Rito funebre. Quel narcisismo fuoriluogo dell’ultimo saluto: “Io lo conoscevo bene…”

Una volta era il lamento funebre. Oggi è l’esibizionismo. Lo so, l’argomento non è allegro ed è pure urticante. Però va affrontato, perché infine le culture dei popoli da questi riti passano: matrimoni e funerali (più frattaglie: diciott’anni, feste di laurea, ecc.). Nell’antichità il lamento funebre era addirittura un’arte, e le virtù del morto ne erano l’essenza. C’era persino un rituale del pianto. Ernesto de Martino, grande antropologo, ce ne ha consegnato una storia affascinante, con tanto di studio del pianto di Maria. Il lamento generò pure una musica colta, entrata a buon diritto nella storia della musica.

Le forme cambiano. Con il passar degli anni mi vado rendendo conto che c’è però una sostanza diversa e perfino perversa (mi si passi l’aggettivo) nel modo in cui salutiamo i nostri amici. L’idea di dovere dare un senso corale e “partecipato” alla cerimonia, soprattutto – ma non soltanto – nella sua variante laica, scatena infatti il vezzo autobiografico dei presenti. Si dovrebbe parlare di chi non è più con noi e invece si parla prevalentemente di se stessi. L’ultimo saluto diventa un pretesto per infliggere ai presenti proprie memorie che altrimenti nessuno ascolterebbe.

C’è una formula rituale, ovviamente, visto che di rito si tratta. Ed è l’incipit: “Io l’ho conosciuto quando… (o quella volta che)”. E da quell’ “io” non ci si smuoverà più. “Ero andato a Parigi mandato dalla mia azienda…”, “Avevo deciso di andare a quella manifestazione…”, “Me lo presentò Giovanni Rossi con cui avevo l’abitudine di frequentare il ristorante Esposito…”. Naturalmente c’è il passaggio di cortesia su colui che dovrebbe essere ricordato: “Lo vidi e mi fece subito una impressione positiva, ci piacemmo, ricordo la sua stretta di mano (o il suo sguardo diretto)”. Poi si torna all’autobiografia. “Erano tempi in cui i giovani come me si chiedevano….”. “Lo incontrai di nuovo due anni dopo. Ricordo che quella volta era con la Lilli” (se la Lilli è presente si commuove e fa un cenno di sì con la testa; tutti sono contenti di avere una notizia privata in più su due dei presenti).

Poi c’è la digressione sulle idee del morto, ma solo per parlare delle proprie: “Lui era convinto che la strategia che perseguiva l’azienda (o il partito, o l’associazione, o lo studio professionale) fosse quella giusta. Io invece avevo dei dubbi. E, data l’amicizia che ci legava, glieli esponevo con franchezza. Una volta mi disse: ma lo sai che hai ragione?”. C’è naturalmente anche la variante generosa: “Oggi però penso (sempre io) che avesse ragione lui.”

Il rito prevede anche che ci sia qualcuno disposto a dissacrarlo, generando un altro rito minore. È quando bisogna tirare le orecchie al morto. “Perché, diciamocelo, visto che è ancora qui con noi: Giovanni era un incazzoso”. “Incazzoso” è la parola fuori dal coro, che sconvolge apparentemente gli stilemi. Ma piace a tutti. Una corrente elettrica sembra passare per gli astanti, contenti di essere amici trasgressivi di una persona trasgressiva. Chi non ricorda il morto essersi arrabbiato di brutto almeno quella volta o più volte? Al suono della parola magica tutti si danno di gomito sorridendo e annuendo: “Oh quanto era incazzoso il Giovanni, te lo ricordi quella volta?”. E nella folla grande o piccola presente è tutto un fluire di ricordi propri.

Né mancano la campagne elettorali abusive: “Sono convinto che oggi, con questa situazione, voterebbe la lista dei pincopallini”. Il morto naturalmente non può reagire, né può dire “ma chi t’ha chiesto niente”. Il pubblico commiato finisce con i saluti ai parenti più stretti, verso i quali quasi tutti affettano frequentazioni semisecolari. Come ha fatto bene la diocesi di Milano: spiacenti, alla fine della messa un solo discorso. Consiglio non richiesto: però, per favore, occhio anche a quello.

 

Virus dell’assurdo. “Mio figlio, libero di far tutto (dopo la quarantena) tranne la maturità in aula”

 

“Il primogenito può fare l’esame solo a distanza, ma va ovunque”

Cara Selvaggia, mio figlio S. dovrà sostenere l’esame di maturità nei prossimi giorni e purtroppo dovrà svolgere il colloquio a distanza, online. Secondo un documento del ministero dell’Istruzione i ragazzi possono sostenere l’esame solo 14 giorni dopo il termine della quarantena. Attenzione: non basta il periodo di confinamento, ma bisogna attendere altri 14 giorni supplementari. La nostra famiglia è stata in quarantena fino a venerdì scorso perché il mio secondo figlio è risultato positivo al Covid. Dopo tre tamponi negativi ora S. (come tutti noi) può rientrare in comunità e svolgere qualsiasi tipo di attività. Per dire, il mio secondo figlio sosterrà regolarmente l’esame di terza media, in presenza, dopo l’ultimo tampone negativo. Ma S. non può fare lo stesso con la maturità.

Vista l’assurdità della situazione abbiamo scritto prima al dirigente scolastico dell’Istituto, poi al ministero della Salute e anche dell’Istruzione, e tutti ci hanno risposto che non dipende da loro ma dal Comitato tecnico scientifico. Insomma ognuno rimbalza la palla all’altro. Noi non siamo abituati a lamentarci, rispettiamo sempre le regole e soprattutto non difendiamo a tutti i costi i nostri figli. In questo caso però sono sconcertata. Nessuno ha provveduto a cambiare una norma in vigore solo per gli Istituti superiori di secondo grado e non per le altre scuole, né per le università. Molti si lamentano, dandoci ragione, ma nessuno fa nulla. Tra l’altro, sarebbe stato sufficiente posticipare di qualche giorno la prova d’esame di mio figlio, ma pare che sia difficile l’organizzazione. Io, onestamente, sono basita. La prova d’esame di maturità si ricorda per tutta la vita e mi sarebbe piaciuto che mio figlio la potesse svolgere come i suoi compagni di classe (anche perché non c’è alcun motivo per cui debba sostenerla online, dato che può uscire e andare ovunque).

Qualcuno mi ha suggerito di dichiarare il falso. Ma io ai miei figli ho insegnato a essere leali e corretti (malgrado non sempre paghi) e non ho intenzione di fare diversamente. La giustizia va perseguita ad ogni costo. Non ho menzionato scuole, né fatto nomi, perché vorrei che mio figlio trascorresse il periodo della maturità serenamente. Nessuno parla di questo problema, ma tutti i ragazzi che in questo momento stanno vivendo la stessa situazione di mio figlio hanno il diritto di sostenere la maturità in presenza, ovviamente qualora sussistano le condizioni di salute per farlo.

Veronica

 

Cara Veronica, ho sempre perdonato i vuoti e gli imbarazzi normativi quando si navigava a vista contro un nemico sconosciuto. Ma dopo quindici mesi per capire, per prepararsi, per sistemare è davvero inaccettabile. Speriamo ci leggano.

 

Sicurezza e libertà: “Vorrei solo la mia famiglia, mica l’aperitivo”

Cara Selvaggia, mi rivolgo a te per esprimere la mia frustrazione riguardo la situazione cocente delle ultime settimane: gli spostamenti internazionali.

Sicurezza. Ecco la parola più usata negli ultimi 14 mesi. La vita fatica a riprendere, in nome della sicurezza. E dove il Covid non ha avuto la meglio, sono le norme di “sicurezza” a creare dolore, ansia, notti insonni. In nome della sicurezza sono lontana dalla mia famiglia da 9 mesi. Cosa vuoi che siano 9 mesi? Sono tanti quando vedi i tuoi genitori invecchiare in videochiamata; quando un problema di salute ti fa tremare (e magari è colite eh); quando i tuoi nipoti sono alti, cambiano voce e nel pieno dell’adolescenza ti scartano dalle priorità perché chiedono presenza. Nove mesi sono anni quando vorresti un figlio, ma non senza che le persone che ami possano essere partecipi del miracolo della vita. Proprio loro che la rendono dolce. Nove mesi sono macigni, quando vorresti farti leccare le ferite da infermiera stanca e invece lecchi le loro e lotti con i sensi di colpa. Perché li ho lasciati lì? Perché non ho lottato per il “posto fisso” vicino a loro? Perché ho scelto la carriera? I giorni scorrono tra le lacrime, whatsapp, Skype, FaceTime e spalle larghe. Le stesse che poi si curvano appena chiudo una chiamata. Il tempo si dilata quando ogni volo è cancellato per l’incertezza del momento. Non voglio andare in vacanza o fare l’aperitivo, ma solo abbracciare mia madre. Voglio vedere casa di mia sorella, baciare la pancia enorme della mia amica incinta, andare al matrimonio del mio amico. Voglio accarezzare le rughe di mia nonna novantenne, perché non tornerà indietro nel tempo. Ho bisogno di guardare i miei nipoti e rassicurarli che nel mondo c’è tanta bellezza. Voglio camminare sulla sabbia e ricordare da dove sono partita con il mio biglietto solo andata. Non voglio essere dimenticata dalla mia terra, come i tanti che viaggiano per un abbraccio, una carezza materna, un rimprovero paterno o anche solo per dire loro “va tutto bene, io sto bene”. Sono al sicuro. Con i miei tamponi a giorni alterni e il mondo chiuso fuori. Con la valigia sotto il letto e il piumone invernale dentro. Solo al sicuro con le mie 2 dosi di vaccino. Sono al sicuro, ma mi sento come senza un arto. Il mio cuore di giovane donna piange.

Giulia

 

Ti rispondo solo perché così prevede la rubrica delle lettere, ma in realtà non ho niente da aggiungere nè qualcosa di più bello e giusto da dire. Volevo solo che tutti leggessero il tuo canto di vita e di dolore. Lo meritava.

 

Chiesa. La rivoluzione di Francesco non risparmia i media: la prima volta di un editorialista “papale”

L’Editorialista del papa, con la “e” maiuscola vista l’investitura dall’alto, anzi dall’Altissimo. Ha suscitato sorpresa e curiosità, anche per il suo aspetto inedito, il comunicato di Francesco del 16 giugno, comparso nel bollettino quotidiano della Santa Sede: “Il Santo Padre ha nominato Assistente ecclesiastico del Dicastero per la Comunicazione ed Editorialista de L’Osservatore Romano il Rev.do Luigi Maria Epicoco, del clero dell’Arcidiocesi de L’Aquila”. Testuale. Come se Confindustria (Sole 24 Ore), Cairo (Corsera) ed Elkann (Stampa e Repubblica) ufficializzassero con una nota le nomine dei loro commentatori prediletti. Teologo quarantenne originario della Puglia, Epicoco già assomma incarichi di prestigio: docente di Filosofia alla Lateranense (la cosiddetta università del papa) e preside dell’Istituto Superiore Scienze Religiose Fides et Ratio dell’Aquila. Ma soprattutto don Epicoco è un notissimo comunicatore multimediale della Buona Novella: scrittore prolifico, opinionista tv e radio, autore seguitissimo sui social.

Al di là dell’aspetto inedito, la sua nomina a editorialista del quotidiano della Santa Sede ha ovviamente un significato concreto. Anche perché il giovane teologo sarà l’assistente ecclesiastico del ministero vaticano per la Comunicazione, presieduto per la prima volta da un laico, Paolo Ruffini. E proprio Ruffini, insieme con altri direttori dei media cattolici, era presente il 24 maggio scorso all’intervento un po’ brusco di Francesco a Radio Vaticana, durante la sua visita al Dicastero.

Vale la pena rileggerlo per intero, perché ci sono domande rivolte a tutto il mondo del giornalismo: “Quanti ascoltano la Radio, e quanti leggono l’Osservatore Romano? Perché il nostro lavoro è per arrivare alla gente: che quello che si lavora qui, che è bello, è grande, è faticoso, arrivi alla gente, sia con le traduzioni, sia anche con le onde corte, come lei ha detto… La domanda che voi vi dovete fare è: ‘Quanti? A quanti arriva?’, perché c’è il pericolo – per tutte le organizzazioni – il pericolo di una bella organizzazione, un bel lavoro, ma che non arrivi dove deve arrivare… Un po’ come il racconto del parto del topo: la montagna che partorisce il topolino… Tutti i giorni fatevi questa domanda: a quanta gente arriviamo? A quanti arriva il messaggio di Gesù tramite L’Osservatore Romano? Questo è molto importante, molto importante!”. Intervistato poi dall’OR, lo stesso don Epicoco ha spiegato come intende il lavoro di giornalista: “Il comunicatore cattolico lo vedo come un costruttore di dialogo e non un miliziano che usa la propria penna, il proprio mestiere, per fare del male”.

L’ascesa del teologo editorialista va di pari passo con quella di un altro sacerdote quarantenne apprezzatissimo dal papa in materia di comunicazione: don Marco Pozza, cappellano del carcere di Padova e conduttore di una trasmissione sul Nove, protagonista lo stesso pontefice: “Vizi e virtù. Conversazione con Francesco”. Don Epicoco e don Pozza: sono i due volti del nuovo corso francescano sul fronte dei media. Del resto, l’esperienza della Chiesa in merito è antichissima: i quattro evangelisti furono i primi giornalisti cristiani.

 

Il destino dell’Italia è nelle mani (bucate) di Comuni e Regioni

Su quanti mani è stata poggiata la lastra di travertino con il nome sbagliato dell’ex presidente Ciampi? Oltre lo scalpellino, quanti occhi (gli addetti alla toponomastica del comune di Roma e del servizio del Cerimoniale) hanno visto e non hanno corretto l’errore (Azelio anziché Azeglio) prima che l’evento (l’intitolazione di uno slargo) finisse sepolto dall’imbarazzo? La vicenda romana è simbolo perfetto del grado di irresponsabilità di cui la burocrazia dà prova – nell’alto come nel basso della sua struttura – ed è il termometro di quale avventuroso cammino stiamo progettando nella messa a rete (a terra!) dei 209 miliardi del Recovery. Un fiume di danaro, una piena mai vista che dall’imbuto nazionale defluirà impetuosa – da questa estate e per i prossimi sei anni – nelle scodelle bucherellate di Regioni e comuni, i soggetti attuatori del grande piano di ripresa e resilienza.

Ad oggi sono 1083 i municipi in dissesto o pre-dissesto su un totale di 8389. Uno su otto. Il default è la certificazione di un malgoverno che spesso attraversa più mandati elettorali, coinvolge un nugolo di sindaci e assessori anche di parti politiche avverse, poggia le sue credenziali su opere faraoniche, investimenti poi rubricati come non sostenibili, mozziconi di appalti convertiti in controversie infinite, per non dire di quelli truccati o gonfiati. Finora lo Stato ha coperto con oltre undici miliardi di euro (dal governo Monti in avanti) le voragini che via via si sono fatte più estese e – complice il Covid – ora sono al livello di una mostruosa frana che incombe.

Gli appalti finiti spiaggiati nella inconcludenza documentano l’incapacità dell’amministrazione a far fronte ai suoi doveri. Questo è il cappello sotto al quale la palingenesi curiosamente sembra già nelle cose, miracoloso e istantaneo effetto collaterale dell’età di Mario Draghi. La vicenda giudiziaria di Lodi, i cui esiti sono stati al centro della cronaca, nasce per esempio proprio dalla necessità del sindaco Uggetti (arrestato, condannato in primo grado per turbativa d’asta e poi assolto in appello) di porre una toppa al buco di bilancio provocato da un azzardo che il suo predecessore, l’attuale ministro della Difesa Lorenzo Guerini, decise: costruire un grande impianto sportivo con tre enormi piscine. Due avevano retto ai costi della gestione. La terza no. Cinquecentomila euro di perdita il primo anno. Trecentomila il secondo. Una cifra che da sola, se il comune non avesse potuta coprirla con un mutuo, rischiava di bruciare il bilancio comunale. Da qui la toppa (affidamento anche di questa a un privato) peggiore del buco come poi si è visto. E fino all’anno scorso solo di debiti fuori bilancio, uscite cioè non previste né iscritte a ruolo (e parliamo solo di una parte del deficit complessivo), i comuni italiani ne avevano per due miliardi e mezzo. Un mare di fatture non saldate. Da sud a nord ci sono città metropolitane in coma finanziario e con una burocrazia ormai collassata, sfarinata, senza cuore e senza testa.

Napoli, per esempio, come potrà gestire le somme che pure le verranno associate in qualità di capitale del Mezzogiorno se i suoi uffici non riescono più a far di conto, i suoi tecnici a governare i progetti, i suoi ragionieri a tenere corrette le entrate e uscite? Buco miliardario sotto al Vesuvio – veleggiamo nel conto triste di tutti i debiti accumulati al di là dei tre miliardi e cinquecento milioni di euro – e marmellata di decreti ingiuntivi notificati al palazzo del Comune. E sotto l’Etna, con Catania, centro nevralgico della Sicilia, c’è un altro pezzo di Stato in agonia. Centinaia di milioni di euro. Il ponte sullo Stretto, oggi di nuovo di moda, dovrebbe vedere l’attiva partecipazione delle due città chiamate a sorreggerlo: Reggio Calabria e Messina, ambedue in odore di default. E Foggia, Pescara, Terni, Lecce, Alessandria, Brindisi e gli altri mille luoghi e casi di finanzia allegra? Che si fa con questi municipi? Si commissaria mezzo Paese? E con chi? Quali sono le energie vitali, i sostituti degni, i commissari ad acta? La centralizzazione delle opere, e il suo monitoraggio, lo smistamento delle risorse, il rendiconto quotidiano di ciò che si fa e di quanto resta da fare, costringe palazzo Chigi ad arruolare 550 manager e 24 mila contrattisti destinati ai ministeri centrali per irrobustire la struttura operativa. Ma al primo giro di boa, il concorso per l’assunzione a tempo di 2800 figure specializzate nella contrattualistica e nella ragioneria, il primo splash: la metà dei posti messi a bando è andata deserta e il ministero della Pubblica amministrazione si è trovato costretto a rinnovare l’avviso pubblico. Chi guiderà, gestirà, controllerà l’altra Italia se lo stesso ministro Renato Brunetta ha iniziato ad alzare bandiera bianca: “Temo che non troveremo decine di migliaia di professionisti”, ha detto. Chi registrerà in Calabria, che ha il 70 per cento dei comuni in crisi finanziaria, il flusso del denaro in arrivo? Un nuovo generale Figliuolo? E quanti Figliuolo servirebbero?

Dunque: Recovery fund o Recovery splash? Nel decreto semplificazioni, accantonata per fortuna la norma suicida dell’affidamento dei lavori al massimo ribasso, è stato reintrodotta la possibilità di costruire con il cosiddetto appalto integrato. La pubblica amministrazione può affidare la progettazione alla stessa ditta che si aggiudica l’appalto. La storia di questo particolare affidamento, che ripone straordinaria fiducia nella correttezza dell’appaltatore, introdotto e poi revocato più di una volta, è che in questo modo i lavori invece che essere più spediti crudelmente rallentavano e lo Stato, invece che padrone dell’opera, diveniva ostaggio dell’appaltatore, al quale aveva appunto delegato con la progettazione ogni controllo. Subiva continue richieste di variazioni, conseguenti aggiornamenti dei prezzi, lievitazione dei costi e allungamento dei tempi. L’appalto integrato fu abolito nel 1993 con Mani pulite, poi reintrodotto dal governo Berlusconi, poi di nuovo abolito da quello Renzi.

Oggi si riesuma ciò che abbiamo seppellito fidando nella dea bendata. Come se il Recovery fosse una mistura miracolosa, dose straordinaria di fede nelle meraviglie del mondo che verrà.

Vietato l’accesso sul sagrato della basilica di Santo Spirito

“In Napoli, i signori hanno per usanza di cavalcare, e pigliare la sera il fresco quando quei caldi gli assaltano. In Roma, si stanno per le fresche vigne, e per le posticie fontane a ricrearsi. A Venezia, in pulitissima barca se ne vanno per i canali freschi, e per le salate onde fuori della città, con musiche, donne, e altri piaceri: pigliando aere da scacciare il caldo che ’l giorno eglino hanno preso. Ma sopra tuti gli altri freschi, et sopra tutti i piaceri, mi par vedere che i fiorentini se lo piglino maggiore: questo è ch’eglino hanno la piazza di Santa Liberata, posta nel mezzo fra il tempio antico di Marte, ora San Giovanni, et il duomo mirabile moderno, hanno (dico) alcune scale di marmo, et l’ultimo scalino ha il piano grande, sopra dei quali si posa la gioventù in quegli estremi caldi, conciosiache sempre vi tira un vento freschissimo, e una suavissima aura, et per sé i candidi marmi tengano il fresco ordinariamente”. Così scriveva il fiorentino Anton Francesco Doni nel 1552: i suoi concittadini giovani amavano sedersi, d’estate, a frescheggiare sulle scalinate delle chiese, e in particolare su quelle del Duomo – i “marmi”, da cui il suo libro prende il titolo. Se tornasse oggi a Firenze, Doni non la riconoscerebbe: progressivamente, quelle scalinate vengono espropriate, precluse, sequestrate.

In nome del decoro, dell’ordine pubblico, della lotta al degrado: ma vietare ai cittadini di sedersi dove generazioni di loro padri si sono seduti è indecoroso, privatizzante, degradante. Oggi è la volta dell’ampio sagrato della basilica brunelleschiana di Santo Spirito, cuore pulsante dell’Oltrarno. Una piazza amatissima: una delle poche rimaste vive, visto che della piazza del Duomo esaltata dal Doni e di quella della Signoria si è fatto un commercialissimo deserto. È vero: la pressione antropica sulla piazza è molto forte, e una parte dei residenti da tempo lamenta a ragione la trasformazione del sagrato in orinatoio, il caos notturno, il manto di vetri di bottiglie che la mattina copre tutto. È un problema, certo, e per risolverlo ci sono 2 strade possibili: la ricerca delle cause, e di possibili soluzioni; o la via breve e autoritaria del divieto, che non rimuove le cause ma inibisce i sintomi, semplicemente spostandoli altrove. Quale strada avrà imboccato la perspicace amministrazione del democratico Dario Nardella? Ma la seconda, ovviamente.

Nessuna analisi sugli spazi pubblici (non commerciali) della città, sulla quantità di panchine e di bagni non riservati a chi consuma, sulla quantità abnorme di caffè e ristoranti della piazza e del quartiere. Nessuna riflessione su cosa Firenze offra ai suoi giovani, se non come consumatori e clienti. Nessuna riflessione sulla museificazione, anzi mummificazione, della città monumentale. Unica soluzione: una grottesca cordonatura, sorretta da immense basi di cemento rivestite di metallo, che avrà bisogno di un costante apparato di controllo e repressione. E intanto prontamente distrutta da una folla di oltre 200 persone nella notte tra venerdì e sabato. Sembra l’installazione di un artista distopico per rappresentare la città negata, del “sorvegliare e punire” foucaultiano. Firenze è ormai tutta così. Qualche mese fa, una giovane studiosa mi scriveva a proposito della terrazza della Galleria degli Uffizi, che è poi il tetto della Loggia dei Lanzi: “Vi erano, fino all’anno scorso, anche due panchine per sedersi, per prendere una boccata d’aria e per ammirare la Torre di Arnolfo. Certamente, due sole panchine sono poca cosa se consideriamo l’affollamento degli Uffizi in un qualsiasi pomeriggio d’estate, ma era meglio della situazione che ci siamo trovati davanti successivamente. Perché ora la terrazza è tutta caffetteria. Niente più boccata d’aria, niente più riposo con vista per guide e per il povero visitatore che non solo ha pagato ben 24 euro d’ingresso, ma deve anche andarsene rapidamente, o consumare”. Pezzo a pezzo la “città della bellezza” cancella i pochi spazi rimasti per diventare, e rimanere umani: sempre più escludente, e nemica.

Nel caso di Santo Spirito, poi, c’è anche un altro aspetto su cui riflettere: a esser recintata è una chiesa. Cioè un luogo che o è aperto a tutti, o non è. Al priore agostiniano di Santo Spirito, comprensibilmente esasperato dalla situazione ma incomprensibilmente entusiasta del recinto, vorrei sommessamente ricordare le parole di un altro priore, quello di Barbiana: “Per un prete, quale tragedia più grossa di questa potrà mai venire? Esser liberi, avere in mano Sacramenti, Camera, Senato, stampa, radio, campanili, pulpiti, scuola e con tutta questa dovizia di mezzi divini e umani raccogliere il bel frutto d’essere derisi dai poveri, odiati dai più deboli, amati dai più forti. Aver la chiesa vuota. Vedersela vuotare ogni giorno più. Saper che presto sarà finita per la fede dei poveri. Non vien fatto perfino di domandarti se la persecuzione potrà essere peggio di tutto questo?” (don Lorenzo Milani, Esperienze pastorali, 1957).

“La morte mi intriga, coinvolge e incuriosisce Io andrò in Paradiso”

“Sono assatanato della morte. Incuriosito dall’idea dell’aldilà. Che cosa c’è nell’aldilà?”.

Secondo me per Carlo Rossella, il propagandista servile dell’età berlusconiana, c’è il Purgatorio.

Perché mi dai del propagandista? Sono stato suo amico. La politica non mi ha mai coinvolto, infatti a un certo punto l’ho mollato.

Giornalista viaggiatore, anche cronista della bellezza, raffinato esegeta dell’alta società. Hai avuto fortuna.

Ho vissuto quattro vite in una, ho viaggiato come nessuno, ho incontrato il mondo.

Sei stato fortunato.

Altro che!

Con la fortuna che ti ritrovi possibile che becchi il Paradiso.

Ci penso sempre più spesso a sera, quando mi addormento. Ho 78 anni e mi dico: e se non mi sveglio più?

Ho letto che sei divenuto ipocondriaco. Anche Berlusconi, sai?

Chiuso in casa, terrorizzato dal Covid. La morte che ti insidia, ti punge, si avvicina.

La morte apre le porte di un’altra vita.

Capperi se non lo so! Perciò sono assatanato di curiosità.

Chissà il Paradiso com’è fatto.

Ecco, penso che rivedrei i miei genitori, gli amici.

Un mucchio di gente, un’altra festa. Tu sei abituato alle feste eleganti.

Tanti se ne sono andati, mi piacerebbe rivederli.

Rivedresti anche i rompiballe.

Quelli che ti dicono: sai devo dirti una cosa…

Che rottura!

Indicibile, solo al pensiero mi viene da piangere.

Intanto non sei morto ancora. In questo modo li eviti, ricordatene.

Sto chiuso in casa da un anno e più, non vedo nessuno. È una meraviglia.

Tua moglie è contenta di questo trapasso?

Della morte?

Della vita segregata, che è altro dalla morte auspicata.

Ma la morte è liberazione, curiosità, anche avventura.

Ad oggi non abbiamo conferme, purtroppo.

Chi crede lo sa. Io credo e lo so.

E se ti toccasse il Purgatorio? Qualche marachella l’hai fatta.

Confidiamo nel Paradiso.

L’Inferno no, non è per Carlo Rossella.

Non lo meriterei affatto, posso dirlo con tranquilla e serena sicurezza.

Tanto non muori.

E chi lo dice? Sai quanti amici se ne sono andati col Covid?

Tu nemmeno l’hai avuto. Sei solo morto di paura.

Atterritto.

Sepolto dal sospetto e dallo spavento.

Qui con i miei libri, a sfogliare le copertine di quelli che non ho potuto mai leggere, a guardare il mappamondo.

In Paradiso come ci vai?

Non nella cassa. Terribile.

Terribile, scomodo e troppo popolare.

Cenere sei e cenere ritornerai.

C’è più gente all’inferno o al paradiso?

Sono ottimista e dico che i buoni sono in maggioranza.

Tu eri un falso buono. Hai fatto carriera con Berlusconi.

Propagandista non me lo devi dire.

Ti ha fatto bis-direttore, e poi presidente di Medusa.

Confermo la stima, anche se da tempo non ci sentiamo.

Se i poteri forti hanno gli agganci giusti ritroverai lassù tutti i bei nomi.

Come dicevo, mi preoccupano i rompiballe.

Quelli esistono in ogni luogo.

Io ci credo veramente nella esistenza di qualcosa dopo la morte. Ho certezza nella fede.

E sei così curioso…

Ecco, di vedere proprio cosa mi succede.

L’unico guaio sarebbe un giudizio di parziale assoluzione. Nessuno vorrebbe ritrovarsi dopo una vita di inferno…

…nell’Inferno vero?

Appunto.

Sono certo di non meritarlo.

Vorresti andare prima in Australia però.

L’Oceania è l’unico continente che non conosco. Appena mi rimetto ci vado.

La caviglia come sta?

Guarigione lenta e complessa. Terrorizzato dal Covid, che poi manco è venuto a trovarmi, sono caduto come un fesso in casa.

Viva l’Australia.

Appena mi rimetto, parto.

E se non parti?

Sai che mi piace questa clausura?

Ti fa venire però brutti pensieri.

Ma che dici? La morte è liberazione, e poi parlandone si dilegua.

Alcuni luoghi dell’Australia sono morfologicamente assimilabili al Paradiso.

Viva il Paradiso!

La sai l’ultima?

 

Pakistan Il sosia di Donald Trump è un gelataio albino del Punjab con una voce spettacolare

Pare che ogni individuo abbia almeno un sosia nascosto in qualche angolo del mondo, lontano o vicino. Il doppelganger di Donald Trump è un insospettabile: è un pakistano albino che vende gelati nelle strade di Sahiwal nel Punjab. Ha una voce meravigliosa e la sua strategia di marketing consiste nel cantare a squarciagola in urdu mentre spinge il carretto con la sua merce. La somiglianza con il puzzone americano – andate pure a verificare nel video del Daily Mail – è in effetti piuttosto notevole. Il gelataio ha un’età sui 40 anni, i capelli ovviamente non hanno quella tinta arancione indefinibile dell’ex presidente degli Stati Uniti e se la passa senza dubbio meno bene dal punto di vista materiale (gli albini peraltro sono vittime di terribili discriminazioni in gran parte del mondo). Ma il Trump bianco ha sicuramente fatto meno danni del suo sosia famoso e mentre canta per le strade del Punjab sembra sollevato e in pace con sé stesso. In bocca al lupo.

 

Sicilia Due cinghiali nuotano in alto mare a cinque miglia da Marzamemi. Un pescatore li riprende con il cellulare

Tra i generi giornalistici più amati dalle grandi firme nostrane, c’è la rassegna quotidiana sulla fauna selvatica di Roma. Ci sono editorialisti che per addormentarsi la notte invece di contare le pecorelle contano i cinghiali, e chiudono gli occhi beati solo se possono sognare l’ennesimo corsivo sulle condizioni drammatiche della città eterna. Questa notizia è dedicata a loro: un pescatore ha avvistato e ripreso con il cellulare due inediti cinghiali marini. Nuotavano nell’acqua alta parecchio a largo di Marzamemi, in Sicilia. “Mi trovo a pesca a cinque miglia di distanza dalla costa e guardate cosa ho trovato – dice nel video – è impressionante. Ora li sto scortando verso terra, saranno stanchissimi”. Il pescatore giustamente non si capacita: “Qui da noi non è nemmeno zona di cinghiali, verranno dall’Africa o qualcuno li avrà buttati in mare da qualche nave”. Vuoi vedere che alla fine erano cinghiali di Roma pure questi? Saranno arrivati in traghetto da Civitavecchia? Che degrado.

 

Star System Due grandi menti si uniscono: la figlia di Wanna Marchi è diventata l’agente di Fabrizio Corona

L’Italia è un paese meraviglioso, una terra di opportunità illimitate per tutti i già ricchi e i disonesti. Se hai i soldi, la faccia come il culo oppure sei un bandito – o addirittura i fenomeni si verificano insieme – questo Paese ti darà la possibilità di realizzare ogni tuo sogno. Un lungo e borioso preambolo per anticipare una notizia davvero felice: Stefania Nobile, la figlia dell’ex regina delle teletruffe Wanna Marchi, è la nuova agente di Fabrizio Corona. Tre nomi in fila che mettono di buon umore: un cenacolo di egomaniaci dalla spiccata attitudine criminale. Scrive Tpi: “Condannata per truffa insieme alla madre, oggi Stefania Nobile è diventata manager di personaggi dello spettacolo e tra questi c’è proprio l’ex ‘re dei paparazzi’, al momento agli arresti domiciliari. Sul suo profilo Instagram, Stefania Nobile ha dato l’annuncio: ‘Da oggi sono l’agente di Fabrizio Corona. Grande Fabri, faremo un mare di cose insieme. Sei il numero 1, non ho mai avuto dubbi’”. Evviva.

 

Lecce Gli sposini scappano senza pagare il conto del matrimonio da 13mila euro: ora vanno a processo

Il matrimonio dei sogni è quello che non paghi. Due giovani sposi hanno festeggiato la propria storia d’amore di fronte alla comunità di parenti e amici, si sono giurati sostegno e fedeltà e poi “hanno fatto il vento” senza onorare la parcella della fastosa cerimonia. Un conto da 13mila euro per la cornice di Villa Vergine, una bella dimora settecentesca alle porte di Cutrofiano, in Salento. “Un banchetto con tanto di torta, dolci, spumante e il pernottamento nella suite in una delle location più suggestive di tutta la provincia di Lecce. Una cena a sbafo, però – scrive il Corriere Salentino – M.S., lui e F.S., lei, rispettivamente di 38 e 35 anni, entrambi residenti a Taurisano, dovranno ora saldare il conto anche con la giustizia. Il giudice per le indagini preliminari Marcello Rizzo ha infatti disposto un decreto di citazione a giudizio nei confronti della coppia accusata di insolvenza fraudolenta dopo l’opposizione ad un decreto penale di condanna. E il prossimo 2 luglio scatterà il processo”.

 

Treviso Una 60enne si dimentica sull’autobus la borsa con dentro 18mila euro in contanti. L’autista gliela riporta

A chiunque capita una distrazione fatale: si può perdere il portafogli, il telefono, le chiavi di casa, un oggetto a cui si tiene. Ma una signora di 60 anni a Treviso si è dimenticata sull’autobus una borsa con dentro 18mila euro in contanti. E alla fine l’ha pure ritrovata. Non sappiamo quale sia la natura del tesoro, e sembra strano che non sia scattato nessun controllo, ma questa è la storia raccontata da Today.it: “Trascorsi pochi minuti l’autista è stato chiamato dalla sala di controllo dove si era presentata disperata la proprietaria della borsa smarrita. Si tratta di una 60enne originaria dell’Est Europa. L’autista, ricevuta la segnalazione, è tornato a Treviso da Spresiano per restituire la borsa alla proprietaria”. Il conducente del bus aveva trovato nel borsello un taccuino con un migliaio di euro in contanti, ma quando è stato restituito alla signora, “lei si è affrettata a cercare altro. All’interno della borsa c’erano infatti decine di mazzette per un totale di 18mila euro”. La donna ha ricompensato il gentilissimo autista con una banconota da 50 euro: s’è sprecata.

 

Florida Pronuncia il nome della sua ex mentre dorme, la fidanzata la prende a cazzotti e finisce in cella

Bisogna stare molto attenti a cosa si sogna. E molto attenti anche alla persona con cui si decide di condividere il talamo. Si può rischiare assai: in Florida una donna ha farfugliato qualche frase sulla sua ex fidanzata mentre dormiva e la sua attuale compagna, che era stesa accanto a lei, l’ha presa a cazzotti. “La 23enne Alexis Talley – scrive Fq Magazine citando una notizia del sito The Smoking Gun – è stata arrestata per percosse domestiche dopo aver presumibilmente picchiato la sua attuale fidanzata e convivente. La compagna 21enne avrebbe, secondo il rapporto degli agenti, parlato durante il sonno di una sua ex. La reazione della Talley, che però si dichiara innocente, sarebbe stata quella di prendere la 21enne a pugni sul viso. Talley, rilasciata dopo aver pagato 2.500 dollari di cauzione, ha spiegato che le ecchimosi e i lividi sul viso della vittima sarebbero il risultato di una lite precedente non avvenuto con lei”.

 

New York Un rider in bicicletta accoltellato alla schiena mentre lavora, si rialza e porta a termine la consegna

Una metafora dei rapporti di forza nel mondo del lavoro: un rider newyorkese è stato accoltellato alla schiena mentre era di turno, si è rialzato, ha ripreso la bicicletta e ha terminato la consegna senza fare una piega. Lo racconta l’Agi: “Il fattorino di Brooklyn, un asiatico di 53 anni, verrà probabilmente ricordato come il delivery guy più professionale della Grande Mela: domenica pomeriggio, mentre in bici stava raggiungendo un cliente nella zona di Fulton Street, a Brooklyn, per portargli la cena, l’uomo è stato raggiunto alle spalle da un ciclista con felpa verde e maschera da sci”. Il rider è stato accoltellato più volte alla schiena. “L’aggressore si è poi allontanato. Il fattorino, pur insanguinato, invece di chiedere aiuto si è rialzato, è salito sulla sella della bici e si è diretto a casa del cliente per completare la consegna. Solo dopo è andato in ospedale dove è stato ricoverato per le ferite”. L’aggressione è stata ripresa dalle telecamere di sorveglianza, forse il vigliacco la pagherà. L’assurdità del lavoro precario non è sotto indagine.

Contagi e morti, in 24 ore i numeri più bassi del 2021

Numeri mai così bassi nel 2021. Certo, la domenica non è statisticamente il migliore dei giorni per la lettura dei dati epidemiologici, tuttavia per trovare un numero di contagi e di morti simile a quello registrato ieri, bisogna tornare all’anno scorso.

Nelle ultime 24 ore sono stati 881 i nuovi contagi Covid denunciati in Italia, sotto soglia mille per la seconda volta questo mese, ma soprattutto il numero più basso dall’agosto 2020. Diciassette, invece, i morti, il dato più basso del 2021. Per trovare un numero simile si deve tornare indietro all’ottobre 2020. Il numero totale dei decessi sale ora a 127.270 vittime dal febbraio del 2020. Continua a diminuire anche la pressione sugli ospedali: 2.444 i ricoverati nei reparti Covid ordinari (-60 rispetto a sabato, 389 i malati in terapia intensiva (-5, a fronte di 12 nuovi ingressi).

Continua, intanto, la polemica sulle piroette di governo a proposito di vaccinazioni eterologhe e AstraZeneca agli under 60. Alla lettura mainstream del Draghi risolutore che nel breve volgere di una conferenza stampa risolve ogni contraddizione, risponde (intervistato da La Stampa) l’immunologo membro del Comitato tecnico scientifico Sergio Abrignani: “Non è accettabile – dice – farci passare per un branco di ubriachi, che cambiano le indicazioni a caso”.

Abrignani ricorda che entrambi i pareri del Cts, quello alla base della raccomandazione ministeriale dell’11 giugno (che di fatto imponeva agli under 60 vaccinati con AstraZeneca la seconda dose di Pfizer o Moderna) e quello di sette giorni dopo (che di fatto lascia libertà di scelta) non c’è contraddizione: entrambi, “in ottemperanza al principio di massima cautela”, raccomandano l’utilizzo di un vaccino a mRna per il richiamo degli under 60 vaccinati con AstraZenca, salvo (nel secondo) aggiungere la libertà di scelta “dopo acquisizione di adeguato consenso informato”.

Il Cts deve esprimere un nuovo parere, quello sulla eventuale fine dell’obbligo di mascherina all’aperto. Il Comitato deciderà in settimana, ma le pressioni sono evidenti, perché l’esecutivo ha già indicato due possibili date: il primo o il 5 luglio. E sul governo continua il pressing del centrodestra di governo, con Matteo Salvini che vuole intestarsi questa battaglia e che sabato ha detto: “Ringrazio Draghi per avere chiesto il parere al Cts e spero che arrivi il prima possibile. Deve avvenire il prima possibile. Non ce la si fa più“. Ieri per Forza Italia ha ribadito il concetto Licia Ronzulli: “Speriamo di togliere questa mascherina il prima possibile e quindi il Cts si prenda le sue responsabilità, all’aperto si può stare anche senza mascherina”.

Infine, i vaccini: Sono 45.767.366 le somministrazioni effettuate finora in Italia (sabato 523 mila. Il 50,81% della popolazione (oltre 30 milioni di persone) ha avuto la prima dose, oltre 15 milioni (il 26% della popolazione) ha completato l’intero ciclo.

Bologna, 25 mila ai gazebo. Italia Viva manca la spallata

“Se vinco farò un discorso da papessa: ecumenico, aperto a chiunque, prospettico, inclusivo. Se perdo di misura, beh ho dato l’anima e i risultati si saranno visti. Terzo, ma non ci voglio pensare proprio…”.

Ora che sono le nove di sera e l’afa ha quasi vaporizzato Bologna, il Pd ha la vittoria in tasca ed esce così dal buio della crisi di nervi nella quale l’aveva ficcata Isabella Conti, papessa sembrerebbe mancata, la ex che non solo si è ribellata alla nomenclatura del partito-città e alle regole ferree che ne discendono, ma l’ha fatto grazie a un vero affronto: il suo nome era stato indicato da Matteo Renzi, la sua tessera di partito è quella di Italia Viva.

Bologna, sudata e mascherinata, l’abbigliamento della malattia, si è recata ai seggi per segnare lo stigma renziano, bollinare come irricevibile la proposta della giovane sindaca di San Lazzaro di sovvertire l’ordine emiliano, e pescare nel lago salato post comunista. “Da qui diamo un segnale all’Italia”, dice Matteo Lepore, il figlio del partito, il prescelto, l’assessore uscente e, con ogni probabilità il futuro sindaco emiliano.

Perché le primarie di Bologna non sono un saggio della candidatura di uno schieramento politico ma l’annuncio di ciò che capiterà il 12 ottobre prossimo, quando si terranno le elezioni.

Perché è questa la novità: il vero voto si teneva oggi, la vera avversaria del Pd era questa sua giovane e ora ripudiata figlia, la sindaca di San Lazzaro, amabile, capace, efficiente, anche coraggiosa. Ma con l’enorme deficit di aver trattato il suo futuro con Renzi, di essersi affiliata alla sua corte, di aver cannibalizzato la contesa e reso così aspro il conflitto che persino Romano Prodi, osservando la ferocia dello scontro ha sibillato con soave cinismo: “Scorrerà il sangue.”. Ieri, dopo aver votato insieme a sua moglie Flavia, ha spiegato: “Da domani ci sarà una grande unità, tutti dovranno collaborare”.

È Lepore il candidato che sta vincendo, quasi stravincendo: alla Dozza agguanta il settanta per cento delle preferenze, a Reno le supera, e anche al Pilastro il vantaggio sarebbe ormai così avanzato da apparire irraggiungibile.

“Isabella è stata una speranza, una forza, una luce per questa città. Il partito si è chiuso a riccio, in un ostracismo che non ha aiutato. Io, per esempio, sono stato deferito ai probiviri senza un perché. Incolpato di una norma che non esiste, accusato di chissà quale tradimento. Ma alle primarie tutto il centrosinistra ha il dovere di scegliere e chiunque può dire la sua, o no?”. Così Marco Lombnardo, assessore uscente ed eretico che adesso aspetta la sanzione, la sentenza di condanna: “Arriverà domani, c’è da giurarlo”.

“Ma cosa si costruiva con la Conti? Cosa ce ne facevamo di Renzi il distruttore. Matteo Lepore è l’unico che tiene unito lo schieramento, che coagula i cinquestelle fino alla sinistra di Schlein e i movimenti come le sardine. Lui ha fatto le cose giuste e non ho alcun dubbio che vincerà”, dice Stefano Caliandro, consigliere regionale. “Guardate che tutti si sono sfilati dalla corsa, io sono rimasto l’unico ad accettare l’investitura, altro che imposizione”, ha spiegato Lepore.

I venticinquemila (i conti saranno certi questa notte) hanno liberato Bologna dal malocchio renziano e ridato all’Italia, dice Emanuele Felice, economista e con Zingaretti nella segretaria nazionale, “la conferma che questa è la città più progressista, più aperta, più forte. E’ e resta il baluardo del Pd”.

Non c’è altro da dire: il comitato della sfidante alle dieci di sera è già deserto, già svuotato delle energie che pure avevano segnato una candidatura che galoppava in città entusiasmando persino il centrodestra che nella Conti vedeva il cavallo di Troia per scardinare il potere costutuente che la sinistra detiene dal dopoguerra, ad eccezione della grande insubordinazione al tempo di Guazzaloca sindaco.

Lepore è figlio della periferia, ha poco più di quarant’anni, e uno stile di vita da diligente, efficiente amministratore. Un mediano di spinta che oggi vince contro la sorridente, vulcanica Isabella, papessa per una notte.

“Salario minimo e reddito, i diritti vanno rafforzati”

Il grillino della prima ora giura che sì, ci crede nel nuovo Movimento: “Il M5S è sempre cambiato, nel 2013 era già molto diverso da quello del 2010. Stando al governo abbiamo imparato tante cose e ci abbiamo rimesso sul piano del consenso, ma abbiamo anche realizzato molti punti di programma. E ora possiamo crescere”. Il presidente della Camera Roberto Fico professa ottimismo. E dice la sua, su molti temi.

Doveva candidarsi come sindaco di Napoli, la sua città. E invece nulla. Temeva la sfida?

No, è stata una scelta di lealtà. Ho accarezzato l’idea di candidarmi, perché amo la mia città. Ma la politica è servizio e non posso dimenticare i miei doveri come presidente della Camera e il rispetto per le istituzioni.

Cosa vede dalla sua postazione? I diritti sociali, partendo da quello al lavoro, sembrano traballare.

Non penso che i diritti stiano vacillando adesso. Su temi come la sicurezza del lavoro si discute da tempo, ma è evidente che si deve fare di più, per arrivare a una situazione degna di un paese civile.

Nel concreto?

I diritti vanno rafforzati, e in quest’ottica è fondamentale il salario minimo. È una misura che non toglie a chi fa i contratti, ma che dà più tutele ai lavoratori.

Lei parla di tutele, ma il governo non vuole prorogare il blocco dei licenziamenti.

Io sono favorevole alla proroga del blocco, ma senza strappi. Bisogna confrontarsi e tenere conto della situazione esistente.

La proroga non ci sarà. E il reddito di cittadinanza è sotto attacco, no?

Il reddito di cittadinanza non va solo difeso, ma rilanciato. Possiamo facilmente immaginare cosa sarebbe successo durante la pandemia se non ci fosse stato. È ridicolo sentire che non si trovano dipendenti a causa di questa misura. Piuttosto, i lavoratori chiedono il rispetto dei diritti e una giusta retribuzione.

Ma sulla creazione di posti di lavoro non ha funzionato come doveva.

La misura si può certamente migliorare. Ma chi va contro il reddito di cittadinanza va contro le tante persone in difficoltà.

Mario Draghi ha chiamato come consulenti per la politica economica esperti iper-liberisti. Il governo sta prendendo una rotta che porta a destra?

Non vedo questo rischio. La politica di questo esecutivo è di carattere espansivo, non possiamo basarci sui nomi. Dopodiché ci sono priorità come il Sud e i Comuni, che hanno bisogno di tecnici in grado di elaborare i progetti per utilizzare al meglio i soldi del Pnrr.

Draghi sta svuotando i partiti e in generale la politica, debolissima: giusto?

Non è lui a svuotare i partiti. La loro crisi è iniziata molto tempo fa, e il Movimento è nato anche per rispondere a questo.

Anche il M5S ormai è un partito.

Il Movimento sta facendo un percorso, e sta cambiando tante cose. Ma i nostri principi devono restare.

Vi state adeguando a tutto, per mantenere poltrone e posti di governo. O no?

Noi siamo la prima forza in Parlamento, e nel 2018 abbiamo deciso di iniziare un quinquennio al governo. Ci siamo assunti le nostre responsabilità, e prima di farlo abbiamo sempre consultato gli iscritti. Per questo abbiamo dato vita a diversi governi, tra cui uno anche con la Lega.

Ora arriverà il capo Giuseppe Conte con pieni poteri. E pare che Beppe Grillo sia in sofferenza. Conferma?

Conte sarà il leader del M5S e Beppe resta il Garante. Non mi sembrano affatto in contrapposizione. C’è una squadra che sta lavorando. E se c’è un po’ di discussione non può che fare bene.

Buona parte del Pd non vuole l’accordo con il M5S.

È normale che ci sia dibattito in una forza politica. Mi stupirei del contrario.

La strada del Movimento ormai è nel centrosinistra?

Il M5S deve essere autonomo, con i suoi principi e i suoi valori. Dopodiché questa visione di società forse è più semplice da declinare nel centrosinistra.

Di Maio ha rilanciato su Chiara Appendino: “Alla sua esperienza si deve dare continuità”. Lei come vedrebbe una sua ricandidatura a Torino?

Penso che Chiara sia stata un’ottima sindaca e di certo sarebbe bello dare continuità all’esperienza amministrativa di questi anni.