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La Costituzione come guida per il nuovo M5S

Conte due settimane fa a Di Martedì ha proposto e rilanciato la questione morale sollevata da E. Berlinguer, che 40 anni fa dichiarava: “I partiti non fanno più politica”, “I partiti hanno degenerato e questa è l’origine dei malanni d’Italia”. L’etica pubblica, la legalità, la lotta alle mafie costituiscono i punti qualificanti del progetto politico di Conte, un progetto che si configura come una rivoluzione culturale. Dagli studi della antropologa A. Signorelli sappiamo che “nella nostra società convivono due sistemi incompatibili tra loro che provocano gravi disfunzioni nella struttura complessiva del paese. Da una parte abbiamo una cultura particolaristica caratterizzata da familismo, clientelismo e cosca e dall’altra un sistema universalistico rappresentato dalla Costituzione”. Il radicamento della prima, aggravato dalle devastazioni provocate dalla globalizzazione, aggiungeva l’antropologa, impedisce di fronteggiare con esiti positivi l’attuale crisi. È qui che si inserisce il progetto di Conte e del suo movimento: estirpare quelle tre piaghe che affliggono da secoli il paese diventa la condicio sine qua non per realizzare i valori universalistici della Costituzione. Il che non significa che l’interesse particolare debba venire sacrificato sull’altare di quello generale, ma bisogna evitare che prenda il sopravvento sul bene comune e sui valori universali. li Movimento rifondato da Conte si muove quindi nella direzione di un “patriottismo della Costituzione” (Habermas).

Maurizio Burattini

 

Riflessione sull’articolo di Fini sugli Europei

Condivido l’articolo di Massimo Fini, io non mi esalto per le vittorie dell’Italia in questo Campionato Europeo di calcio, dovremmo vincere contro altre squadre (corruzione, malaffare, ingiustizia sociale etc.) partite che non vinciamo mai. Per quanto riguarda le telecronache di Fabio Caressa, ho un metodo infallibile, tolgo l’audio, anche se mi dispiace non sentire i commenti competenti di Beppe Bergomi.

Maurizio Flamini

 

Povertà e ricchezza nell’Italia del padronato

In Italia i poveri e le povere sono oltre cinque milioni, mai così tanti e tante dal 2005, di cui oltre due milioni sono famiglie e oltre un milione i bambini, persone grandi e piccole alle quali si dovrebbe applicare l’art. 3 della Costituzione. “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Si ricomincia ad assumere, ma vediamo un po’ di quale occupazione si tratta: una parte rilevante è fatta di contratti a termine e anche da stage, quest’ultimi l’11% dell’occupazione qui nel Veneto, per esempio. Ma come si possono chiamare assunzioni l’offerta di stage, che comportano compensi bassi o bassissimi, una media di 700 euro a livello nazionale, addirittura 600 euro nel Veneto, per di più privi di contributi previdenziali? Il padronato si lamenta che non trova lavoratori e lavoratrici e non capisce perché le persone preferiscono rimanere disoccupate o tenersi il reddito di cittadinanza. Per me c’è un unico rimedio, pagare stipendi migliori, rispettosi dei contratti e migliorarli, considerando che l’inflazione è in agguato, secondo le previsioni degli economisti. Inoltre, sarà opportuno tenere presente che la denatalità degli ultimi trenta/quarant’anni ha modificato notevolmente il quadro demografico, facendo ridurre la popolazione giovanile, quindi anche potenziali lavoratori e lavoratrici italiani e italiane.

Liliana Frascati (Pci Padova)

 

G7 e Cina, ora capisco perché Conte è caduto

Scorrendo qualche giorno fa le notizie su Google ho letto le dichiarazioni di Draghi alla stampa rese in Cornovaglia in pieno G7 che sostanzialmente vede un “riallineamento” (c’erano forse dubbi?) alla linea anti-cinese di Biden, l’Italia era l’unica mancante; infatti ai tempi di Giuseppi, l’Italia aveva siglato un “accordo” commerciale di merito che l’aveva spostata sul versante asiatico e quindi a debordare dalle direttive dei 7 Grandi (poi come facciamo a stare ancora in questo Club dal momento che non abbiamo più una grande industria nostra e nemmeno più una compagnia di bandiera spero che qualcuno me lo spieghi). Ora mi è chiaro perché Conte è saltato. Conte doveva saltare, non poteva essere altrimenti, come Moro che doveva morire perché in procinto di far entrare al governo i comunisti, ancora non maturi per l’ingresso e che dovettero attendere la caduta del Muro di Berlino.

Maurizio Dickmann

 

Rosy Bindi al Quirinale, una candidata diversa

Ho incontrato qualche volta nella piazzetta vicino a dove vado a pranzo una signora con in mano una busta di plastica contenente frutta e verdura. Ho pensato più volte a quanto fosse diversa da chi, assurta ai vertici del Senato, sembra usare gli aerei di Stato come taxi a disposizione. Vi chiedo se una candidata forte e di sicuro gradimento popolare alla Presidenza della Repubblica non possa essere Rosy Bindi.

Giampiero Buccianti

Bin Laden e il picnic dell’Asse del Male: Iran, Iraq e Corea del Nord

Altri cenni storici per capire meglio, oppure no, il casino combinato in Afghanistan dalla ventennale guerra Usa cui abbiamo partecipato in barba alla Costituzione. 2003: gli alpini si installano nella base di Khost e si accordano con i talebani: “Faranno solo finta di controllare la zona, e i talebani li lasceranno tranquilli” (Fini, 2011). Bush ci prende gusto e dichiara guerra a un’altra nazione che non c’entra nulla con l’11 settembre: l’Iraq di Saddam Hussein, un nemico di al Qaeda. Il pretesto: inesistenti “armi di distruzione di massa” di Saddam. La prova: un documento tarocco su uno scambio di materiale nucleare fra Iraq e Niger. Sul caso Nigergate, e sugli attivissimi propagandisti italiani della guerra in Iraq (Rocca, Ferrara e Rossella), cfr. Lepidezze postribolari, 2007. Gli Usa prendono Rumaila, dove si trova il più importante giacimento petrolifero iracheno, il quinto del mondo, con dimensioni paragonabili alle intere riserve nazionali statunitensi. Il primo giorno di guerra, le quotazioni del greggio chiudono con il brent a 25,50 dollari al barile: dopo cinque anni di guerra, arriverà sopra i 60 dollari al barile. Rinviato l’annuale picnic dell’Asse del Male (Iran, Iraq e Corea del Nord). 2004: Dibattito elettorale in tv. Edwards: “Ci sono 60 nazioni che hanno al Qaeda al loro interno. Quante ne invaderemo?”. E sul volto di Cheney un sorriso beffardo segnala tutto il ventaglio di possibilità che gli si è aperto in mente. Per il terzo anniversario dell’attentato al World Trade Center, la Cnn ritrasmette la cronaca di quel giorno. Bush, che sta pigiando a caso tasti del telecomando, sbianca: “Oh, no! L’hanno fatto di nuovo!”. 2005: In risposta alla politica dell’attacco preventivo teorizzata da Wolfowitz, l’Iran annuncia che sta fabbricando la bomba atomica. Perché non ne ordinano una alla Rinascente, come ha fatto la Corea del Nord? La National Rifle Association propone di dotare di bazooka ogni americano che viaggia in aereo. Bin Laden si è rifugiato ad Abbottabad, in Pakistan (Riedel, 2021). A New York, il dott. Al Qaeda, urologo, dichiara al New York Post di essere “francamente scocciato” dei continui scherzi telefonici. 2006: la Gran Bretagna sventa un piano di Bin Laden: far esplodere in volo sei aerei diretti negli Usa e in Canada. Nell’ultimo video diffuso da Al Jazeera, Bin Laden legge a voce alta il nuovo libro di Susanna Tamaro. “Sapevamo che Bin Laden fosse malvagio”, dice un agente Cia sotto copertura “ma non pensavamo potesse arrivare fino a tanto”. Da quando gli hanno regalato la videocamera per il suo compleanno, Bin Laden non se ne separa mai. “Non solo gira questi video noiosissimi, ma ci costringe pure a sederci e a guardarli con lui. Che due coglioni!” sbotta un terrorista di al Qaeda. Un comico commenta: “Se i terroristi come Bin Laden credono davvero che l’Occidente sia corrotto, dovrebbero smettere di usare la nostra tecnologia. Videoregistratori, cellulari, computer, aerei: tutto quello che impiegano per compiere i loro attentati. Usate le vostre spade curve. Se c’è qualcosa di più irritante di un terrorista malvagio, è un terrorista ipocrita”. La madre di Osama bin Laden si dice nauseata da ciò che sta facendo suo figlio. Ah, no, scusate: questa era la madre di Bruno Vespa. Viene ucciso al-Zarkawi, uno dei principali leader di al Qaeda. Secondo la tradizione islamica, gli spettano 72 vergini in paradiso. Ma gli studiosi del Corano non sono unanimi: per alcuni sono 72 vergini, per altri ci sarebbe un errore di traduzione e in realtà sarebbero 72 gattini. La Nato incalza, il cerchio si stringe. A Bin Laden restano tre possibilità: restare in Afghanistan, andarsene dall’Afghanistan, o arrendersi personalmente a Oriana Fallaci. (5. Continua)

 

Nicola, 2 anni, sparisce nella notte al Mugello. In 200 setacciano i boschi. “Non è nel lago”

I genitori lo avevano messo a letto dopo cena, ma durante la notte si sono accorti che non era più nella culla. Per tutta la giornata di ieri un enorme dispiegamento di forze, composto da carabinieri, volontari e membri della comunità vicino a cui viveva, si è messo alla ricerca di Nicola Tanturli. Il bimbo, 21 mesi, si sarebbe allontanato da solo da casa, situata a circa 800 metri di altezza in mezzo ai boschi dell’alto Mugello, al confine con l’Emilia-Romagna. I genitori sono apicoltori e abitano in un casolare isolato nel comune di Palazzuolo sul Senio (Firenze), a due chilometri dall’eco-villaggio di Campanara, dove risiede una comunità che si dedica all’agricoltura biologica, ma di cui la famiglia non fa parte. “È un bambino molto attivo – ha spiegato il sindaco Gian Piero Philip Moschetti – potrebbe camminare per un chilometro all’ora, non sappiamo quanta distanza possa aver fatto. Era abituato a uscire dalla casa, a vivere all’aria aperta”. Dopo averlo cercato tutta la notte nei terreni attorno all’abitazione, molto isolata e raggiungibile solo attraverso una strada sterrata, ieri mattina intorno alle 10 i genitori di Nicola hanno dato l’allarme ai carabinieri e avvertito l’autorità giudiziaria. Quindi la Prefettura di Firenze ha attivato il piano per le persone disperse. Le ricerche hanno coinvolto 40 uomini dei Vigili del fuoco, il Soccorso alpino e 18 squadre di volontari coordinati dalla Protezione civile, che hanno perlustrato il territorio con i cani molecolari. Un campo base è stato allestito vicino all’abitazione, da dove sono stati attivati i programmi di geolocalizzazione. Il Soccorso alpino ha ispezionato l’area con i droni e l’elicottero della Regione, ma la fitta vegetazione e il terreno montano hanno reso difficili le operazioni. Sul luogo sono giunte oltre 200 persone: alcuni di loro sono gli stessi residenti di Campanara, vicino a cui abita la famiglia del bambino scomparso. “Un’intera comunità lo sta cercando”, ha detto il sindaco Moschetti, che si è unito alla macchina operativa mobilitata per trovare Nicola. L’area perlustrata si estende per circa 30 chilometri quadrati e i sommozzatori dei Vigili del fuoco hanno anche scandagliato il laghetto per l’irrigazione agricola che si trova vicino alla casa del piccolo Nicola, senza però trovarvi niente. Le ricerche sono andate avanti per tutta la notte, anche con l’aiuto di un elicottero munito di termoscanner.

Palinsesti Rai, Coletta: “Cattelan è una scelta osé”

Arriva Alessandro Cattelan per due serate in autunno (scelta “osé” secondo Stefano Coletta), mentre si ritorna a parlare di Amadeus e Fiorello per Sanremo, che torna a febbraio, dopo il no del conduttore a una terza edizione. Ci sarà poi da organizzare l’Euro Song Contest. Sono alcune delle novità per la prossima stagione Rai, presentate ieri a Roma. I palinsesti sono l’ultimo atto della governance di Fabrizio Salini e Marcello Foa. “Voglio ringraziare tutti per aver condiviso una visione per tre anni”, ha detto l’ad. “Dopo la pandemia bisogna tornare a credere nel futuro”, le parole del presidente. “Abbiamo tenuto botta in un anno difficilissimo”, ha spiegato il direttore di Rai1, Coletta. Che poi ha ricordato, simbolicamente, il Teatro Ariston vuoto. “Con Amadeus stiamo parlando”, ha rivelato. Nel frattempo Fabio Fazio ha appena firmato un contratto di 2 anni, mentre ancora non si sa chi condurrà Unomattina. Altra novità è Radio Play Sound, app per ascoltare contenuti di Radio Rai e RaiPlay.

Mps, 2,9 milioni di multa per falle nella trasparenza

Bankitalia ha comminato una mega-sanzione da 2,9 milioni a Mps dopo una ispezione condotta nella banca senese tra ottobre 2019 e gennaio 2020, quando Rocca Salimbeni era già controllata al 64% dallo Stato. Via Nazionale ha deciso la multa per “carenze nell’organizzazione e nei controlli in materia di trasparenza” nei rapporti con i clienti. Tra gli obblighi normativi violati, fanno sapere fonti di Banca d’Italia, ci sono a titolo esemplificativo quelli in materia di pubblicità e informativa preliminare sui contratti, sul costo degli affidamenti e degli sconfinamenti (ad esempio sugli oneri legati alle cosiddette commissioni per “diritto di pratica” sugli sconfinamenti, che hanno di fatto sostituito l’abolita commissione di massimo scoperto), sulle comunicazioni periodiche alla clientela, sul diritto di recesso. Al termine dell’istruttoria, l’istituto all’inizio aveva depositato proprie deduzioni ma poi non ha presentato ulteriori osservazioni sulla vicenda. Contattata, Mps non ha risposto.

Treviso, esposto in Procura sull’aeroporto: “Troppi uccelli, pericoloso aumentare i voli”

C’è un esposto alla Procura di Treviso che lancia un serio allarme sui sistemi di sicurezza dell’aeroporto Canova. Lo ha presentato ai primi di giugno il “Comitato per la riduzione dell’impatto ambientale” dello scalo, dopo che il ministro per la Transizione ecologica, Roberto Cingolani, ha firmato il piano di modifica che ha come tappa finale di adeguamento il 2030, anche se per essere attuativo serve la firma del ministro dei Trasporti Giovannini. Nei giorni scorsi è stata presentata anche un’interrogazione firmata da alcuni consiglieri regionali. Il Comitato è preoccupato perché già il “Canova”, secondo la sua denuncia, ha un numero di voli superiore a quelli che potrebbe sostenere, perché si trova tra una tangenziale, un fiume e un territorio popolato da uccelli pericolosi per la sicurezza degli aerei. Lo scalo “è confinato sulle direttive di atterraggio e decollo da una tangenziale SR 53 e dagli abitati di Quinto di Treviso e Treviso”, si legge nell’esposto, che cita una serie di studi sul rischio, compreso quello del 2018 “Enac/Bsci Wildlife Strike”, che rileva come al Canova “siano stati ‘registrati’, con 22.911 movimenti, 24 impatti totali, di cui 22 con volatili e 2 con altra fauna selvatica (contro i 36 del 2017 e i 19 del 2016). Di questi impatti, il 17% è avvenuto con gabbiani reali, che “sono di fatto un problema molto serio per la sicurezza aerea, vista la pericolosità della specie che è gregaria e pesante (1,1 kg)”. Ma nonostante ciò “si osserva che la materia sopra illustrata non risulta essere stata oggetto di adeguata analisi ed approfondimento nello Studio di Impatto ambientale ’Strumento di pianificazione e ottimizzazione al 2030’, studio che prevede un incremento del limite massimo/anno a 22.500 movimenti aeronautici, rispetto al precedente limite di 16.300”. Il Comitato sostiene, quindi, che non sia stato ben valutato il rischio “wildlife-strike”. La stessa Enac, ricorda l’esposto, afferma che “è ormai largamente documentato che l’ingestione di un uccello ‘all’interno dei motori di un aeromobile o la compromissione delle strumentazioni di bordo portano a ingenti danni economici oltre che – nel caso più grave – incidenti catastrofici”. Motivo per cui il Comitato chiede alla Procura “se non esistano elementi per una sospensione del Certificato di Aeroporto rilasciato da Enac”.

“Il test degli anticorpi di Draghi dopo la 1ª dose è inutile”. Parola di medici

Può accadere di tutto in un hub vaccinale. Anche che un medico dica a una signora settantenne che forse il premier Draghi ha commesso un errore di comunicazione quando ha detto che dopo aver ricevuto la prima dose del vaccino AstraZeneca ha deciso di ricorrere al mix vaccinale, cioè di puntare per il richiamo sul siero di Pfizer o Moderna.

La signora in questione è una lettrice del Fatto e ha la stessa età di Draghi. E siccome quest’ultimo ha spiegato di aver sviluppato un basso livello di anticorpi (da qui la scelta di ricorrere a un vaccino mRna) ha ben pensato insieme a una amica coetanea di sottoporsi a un test sierologico per verificare la propria risposta immunitaria. “Se anche noi avevamo pochi anticorpi (ma quanto sono pochi quelli di Draghi?) avremmo chiesto la seconda dose con Pfizer come lui”, scrive la signora. Per poi proseguire: “Risultato mio: 48 e la mia amica 3,5. Mentre altri che conosco hanno 1.000 o 2.000. Ho chiesto quindi al medico di cambiare vaccino, ma mi ha risposto che non è possibile, che l’affermazione di Draghi è stata un errore di comunicazione”. Un errore? Per la lettrice resta l’amara considerazione che “siamo in una gabbia di matti e nessuno dice nulla: va tutto bene madama la marchesa”. Comprensibile, di fronte al caos degli stop and go che hanno prima sospeso poi nuovamente autorizzato il vaccino AZ. Dopo la morte a causa di una rara trombosi della giovane Camilla Canepa, dopo la decisione del governo di consentire in corsa la vaccinazione eterologa per gli under 60 che hanno ricevuto AZ. Tra tanti pareri (e non pochi discordanti), tra raccomandazioni e i nuovi dietro-front, come quello di lasciare libera scelta a chi vuole comunque completare il ciclo vaccinale con AstraZeneca. Ma come stanno effettivamente le cose?

Difficile credere che il ragionamento di Draghi sia stato solo un errore di comunicazione. Perché, a sentire gli esperti, un test sierologico per verificare quanti anticorpi ha sviluppato il sistema immunitario in realtà serve a poco o a nulla. “È una procedura che non viene raccomandata”, spiega Fortunato Paolo D’Ancona, medico epidemiologo dell’Istituto superiore di Sanità. Il primo motivo è semplice. “I test sierologici danno dei risultati orientativi, perché nessun ente internazionale ha ancora determinato per il Covid-19 lo standard del livello di anticorpi, quello che in termini tecnici viene definito correlato di protezione. Non esiste un valore internazionalmente riconosciuto”.

Diversa la questione relativa all’opportunità di ricorrere al mix vaccinale. “Una serie di studi preliminari – prosegue D’Ancona –, dimostrano che chi è stato vaccinato prima con un siero a vettore virale, come quello di AstraZeneca, poi con un vaccino mRna messaggero, come quello di Pfizer o Moderna, una risposta anticorpale particolarmente elevata. È la cosiddetta immunogenicità. Poi c’è un piccolo scotto da pagare, costituito da un aumento degli eventi avversi, comunque di lieve entità, non tali da richiedere l’ospedalizzazione. Quanto all’età, l’eterologa è stata decisa per proteggere i soggetti più giovani dal rischio comunque bassissimo di sviluppare una trombosi piastrinopenica. Ma sopra i 60 anni non è stata prevista”.

Covid, maxi-causa contro lo Stato: si parte l’8 luglio

Il virus, scrivono in molti, è innanzitutto dolore. C’è il dolore della mamma di Marzia, che non sa se riesce “a scrivere la storia dettagliata degli eventi, a parlare di mia figlia”, una giovane donna ammalata di tumore che si ritrova a febbraio ricoverata in ospedale per delle trasfusioni per carenza di ferro, qualche giorno dopo ha una crisi respiratoria, qualche giorno dopo – tampone positivo – viene messa in terapia intensiva, qualche giorno dopo ancora muore. C’è l’angoscia della nipote di Mimma, Reggio Calabria, che si ritrova – ricoverata per Covid, attaccata a ossigeno e flebo – a veder morire nella stessa stanza la nonna: “I medici le dicevano che doveva solo respirare e stare calma!”. C’è la vita spezzata del signor Gianni, che a novembre sviluppa i primi sintomi, con febbre alta e saturazione sotto i 90, ma che non può uscire di casa perché con lui vivono la moglie e la figlia disabile, anche loro positive al Covid. Poi ricoverato, poi dimesso perché “le condizioni non sono così gravi”, una volta a casa “la situazione non migliora e contatta medico di base, Usca, numero verde emergenza Covid presso l’Ausl e guardia medica: nessuna risposta”. Dopo 48 ore verrà trasportato in ospedale con una polmonite bilaterale. A distanza di venti giorni, muore.

Ed è così, con un lavoro di ricerca e documentazione monumentale, che stamattina il team dei legali coordinato dall’avvocato Consuelo Locati deposita a Roma un nuovo atto con cui altre 200 persone aderiscono alla causa civile che il 23 dicembre scorso è stata intentata contro la presidenza del Consiglio, il ministero della Salute e la Regione Lombardia, da parte dei familiari delle vittime del Covid. In queste centinaia e centinaia di pagine, a differenza del documento depositato in precedenza da oltre 320 familiari, ci sono le storie delle persone decedute nella seconda e terza ondata, tra ottobre 2020 e maggio 2021. Non più solo in Lombardia ma in tutta Italia, dalla Calabria al Veneto. “È una causa dalla portata storica: è la prima volta in cui nel nostro Paese i cittadini si uniscono e chiamano in causa le istituzioni per quello che hanno fatto o, meglio, non fatto – spiega l’avvocato Locati – e per le conseguenze che tutti noi abbiamo tristemente pagato per tali omissioni e violazioni di legge”.

Gli avvocati, che rappresentano molti dei familiari del Comitato “Noi denunceremo”, sono certi di poter dimostrare la responsabilità omissiva delle autorità centrali e locali non solo per la mancata previsione dell’emergenza. Ma anche perché “nulla è stato migliorato per quanto riguarda la gestione della pandemia nelle fasi successive a maggio 2020” e, aggiungono, “la responsabilità omissiva ora deriva pure dall’incapacità gestionale” che hanno mostrato, a tutti i livelli, le istituzioni. Oltre due terzi dei decessi che l’Italia conta complessivamente a oggi, sono morti nella seconda ondata del virus. “E noi continuiamo a ricevere decine di segnalazioni ogni giorno: cambia l’oggetto, perché attualmente sono tutte storie legate alle vaccinazioni, ma non cambia quello che denunciano”. Omissioni, carenze, violazioni di legge. “Non eravamo pronti a affrontare un’emergenza pandemica. Come siamo lontani dall’esserlo ancora oggi”.

Non c’era un piano di preparazione e risposta a una pandemia influenzale, il cosiddetto piano pandemico nazionale, secondo le linee guida dell’Oms (2005, 2009, 2013, 2017 e 2018) e dell’Unione europea. E, ancora, il vecchio piano del 2006 non era eseguibile, perché le attività di preparazione rimasero un work in progress, ma sarebbe stato comunque utile, se almeno fossero stati disponibili dei piani regionali. O se fosse stata svolta un’esercitazione per testare il piano, e la macchina organizzativa. Se fossero state, negli anni, erogate le risorse necessarie. Se avessimo rafforzato la tenuta del sistema sanitario. Ma tutto è rimasto inattuato, se non disatteso. E “se parti zoppo – come dice il generale in pensione Pier Paolo Lunelli – è difficile che ti raddrizzi”. Lunelli – più volte ascoltato dai pm di Bergamo che indagano sulla gestione della pandemia e sulla mancata zona rossa ad Alzano Lombardo – presenta uno studio, allegato all’atto depositato oggi e che il Fatto ha potuto leggere, decisivo. Con numeri e grafici alla mano, si mostra come i Paesi senza un piano pandemico nazionale adeguato siano quelli in cui l’eccesso di mortalità ha toccato picchi anche superiori al 50%. “Risulta inconfutabile – scrivono i legali nell’atto – la totale impreparazione dell’Italia consueguente all’assenza di un piano pandemico adeguato, ma vi è anche l’assoluta inesistenza del tracciamento dei contatti e della successiva somministrazione dei vaccini”. Omissioni da cui “sono derivati i decessi di 126mila persone, tra cui i parenti delle oltre 500 famiglie che rappresentiamo”.

L’appuntamento ora è per l’8 luglio prossimo, per la prima udienza. “Saremo a Roma, in rappresentanza simbolica. Per noi, è anche una sfida al sistema. E a un certo modo in cui in Italia vengono negate verità e giustizia. Basti pensare che né governo né Regione Lombardia hanno depositato, in risposta alla nostra citazione, l’atto con cui si costituiscono in giudizio. La scadenza era il 14 aprile, ma niente. Se sperano che, col tempo, ci stancheremo, si sbagliano. Lo dobbiamo a tutte le famiglie che ci hanno dato fiducia. E a tutti i loro cari. Perché non sono morti per uno tsunami”.

Commissione. Lettera di Graviano, Cartabia in antimafia

Sulla lettera inviata da Giuseppe Graviano (in foto) alla ministra Marta Cartabia – e rivelata dal Fatto il 14 giugno – alcuni membri della commissione Antimafia chiederanno chiarimenti alla Guardasigilli nel corso della prossima audizione, la cui data deve essere ancora fissata. La Cartabia era stata udita in Commissione lo scorso 10 giugno. In quell’occasione, come ricostruito da alcuni lanci dell’agenzia Ansa, la ministra aveva affrontato diversi argomenti: dalla questione dei benefici da concedere ai collaboratori di giustizia (l’audizione era avvenuta poco dopo la scarcerazione di Brusca) al Recovery fund (“non possiamo consentire che i fondi finiscano in mani sbagliate”). L’audizione era durata poco meno di un’ora perché la Cartabia doveva andar via per un question time alla Camera. L’appuntamento in Commissione quindi è stato riaggiornato. Così quando tornerà in Antimafia le domande riguarderanno anche la lettera inviata da Graviano. Missiva che verrà anche acquisita dai magistrati fiorentini che indagano sulle bombe del 1993. Sulla lettera, il dicastero della Guardasigilli nelle scorse settimane ha fatto sapere che “all’attenzione del ministero e del Dap arrivano centinaia di lettere dei detenuti… e ogni caso viene esaminato e inoltrato agli uffici competenti per le opportune verifiche”. La lettera di Graviano “è stata trasmessa al Dap”, hanno spiegato da via Arenula, assicurando che “da parte della ministra, non c’è stata e non ci sarà alcuna risposta”.

Stragi, Brusca sentito dai pm che indagano su Berlusconi

Giovanni Brusca, l’uomo della strage di Capaci, nelle scorse settimane è stato interrogato in gran segreto dai magistrati di Firenze nell’ambito dell’inchiesta sulle stragi del 1993 su Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri. L’ipotesi al centro di questa indagine (più volte sollevata e più volte scartata) è che ci siano stati rapporti tra Berlusconi e Dell’Utri con i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano, poi condannati definitivamente per le stragi del 1992 e 1993. Di un presunto incontro (sempre negato dal leader di Forza Italia e mai provato) tra l’ex premier e Giuseppe Graviano, Brusca ne aveva parlato in aula, nell’ambito del processo ’ndrangheta stragista, quando nel 2019 è stato sentito come testimone. Il collaboratore di giustizia ha detto davanti ai giudici di Reggio di averlo saputo (il suo racconto è dunque un ‘de relato de relato’) dal boss latitante Matteo Messina Denaro, il quale gli avrebbe raccontato che nel corso di un presunto contatto tra Berlusconi e Giuseppe Graviano quest’ultimo aveva notato un orologio al polso del leader di Forza Italia dal valore “di 500 milioni” di vecchie lire.

1L’inchiesta di Firenze: iscritto pure Dell’Utri

Ma procediamo con ordine. Berlusconi e Dell’Utri sono già stati indagati in passato per le stragi e poi anche archiviati negli anni Novanta e Duemila. Da più di 4 anni sono di nuovo iscritti, con alcune interruzioni durante le quali la Procura ha archiviato le loro posizioni e poi riaperto il fascicolo. Nelle scorse settimane, il procuratore aggiunto Luca Tescaroli, titolare del fascicolo fiorentino, ha ascoltato Giovanni Brusca per chiedergli chiarimenti su quanto sostenuto in aula nel corso del processo ’ndrangheta stragista che vedeva imputati il boss siciliano Giuseppe Graviano e il calabrese Rocco Santo Filippone, accusati di un duplice omicidio dei carabinieri Fava e Garofalo, il 18 gennaio 1994, e poi di altri attentati falliti contro i carabinieri, sempre in Calabria: il 24 luglio 2020 c’è stata la sentenza di primo grado e Giuseppe Graviano e Filippone sono stati condannati all’ergastolo.

2’Ndrangheta stragista Dichiarazioni in aula

Brusca – che da fine maggio è tornato libero dopo aver scontato 25 anni di detenzione – ha parlato in aula il 22 marzo 2019. Davanti ai giudici di Reggio Calabria, ha risposto alle domande del pubblico ministero Giuseppe Lombardo. Durante la deposizione del collaboratore, il pm chiede: “Mi faccia capire una cosa Brusca, perché i rapporti con Berlusconi ce li avevano i Graviano?”. E Brusca risponde: “Per quello che poi mi ha detto Matteo Messina Denaro sì”. Poco dopo, il collaboratore di giustizia parla di questo presunto incontro tra Giuseppe Graviano e il leader di Forza Italia. Ecco lo scambio avvenuto tra il pm e Brusca:

Lombardo: Cosa le dissero dei rapporti che i fratelli Graviano avevano con Berlusconi?

Brusca: Bagarella nulla, che c’era questo rapporto con il club di Forza Italia era palese, non conosceva i dettagli fino a quando nel 1995, pensando che queste cose le avevo dette e invece non le avevo dette… Matteo Messina Denaro mi disse che in un incontro tra Giuseppe Graviano con Berlusconi gli aveva visto un orologio da 500 milioni al polso. Io gli risposi, ma che è di diamanti, non so che metallo prezioso poteva essere, ma era stata una battuta. Quindi so per certo che questo contatto c’è stato tra Berlusconi e Giuseppe Graviano. Quando è avvenuto non glielo so dire.

3Il legale di Silvio: “Notizia infondata”

Il racconto di Brusca è un ‘de relato de relato’ e, ribadiamo, mai provato. Il collaboratore di giustizia, prima di essere sentito come testimone nel processo ’ndrangheta stragista ne aveva parlato anche in altre occasioni: a Roma e prima ancora davanti ai magistrati di Palermo.

Nella Capitale, Brusca fa riferimento all’episodio dell’“orologio” nel febbraio del 2019, quando è stato interrogato dalla Corte di Caltanissetta, allora in trasferta a Roma, per ascoltare i collaboratori di giustizia nel processo sul depistaggio delle indagini sulla strage del 1992 in via D’Amelio.

Prima ancora Brusca ne aveva parlato davanti al procuratore capo di Palermo, Franco Lo Voi, e all’aggiunto Marzia Sabella, in un verbale del 16 ottobre 2018. Quel verbale è stato poi rivelato dal Fatto il 16 dicembre dello stesso anno.

Dopo la pubblicazione di questa notizia, nel 2018 Niccolò Ghedini, legale di Silvio Berlusconi, dichiarò: “Ancora una volta il Fatto Quotidiano su di una notizia irrilevante e palesemente infondata costruisce addirittura la prima pagina e vari articoli, tutti chiaramente diffamatori, senza dar conto che tutte le numerosissime risultanze processuali e le plurime archiviazioni a favore del Presidente Berlusconi hanno dato evidenza della assoluta inconsistenza di qualsiasi ipotesi consimile”.

Su quelle dichiarazioni di Brusca, alcune settimane fa, però la Procura di Firenze è tornata a chiedere chiarimenti al collaboratore di giustizia appena tornato in libertà.