De Luca jr star al festival, si finge vittima dello scoop di Fanpage che lo fece dimettere

Cuore in gola e paure superate. “Ho preso un proiettile vagante che forse non era rivolto direttamente a me”. Lo ha detto Roberto De Luca, ex assessore di Salerno, figlio di Vincenzo De Luca. È tornato a Salerno da scrittore venerdì sera. Ospite di un festival letterario foraggiato dalla Campania del padre e che è stato fonte di polemiche scatenate da Roberto Saviano, che ha rinunciato alla sua ospitata al Festival di Ravello perché sgradita al governatore. De Luca jr. verrà applaudito sei volte. Giocava in casa.

Il proiettile, metaforico, era sparato al padre. Era l’alba del 2018 e di lì a poco si sarebbe votato per le politiche e Roberto De Luca si dimise all’esplodere di uno scandalo. Aveva ricevuto nel suo studio di commercialista un faccendiere dei rifiuti munito di telecamerina nascosta che prometteva tangenti a chiunque e fece lo stesso con l’intermediario dell’appuntamento. Quei video, messi in rete da Fanpage, testata mai citata durante l’intervista di Paolo Di Paolo, fecero il giro del mondo. De Luca jr. fu censurato perché aprì la porta a quelli che l’altro ieri ha definito “degli scappati di casa”. Avrebbe dovuto lasciarli fuori, a che titolo parlavano di rifiuti con lui? Su questo è stato tranchant: “Non sapevo chi fossero, me li hanno mandati addosso”.

Roberto De Luca faceva (e fa) notizia in quanto figlio di, altrimenti le vicende di un giovane assessore alle Finanze di Salerno sarebbero rimaste confinate tra Telecolore e Lira Tv. Invece “in quei giorni i tg nazionali parlavano di me prima della Merkel”. Sono soddisfazioni.

Indagato a Napoli per corruzione. De Luca jr ha atteso “580 giorni, che passano lentamente” prima di vedere archiviata la sua posizione con un provvedimento che ne ha riconosciuto la totale estraneità a ogni ipotesi di reato. Da questa storia ha tratto un libro, L’Uragano – Una storia di fake news, politica, giustizia (Rubettino). Ne ha discusso al Salerno Letteratura, in un Museo Diocesano sold out.

L’equilibrata intervista non ha fornito la notizia che tutti aspettavamo: ovvero se De Luca jr sia pronto oppure no a scendere in campo alle Amministrative per riprendersi ciò che ha perduto. Ma capiamo le ragioni di chi ha preferito non porre la domanda, per lasciare scorrere il dibattito esclusivamente nei temi del libro. La parte più forte Roberto De Luca l’ha regalata spiegando le dimissioni “in sole 48 ore, d’istinto”. Furono, dice, “un gesto d’amore familiare e di correttezza nei confronti del Pd. Non voleva essere un alibi di un’eventuale sconfitta che ci fu lo stesso, ma volevo lanciare un segnale. Lo dissi anche a Renzi, che mi cercò: ‘Dillo ai fautori dell’onestà che ci sono persone che rinunciano pur non avendo fatto nulla, da innocenti al 200%’ ”.

Non solo licenziamenti, anche il blocco degli sfratti finisce a giugno: 80mila a rischio

Dal primo luglio ricomincerà l’esecuzione degli sfratti per morosità e “il decreto Sostegni bis non affronta questo nodo cruciale”. Lo hanno denunciato le sigle sindacali a tutela degli inquilini, tra cui Asia-Usb, Rentstrike e Cambiare Rotta, che ieri sono scese in piazza a Roma per protestare contro lo sblocco degli sfratti e ribadire il diritto all’abitare. La sospensione delle procedure di sfratto era già stata prorogata per alcuni mesi. Poi, a fine 2020, era arrivato il nuovo rinvio fino al 30 giugno 2021 nel Dl Milleproroghe. Ma ora, alla vigilia della scadenza, il governo non sembra intenzionato a rinnovarlo, nonostante siano oltre 80 mila – sostengono i sindacati – le famiglie che rischiano di essere sfrattate per la crisi economica provocata dal Covid. A esprimersi sul tema è stata la Consulta lo scorso 22 giugno, che ha dichiarato illegittimo il secondo rinvio generalizzato degli sfratti fino al 30 giugno. Nella motivazione si legge che “il bilanciamento sotteso alla temporanea sospensione delle procedure esecutive aventi ad oggetto l’abitazione principale è divenuto, nel tempo, irragionevole e sproporzionato”.

Muore per la fatica nei campi: stop nelle ore più calde

È stato stroncato da un malore a fine giornata, a Brindisi, il 27enne Camara Fantama, dopo aver lavorato per ore nei campi, sotto il sole, a temperature elevate e per una paga di circa 6 euro l’ora.

Giovedì, il suo corpo senza vita è stato trovato nelle campagne di Tuturano, frazione di Brindisi, da un automobilista di passaggio.

Secondo quanto trapelato da fonti giudiziarie, il ragazzo aveva lavorato almeno quattro ore nella campagna brindisina e sarebbe morto in seguito a un malore causato proprio dal caldo e dalla stanchezza. Dopo la richiesta della famiglia, il pm ha disposto la restituzione della salma e la polizia locale ha contattato il fratello per iniziare le indagini.

Stando a quanto riferisce Drissa Kone, la rappresentante della comunità africana a Brindisi, Camara era residente a Eboli, in provincia di Salerno, ma era arrivato nella provincia pugliese da tre giorni “per lavorare nei campi”.

Dopo la morte, il fratello ha espresso la volontà di riportare la salma di Camara in Mali, paese d’origine, e “siccome per il rimpatrio sono necessari almeno 4 mila euro, abbiamo avviato una raccolta fondi e speriamo di raggiungere l’obiettivo quanto prima” ha spiegato.

Intanto ieri, prima dal sindaco di Brindisi e poi dal governatore della Puglia Michele Emiliano è arrivata un’ordinanza che vieta “il lavoro in condizioni di esposizione prolungata al sole, dalle ore 12.30 alle ore 16.00 con efficacia immediata e fino al 31 agosto 2021”.

Non sarà però un divieto totalizzante: l’ordinanza vale sull’intero territorio regionale “nelle aree o zone interessate dallo svolgimento di lavoro nel settore agricolo, limitatamente ai soli giorni in cui la mappa del rischio indicata sul sito www.worklimate.it segnali un livello di rischio Alto”.

Il deputato che va dal giudice non perde la diaria

Non saranno preoccupati come Silvio Berlusconi, che quand’era a Palazzo Chigi pur di zompare i processi si era addirittura fatto fare una legge apposita sul legittimo impedimento. Ma a quanto pare anche per i parlamentari semplici le aule di giustizia sono fonte di preoccupazione: dalla scorsa legislatura premono per fare in modo che, se convocati in tribunale, almeno non risultino assenti ingiustificati alla Camera. Non è l’accusa di assenteismo che li preoccupa, piuttosto la perdita della diaria che viene riconosciuta a fine mese in base all’assiduità delle presenze ai lavori. E così il collegio dei questori di Montecitorio ha accolto le doglianze degli interessati varando nuove regole che integrano la disciplina delle assenze alle sedute d’aula, delle giunte e delle commissioni: i deputati chiamati “all’espletamento di atti nel corso di procedimenti giudiziari per obbligo di legge e su richiesta dell’autorità competente” saranno assenti giustificati e non perderanno un centesimo. Proprio come chiedeva un ordine del giorno approvato nel 2015 in cui se ne faceva una questione di principio: “I deputati possono essere chiamati quali testimoni in processi civili o penali, non presentarsi a rendere testimonianza in tribunale costituisce ipotesi di reato; per le esigenze d’Aula, spesso gli stessi si trovano costretti a chiedere al giudice il rinvio del processo per giusto impedimento, con inevitabile allungamento dei tempi della giustizia: si invita l’Ufficio di Presidenza a valutare l’opportunità di considerarli giustificati ai fini della presenza”. Le nuove regole, che recepiscono questo odg, non dovrebbero dunque applicarsi ai deputati eventualmente imputati: sicuramente non serviranno a consentire ai molti deputati che sono anche avvocati di cumulare, col pretesto della giustifica, la parcella e la diaria. Secondo la delibera restano infatti esclusi gli atti processuali “riconnessi all’esercizio di attività professionali in qualità di difensore, perito o consulente tecnico”.

Mail Box

 

Rai, anche La7 dovrebbe avere parte del canone?

Ha ragione il dr. Urbano Cairo a invocare un sostegno al settore televisivo colpito dalla recessione dovuta alla pandemia. Sono totalmente d’accordo. Sarebbe opportuno, secondo me giusto, che ci fosse una ripartizione delle quote del canone Rai che noi versiamo. È indiscutibile, comunque, che La7 svolge un servizio pubblico ed è pure vero, secondo il mio modesto parere, che La7 è una tv “generalista”. Perciò più di altre emittenti televisive avrebbe diritto a una quota di quel canone molto ricco. Aggiungo, inoltre, che sarebbe ancora più giusto stabilire una destinazione in fase di dichiarazione dei redditi. Penso, inoltre, che in questo modo potremmo avere una tv di stato libera da lottizzazioni e reti televisive condotte da Editori Puri e privi di conflitti d’interessi, quali il dr. Cairo: potremmo avere un’informazione libera e pluralista.

Italo Mazzarelli

 

Caro Italo, sono in totale disaccordo con lei. Troppo comodo privatizzare gli utili e statalizzare le perdite.

m. trav.

 

Nazionale: non sappiamo prendere una decisione

Solita storia, siamo un popolo che non sa prendere una posizione netta. La Nazionale di calcio ne è l’esempio: come si fa a non inginocchiarsi per un diritto umano, sociale, un dovere che i nostri giovani atleti dovrebbero aver ben compreso? Ora usciremo da questa competizione, anche perché per ora, come dice il buon Travaglio, abbiamo vinto con squadre oratoriali. Spero di sbagliarmi in merito.

Ornella

 

DIRITTO DI REPLICA

Canottieri Milano è: disciplina, sacrificio, lealtà, rispetto, in sintesi, sport. La Canottieri Milano è una storica associazione sportiva milanese che dal 1890 cresce giovani atleti nelle più disparate discipline sportive. Il circolo è frequentato da bambini, ragazzi, dalle loro famiglie, come pure dai soci storici, ossatura della associazione, tutti accomunati dalla passione per lo sport e dai valori sottesi allo stesso: disciplina, sacrificio, lealtà e rispetto. È pertanto con estremo stupore che il 22 giugno abbiamo letto, insieme a qualche milione di italiani, l’articolo di Massimo Fini a commento degli Europei, nel quale scrive che: “Non posso tifare Italia perché è un Paese di corrotti, a tutti i livelli, anche i più̀ infimi (alla Canottieri, prestigioso Circolo meneghino per la cui iscrizione si pagano circa 1.300 euro, dove vado a nuotare, mi hanno rubato anche le mutande sporche)”. La frase offende sia i soci, che la Canottieri Milano. Quanto ai primi, perché non si comprende per quale proprietà transitiva l’accezione negativa del preteso ladro, sia estesa indistintamente ai frequentatori della Canottieri Milano. Il sig. Fini ha invece probabilmente scordato la sua preziosissima biancheria negli spogliatoi dove non poteva esser lasciata per le norme anti-Covid. Perché mai il sig. Fini non ha invece enfatizzato le qualità del nostro personale che lo assiste nell’accesso agli impianti, come siamo soliti fare con chi pare bisognoso di aiuto? Perché mai poi dire che la Canottieri Milano è un luogo tra i “più infimi”? Caro direttore, dovrebbe passare in Canottieri Milano uno di questi giorni e vedere quale lavoro facciamo per forgiare i futuri atleti nelle varie discipline sportive. Lo sport vince sempre!

Il Consiglio Direttivo della Canottieri Milano ASD

 

Io ho scritto due volte al presidente della Canottieri informandolo dell’accaduto senza ottenere risposta. I fatti sono questi: io oltre a essere iscritto alla Canottieri da più di vent’anni e forse anche socio benemerito per aver dato il mio obolo quando mi è stato richiesto per alcune ristrutturazioni, ho un armadietto. Il giorno 13 giugno arrivo in Canottieri, l’armadietto è chiuso, quando lo apro è stato svuotato: dei costumi, degli asciugamani, delle cuffie, di un paio di Birkenstock, di alcune magliette. Allora rimetto nell’armadietto alcune cose essenziali per poter nuotare, asciugamani, cuffie, costumi. Ritorno il giorno dopo, l’armadietto è chiuso ma è stato ugualmente svuotato di tutto. Allora per capirci qualcosa lascio solo un paio di mutande. Il terzo giorno, sempre ad armadietto chiuso, sono sparite anche le mutande. Non ritengo quindi che si tratti di furti in senso proprio, ma dello sberleffo di qualcuno che evidentemente, essendo io persona nota, non mi ha a sangue. In Canottieri ho ottimi rapporti con i bagnini, col personale del bar e anche con parecchi soci. Se c’è un lestofante in Canottieri ciò non vuol dire né io intendevo dire che tutti in Canottieri sono dei lestofanti, né inficiare il curriculum sportivo della società. Però è l’atteggiamento della presidenza che mi lascia perplesso. Non ha dato alcun segno di riscontro alle mie lamentele. Credo che in quell’articolo in cui parlavo degli italiani in generale avrei dovuto aggiungere che la prima vera e forse unica riforma da fare in Italia sia quella della buona educazione. Non ho denunciato la cosa alla polizia perché penso che la polizia abbia cose più importanti di cui occuparsi. Però, se il presidente della Canottieri lo ritiene proprio, lo farò. Chiedendo anche un congruo risarcimento danni, materiali ma soprattutto morali perché non permetto a nessuno di sbeffeggiarmi in tal modo.

m. f.

 

I NOSTRI ERRORI

Nell’articolo pubblicato ieri a pagina 17 dal titolo “Uno scoop per far fuori il ministro”, è stato erroneamente indicato come “Cummings” sia nell’occhiello che nella didascalia della foto il ministro Hancock, oggetto della storia. Dominic Cummings, citato nell’articolo, è invece l’ex spin doctor del ministro Johnson che ora accusa il premier e Hancock di pessima gestione della pandemia. Ci scusiamo con i lettori.

Gesù e la ragazza malata. La fede vera secca le fonti di male e maledizione

Un uomo si avvicina a Gesù. È il capo della sinagoga. Gli si getta ai piedi e lo supplica: “La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva”. Gesù non attende: andò con lui. E tanta gente lo segue stringendosi attorno, premendolo da ogni parte. Tutto sembra proiettato verso questo incontro. Ma non è così. Nel frattempo, infatti, accade altro: nella calca tra la folla Gesù è seguito da una donna. Chi è? Sappiamo di lei solamente che aveva perdite di sangue da dodici anni. L’evangelista Marco aggiunge che aveva molto sofferto per opera di molti medici. Aveva speso tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando. Alla pena della malattia si unisce la delusione e la sofferenza di cure penose. Non solo: donne come lei erano ritenute impure, e dunque vivevano una emarginazione religiosa e sociale. Certo non potevano avvicinarsi né toccare un Maestro. Non avrebbe dovuto essere lì. Che cosa fa questa donna malata, delusa e reietta? Tocca di nascosto il mantello di Gesù. Tutto si ferma davanti al gesto furtivo di una mano che tocca la stoffa. Quella mano cerca una grazia: sente che lì c’è per lei una speranza. Si infila invisibile tra braccia, mani, corpi che si accalcano. Ma Gesù si rende conto della forza che era uscita da lui. Si volta e chiede: Chi mi ha toccato? La domanda è surreale. Gesù è circondato. I discepoli sono interdetti. Che domanda è? Tutto si ferma. Gesù scruta la folla. E la donna sente di essere guarita perché – scrive letteralmente Marco – sente che “si secca la sorgente del suo sangue”. La donna ha una percezione fisica intima del proprio corpo. Il brano evangelico (Mc 5,21-43) ci parla di un toccare nascosto agli occhi, e di sensazioni davvero intime. Il toccare implica il contatto diretto: evoca il dono o il possesso. La fede è tattile, e coinvolge l’essere umano nella sua intimità fisica. La donna con le perdite di sangue vuole “possedere” Gesù, ma deve averlo voluto con umiltà, con fiducia. Quel tocco non è stato magia, ma una carezza mossa dalla fede. Se Tommaso davanti al Risorto afferma “se non tocco non credo”, questa donna dice “credo dunque tocco”. E la donna non fugge davanti a Gesù dopo aver ottenuto quel che voleva come fosse una ladra. Al contrario, impaurita e tremante, che fa? Gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. E Gesù le risponde: “la tua fede ti ha salvata”, come a confermarla in quel che ha fatto. La fede senza sensi non ha senso. E Gesù reagisce come dominatore degli elementi naturali che insidiano il corpo: secca la sorgente della malattia e della maledizione. Proprio lì dove si era installata la morte, Gesù la scaccia e la rimuove. Ma la storia prosegue. Gesù stava andando a imporre le mani a una ragazza morente, lo sappiamo. Proprio adesso gli arriva la notizia: è morta. Il contrasto tra guarigione e morte qui lascia interdetti. E tuttavia non c’è tempo per prendere fiato. Gesù dice al padre: “Non temere, soltanto abbi fede!”. Ma stavolta blocca la folla. Possono seguirlo solamente Pietro, Giacomo e Giovanni. Va. “La bambina non è morta, ma dorme”, dice. Preso per matto, tiene con sé anche il padre e la madre. Entra in casa e prende la mano della ragazza. Le dice: “Fanciulla, io ti dico: àlzati!”. E subito la fanciulla si alzò e camminava. Gesù chiede per lei una cosa: di darle da mangiare. La fede guarisce. Se non salvasse, sarebbe un peso che strozza l’umanità: non fede, ma beffa. La fede vera secca le fonti di male e maledizione: aggredisce ciò che ci ammala, ci permette di stare in piedi e di gustare – finalmente! – i nutrimenti della vita.

*Direttore de “La Civiltà Cattolica”

 

L’Italia e l’Europa alle prese con caldo estremo e tempeste

In Italia – L’anticiclone nord-africano, carico di polvere sahariana, ha arroventato prima la Sardegna – domenica scorsa temperatura massima di 40,5 °C a Olbia, record per giugno in mezzo secolo di misure – poi per svariati giorni Sicilia, Calabria e Puglia, con punte di 44,5 °C a Comiso e Augusta e 44,6 °C a Caltagirone, valori lì mai rilevati in un ventennio di attività del Servizio Agrometeorologico Siciliano (Sias); 44 °C anche presso Catanzaro e quasi 43 °C nel Salento. Il Nord è rimasto al margine, sotto correnti più umide da Sud-Ovest e nubifragi: molti danni per vento tempestoso domenica 20 giugno in Canavese (Piemonte), lunedì nell’Astigiano, mercoledì a Bolzano, giovedì a Venezia, e martedì 21 Torino si è allagata per un diluvio da 95 mm di pioggia in tre ore, mai tanta in così poco tempo dall’inizio delle registrazioni orarie delle precipitazioni nel 1928. Venerdì sera al Settentrione sono state avvistate le elusive nubi nottilucenti: simili a cirri, sottili e dal luminescente aspetto azzurrino, sono formate da cristalli di ghiaccio a grande altezza (circa 80 km, mesosfera), dove vengono ancora illuminate dal sole quando a terra è ormai quasi buio. Fino al 24 ottobre al Museo dell’Energia Idroelettrica di Cedegolo, Val Camonica, sarà aperta la mostra “Ghiacciai” curata dal Muse di Trento, con dati tra ambiente, scienza ed esplorazione che vanno dai ghiacci dell’Adamello a quelli globali, e ancora una volta mostrano un ritiro generalizzato.

Nel mondo – L’aria subtropicale è risalita fino ai Balcani, al Baltico e alla Russia occidentale: nuovo record nazionale di caldo per giugno in Ungheria (40 °C), primati secolari per questo mese anche a Mosca (34,8°C), Kiev (35,0 °C) e San Pietroburgo (35,8 °C), e per qualunque mese dell’anno al Lago Onega (34,3 °C). L’arrivo di aria più fresca da Ovest ha poi scatenato temporali rovinosi: sabato 19 un tornado ha danneggiato un centinaio di edifici a Beauraing, Belgio, un altro ha mozzato il campanile di Saint-Nicolas-de-Bourgueil, Francia, ma in particolare giovedì 24 la cittadina ceca di Hodonin è stata devastata dalla più violenta tromba d’aria mai osservata nel Paese (possibile livello F3, venti rotanti tra 254 e 332 km/h), cinque vittime e oltre 300 feriti; grandine da 10 cm di diametro nel dipartimento francese del Doubs, e alluvioni-lampo nel cantone svizzero di Neuchâtel, in Baviera, Polonia e Romania. Nell’Alabama la tempesta tropicale “Claudette” ha fatto 14 vittime, burrascoso Solstizio d’estate a Chicago a causa di un altro tornado, e adesso una storica ondata di caldo interessa gli stati di Oregon e Washington con 43 °C attesi a Portland e Seattle. Nei giorni scorsi sono circolate le bozze del sesto rapporto Ipcc su impatti e adattamento ai cambiamenti climatici, diffuse per revisione tra i governi. La versione finale sarà pubblicata nel febbraio 2022, ma i contenuti sono ormai chiari e inquietanti: la crisi climatica è già tra noi e produrrà effetti nefasti anche alla soglia di +1,5 °C auspicata dall’Accordo di Parigi, e ancor peggio qualora non facessimo nulla per ridurre le emissioni. Si moltiplicheranno carestie, povertà e migrazioni, e il superamento di punti di non-ritorno (tipping-points) nel sistema-Terra causerebbe collassi ecosistemici a cascata e un aumento irreversibile del livello oceanico. Non siamo preparati, urge una rivoluzione nelle nostre vite per evitare il peggio e adattarsi all’inevitabile. Per capire come molte popolazioni stiano già facendo i conti con il riscaldamento globale si può viaggiare con Fabio Deotto, biotecnologo e giornalista, tra le pagine di L’altro mondo, uscito per Bompiani: le Maldive, la Florida e Venezia accomunate dall’acqua marina che minaccia di sommergerle, e che facciamo finta di non vedere.

 

Compagni di viaggio, da Omero a Freud

Quando si chiedeva a James Hillman quale considerava il più importante dei suoi libri, la risposta era Re-visione della psicologia. Il suo Le storie che curano, non a caso pubblicato qualche anno dopo, potrebbe venir considerato il completamento di quello ed essere chiamato revisione dell’analisi.

Negli stessi anni, Hillman aveva sempre più decisamente lasciato il lavoro clinico, che l’analisi restringe all’individuo, per gettare lo sguardo sul mondo e su tutti i tempi. Era diventato (o si comportava da, secondo i suoi critici) filosofo, storico, mitologo e altre cose ancora: per un collega di New York, aveva finito per abitare nel territorio dell’arte. Si può anche sostenere che fosse rimasto un terapeuta, ma di tutte le dimensioni che ci circondano. Sintetizzerà il suo passaggio in questa formula: “Ci siamo osservati troppo allo specchio. Ora apriamo la finestra per guardare fuori”. (…)

La (psico) analisi non si differenzia dalla psicologia per essere una sua specializzazione o una sua fase storica. La psicologia costituisce una forma di sapere, una disciplina: è – almeno finché non interviene un innovatore a spostarla – un oggetto con un suo posto, quindi statico. L’analisi, invece, è in sé un movimento. Ma non nel senso di una dinamica, di un viaggio, che debba raggiungere una meta. Come lasciava presumere già Freud in Analisi terminabile e interminabile (1937), è ben difficile stabilire la fine di un’analisi, anche perché, ai suoi tempi come oggi, è molto difficile trovare un accordo su quale sia il suo fine.

L’analisi è una narrazione. Ma il paziente non racconta la sua vita all’analista partendo da un certo momento per arrivare all’oggi, e qui fermarsi sperando di trarre delle conclusioni. Racconta la sua vita perché la vita è il mezzo per arrivare al racconto. Non viceversa: proprio come Itaca, nella citatissima poesia di Konstantinos Kavafis, non era tanto la meta del viaggio, quanto lo strumento che ha permesso di viaggiare.

Il racconto della vita è più importante della vita stessa: una verità che non è stata scoperta da Hillman né da qualche autore moderno. Omero – o meglio: il racconto millenario che fa giganteggiare una figura che chiamiamo Omero, senza poter neppure dimostrare che sia esistita – ha introdotto nell’immaginario collettivo degli uomini questa incrollabile condizione. Disse infatti (Odissea, viii, 579-580) che gli dèi vollero la distruzione di Troia perché fosse raccontata: non, come magari argomenterebbe una mentalità moderna, perché Troia era malvagia e doveva essere punita. A sua volta, l’analisi lavora a beneficio del paziente in modo differente da tutti i modelli di pensiero moderni. Facendo raccontare al paziente la sua vita, non ne compie una ricognizione scientifica. La commercializzazione della psicoanalisi ha messo in circolazione stereotipi semplificatori: “Va’ dall’analista” si consiglia a un amico che ci racconta i suoi tormenti, “digli queste cose. Lui ti spiegherà da dove vengono, e tu starai meglio”. In realtà, l’amico che racconta il suo tormento ha inconsciamente già intuito l’essenziale: l’analisi aiuta il paziente non perché restituisca alla sua vita un ordine interpretativo, ma perché le dà un ordine narrativo. Una scansione che è sempre stata presente nella quotidianità umana, ma che la modernità ha prima disseccato, poi cancellato completamente, sostituendola con intrattenimento e spettacolo. Essi servono da passatempo: ma – a differenza del racconto epico o tragico – non prendono sede nell’anima, parola che in greco antico si diceva psiche. (…)

Quindi “una ‘coscienza guarita’ vive in modo narrativo, proprio come le figure che guariscono, per esempio Jung e Freud, diventano sotto i nostri occhi personaggi di un racconto”. E questo non avviene perché l’analista sia una forma moderna di contastorie, che non possiede una particolare meta. L’immaginazione promossa dall’analisi “non si propone quale risultato un prodotto materiale (…)”.

Hillman sviluppando l’eredità di Jung aveva fondato la “psicologia archetipica”. Non si era accontentato più di chinarsi sull’anima dell’individuo, voleva riscoprire e studiare l’antica idea di anima mundi, l’“anima del mondo”. Questa scelta gli ha assicurato una vita fra le polemiche, ma anche un rispetto nel mondo stesso e traduzioni in innumerevoli lingue. Molte volte è stato chiamato il maggiore psicologo dei suoi anni: ma, come abbiamo detto, la sola parola “psicologo” è un abito stretto per una persona della sua complessità e statura. (…)

Le nostre quotidiane attività, la vita diurna e cosciente del XXI secolo, sono immerse in un cambiamento sempre più rapido, indipendentemente da quanto questo ci piaccia. Per tutte le correnti psicoanalitiche, l’inconscio ha una funzione compensatoria rispetto alla vita cosciente: fu infatti “scoperto” quando Freud notò il carattere sessuale dei sogni e di altre attività psichiche inconsapevoli, in un’epoca in cui la sessualità era estremamente repressa. L’inconscio ha, in sostanza, la funzione di correggere le unilateralità del mondo cosciente. Quindi, quando tutto cambia vertiginosamente, l’inconscio collettivo, e la cultura in cui si esprime, avranno fame di stabilità. Ecco allora l’estremo interesse suscitato dalla psicologia proposta da Hillman: quella degli archetipi, invarianti per definizione.

Essi sono il paesaggio immaginario, l’Itaca – per quanto evanescente e temporanea – o la rada in cui può trovare una notte di quiete la mente postmoderna, flagellata ogni giorno da eccessive novità politiche, economiche, tecnologiche.

 

(Il testo qui pubblicato è tratto dalla prefazione alla nuova edizione di James Hillman “Le storie che curano”, Raffaello Cortina, 2021)

© 1983 James Hillman ©2021 Raffaello Cortina Editore

 

Gli italiani “camminano” senza sapere dove vanno

I cittadini camminano. Ormai da mesi lo vedete nell’unico telegiornale che sono tutti i i telegiornali. Il più delle volte, nella sequenza, prevalgono immagini di cittadini medi, né giovani né vecchi, attivi e coinvolti nella missione di andare. A volte sono ragazzi, ogni tanto super anziani. Si direbbe che la “voce narrante” che guida le immagini, più spesso maschile, sempre ragionevole e pacata, sia dovunque la stessa e sappia che il ritmo è quello dell’andare per strada, senza urgenza ma anche senza sollievo. Gli argomenti: vaccini (i marchi, i luoghi, i tempi, i pericoli), le vaccinazioni, con una atmosfera un po’ sospesa rimasta dai primi giorni, quando il vaccino era desiderato e atteso (e temuto), ripetuti monologhi con inquadrature di virologi, spesso donne, che aggiungono un dato o ci ripetono con pazienza ciò che già sappiamo. Ci sono narrazioni sui ristoranti che forse tornano, sui tavolini all’aperto. Ma la lunga sequenza che ti guida e ti impedisce di distinguere fra un telegiornale e l’altro, sono gli italiani che vanno, jeans e sneakers, inquadrature affollate, inquadrature di una famiglia, montaggio abile che alterna la folla che va da destra a sinistra e la folla che va da sinistra a destra, ma la notizia, l’unica notizia è la ininterrotta camminata degli italiani. È vero, ci sono intervalli. Il più frequente si annuncia con le parole “il ministro ha detto”, che sono rassicuranti, generiche e in sospeso.

Ci sono altri intervalli, come la lotta durissima, ma breve per noi, sia per la legge Zan, che una parte della Chiesa, in modo molto offensivo per molti cristiani, non vuole, sia per i modi altrettanto offensivi con cui Grillo si rivolge a Conte, ovvero brani di conversazione fra i due leader dello stesso partito. Ma subito prima e subito dopo gli italiani camminano. Mancano notizie da raccontare (a parte brevi e impressionanti disgrazie o istanti d’ansia finiti bene). Ma il senso della grande passeggiata di un intero Paese sembra essere che l’unica vera notizia è un generale “tutto va bene” tanto è vero che tutti sono ininterrottamente in strada, presumibilmente a fare compere o a constatare che, infatti, tutto va bene. Direte che ci sono i grandi “summit” europei e internazionali. Noterete, però, che le relative notizie filmate durano molto meno delle passeggiate dei cittadini, e che questioni, anche gravissime, vengono dette e lasciate in sospeso. Per esempio la questione immigranti. È sempre composta di tre battute: c’è bisogno di solidarietà, nessuno purtroppo è disponibile. Ma ci sono i turchi che a pagamento (miliardi) accettano (nessuno sa dove e come) milioni di persone. Se una delle grandi potenze del mondo, titolare di una ricchezza che è pur sempre ingente, non può far niente per gente che rischia la fame, la guerra e il mare, vuol dire che stiamo attraversando una grave crisi che scontano solo i poveri. Poiché il discorso dei “grandi” leader sui profughi è troppo illogico per illustrarlo, i Tg mostrano i cittadini che vanno nelle loro buone strade in cerca, si deve pensare, di qualche recupero e qualche convenienza. Intanto nessuno manda vaccini in Africa o dovunque la povertà impedisca gli acquisti, e il virus mantiene, in attesa, un suo naturale habitat di sopravvivenza e di crescita, mentre gli agiati celebrano. Quando si riuniscono i leader europei (salvo l’onesto Orbán che è fascista e fa il fascista senza camuffamenti e senza imbarazzi) sembrano decisi a ignorare che tutta l’Africa è travolta da guerre, rivolte, colpi di stato e movimenti garanti delle stragi più crudeli, come Boko Haram. Ma la stessa ininterrotta tragedia tormenta tutta l’Africa del Nord, una striscia di armi, di prigioni, di vittime, di complottatori violenti e di inetti capi di Stato che governano, a pagamento come in Libia, dove tutto è permesso. Da questi luoghi troppo sgradevoli non giunge materiale visivo (salvo il lavoro coraggioso e arrischiato di giornaliste volontarie, come Francesca Mannocchi, in onda il 25 giugno su La7) che mostrano la guerra, le vittime, le fughe, le prigioni. E sanno evitare parole o espressioni sbagliate, e involontariamente offensive, come “salvataggio” invece di abbandono in mare, oppure “l’Italia non si è mai sottratta al soccorso dei profughi”, come se non esistesse quella spiaggia di bambini morti che non potrà mai essere dimenticata. Noi non sappiamo chi e perché ha ucciso Regeni. Ma, fra le tante cerimonie per i buoni affari andati in porto, lo abbiamo mai chiesto con la fermezza e l’orgoglio che ci spetta? Noi non pretendiamo di ottenere una risposta se chiediamo la liberazione di Zaki, risposta che pure ci spetta se l’Egitto vuole continuare a metter piede in Italia e in cose italiane. Tranquilli. Basta ridurre al minimo notizie così gravi e seguire, telecamera per telecamera, gli italiani che camminano. Fra poco apriranno le discoteche.

 

Ora per Conte è meglio aspettare

 

Grillo è convinto che Conte non si metterà in proprio (“Fa la fine di Monti”).

“Il Foglio”

 

Una lista Giuseppe può superare il 15%.

“La Repubblica”

 

Accettare la convivenza con Grillo? Oppure scappare a gambe levate e fondare un partito? E se invece la soluzione per Giuseppe Conte fosse soltanto: saper aspettare? Il grande giornalista Ryszard Kapuscinski, dopo aver girato il mondo e raccontato guerre, rivoluzioni, colpi di stato, condensò in una frase la sua esperienza: “L’essenziale, in politica, è sapere aspettare: il più bravo a farlo vince la partita”. La scoperta dell’acqua calda? Non tanto visto che viviamo nell’età dell’immediato, dove ogni giorno, ogni ora, ha la sua pena e il suo tweet, altrimenti si dimenticano che esisti. Questo dice la vulgata social, ma non è (più) vero. Dopo un lungo, insopportabile frastuono oggi il silenzio, proprio perché rarissimo come l’iridio, è la merce più quotata al mercato della comunicazione. Un apparente ossimoro di cui Mario Draghi è il campione indiscusso. Non dice mai (quasi) niente ma lo dice benissimo. Prendiamo le presenze televisive: i cosiddetti leader continuano a pensare che l’occupazione dei talk sia il concime del consenso. Ma non è (più) così da molto tempo, come dimostra la mediocrità degli ascolti. La pandemia ha falciato vite umane e vecchie abitudini. Oggi la rissa tv, il darsi sulla voce, il partito del partito preso producono nel pubblico imbarazzo e tristezza. Stravincono la capacità di argomentare, l’equilibrio, la pacatezza, l’ironia, che quando è autoironia spacca. Certo che la virtù dell’attesa è antica come il potere: Giulio Andreotti ne fu il campione quando si assentava per anni sicuro che prima o poi lo avrebbero richiamato. Allora c’era la Dc dei veleni e dei pugnali. Oggi c’è la marmellata M5S. Dia retta professor Conte, si goda una meritata vacanza. Ne approfitti per girare l’Italia e per ascoltare gli italiani. Non per raccogliere voti ma per conoscere. Già a settembre potrebbe essere cambiato molto. Machiavelli: “Non c’è nulla di più difficile da gestire, di esito incerto e così pericoloso da realizzare dell’inizio di un cambiamento”. Ecco, visto che il cambiamento non l’hanno voluto da lei, che se la sbrighi l’Elevato.