Il quarto quesito referendario dei Radicali appoggiato dalla Lega e da altre forze politiche propone l’abrogazione del decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235. Questo testo normativo prevede l’incandidabilità al Parlamento nazionale e al Parlamento europeo (per i componenti spettanti all’Italia), nonché l’impossibilità di assumere incarichi nel governo nazionale per quattro categorie di condannati:
a) coloro che hanno riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione per i delitti, consumati o tentati, previsti dall’articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale (fra i quali ci sono reati di associazione mafiosa, riduzione in schiavitù, terrorismo e altre bazzecole del genere); b) coloro che hanno riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione per i delitti, consumati o tentati, previsti nel libro II, titolo II, capo I, del codice penale (cioè i delitti dei pubblici ufficiali contro la Pubblica amministrazione come la concussione, corruzione, peculato ecc.); c) coloro che hanno riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione, per delitti non colposi, consumati o tentati, per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni, determinata ai sensi dell’articolo 278 del codice di procedura penale (e qui rientrano anche tutti i delitti gravi, tranne quelli che, con condanne non inferiori a cinque anni di reclusione o all’ergastolo) già comportano l’interdizione perpetua dai pubblici uffici che già rende incandidabili).
Lo stesso decreto legislativo prevede la incandidabilità a livello regionale e locale per i soggetti che hanno riportato condanne definitive per similari reati o siano stati sottoposti a misura di prevenzione.
Nella mia ingenuità, in passato, ero convinto che simili norme fossero superflue perché ci si sarebbe dovuti attendere che, in un Paese civile, i partiti non candidassero siffatti soggetti, senza bisogno che una norma di legge lo vietasse. Nessuno, con simili precedenti penali, potrebbe infatti accedere a concorsi pubblici per impieghi civili o militari e quindi non si comprende perché invece dovrebbe essere consentito porlo ai vertici del potere legislativo o esecutivo.
Ho poi dovuto constatare che, purtroppo, persone sottoposte a procedimenti penali e condannate venivano candidate (ed elette), sempre che avessero mantenuto il silenzio, salvaguardando i loro complici.
La proposta di abolire il divieto di legge fa temere che il sogno dei proponenti sia quello di reclutare massicciamente pregiudicati.
Occorre precisare che, stavolta, il garantismo non c’entra niente perché si parla di condannati con sentenza definitiva per delitti e quindi, tecnicamente, di delinquenti.
Dopo che alcuni politici avevano sempre sostenuto che occorreva aspettare le sentenze (ovviamente definitive) prima di esprimere qualunque valutazione, quando queste sentenze ci sono si vuole escluderne qualunque effetto.
Mi sembra che il quesito referendario riveli il completo disprezzo dei proponenti per la stessa esistenza dell’art. 54 della Costituzione, il quale prevede che coloro che svolgono pubbliche funzioni debbano svolgerle con disciplina ed onore. Il modo migliore di far osservare questa norma non mi sembra infatti quello di selezionare i vertici della cosa pubblica tra i pregiudicati.
Per quale ragione mai altrimenti si pensa di chiamare alle urne i cittadini per chiedere loro di abrogare norme che impediscono ciò che, in altri Paesi occidentali, sarebbe semplicemente impensabile?
Non ho mai pensato che tutti rubino, anzi quando in pubblici dibattiti qualcuno lo ha affermato ho chiesto se anche lui rubasse e alla risposta negativa gli ho fatto notare che, poiché neppure io rubo, il suo assunto era smentito dal fatto che almeno noi due non rubavamo. Peraltro i ladri non producono reddito, ma si limitano a redistribuirlo e quindi non possono essere mai più numerosi dei derubati.
Perciò non ho mai pensato che tutti i politici rubino, ma non sono mai riuscito a comprendere per quale ragione molti di loro non si sentano a disagio a sedere vicino a soggetti che lo hanno fatto.
Ma forse, anche in questo caso, come in quello del terzo quesito referendario (sulla custodia cautelare) scopriremo che i proponenti sono dei burloni che stanno scherzando.
Ho riassunto le norme per far comprendere a chi legge di che cosa si tratta in concreto.
Siccome dopo il mio articolo sul terzo quesito sono stato accusato di non aver letto il quesito (benché lo avessi ricopiato nell’articolo) o di non averlo capito, temo che sia invece chi mi muove queste accuse a non averlo capito. Del resto, sul quotidiano Libero del 24 giugno, con straordinaria ignoranza del diritto penale si scrive che io non avrei capito che rimane la previsione della custodia cautelare in ipotesi di delitti commessi con violenza e che gli scippi sarebbero commessi con violenza. La violenza che rimarrebbe nell’art. 274 lettera c del codice di procedura penale è quella “personale”, non quella sulle cose. Una sottrazione di beni con violenza integra il delitto di rapina non il furto e lo scippo è un furto: precisamente quello commesso strappando la cosa di mano o di dosso alla persona (art. 625 n. 4 del codice penale).
Se non fosse in gioco il destino di questo Paese ci sarebbe da ridere a sentire queste cose. Ma forse i proponenti sottovalutano la capacità dei cittadini di comprendere le questioni nonostante la disinformazione. Molti dicono che gli Italiani hanno la classe dirigente che si meritano, ma a me sembrano mediamente più saggi di alcuni politici e di commentatori, che nell’ipotesi migliore non sanno di che cosa parlano e nella peggiore mentono spudoratamente.
Se nel terzo quesito referendario manca il buon senso, nel quarto manca anche la decenza che l’ipocrisia almeno contiene.
François de La Rochefoucauld disse infatti che l’ipocrisia è un omaggio che il vizio rende alla virtù. Un quesito referendario di questo tipo svillaneggia invece la virtù e rende omaggio al vizio.