella per il Recovery: l’Europa dice sì al piano dell’Italia. Nei giudici tutte A e una sola B”, “L’effetto SuperMario fa superare lo stallo” (Stampa, 22.6). Posto che tutti i Recovery Plan di tutti i Paesi membri della Ue hanno avuto la stessa super-pagella con identici voti, come avranno fatto tutti gli altri a riuscirci senza essere governati da SuperMario?

Di Montichi?/1 “Milano, di Montigny si sfila: ‘Ma porto avanti le mie idee’” (Giornale, 24.6). Non appena gliene verrà una.

Di Montichi?/2. “Mi prendono in giro per il mio cognome. Su Milano ho una visione. Medito ogni mattina e conosco la nipote di Gandhi” (Oscar di Montigny, Corriere della sera, 20.6). Ah beh allora.

Balle spaziali. “Asse Draghi-Merkel sui migranti” (Stampa, 21.6). “Migranti, intesa Draghi-Merkel” (Corriere della sera, 22.6). “Il sì di Merkel a Draghi: ‘Impegno Ue sui migranti’” (Messaggero, 22.6). “Draghi e Merkel, intesa sui migranti” (Tonia Matrobuoni, Repubblica, 22.6). “Un patto a tre sui migranti tra Germania, Francia e Italia” (Claudio Tito, Repubblica, 24.6). Risultato dell’asse, dell’intesa, del sì e del patto: dieci minuti di chiacchiere e nessun accordo europeo sui migranti.

L’amuleto. “Le battaglie perse sono le più divertenti, ma Travaglio rischia di morire dal ridere (e noi pure, a leggerlo) perché siamo, ormai, al masochismo esibito, alla candidatura di orfano politico a vita… Il direttore del Fatto, da 25 anni, cerca di intercettare il peggio del qualunquismo forcaiolo per traghettarlo verso personaggi che poi si vanno a schiantare” (Filippo Facci, Libero, 27.6). Saluti da Hammamet, da Cesano Boscone e da Rignano sull’Arno.

Ordine analfabetico. “Salvini? Un estremista di sinistra! Il fatto invoca manette per i profughi” (Piero Sansonetti, Riformista, 24.6). Se non fosse che Sansonetti, oltre a non saper scrivere, non sa neppure leggere, scoprirebbe che Davigo parlava degli stranieri irregolari in carcere perché delinquono.

Ubi maior, minor cesso. “Voleva vendere quadro a Montecarlo. Sgarbi indagato: ‘Non ha la licenza’. Inchiesta sul critico per esportazione illecita del ‘Concerto con bevitore’, valutato 5 milioni” (Repubblica, 24.6). “Se diventerò assessore intitolerò un vespasiano alla Raggi: un monumento alla sua amministrazione… Papa Francesco vorrebbe che io facessi l’assessore alla cultura a Roma. Se potesse, voterebbe senza dubbio per me. Condividiamo molte cose, io lo considero un collega” (Vittorio Sgarbi, deputato-imputato di FI, Verità, 21.6). Se tutto va bene, gli vende pure i Musei Vaticani e la Cappella Sistina.

Ad personam. “Il blitz di Grillo dagli eletti 5Stelle. Scontro con Conte sui poteri. Gli strappi del fondatore che non può accettare un Movimento ‘personale’” (Corriere della sera, 24.6). A meno che la persona non sia la sua.

Amnesia Capitale. “Quando il Pd governava la capitale: cosa è rimasto del ‘modello Roma’” (Roberto Morassut, deputato Pd, Domani, 25.6). A parte Odevaine e i 15 miliardi di debiti, dici?

Piazza pulita/1. “Separazione delle carriere: penalisti in piazza” (Riformista, 24.6). La piazza però non se n’è accorta.

Piazza pulita/2. “Partiti in piazza coi penalisti. C’è un solo assente: il Pd” (Riformista, 25.6). Beh, dai, eravate già in tre.

Il titolo della settimana/1. “Recovery, arrivano i fondi. Grazie a Draghi e ai liberali” (Giornale, 21.6). Uahahahahah.

Il titolo della settimana/2. “L’occasione del governo Draghi per tentare di riprendersi la Libia” (Domani, 26.6). Le truppe sono pronte a salpare, 110 anni dopo l’ultima campagna. Tripoli bel suol d’amore!

Il titolo della settimana/3. “Lo Speranza inglese è esperto di palpatine” (Libero, 26.6). E non avete ancora visto l’ex Johnson di Arcore.

Il titolo della settimana/4. “Ma chiedere al governo la cacciata di due ‘liberisti’ è una cosa di sinistra?” (Antonio Polito, Corriere della sera, 26.6). No, è assumerli che è una cosa di destra.

Il titolo della settimana/5. “Draghi e Mancini. Quei due leader misurati che creano spirito di squadra. L’accostamento è audace e metaforico ma tra il governo e la Nazionale si notano alcune ricorrenze interessanti” (Mauro Magatti, Corriere della sera, 26.6). Ma va’ a ciapa’ i ratt.

“La barca”, una questione di ferite e affetti perduti

Pubblichiamo uno dei racconti, da oggi online sulla pagina Facebook “L’Ora, edizione straordinaria”, che Camilleri pubblicò sulla storica testata nel 1949.

 

Con un ultimo deciso strattone la barca fu tirata a riva e non appena giacque sulla sabbia come un goffo e pesante animale sprofondato nel sonno, Carlo e Francesco si asciugarono le mani strofinandole sui pantaloni, salutarono con un borbottio indecifrabile e, stanchi per il faticoso lavoro durato tutto il giorno, si avviarono verso la calda zuppa di pesce e il letto come verso un favoloso paradiso.

Matteo, rimasto sulla spiaggia con suo figlio, seguì con lo sguardo i due che si allontanavano fino a quando li vide sparire inghiottito dal buio e quindi si volse a guardare la barca. Era una notte serena, calda, neppure increspata da un filo di vento e la luna che non si era ancora levata preannunziava la sua prossima apparizione con un latteo chiarore al disopra dei monti, quanto bastava a Matteo per poter distinguere le agili e perfette forme dello scafo, l’albero dritto verso il cielo, il biancore soffice della vela arrotolata.

Per un poco egli stette immobile, lo sguardo fisso, mentre chiarissime, quasi scandite gli tornavano alla memoria le beffarde parole che Francesco aveva dette alla barca quando, dopo aver finito di pescare, stavano veleggiando verso la costa: “Addio, bella mia, sei diventata troppo vecchia per tenere ancora il mare: domani stesso Matteo ti venderà come legna per ardere”: poi incerto, come esitando, levò una mano di tasca e sfiorò con la punta delle dita il fianco gelido dello scafo ancora gocciolante d’acqua. Subito quel freddo contatto gli diede un brivido, una scossa che gli percorse tutto il corpo dalla testa ai piedi e che, stordendolo, gli fece premere automaticamente con forza la palma della mano aperta sul legno. E questa volta un languore estenuante s’impadronì all’improvviso dei suoi muscoli, una tenerezza dolciastra lo strinse alla gola, lo fece sprofondare in una intrattenibile commozione infantile. “Papà”.

La voce del figlio che lo richiamava alla realtà lo fece sobbalzare: ritirò di scatto la mano come se si fosse bruciato, la rimise in tasca.

“Ebbene?”

“Dicevo se non è l’ora di andarcene anche noi”

“No”

Era stato troppo brusco, troppo deciso. Ma che ne potevano capire gli altri? Domani la barca non sarebbe più esistita: asce e seghe avrebbero spezzato, martoriato il legno… E quella sera era come quando si veglia un agonizzante, un moribondo che non si può lasciare solo ad attendere la morte.

“No”, ripeté e indovinando nel buio lo sguardo stupito del figlio aggiunse ancora: “Senti, io domattina mi devo alzare all’alba perciò tanto vale che resti qui. Ma tu puoi andartene”.

“Va bene. E per cenare come fai?”

“Ho qualcosa che n’è rimasto da oggi”

“Allora buona notte”.

“Buona notte …”

Era finalmente solo: si avvicinò ancora di più alla barca, sedette sulla sabbia, trasse dalla tasca un involto, l’aprì, prese il pane e il formaggio che vi trovò dentro e si mise a mangiare distrattamente, di mala voglia. L’intensa commozione di prima lo aveva abbandonato con la stessa rapidità con la quale era venuta ed ora si sentiva svuotato dentro, con il cervello restio a formulare dei pensieri come nelle afose giornate di scirocco. Poi quando ebbe finito di mangiare si distese supino, guardò per un attimo nel cielo le stelle che vi brillavano e, chiudendo gli occhi, stese adagio una mano fino ad incontrare la chiglia della barca. Rimase fermo così sperando che il ritmico e monotono rumore del mare accelerasse la venuta del sonno.

Lo svegliò un colpo sordo e improvviso come se qualcuno avesse battuto con una pietra sull’altro fianco dello scafo e la prima cosa che vide, aprendo gli occhi, fu la luna ormai alta nel cielo. Si rese conto di aver dormito a lungo e ancora mentre stentava a riprendere completa conoscenza udì un altro colpo seguito da un inconfondibile rumore di passi dentro la barca. Il primo impulso di Matteo fu di alzarsi e di gridare per rivelare la sua presenza ma una strana inerzia lo trattenne dal porre in atto questo suo pensiero e lo inchiodò sulla sabbia.

Udì ancora dei passi e poi più niente, nessun rumore, nessuna voce. Se non fosse stato ben sicuro di non avere sognato, si sarebbe rimesso a dormire, tanto tutto era ritornato ad essere calmo attorno a lui. Ma fu appunto questo repentino silenzio che lo turbò e lo insospettì maggiormente. Che cosa volevano fare alla sua barca? Matteo lasciò trascorrere qualche minuto e poi quasi trattenendo il respirò si alzò, si eresse con cautela sulla punta dei piedi e guardò al di sopra del bordo dello scafo. Sul fondo, scomodamente distesi sul legno, c’erano un ragazzo e una donna che si baciavano, avvinghiati.

Per un attimo sembrò a Matteo che tutto attorno a lui si fosse ancora di più oscurato. Una fitta nebbia grigia e rossa gli calò davanti agli occhi e dopo, quando la scena crudelmente illuminata dalla luna tornò a ricomporglisi davanti, un’ira delirante e selvaggia lo aggredì squassandolo tutto.

Pallido, febbrile, ma senza che una sola parola gli uscisse dalle labbra serrate, si sfilò la cinghia dei pantaloni, con un solo salto fu dentro la barca e prese con quella sibilante sferza improvvisata a colpire bestialmente.

Il grido di paura che i due lanciarono lo eccitò maggiormente, picchiò ancora più forte e, mentre il giovane riavutosi per primo dalla sorpresa saltava giù dalla barca e scappava senza voltarsi indietro, egli vide le gambe della donna scoperte e con un balzò vi fu sopra, calpestò quel biancore coi tacchi, lo batté con la cinghia sino a quando non vide più niente, più niente e capì che anche la donna era fuggita.

E allora, mentre una grande tristezza gli cadeva addosso, si mosse lentamente, andò a prendere un bugliolo pieno d’acqua e con uno straccio cominciò a lavare il legno della barca, nel punto preciso dove i due si erano coricati, con gesti amorosi e leggeri come se stesse curando delle ferite.

11 maggio 1949
L’Ora del popolo

“La rissa con la Marini, io nuda davanti a Banfi. E non nominatemi Mark…”

Il dente prima del giudizio: “Mi raccomando, non parliamo di quello”. Di chi? “Di quello”. Ma chi? “Quello!” Si riferisce a Mark Caltagirone? “Non lo nomini neanche, quella storia ha rischiato di distruggermi. Ho pensato di farla finita”. Se uno scoglio non può arginare il mare, figurarsi l’onda di un nome e cognome diventati leggenda popolare. “Che dolore. Piuttosto mi piacerebbe festeggiare quarant’anni di carriera”.

Pamela Prati è la copertina di Playboy da sola e con Adriano Celentano; è i film scollacciati della commedia all’italiana (“con Banfi non riuscivo a recitare”); è il Bagaglino (“a quel tempo mi arrivavano regali assurdi”); è i riflettori più sparati (“a volte mi serviva la guardia del corpo”).

Pamela Prati è un’immagine quotidiana, e sexy, sui social (“quando mi accusano di essere rifatta, rispondo vieni a controllare”).

E oggi, dopo un periodo leggermente complicato, torna con un singolo estivo.

Quasi cinquant’anni fa dalla Sardegna, destinazione Roma.

(Sorride) Con la nausea in traghetto: era la prima volta che mi muovevo, per me era tutto una novità.

Addirittura.

Passo indietro: il dolore l’ho affrontato appena nata, con un padre che non ha riconosciuto me e le mie sorelle, e ho vissuto fino agli 8 anni e mezzo in un collegio di suore. Un collegio terribile. Non sapevo neanche cosa fosse una mamma.

Così severe…

Venni punita perché mi pizzicarono, di sera, davanti alla tv per vedere Giamburrasca: il protagonista si ribellava alle suore; insomma, uscita dal collegio tornai a casa, e ho impiegato non poco per decodificare l’affetto materno: lei mi abbracciava e non capivo, lei sorrideva e restavo dubbiosa su come rispondere (si commuove, e cambia discorso). In quel periodo ho scoperto realmente la scatola magica (la televisione).

A Roma…

A 14 anni, insieme a mia madre, per andare da mia sorella Maria; un giorno usciamo tutte e tre, io incerta, incuriosita, non avevo mai visto la città; una volta a casa sento le due preoccupate: durante la passeggiata gli uomini si giravano di continuo. Volevano riportarmi in Sardegna.

E invece?

Inizio a lavorare come commessa in un negozio di abbigliamento: un giorno viene un signore, che poi sarebbe diventato il mio agente, insieme ad Anita Ekberg, “Sei sprecata qui dentro”.

Un classicone.

Prendevo quattro autobus al giorno, lavoravo, guadagnavo due lire e spedivo tutto a mamma: era il nostro patto; poi il sabato sera andavo a ballare, tutta la notte, specialmente in un locale gay.

Quanto ha impiegato per capire il suo potere sugli uomini?

Immediatamente. Per questo mia sorella mi ha rispedita in Sardegna e con una scusa: quando l’ho capito sono riuscita a tornare di nascosto.

Cosa era successo?

Arrivavano uomini sotto casa e lei li cacciava; (sorride) ho ammiratori di vent’anni fa che mi definiscono più bella di allora.

La spaventava questo potere?

No, era una rivincita: da piccola ero magrissima e senza forme. Ne soffrivo. Quando sono arrivate le tette ho cambiato approccio con la vita.

Se ripensa a lei di allora?

A volte mi faccio tenerezza, in altre sono soddisfatta, altre ancora penso che avrei potuto evitare certe situazioni.

Tipo?

Dovevo studiare di più. E diventare famosa all’estero.


Playboy
.

Ero proprio povera, poi una mattina, sempre al negozio, entra l’art director della rivista, e io da spendere avevo solo la mia bellezza; (ci pensa) all’epoca c’era la fila di attrici e soubrette per finire su quel mensile, e i responsabili pretendevano un provino: quando è toccato a me, una volta nuda, ho iniziato a piangere e ho ancora le diapositive mentre sono in crisi.

Eppure…

Mi hanno preso e sono diventata la playmate dell’anno, con tanto di copertina insieme a Celentano; quando il Playboy è arrivato nel mio paese, in Sardegna, mamma ha affrontato i mugugni: “Avete rotto, non c’è nulla di male. Lasciatela in pace”.

Suscita più gelosia o invidia?

Le donne mi dicono di tutto.

Il cinema.

Prima ho rifiutato un ruolo con Enrico Montesano, ma volevo ballare, poi ho girato un cult assoluto, citato pure da Tarantino: La moglie in bianco… l’amante al pepe.

Con Banfi.

Sbagliarono il numero di scarpe, erano strettissime, un dolore boia, poi Lino aveva una mimica assurda (lo imita alla perfezione) e io dimenticavo il mio ruolo, mi sentivo quasi una spettatrice. E ridevo. Non riuscivo ad andare avanti; (ci pensa) ero proprio giovane, sfrontata, mi lanciavo, ricordo quando Pingitore sosteneva: “La sua forza è che ci crede. Se le chiedo di diventare Rita Hayworth, lei si sente Rita Hayworth”.

Gloria Guida ha dichiarato: “Forse nella vita ho fatto troppe docce”. Riferendosi ai ruoli sexy…

Io uscivo dalla vasca da bagno e Lino sbirciava da dietro la porta; (sorride) mostravo le forme granitiche del mio corpo.

Ecco.

E comunque le scene sexy con Gloria, o quelle con Edwige (Fenech) e le mie, ancora oggi fanno sognare.

Era iper-corteggiata.

Lo sono ancora.

Proposte indecenti?

Certo, e ho dato dei begli schiaffoni; Pingitore mi chiama sempre “Selvaggeria”.

Regali?

Nel periodo d’oro, quello del Bagaglino, mi è arrivato di tutto, anche dei collier di diamanti e li ho rispediti indietro.

Proprio tutto?

No, in un caso se lo semo magnato: era una cassa clamorosa di pesce, anzi di aragoste. Appena recapitata vado da Pingitore: “Maestro, e ora?”. “Ferma, questa la teniamo”.

Lo chiama “maestro”.

Lui e Oreste Lionello sono i miei punti di riferimento.

Regola numero uno di Pingitore?

Severissimo, se incavolato tirava addosso le sedie. Aveva ragione; (pausa) noi del Bagaglino siamo sempre stati una famiglia, un gruppo di persone che in molte occasioni si è riunito pure per il Natale.

Per cosa la rimproverava?

Di solito mi preparo alla perfezione, ma se non sono al massimo vado in ansia, divento rossa, mi viene la tachicardia: ero sul palco e sbaglio la battuta. Mi fermo. E lui, “nero”: “Non ci si blocca mai! Devi andare avanti”. Sono scappata in lacrime.

È stata molto amica di Walter Chiari.

Un amore non consumato, ero troppo piccola, però mi raggiunse in Giamaica e per portarmi un copione: ero lì per un servizio di Playboy, come “la mora più bella d’Italia”; era un uomo molto fragile, molto particolare, di rara sensibilità.

In Giamaica regna pure la marijuana.

Infatti l’ho provata, ma sono stata malissimo.

Gabriella Ferri.

Altra donna fragilissima, aveva paura pure del suo respiro: quando toccava a lei entrare in scena, scattava la tragedia, si sentiva male per il confronto con il pubblico; il suo camerino era invaso dai trucchi, li apparecchiava sul tavolo come un’enorme tavolozza di colori e li utilizzava tutti.

Una maschera.

Si trasformava, con quel dipingersi il volto in realtà creava il suo “grugno”; mi ripeteva sempre: “Sei una frescona come me, perché sei bona: non ti fidare di nessuno”.

Fingono meglio gli attori o i politici.

I politici.

La Prima Repubblica.

Al Bagaglino sono passati tutti, si piazzavano in prima fila e ridevano, godevano della loro rappresentazione macchiettistica.

Chi di più?

Andreotti. Lui rimase a lungo a colloquio con Oreste.

Si sentiva al centro del mondo?

In qualche modo lo eravamo: fuori dal teatro ci aspettavano in migliaia, tanto che mi offrirono una guardia del corpo, ogni volta sembrava una scena da Viale del tramonto; una sera, a Rimini, troviamo diecimila fan, e non so in quanti hanno cercato di toccarmi o strapparmi una foto.

Da avere paura.

In Calabria mi hanno sfondato il camerino.

Quanti soldi ha sperperato?

Tantissimi, ma altrettanti me ne hanno fregati; (ci ripensa) però non li ho sperperati, piuttosto non mi sono fatta mancare nulla.

Esempio.

Una follia? Appena ho firmato per Mediaset sono andata da Chanel e ho speso 100 milioni di lire.

Alla faccia.

Ero ancora quella bambina che non aveva il pane per la merenda, quindi dovevo togliermi quella soddisfazione.

Benedetto Berlusconi.

Ho comprato casa pure a mamma; il presidente veniva a trovarci al Bagaglino, si piazzava sul palco e raccontava le sue barzellette sconce.

Di quel periodo c’è una rissa epica con la Marini.

Guai a chi mi tocca la famiglia.

E certo…

Però non l’ho picchiata.

Questione di sfumature.

Sono gelosa e possessiva, lei era entrata al Bagaglino e al mio posto; durante la festa dei 50 anni di Leo Gullotta ho avuto la sensazione che mi prendesse in giro. Così mi sono avvicinata, e lei per liberarsi di me si è graffiata con il mio bracciale di diamanti.

Gli uomini per lei si sono picchiati?

Avoja. Eccome.

Una sua paura.

Sono claustrofobica cronica, non prendo l’aereo, neanche la nave.

Per un artista è limitativo.

Ho preso un volo poco tempo fa, ma è stato un consiglio del medico per scacciare il dolore di quella storia là.

Sempre Mark Caltagirone.

Non lo nomini! Secondo il medico la paura avrebbe soppiantato quella vicenda.

Chiodo scaccia chiodo.

Giravo con un coltello nella borsa.

Teme mai di perdere fama e carriera?

La tragedia che lei ha citato all’inizio avrebbe potuto definitivamente rovinarmi: è stata una gogna e se ne sta parlando nelle sedi opportune.

E lei…

Per un anno sono rimasta sola a casa, a me il lockdown non ha spaventato; e poi sono quasi tre anni che sono sola e non voglio nessuno, ed è una mia scelta, perché ribadisco: sono molto corteggiata.

Lei tra dieci anni.

Mi piacerebbe diventare una produttrice, poi sta per iniziare un docufilm sulla mia vita.

Scaramantica?

Da morire: niente cappello sul letto, il sale non si passa, neanche l’olio (e l’elenco non si ferma più).

Lotteria?

No, tanto non vinco.

Mai niente?

Solo un jackpot a Montecarlo da ventimila euro.

Chi è lei?

Una selvaggia con un cuore tenero, una che difende ciò che ama e autentica da fare schifo.

 

Scandalo Wirecard, tutte le “distrazioni” e il mutismo di Scholz

È un danno di immagine epocale per le dure e pure istituzioni tedesche quello prodotto dalla conclusione dell’indagine parlamentare sulla maxi frode messa a punto dalla società di elaborazione dei pagamenti online, Wirecard. Il più alto in grado a perdere la faccia per questo scandalo che mostra la presenza di figure politiche negligenti o incapaci anche nei posti chiave del governo, è il vice cancelliere nonché ministro federale delle Finanze e presidente ad interim del Partito socialdemocratico, Olaf Scholz. Assieme a quest’uomo politico di lungo corso risultano inadempienti, per usare un aggettivo clemente, anche i revisori dei conti.

Il rapporto finale dell’indagine del Bundestag sul collasso di Wirecard ha concluso infatti che il ministero delle Finanze non è riuscito a rilevare una frode che è costata milioni di euro agli investitori. Le conclusioni sono state presentate al presidente del Parlamento, il falco della Cdu già ministro delle Finanze, Wolfgang Schäuble, che ha immediatamente messo sulla graticola il vice socialdemocratico della cancelliera Merkel nella attuale Grosse Koalition. Il legislatore democristiano (Cdu) Matthias Hauer ha detto alla stampa che Scholz e il ministero delle Finanze “non hanno voluto vedere e hanno girato la testa dall’altra parte, non hanno agito e hanno reso difficile l’indagine”. Queste affermazioni sono una vera e propria accusa di complicità con i vertici di Wirecard rivolta al ministro delle Finanze. Hauer ha affermato che il ministero delle Finanze sarebbe dovuto intervenire quando l’ente regolatore finanziario tedesco, BaFin, nel 2019, aveva emesso un divieto di vendita allo scoperto di titoli Wirecard. Nel gennaio di quest’anno Felix Hufeld ha lasciato la BaFin; l’ex capo dell’autorità di regolazione finanziaria tedesca (equivalente della Consob italiana) si è dimesso proprio a seguito di un’operazione di revisione partita dopo il crollo di Wirecard. Il suo allontanamento è stato giustificato dal ministero delle Finanze con la necessità “di una riorganizzazione di BaFin per adempiere al suo ruolo di supervisione in modo più efficace”. I legislatori tedeschi hanno anche accusato i revisori dei conti Ernst & Young (EY) di aver commesso numerosi errori di supervisione e cattiva gestione contribuendo a creare la più grande frode nella Germania del dopoguerra. “EY avrebbe potuto e dovuto notare la frode contabile”, ha affermato il parlamentare socialdemocratico Cansel Kiziltepe, cercando di difendere Scholz dalle critiche degli altri partiti. Wirecard, fondata nel 1999, è stata finora il simbolo più fulgido del settore tecnologico finanziario tedesco nonostante elaborasse pagamenti online per siti di gioco d’azzardo e pornografia. Il passato poco edificante di Wirecard non aveva però fermato la calvinista Merkel dal fare pressioni per conto dell’azienda durante un viaggio in Cina nel 2019. Negli ultimi anni la società era diventata un’importante fornitrice di servizi finanziari con un enorme potenziale di crescita in cui molte persone erano state incoraggiate a investire. Peccato che l’anno scorso ha presentato istanza di insolvenza dopo aver ammesso che si erano volatilizzati ben 1,9 miliardi di euro, presumibilmente impegnati in conti fiduciari. È stato anche scoperto che era enormemente indebitata e di aver falsificato i bilanci per anni.

L’ex amministratore delegato di Wirecard, Markus Braun, è ora indagato con l’accusa di frode criminale e si trova già da mesi agli arresti domiciliari. L’Interpol ha emesso un nota rossa per l’ex direttore operativo della società, Jan Marsalek che è ricercato per gravi reati penali di varia natura nel vasto ambito finanziario. La maxi frode Wirecard mostra che è tempo di regolamentare proprio coloro che svolgono il ruolo di regolatori. La debacle di Wirecard in Germania è solo un esempio di uno scandalo che avrebbe potuto essere evitato se i responsabili della supervisione avessero effettivamente svolto il proprio lavoro.

Killer di Floyd, un futuro da galeotto nella cella 3×3

Chiuso da solo in una cella di meno di nove metri quadrati, la prigionia di Derek Chauvin sarà una lotta per la sopravvivenza: in carcere, molti detenuti non avranno alcuna simpatia per quell’ex poliziotto che ha ucciso un nero inerme. Chauvin è stato condannto a 22 anni e mezzo di detenzione per l’uccisione, il 25 maggio 2020, a Minneapolis, di George Floyd, un buttafuori nero che l’agente di polizia bianco bloccò a terra per 8’46”, con il ginocchio sul collo, fino a soffocarlo. La sentenza, pronunciata venerdì dal giudice Peter Cahill, è stata giudicata “appropriata” dal presidente Joe Biden. La famiglia Floyd se n’è detta delusa: voleva la pena massima per i reati di cui Chauvin è stato riconosciuto colpevole, 30 anni. I neri d’America ora s’aspettano che Biden mantenga gli impegni assunti in campagna elettorale, a cominciare dalla riforma dei metodi della polizia osteggiata in Congresso dai repubblicani. Nell’udienza di venerdì, Chauvin, autorizzato a comparire in abiti borghesi, ha parlato per la prima volta in tutto il procedimento: ha fatto le proprie condoglianze alla famiglia Floyd, ma non ha avuto espressioni di pentimento. La madre, Carolyn Pawlenty, l’ha difeso: per lei, è innocente, “un bravo ragazzo” su cui sono state dette “un mucchio di falsità”. Dopo il verdetto di colpevolezza, il 21 aprile, Chauvin è stato detenuto nell’unica prigione di massima sicurezza del Minnesota, a Oak Park Heights. Non è la prassi: di solito chi attende di conoscere la pena non viene ancora rinchiuso in un penitenziario. Chauvin vi è finito per ragioni di sicurezza. Foto fornite dalle autorità statali alla Ap mostrano la cella tipo dell’unità che ha finora accolto Chauvin: un po’ meno di tre metri per tre – nove metri quadrati è il minimo, secondo le norme europee sui diritti umani –, muri fatti di blocchi di cemento bianchi, piccole finestre rettangolari, un lavello e un wc in metallo e un materassino sopra un letto alla parete. Per due mesi, Chauvin è rimasto da solo nella sua cella, costantemente monitorato via telecamere e sottoposto a controlli. I pasti gli vengono serviti in cella. L’ora d’aria, anche quella solitaria, è di circa un’ora al giorno. Il detenuto ha diritto a dieci foto, una radio e una riserva di cibo; può ricevere un massimo di tre visite la settimana senza contatto fisico. L’ex poliziotto potrebbe però rimanere in carcere meno del tempo previsto; per buona condotta otterrebbe la libertà vigilata una volta scontati i due terzi della pena, circa 15 anni.

La morte dell’attivista che mette alle corde il potere di Abu Mazen

Da giorni il presidente dell’Autorità Palestinese, Mamoud Abbas, meglio noto come Abu Mazen, al potere da 16 anni, è oggetto delle contestazioni più estese e pesanti della propria storia politica. A far esplodere la rabbia e frustrazione dei palestinesi di Cisgiordania è stata la morte a causa delle percosse e, molto probabilmente, delle torture subite in una cella di sicurezza dell’attivista anti corruzione Nizar Banat. Il feretro del quarantatreenne palestinese, che si era candidato alle elezioni parlamentari previste per lo scorso maggio e cancellate ancora una volta alla vigilia dal presidente dell’Anp con il pretesto della mancata concessione del voto ai palestinesi di Gerusalemme Est da parte degli occupanti israeliani, è stato accompagnato lungo le strade di Hebron da migliaia di persone furibonde.

Per tutta la durata delle esequie la gente ha lanciato slogan contro il vecchio rais per anni negoziatore di Yasser Arafat. Anche sulla spianata delle moschee a Gerusalemme ci sono state manifestazioni contro la nomenklatura dell’Anp. A dimostrazione della gravità della situazione, ha rilasciato una dichiarazione anche la vedova di Arafat, Suha, che ha chiesto le dimissioni immediate del premier Shtayyeh. Citato dalla agenzia Maan, un dirigente dell’Olp, Nabil Amr, ha sostenuto che “l’omicidio dell’attivista è un crimine odioso”. Nizar Banat era stato arrestato dai servizi di sicurezza dell’Anp lo scorso giovedì con una violenta irruzione all’alba nella sua casa dove viveva con la moglie e i figli. Dopo alcune ore è spirato nell’ospedale di Hebron. In risposta alla decisione di Abbas di annullare le elezioni parlamentari e presidenziali, Banat e gli altri membri della lista “Libertà” avevano pubblicato una dichiarazione chiedendo ai tribunali dell’Ue, tra cui la Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, di ordinare l’immediata cessazione degli aiuti finanziari all’Anp. L’Unione europea è uno dei maggiori donatori dell’Anp. Martedì scorso, la Banca europea per gli investimenti ha firmato diversi accordi con le autorità della Cisgiordania per iniettare 425 milioni di dollari nel settore privato palestinese, duramente colpito dalla pandemia. Ciò che ha reso Banat un bersaglio da colpire senza se e senza ma è stata la denuncia pubblica delle torture perpetrate contro i dissidenti politici detenuti nelle carceri della Cisgiordania. In uno dei suoi ultimi video su Facebook, Banat ha peraltro criticato il primo ministro dell’Anp, Mohammad Shtayyeh di essere solo un “burattino” per aver accettato un milione di dosi di vaccino anti Covid, che si avvicinavano alla data di scadenza, da Israele.

Dall’esecuzione, perché di questo si tratta, dell’attivista, i palestinesi hanno aumentato la condivisione sui social media dei suoi post e video. Uno di questi post, pubblicato settimane fa, era un elenco di tattiche presumibilmente utilizzate dall’Autorità Palestinese per reprimere le critiche dopo aver ucciso i dissidenti. Banat era molto noto per la sua vasta conoscenza della storia politica e sociale palestinese, spesso ricordava aneddoti sull’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp) negli anni ‘70 o sul mandato britannico della Palestina prima del 1948 per chiarire il perché delle proprie scelte e delle proprie critiche a chi è attualmente al potere. A sentire la sua famiglia, Banat era stato imprigionato dall’Autorità Palestinese otto volte, ogni volta per diversi mesi.

Lo scorso maggio, la casa dell’attivista fu assalita con granate stordenti, gas lacrimogeni e raffiche di mitragliatrice mentre lui e la famiglia si trovavano all’interno. L’uomo aveva accusato il partito di governo Fatah di essere dietro all’attacco e invitato, anche in quell’occasione, l’Unione europea a tagliare i suoi aiuti finanziari all’Anp.

Muhannad Karajah, un membro del gruppo “Avvocati palestinesi per la giustizia”, ha rivelato che Banat lo aveva chiamato il giorno precedente l’arresto fatale spiegandogli che era stato oggetto di minacce da parte dei servizi di intelligence. Lo scorso novembre, l’Unione europea aveva denunciato l’arresto di Banat avvenuto, ancora una volta, dopo che aveva pubblicato un video in cui criticava i politici palestinesi.

I funzionari dell’Anp hanno annunciato che il primo ministro, Mohammad Shtayyeh, ha ordinato un comitato di indagine ufficiale sulla morte di Banat, ma i manifestanti palestinesi e i gruppi per i diritti umani hanno chiesto un’indagine indipendente.

Banat candidandosi nella lista “Libertà” aveva attratto ulteriormente su di sé l’attenzione del vertice dell’Anp e, di conseguenza, dei suoi servizi di intelligence. La lista è stata infatti fondata dal nipote di Arafat, Nasser al Kidwa, per scalzare dal potere Abu Mazen e il partito Fatah, di cui l’ultraottuagenario è diventato il leader dopo la morte del premio Nobel per la pace che lo fondò.

L’arte si fa ridicola: rimaneggiare icone per strappare il riso

 

METABOLE VISIVE

Le metabole visive sono la ciccia di cui un comico può cibarsi per la sua cacca scherzosa, come fece Piero Manzoni per le sue scatolette di Merda d’artista (1961). Anche nell’icono-plastico, la nozione di metabola implica lo scarto da una norma: l’arte moderna innova attraverso effetti stranianti e/o divertenti, irritando sempre i nazisti del gusto, che la giudicano ridicola e “degenerata”.

METABOLE ICONICHE

Le metabole iconiche sono simmetriche (se F’ è l’immagine di F, allora F è l’immagine di F’) e transitive (se dipingi F, il dipinto è una metabola di F, come una foto lo è di un dipinto). Il più delle volte, le figure visive sono eterogenee: sia iconiche che plastiche.

Metabole geometriche

Sottrazione: omotetie negative (riduzione, il plastico). Aggiunzione: omotetie positive (ingrandimento). Sostituzione: proiezioni (sistema prospettico, mappa, ombra); trasformazioni topologiche (schemi, diagrammi, organigrammi, circuiti elettrici, mappa del metrò, op-art, Escher, fish-eye). Permutazione: traslazioni; rotazioni; simmetrie; spostamenti (traslazione + rotazione); similitudini (t + r + omotetia: ogni caricatura è una similitudine a omotetia variabile); congruenze (t + r + simmetria: specchio, calco, impronta). Nel 1952, una vignetta di Wiles anticipa di 10 anni i “Quadri specchianti” di Pistoletto.

Metabole analitiche

I filtraggi modificano luminosità, saturazione, dominante cromatica (uno o due assumono un valore fisso). La discretizzazione è un filtraggio incompleto (i valori assunti sono due o più: non fissi, ma neanche continui). Le differenziazioni attivano la lettura delle transizioni. Sottrazione: filtraggi negativi (b/n, plaghe uniformi, sanguigna, grigio, acquarello); differenziazioni (disegno a matita, linea chiara); discretizzazioni (solo colori primari in Mondrian, serigrafie, tratteggio, trama). Aggiunzione: filtraggi positivi (aggiunta di colore a b/n). Sostituzione: filtraggi sostitutivi (i colori della Marilyn serigrafata da Warhol).

Metabole ottiche

Sottrazione: riduzione contrasto; riduzione profondità; restringimento nitidezza. Aggiunzione: aumento contrasto; aumento profondità; allargamento nitidezza; solarizzazione. Sostituzione: da colore a b/n, come nella “Double Mona Lisa” di Warhol; spostamenti del contrasto. Permutazione: inversione (il negativo).

Metabole cinetiche

Implicano lo spostamento dell’osservatore rispetto all’immagine. Permutazione: distanza (integrazione, come in Arcimboldo e in Dalì); angolo di visione (anamorfosi).

Metabole del supporto

Modificano il medium (grafico/tipografico, tattile).

Tropi icono-plastici

I segni iconici si materializzano sempre attraverso segni plastici. Nella figura iconoplastica, due elementi di un livello sono sostituibili (o entrano in relazione) grazie a una ridondanza dell’altro. Ci sono quattro tipi di figure iconoplastiche: tropo plastico in enunciato iconico (la pelle blu dei Puffi, o quella gialla dei Simpson; il collage; il décollage di Rotella; i tagli di Fontana; i cretti di Burri); coppia plastica in enunciato iconico (un volto con un orecchio normale e uno gigante); tropo iconico in enunciato plastico (la faccia sfuocata di Robin Williams nel film di Woody Allen “Deconstructing Harry”); coppia iconica in enunciato plastico (la caricatura in cui il volto del re Luigi Filippo diventa, in quattro passaggi, una pera: è una trasmutazione visivo-linguistica poiché “poire” significa anche “zuccone”; il foglietto con quattro maiali che, ripiegato in un certo modo, dà il volto di Hitler: bit.ly/3vIXAZx)

METABOLE PLASTICHE

Sottrazione: “Nudo femminile” di Henry Moore. Aggiunzione: “Venere di Milo con cassetti” di Dalì. Sostituzione: degli elementi (le scatolette di merda d’artista di Piero Manzoni; il telefono con un’aragosta come cornetta in Dalì); del contesto (“Fontana” di Duchamp, “Brillo Box” di Warhol). Permutazione: la “Testa di toro” creata da Picasso con il sellino di cuoio e il manubrio di una bici.

METABOLE DELLA CORNICE

La nozione di cornice comprende due fenomeni semiotici: il contorno e il bordo. Il contorno appartiene alla figura: la delimita da un intorno, che diventa sfondo. Il bordo è l’indice con cui si designa l’enunciato omogeneo che viene proposto all’attenzione del pubblico: si focalizza uno spazio. Hanno funzione di bordo la cornice, il basamento, la vetrina, il palcoscenico, &c.

Metabole del contorno

Sottrazione: “Rappresentazione” di Magritte, dove contorno e bordo coincidono.

Metabole del bordo come significato

Sottrazione: ellissi (esempi: nelle strisce di Wizard of Id di Hart, una vignetta è di solito senza bordo, con effetto ritmico; nell’Amleto disegnato da De Luca, i personaggi sono ripetuti su uno stesso sfondo senza la separazione in vignette). Aggiunzione: confine induttore (il paesaggio dentro cornici a sagoma umana in “La coppia con le teste piene di nuvole” di Dalì); confinamento (il ritratto di Washington non completato di Gilbert Stuart). Sostituzione: compartimentazione (tramite l’architettura del chiostro nell’Amleto di De Luca). Permutazione bordo/enunciato: bordo rimato (scambio di caratteristiche iconiche e/o plastiche da bordo a enunciato, o viceversa); bordo incluso (esempi: il tromp-l’oeil; la cornice incollata sulla tela in Jasper Johns).

Metabole del bordo come significante

Sottrazione: la cornice parziale in Man Ray. Aggiunzione: iperbole (gli impacchettamenti di Christo). Sostituzione: texture (la cornice di fasci di fieno in Pascali); bordo iconico (le cornici istoriate in Klimt).

(61. Continua)

L’Aeronautica: dal 2019 sono stati avvistati 9 Ufo in Italia

Come è avvenuto negli Usa, anche le forze armate italiane si sono interessate al fenomeno degli Ufo e hanno reso noti gli avvistamenti registrati negli ultimi anni. L’Aeronautica Militare è deputata a raccogliere, verificare e monitorare le segnalazioni relative agli oggetti volanti non identificati. Attività svolta dal Reparto Generale Sicurezza dello Stato Maggiore Aeronautica per “garantire la sicurezza del volo e nazionale”. Le segnalazioni di oggetti volanti non identificati giunte dai cittadini finiscono nei registri pubblicati dalla forza armata.

Negli ultimi due anni sono 9 le segnalazioni: il 5 gennaio del 2019 a Cremosano (Cr), viene avvistato un oggetto “scuro nella zona superiore, illuminato in quella inferiore”, di forma “sferica”, muoversi a bassa quota e a velocità “sostenuta”. “L’evento non è stato associato ad attività di volo ed è stato pertanto catalogato come oggetto volante non identificato”, registra l’Aeronautica. Sempre a gennaio 2019, il 25 alle 16.57, un “cittadino” nota in cielo a circa 500 metri di quota, un oggetto dalla “forma allungata con spigolature” che vola a velocità “bassa e costante con spostamento orizzontale veloce verso sinistra”. Qualche mese più tardi, il 4 giugno, è la volta di un ufo grigio di forma circolare avvistato al Passo della Futa. Il 10 giugno, a Soveria Mannelli (Cz), viene avvistato un oggetto volante di forma “allungata” di colore “bianco tendente al giallastro” che vola a bassa quota. Il 16 agosto, a Cornate d’Adda (Mi), ne vengono avvistati due: il primo di circa 50 metri, il secondo di 30, sferici, che illuminano la notte con il loro “colore arancione e bianco intenso”. Poi un “sigaro” notato in cielo alle 13.05 del 25 novembre a Castellone (Cr). Nel 2020 due segnalazioni: il 18 luglio, a Cerchiate di Pero (Mi), un oggetto di “forma sferica irregolare”. Il 2 agosto, a Milano Marittima (Ra), un cittadino avvista in cielo una sfera di colore giallo allontanarsi. Nel 2021 un solo caso: il 14 gennaio scorso a Bernareggio (Mb) un oggetto di forma “irregolare obliqua”.