“Una volta Alain Elkann lo chiama per un’intervista. Gli chiede: ‘Mi racconta quello che ha fatto?’. Livio risponde: ‘Se lei non sa quello che ho fatto, abbiamo finito la conversazione, buongiorno’. E interrompe la telefonata”. Questo era Livio Garzanti, il grande editore milanese, nel ricordo della terza moglie Louise Michail Garzanti. Era l’editore che diceva di Italo Calvino: “Era difficile per me, e credo per tutti che non gli fossero molto vicini, avere un confronto con un tale uomo, potevo sentirne solo l’autorità e immaginare il segreto di una sensibilità nascosta”.
Garzanti pubblicò Pier Paolo Pasolini e Carlo Emilio Gadda, Mario Soldati e Paolo Volponi, Una questione privata di Beppe Fenoglio, Goffredo Parise e Claudio Magris, la Storia del pensiero filosofico e scientifico di Ludovico Geymonat, la collana “Grandi Libri” dedicata ai classici della letteratura, l’Enciclopedia Europea e le mitiche “Garzantine”, ma anche Love Story di Erich Segal, le avventure dell’agente James Bond-007 di Ian Fleming e Colazione da Tiffany di Truman Capote.
Morto il 13 febbraio del 2015, all’età di 93 anni, di lui ricorre il primo luglio il centenario della nascita. La casa editrice Interlinea gli rende omaggio con il volume in uscita Una vita con i libri. Appunti, racconti e interviste (pagine 160, euro 18), a cura di Louise Michail Garzanti (intervistata da Paolo Di Stefano) e con una nota di Gian Carlo Ferretti. Oltre a proporre testi di poeti, scrittori e scrittrici che lo frequentarono, da Attilio Bertolucci a Pietro Citati, a Marisa Rusconi, a Gaetano Tumiati e altri, nel libro sono presenti scritti inediti dell’editore che “ha segnato il secondo Novecento italiano”. Si tratta di carte private conservate da Louise Michail Garzanti e di documenti custoditi dallo stesso Livio “nel segno della memoria: testimonianze su autori da lui pubblicati e conosciuti, appunti vari sulle origini dell’impresa editoriale ereditata dal padre, note personali di lettura, un diario del tempo della guerra e testi creativi”.
Ne viene fuori il ritratto composito di un intellettuale del secolo breve, davvero un Grande Borghese, che non si limitò a stampare libri spesso con intuizioni geniali, coniugando con sapienza, cultura e mercato, ma che, a sua volta, ne scrisse (da L’amore freddo ad Amare Platone). Il suo talento narrativo e il suo spirito critico, impertinente, mai conformista, emergono già nell’inedito diario giovanile sul 25 luglio e sull’8 settembre del 1943, pubblicato nel volume di Interlinea. In un Paese come l’Italia che, pur essendo stato fascista fino all’arresto di Mussolini, dopo il 25 luglio si era scoperto all’improvviso antifascista, il giovane Garzanti annotava lucidamente, con onestà: “Per diversi giorni si ripetono articoli di fondo e si continua a celebrare l’amor patrio, si insiste che il dovere è di unirci attorno alla bandiera, si osanna la libertà, ma si dice che la libertà bisogna conquistarla, saperla rispettare, non abusarne; tutte belle parole in cui diversi nomi del vecchio giornalismo, o del mondo intellettuale rimasto per vent’anni nel silenzio, fanno esercizi di retorica o tentano di esprimere onestamente il tema che l’orgia antifascista minacci di travolgere il Paese, sono temi gravi, che contrastano col resto dei medesimi giornali”.
Forse era un uomo, come rammenta Gian Carlo Ferretti, che sapeva essere al contempo freddo e passionale: un ossimoro, insomma. Eppure, rievocando Pasolini e la sua morte, Livio Garzanti scrisse: “Sono passati trent’anni, tutto il nostro mondo è cambiato. Ho perso la memoria di molti suoi scritti. Me ne rimane dominante come in un mito la sua figura, il ricordo vivo del nostro ultimo incontro, la memoria di un gesto pochi giorni prima della sua morte che pone, simbolico, la fine di un capitolo, credo il migliore della mia vita. E una domanda mi resta: quale fu la ragione di una amicizia nostra, penso per diversi motivi reciproca? Ma, forse da parte mia c’era il non aver mai voluto essere un interlocutore”.