Vaticano ko sul ddl Zan, ora lo stato non si inchini

Gli abissi anche psichiatrici che dalla notte dei tempi imprigionano la Chiesa sulle questioni sessuali avrebbe dovuto suggerire alle gerarchie asserragliate nelle alte cattedrali del celibato di non accendere mai troppa luce sulle loro opinioni in merito ai grandi misteri del corpo e dei suoi desideri di cui si dichiarano tribunale, sentenza e pena, convinti che l’amore per il divino li assolva da ogni crudeltà terrena. Meglio dell’interferenza contro il disegno di legge Zan, sarebbe stato il silenzio. Meglio ancora l’operosa riflessione sui disastri che in venti secoli hanno combinato dentro la testa e i cuori di milioni, miliardi, di uomini e donne, accerchiati fin dalla più tenera età per conculcare inferni e trasformare la libertà dei desideri in spine da conficcare nella carne e nella colpa, giustificare persecuzioni, roghi, lapidazioni.

Come si addice a tutte e tre le religioni monoteiste tramandate dalle tribù nomadi dell’Asia minore, dedite alla pastorizia e al patriarcato, dove un dio collerico considera gli uomini il suo gregge, le donne meno di nulla, la sessualità un peccato, la libertà un frutto dell’albero del Male. Un dio che nascosto tra le nuvole, controlla uomini e donne nei dettagli del talamo, con la curiosità moltiplicata dalla sua eterna solitudine.

Invece di imparare dai preti di strada che a migliaia nel mondo provano a sciogliere i bisogni terreni delle persone, anziché imprigionarle nei nodi della Dottrina, il Vaticano ha provato a misurare la temperatura del suo potere e quello dello Stato che lo ospita. Ne è uscito sconfitto, almeno nel riverbero delle reazioni, comprese quelle dei cattolici che sanno quanto sia più ricco, più sorprendente dell’obbedienza il libero sentire degli adulti. Sempre che non siano proprio i parlamentari a dichiararsi sudditi.

Mail box

 

Lady Gabrielli alla Pc, ma cosa fece nel 2017?

Il Fatto ha pubblicato il 16 giugno la notizia della nomina di Immacolata Postiglione, detta Titti, ovvero Lady Gabrielli, a vice di Fabrizio Curcio, ancora una volta capo della Protezione civile. Senza entrare nel merito delle considerazioni sottese nell’articolo, e da me condivise, voglio solo ricordare che nel 2017 Curcio ricopriva sempre la stessa carica e la Postiglione era “coordinatrice della Di.Co.Mac istituita a Rieti a seguito degli eventi sismici del Centro Italia 2016-2017 per la gestione dell’emergenza” (dal CV). Mi par necessario sottolineare l’appellativo di “Signora delle emergenze”, ricordando che nulla fece o meglio fecero, lei e il suo capo, per fronteggiare, il 18 gennaio 2017, i gravi eventi sismici che colpirono l’Abruzzo. Pertanto, è d’uopo concludere che i nostri governanti hanno già dimenticato i 29 morti di Rigopiano!

Rossella del Rosso

 

Lavoro e “fannulloni”: “Il Medioevo venturo”

Da tempo il nostro buon quotidiano riporta le sempre maggiori difficoltà nel settore lavoro. II bravo Cannavò ricorda ancora la brutta situazione che incombe sui lavoratori, sempre meno tutele e grosso rischio di licenziamenti massicci e propone giustamente a Conte e Letta di partecipare coi sindacati alla manifestazione nazionale. Tutti i settori dell’impiego e del lavoro da anni sono sotto pressione dai padroni del vapore che guardano solo al profitto. Sono oltre trent’anni che è uscito il libro Il Medioevo prossimo venturo in cui Roberto Vacca prevedeva questi peggioramenti su tutti i settori, specie sui lavoratori. Ma, come spesso accade, troppi interessi hanno dimenticato i milioni di persone che producono i beni per la povera Italia. Nulla è stato fatto per portare il settore produttivo verso migliori situazioni.

Romano Boldrini

 

Europei: la strategia per far vincere la Nazionale

Vorrei suggerire come vincere il campionato europeo: basta rimpiazzare Mancini con Draghi ed è fatta. Semplice no?

Orlando Miranti

 

Può un’astronauta fare la sindaca di Roma?

Beppe Severgnini a Otto e mezzo, nelle sue argomentazioni in colloquio con Samantha Cristoforetti, ha raggiunto livelli di scempiaggine difficilmente riscontrabili. Ma come può pensare che un’astronauta possa fare il sindaco della Capitale? Ma che competenze amministrative può avere. Ma cosa fa? Si porta la bacchetta magica? Possibile che a un individuo che spara tali caz…te si possa dare la responsabilità di una rubrica in un giornale così importante? Poi ci si lamenta se a livello internazionale siamo caduti così in basso.

Marco Olla

 

Mieli e l’ironia su Conte ”dimenticato” da Mario

Ascoltando Radio 24, ho avuto la sfortuna di sentir parlare Mieli, illustre giornalista che va bene dappertutto e per tutti. Ha ironizzato pesantemente sul fatto che Draghi (sia sempre lodato il suo nome) non ha detto nella conferenza stampa del Recovery che colui che l’ha ottenuto è il suo predecessore (non l’ha nemmeno nominato). Mieli ha detto che, d’ora in poi, sarà sua premura inserire il nome Conte in ogni suo discorso. Secondo me prima si deve sciacquare la bocca. Una persona come Conte può essere il futuro di un’Italia sana e pulita. Capisco che per lui, vecchia guardia di un “giornalismo prono”, sia difficile da capire e “digerire”.

Paolo Benassi

Prono o porno?
M. Trav.

 

Zagrebelsky al Quirinale farebbe piacere a Rodotà

Davvero meraviglioso Gustavo Zagrebelsky come presidente della Repubblica. Un uomo al di sopra di ogni sospetto, moralmente ed eticamente libero e per questo credo sarà difficile che venga eletto da questo Parlamento asservito e inebetito. Il suo amico Rodotà sarebbe molto contento, e pure l’indimenticato Sandro Pertini.

Franca Giordano

 

Vaccini: l’eterologa solo per Draghi e nessun altro

Mio marito, 72 anni, ad aprile è stato vaccinato con AstraZeneca. Adesso, viste le indicazioni del nostro presidente del Consiglio, avrebbe voluto fare l’eterologa, ma non gli è stato possibile. Allora aveva ragione il Marchese del Grillo!

Lidia

Forse, cara Lidia, tuo marito non è un SuperMarito e non ha i SuperAnticorpi visibili a occhio nudo. O sbaglio?
M. Trav.

 

Bevo Coca-Cola dal ’69 e mi sento ancora bene

Se non ricordo male, da fine settembre 1969, la sera, prima di coricarmi, bevo sempre mezzo bicchiere di Coca-Cola e, per la verità, mi sento ancora piuttosto bene…

Rinaldo Geremia

 

Mi sono accorto di essere “strafatto” per il “Fatto”

Sono stato tre giorni in ospedale, purtroppo. Non c’era possibilità di avere Il Fatto. Mi siete mancati! Ergo, mi sono accorto di essere straFatto e sono stato in astinenza! Sempre grazie per quanto ci date.

Fabrizio Virgili

Fino a ora avversari abbordabili. Ma resta l’imbattibilità

Caro Fatto, anche io guardo le partite degli Azzurri come forma di fuga dalla realtà, e mi diverto. Ma con un po’ di lucidità mi sembra che l’enfasi abbia smorzato un punto di vista reale: che gli avversari fino a ora non sono stati un granché, e che per gli ottavi troviamo l’Austria, non proprio una big.

Valerio Bene

 

Gentile Valerio, la capisco. Non si trova più un’iperbole nemmeno al mercato nero, i “bagarini” dei superlativi sono in crisi, gli spacciatori di metafore, quorum ego, hanno esaurito le scorte. Siamo fatti così. Siamo italiani, sensibili alla vastità del coro, atterriti dalle fughe contro-corrente che ci angosciano, ci intristiscono, simboli di una solitudine intellettuale alla quale preferiamo la cuccia di “La storia siamo noi”. Concordo con lei: Turchia, Svizzera e Galles non sono stati avversari irresistibili, e “mangiabile” dovrebbe essere pure l’Austria di Wembley, stadio che, quando ancora aveva le torri e grondava di impero, violammo per la prima volta il 14 novembre 1973, 1-0 il verdetto e Fabio Capello il marcatore. Tanto per restare in tema, anche se le basi erano un po’ più epiche e un po’ più solide, il successo si trasformò in una sorta di rivincita per i nostri emigrati, camerieri o pizzaioli che fossero, a testimonianza che il calcio rimane, nei secoli, il ponte più pittorico e pittoresco fra confronti e conflitti. L’unico alibi che possiamo sbandierare è il fatto, indiscusso e indiscutibile, che l’Italia di Roberto Mancini gioca bene. Diverte e si diverte. Non è una colpa. La Nazionale-nazione, la Nazionale-famiglia, chi esce tifa per chi entra e chi entra tifava per chi è uscito. Mancano – persino al sottoscritto, sono sincero – le atmosfere da Bronx che avevano scortato la marcia verso i Mondiali del 1982 (campioni) e quelli del 2006 (idem). Il dibattito stimola, il plebiscito annoia. D’altra parte, gli Azzurri non perdono da 30 gare e hanno vinto le ultime 11. A differenza di EnzoBearzot, che diventò “di tutti” solo dopo il trionfo, Mancini lo è già: per meriti, oltreché per ciuffo, sciarpe e spot. A Insigne e Jorginho chiediamo un riscatto che sa di ricatto: o la vittoria o giù botte. Perché fra vera enfasi e vera estasi, con tutto il rispetto, saranno i risultati, e non i violini, a fissare i confini. Salvo errori ed eccezioni.

Roberto Beccantini

La lezione di Ciampi sull’informazione vale pure per Draghi

“Non c’è democrazia senza pluralismo e imparzialità dell’informazione”

(dal messaggio di Carlo Azeglio Ciampi, presidente della Repubblica, alle Camere – 23 luglio 2002)

Sono passati quasi vent’anni dal primo messaggio inviato da Carlo Azeglio Ciampi alle Camere sullo stato dell’informazione in Italia. “Onorevoli parlamentari – avvertiva il presidente della Repubblica, in tono rispettoso e allarmato – la garanzia del pluralismo e dell’imparzialità dell’informazione costituisce strumento essenziale per la realizzazione di una democrazia compiuta”. Poco più di un anno dopo, il 15 dicembre 2003, fu lui stesso a respingere la legge Gasparri sulla riforma televisiva con un altro messaggio in cui esordiva più drasticamente con un “Signori parlamentari”, rinviando il testo alle Camere per sollecitare “una nuova deliberazione”.

A distanza di tanto tempo, non si può dire purtroppo che lo stato dell’informazione nel nostro Paese sia migliorato granché. Anzi, se è cambiato, è cambiato in peggio. La carta stampata – tranne poche e rare eccezioni tra cui questo giornale – continua a perdere copie, oltre che autorevolezza e credibilità, sotto l’effetto di Internet, dei social network e delle fake news. I maggiori quotidiani si vanno riducendo al lumicino e ormai sono tutti o quasi in mano a editori “impuri”, imprenditori o finanzieri, che se ne servono per curare i propri affari. E nel frattempo, i poveri giornalisti lavorano in condizioni sempre più precarie, minacciati nella loro indipendenza e autonomia professionale, nei loro stipendi e perfino nelle loro pensioni. La televisione nazionale, la “tv deficiente” come la chiamava la first lady Franca Ciampi, continua intanto a essere dominata dal vecchio duopolio pubblico-privato che rastrella la quota più grossa delle risorse pubblicitarie; la Rai versa in uno stato pre-comatoso, affetta più che mai dalla partitocrazia e dalla lottizzazione; e il conflitto d’interessi in capo a Sua Emittenza (e al suo partito-azienda) rimane tuttora irrisolto.

In mezzo a un tale degrado, il pluralismo e l’imparzialità dell’informazione rischiano di diventare una chimera. E, se è fondato l’assunto di Ciampi citato all’inizio, allora dobbiamo concludere che oggi la nostra democrazia è in pericolo. Di fronte a tutto ciò, non sembra francamente che il Professor Draghi abbia imparato la lezione del suo illustre Maestro o, perlomeno, finora non l’ha dimostrato.

Vero è che “Mister Bce” s’è trovato ad affrontare una tempesta senza precedenti, fra l’emergenza sanitaria provocata dall’epidemia da coronavirus, quella economica indotta dal lockdown e quella sociale che ora incombe con i posti di lavoro persi e i licenziamenti prossimi venturi. Ma, a meno di nostre distrazioni, a tutt’oggi il premier non ha speso molte parole né grandi attenzioni per arginare la crisi dell’informazione. Al contrario, per quanto riguarda la Rai e il rinnovo del Cda già scaduto, s’è limitato a prendere tempo riservandosi semmai di scegliere da solo il nuovo presidente e il nuovo amministratore delegato, quest’ultimo eventualmente fra candidati o candidate di estrazione più o meno padronale.

Che cosa aspetta, dunque, il presidente Draghi per mettere in pratica la lezione di Ciampi? Magari di salire al Quirinale, per emulare il suo predecessore e impartire qualche altro messaggio alle Camere? O di incassare la prima tranche del Recovery Fund europeo, per dispensare provvidenze ai giornali e sovvenzionare la radiotelevisione pubblica? Non è così, professor Draghi, che si può salvaguardare il pluralismo dell’informazione. Né tantomeno la nostra democrazia. Occorre, al più presto, una riforma organica dell’intero sistema: anche questa è un’emergenza nazionale.

 

La pioggia, l’incontro casuale e lo scritto di Haruki Murakami

La storiella che segue è per metà familiare e per metà no. Prima parte. Mio padre nacque in una frazione e solo dopo sposato si trasferì in paese, downtown in pratica. Ora, mentre era zitello e residente nella casa natale non sbagliava una previsione del tempo che fosse una. Una volta trasferitosi invece perse del tutto tale divinatoria capacità. Al punto che se diceva che stava per piovere nessuno in casa usciva dotandosi di ombrello. A mia memoria mai qualcuno si permise di fargli notare tanta fallibilità, ma era un dato di fatto.

Ora, seconda parte, credo di aver ereditato questo tratto. Poche sere orsono convinco mia moglie, nonostante qualche dubbio da parte sua e più di una nuvola in cielo, a uscire per fare due passi e un aperitivo. Mezzora che siam fuori e si scatena l’universo. Tuoni, nessun fulmine, ma , come si dice, acqua a catinelle. Perdurando il temporale mi offro a un certo punto di affrontare la pioggia per recuperare la macchina. Così mi capita di incontrare il senso di queste righe.

Sul lungolago, sotto la pioggia battente, vedo uno che scende da una macchina e lo saluto, ciao. Mi risponde, ciao, mentre all’istante comprendo di averlo scambiato per uno che conosco. Mi scuso subito per l’equivoco. Lui dice, non fa niente, però si ferma, siamo entrambi senza ombrello e mi chiede per chi l’ho preso: nel senso, chi ho pensato che fosse? Rispondo, uno che mi sembrava di conoscere, e lui mi dice che gli piacerebbe sapere chi è, guardarlo negli occhi, confrontarsi. Perché non è la prima volta che gli capita un fatto del genere e quando gli succede per qualche giorno avverte la sconfortante sensazione di essere la copia conforme di qualcun altro. A quel punto siamo tutti e due slozzi (slang per fradici), e allora, mentendo, gli dico che, a ben guardare, non ha minimamente a che vedere con quello che mi pareva di conoscere. La sua risposta è uno sguardo muto, non l’ho convinto. Infatti scuote il capo insoddisfatto e se ne va. Intuisco che non ci rivedremo mai più. Perlomeno me lo auguro. Una volta a casa ho starnutito per un quarto d’ora. Sotto la doccia, tanto per rassicurarmi, ho immaginato di aver incontrato solo parole scritte, l’io narrante di Prima persona singolare, racconto di Murakami Aruki.

Da domani, mi son detto però, guarderò meglio prima di salutare, caso mai incontri un me stesso di cui non sospettavo l’esistenza. Sulle labbra qualche parola, Murakami perché, perché quando ti leggo mi fai ’ste cose?

 

O Grillo cambia ruolo o Conte cambia strada

La disputa tra il Garante Beppe Grillo e Giuseppe Conte, che sta assumendo i contorni da ultima spiaggia, verte sui poteri che anche il nuovo Statuto dovrebbe attribuire al Fondatore del Movimento 5 Stelle. Ciò nel segno della continuità con la disciplina attuale che all’art. 8 prevede tra gli organi pentastellati – Assemblea, Comitato direttivo, Comitato di garanzia, Collegio dei Probiviri, Tesoriere – la figura del “Garante”, eletto mediante consultazione in Rete all’interno di una rosa di candidati non inferiore a tre proposta dal Comitato di garanzia.

Circa il ruolo del Garante, un vero e proprio Alto commissario superiorem non recognosens, l’ex premier, designato dagli attuali reggenti quale futuro Capo politico del M5S, ritiene (non senza ragione) politicamente, giuridicamente e razionalmente inammissibile che venga istituito nella nuova compagine associativa un organo decisionale dotato di quei pieni poteri che Grillo ha rivendicato per sé anche nella recente assemblea dei parlamentari, quale vecchio/nuovo “Garante”, una figura incompatibile con quella del Capo politico. Perché di questo si tratta, ove si consideri che attualmente:

1) Grillo “È il custode dei valori fondamentali dell’azione politica dell’Associazione. In tale spirito esercita con imparzialità, indipendenza e autorevolezza le prerogative riconosciute dallo Statuto”.

2) A Grillo “è attribuito il potere di interpretazione autentica, non sindacabile, dello Statuto.

3) Grillo resta in carica a tempo indeterminato, salvo revoca adottata a maggioranza assoluta dal Comitato di Garanzia ratificata dalla Rete.

4) Grillo ha il potere esclusivo di proposta per la nomina del Collegio dei probiviri e del Tesoriere, e di denuncia per l’applicazione di sanzioni disciplinari agli iscritti.

Se dovesse prevalere la volontà del Padre fondatore, non si vede come Conte possa costituire, sotto la propria guida di Capo politico, il nuovo Movimento 5 Stelle il quale, secondo il vigente ordinamento riguardante i partiti politici, i Sindacati e i Gruppi parlamentari assumerebbe la forma giuridica, i contenuti e le finalità delle associazioni non riconosciute, persone giuridiche ai sensi degli artt. 36-42 del codice civile, nelle quali non sono previsti “Garanti” investiti di così ampi poteri e dove i ruoli decisionali, secondo gli Statuti, sono distribuiti tra il presidente-rappresentante legale, l’assemblea, il comitato direttivo e gli amministratori, e dove i rappresentanti dell’associazione rispondono anche personalmente e solidalmente delle obbligazioni della stessa.

Delle due l’una: o Grillo accetta di ricoprire un ruolo meramente rappresentativo dotato di moral persuasion (tipo presidenza onoraria) lasciando al Capo politico Conte quei poteri decisionali che, di norma, gli statuti conferiscono ai Segretari dei Partiti, oppure l’ex comico resta fermo nella sua rivendicazione (chiedendo magari l’avallo dell’assemblea degli iscritti), che metterebbe in netta subordinazione la figura del Capo politico.

In tal caso è assai probabile che Conte si sentirà obbligato a scegliere altre strade.

 

I migliori programmi tv: “Cambio moglie”, la “Santa messa” e “Come eravamo”

E per la serie “Chiudi gli occhi e apri la bocca”, eccovi i migliori programmi tv della settimana:

Nove, 21.20: Cambio moglie, reality. Come di consueto, due donne accettano di scambiarsi casa e famiglie per una settimana. Come di consueto, le due donne non fanno mai sesso col marito dell’altra. Come di consueto, il programma è una noiosa perdita di tempo.

Rai 1, 10.15: La Santa Messa, fiction. Gesù risorge dai morti. Chi ha detto che erano finite le trame?

Rai Premium, 23.20: Come eravamo, film romantico con Barbra Streisand e Robert Redford. Durante gli anni che vanno da Roosevelt a Eisenhower (Seconda guerra mondiale, Hitler, maccartismo, bombe atomiche: quando la vita era più serena di oggi, insomma), la storia d’amore fra Katie Morosky e Hubbel Gardiner, nata all’università, naufraga a causa delle differenze caratteriali e ideologiche dei due protagonisti: lei, una ragazza ebrea squattrinata, milita nella Lega dei Giovani Comunisti e concepisce la vita come una lotta contro le disuguaglianze; lui, un wasp benestante e atletico, è un qualunquista che vuole godersi la vita. Katie abita in un appartamento molto piccolo, c’è giusto lo spazio per roteare un gatto; e si mantiene all’università lavorando in un pub, dove attacca briga con chi non condivide le sue idee politiche. Hubbel: “Vorremmo due hamburger e quattro Coca-Cola”. Katie: “Fascisti!” Una mattina, il prof di Lettere elogia un raccontino di Hubbel e lo legge in classe: “Il suo tè era imbevibile, sapeva di piscina. Addosso aveva un odore strano, stantio, come l’interno dei comodini dove i nonni tengono il pitale”. Katie adora come scrive e si innamora di lui all’istante. “Sei bellissimo” “Qualcuno in questo film doveva pur esserlo. Posso sedermi?” “Oh, immensamente”. Lo incoraggia a scrivere, purché non finisca a fare lo sceneggiatore a Hollywood. Lui: “Perché no?” Lei: “Perché svenderesti il tuo talento, e finiresti per scrivere film improbabili come questo”. Scoppia la guerra: lei lavora alla radio, dove inserisce surrettiziamente propaganda comunista nelle commedie radiofoniche (Rusty: “Rinty, chi è stato a far saltare il ponte?” Rin Tin Tin: “Bau bau!” Rusty: “Impossibile! Joseph Stalin è amico del popolo!”), mentre il qualunquista si arruola in Marina (Hubbel: “Navi in avvicinamento!” Il capitano: “Quante?” Hubbel: “Ehm… Tutte”). Una sera si incontrano per caso in un ristorante: lui, sbronzo, è in licenza dopo aver esportato un po’ di democrazia Usa nei bordelli di Honolulu; lei è una donna con troppo mascara. Stacco: lei lo trascina di peso nel suo monolocale, lo butta sul letto e fanno sesso, anche se lui è completamente ubriaco. Katie: “Dimmi qualcosa di romantico”. Hubbel: “Devo vomitare”. “Oooh, questa è la cosa più carina che mi abbiano mai detto!”. La mattina dopo, gli prepara la colazione: “Stanotte sei stato fantastico. Avresti dovuto esserci”. Poiché litigano di continuo, decidono di sposarsi: Hubbel diventa uno sceneggiatore a Hollywood, dove accetta mille compromessi, finché, su richiesta del produttore, arriva a trasformare una sua biografia di Kafka in un western con John Wayne. Mentre Katie, incinta, manifesta a Washington contro la caccia alle streghe, lui la tradisce con una strafiga. Ma Katie non è stupida: “Perché sei andato a letto con quella?” Hubbel: “La sua faccia non è nascosta dal naso”. Che stronzo! Nomination all’Oscar come migliore attrice a Barbra Streisand, nella parte di Robert Redford, e Oscar a Marvin Hamlisch per la canzone The Way We Were (qui nella meravigliosa interpretazione di Beyoncé a un gala per la Streisand: bit.ly/2UwU47F).

 

Grillo in guerra contro Conte sullo Statuto

 

Antonio Padellaro Adesso il movimento rischia davvero la dissoluzione

Poiché è molto probabile che in mancanza di fatti nuovi, lunedì, Giuseppe Conte metta la parola fine al suo tentativo di guidare i 5Stelle, penso che nelle prossime ore chi può non dovrà lasciare nulla d’intentato per convincere Beppe Grillo che sta commettendo un gigantesco, drammatico errore. La sua uscita sgangherata, e per molti versi autolesionista, contro Conte davanti ai gruppi parlamentari M5S assomiglia in modo impressionante al famoso video, sgangherato e sicuramente autolesionista, diffuso in mondovisione in difesa del figlio Ciro. Con la differenza che adesso non tutto è irrimediabile purché chi ne ha le capacità faccia ragionare l’Elevato convincendolo che il Movimento privato della guida di Conte in modo così traumatico (e offensivo) rischia l’implosione e quindi l’inevitabile dissoluzione. È in gioco anche la stabilità del governo Draghi, ragion per cui ministri come Di Maio e Patuanelli sapranno già cosa fare. Dispiace usare un linguaggio da pronto soccorso nei confronti di un personaggio che ha creato dal nulla una straordinaria esperienza politica, ma questo è quanto.

 

Andrea Scanzi Psico-beppe gioca a fare il tiranno e distrugge tutto

Grillo è un artista straordinario. Un visionario sublime. Un animale da palcoscenico raro. Purtroppo, come tutti gli iper-talentuosi, vive di up & down. E il down attuale, che dura dalla resa incondizionata nella trattativa con Draghi, è imbarazzante. Già solo per aver scambiato Draghi e Cingolani per “grillini”, lo PsicoBeppe dovrebbe nascondersi per anni. Invece parla, sbraita e gioca al tiranno che, pur di non cedere il regno, preferisce distruggere tutto.
La scena di giovedì è stata da vomito: lui che sfotte Conte, fa il ganassa e scambia uno snodo fondamentale della politica italiana per un monologo al Palafava di Vitiano. Penoso. Grillo sta bombardando l’uomo che ha scelto lui (bipolarismo sfrenato) e l’unico politico che può salvare i 5Stelle. Genio! Senza il Movimento 5 Stelle, Conte può fare quello che vuole. Senza Conte, il M5S può andare al massimo affanculo. Ripijate, Grillo: meglio uscire (un po’) di scena che sembrare il mezzo rincoglionito che si evira per far dispetto alla moglie.

 

Franco Monaco Così salta l’asse 5s-Pd e si dà il paese alla destra

È sorprendente la linea di comportamento di Grillo. In tutti i passaggi cruciali, a dispetto delle sue iperboli, Grillo si è mostrato non solo decisivo, ma politicamente avveduto; riesce evidente che, per venire a capo delle sue convulsioni, il M5S non ha altra strada che quella di affidarsi alla leadership di Conte con il capitale di consenso; questa è la via per dare corso a un processo politico imperniato sull’asse M5S-Pd, la sola via alternativa a quella di consegnare il paese a una destra non rassicurante ma largamente favorita; di tale circostanza sembrava che Grillo fosse il più consapevole quando propose a Conte la guida di una fase nuova del movimento (rifondazione, si disse); Conte è la figura giusta in quanto quel processo di maturazione del M5S dovrebbe far leva su tre elementi: cultura di governo, democrazia interna, inequivoca scelta di campo. Non si comprende come questa prospettiva possa farsi strada mortificando sino all’umiliazione Conte, limitandone l’autonomia personale e politica. Lungo questa strada c’è il rischio che il creatore del M5S si trasformi nel suo affossatore.

 

Barbara Spinelli A oggi il fondatore è tra i responsabili del conticidio 

Per come ha saputo gestire l’emergenza Covid, primo in occidente, e ottenere un Recovery Fund finanziato dall’indebitamento comune degli Stati Ue (qualcosa di impensabile prima di lui, e probabilmente irripetibile) Giuseppe Conte era, e resta, l’uomo più adatto a rifondare e guidare il Movimento 5 Stelle. Il più adatto a preservare la scabrosa alleanza con il Pd, in un’epoca che sotto la guida di Draghi sta appiattendo/azzerando tutti i partiti e quasi tutta la stampa. Sono in tanti, nel Pd, a esultare più o meno segretamente di fronte all’autodafé dei Cinque Stelle, prima forza politica in Parlamento e componente cruciale di un fronte alternativo alle destre.
L’idiozia dei demolitori – Grillo in primis, oggi – è senza fine e lascia trasecolati. S’illude chi pensa ci sia del metodo, nell’offensiva autolesionista sferrata da chi ieri definiva Draghi un grillino, e ora vede in Conte un usurpatore. Il Conticidio di Travaglio include da oggi la figura di Grillo, nella lista dei potenziali accoltellatori.

 

Nadia Urbinati Draghi resta blindato ma chi farà il leader del M5S?

Una rottura tra Conte e Grillo e un passo indietro dell’ex premier sarebbe un disastro, una iattura, e non so nemmeno se convenga al fondatore. Grillo vuole una diarchia, ma non è detto che Conte accetti. A ogni modo una frattura probabilmente non produrrebbe effetti sul governo Draghi perché è blindato in Parlamento e anche se Conte decidesse di fondare un suo partito non uscirebbe dall’esecutivo in questo momento. Se l’ex premier decidesse di non fare il leader, la rottura invece sarebbe dentro il Movimento , che si spaccherebbe in due: bisognerebbe vedere chi sta con Conte e chi sta con Grillo. Io non so se Conte abbia voglia a quel punto di fare un suo partito, ma dall’altra parte nemmeno Grillo può fare il leader politico-istituzionale quindi, in caso di rottura, i 5 Stelle dovrebbero trovarsi un altro leader.
Inoltre tutto questo sarebbe un problema sul fronte dell’alleanza con il Pd: Conte è la figura di stabilità, di sicurezza, perché ha rapporti personali con molti dem e quindi, dopo un anno e mezzo di governo insieme, loro hanno fiducia nei suoi confronti. In caso di rottura sarebbe tutto più difficile.

 

Piero Ignazi L’ex premier non avrà molte chance senza i 5 Stelle

Quando Conte ha annunciato il suo progetto di partito e di organizzazione ha delineato un tradizionale partito novecentesco. E Grillo non poteva starci: una ricalibratura, che si fondi sulle strutture innovative del Movimento, serve da parte di Conte. Però penso che se Conte decidesse di fare un passo indietro sarebbe un cataclisma su tutti i fronti. Su quello dell’alleanza, del governo e andremmo verso un panorama diverso rispetto a quello che avevamo pensato. Avremmo un M5S che torna alle origini e un’altra parte che potrebbe seguire Conte. Ma io penso che Conte da solo senza i 5Stelle non abbia molte possibilità. Con chi potrebbe fare un suo partito? Dubito che tanti 5Stelle abbandonino Grillo visto che il Movimento è la sua creatura.
Sul governo, i 5S potrebbero irrigidirsi dato che fin qui sono stati dei tappetini: verrebbero fuori posizioni critiche. E questo può essere un problema perché il M5S è l’ossatura dell’esecutivo. Sul fronte dell’alleanza con il Pd le cose si complicano: un conto è avere un rapporto con un pragmatico (Conte), un altro con un visionario (Grillo).

Il Covid ha chiuso pure gli scioperi: -900

Tra i mille nuovi motivi per protestare offerti proprio dalla pandemia e gli inviti alla “responsabilità” rivolti a sindacati e lavoratori dalle istituzioni, alla fine sono stati i secondi a prevalere. Risultato: nell’anno del Covid, gli scioperi organizzati in Italia nell’ambito dei servizi pubblici essenziali si sono drasticamente ridotti. Ne sono stati proclamati 1.473 nel 2020 contro gli oltre 2.300 del 2019; quelli che – al di là dell’annuncio – si sono realmente tenuti sono stati appena 895 contro i 1.463 del 2019.

I dati della Relazione annuale del Garante degli scioperi, diffusa ieri, dicono chiaramente che il virus ha avuto l’effetto di ridurre le astensioni, ma non la conflittualità nei luoghi di lavoro: non sono spariti i problemi, ma le sigle sindacali hanno assunto un atteggiamento più prudente degli anni precedenti.

Diversi i fattori che hanno influito: intanto la moratoria richiesta dallo stesso Garante a marzo e aprile 2020 per evitare di peggiorare gli effetti della crisi sanitaria ed economica. Lo smart working, poi, ha diminuito la presenza fisica e quindi anche la capacità di organizzazione dei dipendenti. Infine non va sottovalutato l’effetto del blocco dei licenziamenti, visto che una fetta molto importante delle mobilitazioni è in genere dovuta proprio alle riduzioni degli organici.

L’emergenza Covid, però, ha anche in alcuni casi aumentato gli scontri tra lavoratori e datori, proprio perché ha posto nuovi problemi. Nel settore dell’igiene urbana, già di per sé caratterizzato da proteste contro gli stipendi pagati non puntualmente, il Garante ha ricordato diverse problematiche per i ritardi nella consegna dei dispositivi di protezione e per la mancata applicazione dei protocolli di sicurezza; circostanze che l’hanno costretto a inviare note alle aziende per evitare disagi scaturiti da fermate (e hanno funzionato, perché si sono infatti dimezzate).

Lo stesso è avvenuto nelle pulizie, con il contratto collettivo fermo al 2013 e i lavoratori spesso in agitazione per la carenza di protezioni: il Garante ha più volte chiesto di sospendere gli scioperi che avrebbero messo in difficoltà le sanificazioni di scuole e ospedali. I più coinvolti dalla pandemia, gli operatori sanitari, hanno proclamato 156 scioperi (contro i 200 del 2020) e in 99 casi hanno realmente dato seguito all’annuncio, denunciando carichi di lavoro insopportabili.

Anche il trasporto aereo, interessato da drastici tagli di personale, ha annunciato meno scioperi: quelli nazionali sono passati da 147 a 68. Nel trasporto ferroviario siamo passati da 100 a 35. Nel trasporto pubblico locale i richiami all’ordine hanno funzionato poco e nonostante la moratoria, il numero di scioperi è rimasto elevato 259 proclamati e 160 realizzati. Il timore del Garante Giuseppe Santoro-Passarelli è che la tensione sopita dal Covid stia per esplodere nei prossimi mesi.

Allarme licenziamenti: “C’è un rischio sociale”

Si avvicina la fine del blocco dei licenziamenti e due figure istituzionali dotate di un palco privilegiato sulla vicenda lanciano un allarme praticamente identico: “Esiste un rischio sociale”. La ministra dell’Interno Luciana Lamorgese e il presidente della Commissione di garanzia sugli scioperi, Giuseppe Santoro-Passarelli, usano all’ingrosso le stesse parole: con “rischio sociale”, però, non paiono riferirsi ai problemi di chi dovesse perdere il lavoro, di chi non lo ha o di chi lo ha ma guadagna troppo poco, ma a una questione di ordine pubblico. C’è il timore, in buona sostanza, che la protesta diventi poco piacevole per chi sarà chiamato a gestirla.

Lamorgese, intervistata da Sky Tg 24, la mette così: “C’è il problema del blocco dei licenziamenti, la mediazione trovata spero che vada bene, proprio oggi a Genova i dipendenti Ilva sono sotto la Prefettura a manifestare. Garanzie per i lavoratori è necessario che ci siano, sennò esiste un rischio sociale, ma questo sicuramente viene tenuto in considerazione”. L’Autorità che vigila sugli scioperi, dice invece il suo presidente, “non può non guardare con preoccupazione al modo in cui si svilupperanno le relazioni industriali dal prossimo autunno”, dato “l’accentuarsi, con la pandemia, della crisi economica che desta preoccupazione per gli effetti recessivi” e si riflette in particolare sulle condizioni dei “lavoratori, i quali non possono essere lasciati soli a sopportarne le conseguenze”.

Entrambi hanno fatto un riferimento esplicito al settore della logistica: “Specie in questo momento, ci sono grandi problemi dovuti anche alle condizioni del contratto”, ha sostenuto la ministra, mentre Santoro-Passarelli ha sottolineato “il significativo impoverimento delle retribuzioni dei lavoratori alle dipendenze di appaltatori e subappaltatori che applicano contratti convenienti in termini di costi”.

Su questa situazione di tensione arriva come una bomba la fine del blocco dei licenziamenti mercoledì prossimo, il 30 giugno. “La mediazione” nella maggioranza di cui parla Lamorgese si riferisce a un intervento che il governo dovrebbe realizzare tra lunedì e martedì per decreto e che però non modifica di molto la situazione: il blocco sarà prorogato selettivamente per alcuni settori particolarmente in crisi (tessile, abbigliamento, pelletteria) con contestuale estensione della Cig Covid; gli altri – a partire dalle imprese più grandi – potranno iniziare a licenziare da giovedì prossimo (le stime sugli effetti variano dai 70mila posti a rischio dell’Ufficio parlamentare di bilancio ai 700mila della Cgil). I sindacati oggi saranno in piazza a Torino, Firenze e Bari contro la scelta del governo: “Non staremo con le mani in mano a vedere i lavoratori che vengono licenziati”, promette Maurizio Landini.

Il nuovo decreto, che corregge dopo un mese il Sostegni bis, servirà pure a evitare la tagliola del 30 giugno su un altro tema: la ripresa della riscossione e dell’invio delle cartelle fiscali, rinviata a settembre. Il provvedimento – che conterrà anche il rifinanziamento degli incentivi alle imprese della cosiddetta “Sabatini” e decontribuzioni per il settore del turismo – dovrebbe costare circa 3 miliardi e sarà finanziato coi risparmi realizzati proprio sui “sostegni” precedenti, in particolare quelli dedicati alle partite Iva.

Quanto al resto dei contenuti sono ancora in discussione: i partiti chiedono incentivi per le auto, moratorie sui crediti, soldi ai Comuni e molto altro…