Mix di vaccini: quanti errori

Il nuovo tormentone è l’utilizzo del mix di vaccini al posto delle due dosi di uno stesso. Il tentativo che vorrei fare è aiutare a vedere la realtà dei fatti al di là della cortina fumogena maldestramente alimentata da tutti, a partire da chi dovrebbe ricoprire certe posizioni proprio con lo scopo opposto. Innanzitutto, la proposta di cambiare schema vaccinale non arriva dai nostri “scienziati”, ma da lontano. Già in gennaio se ne è discusso in Gran Bretagna e negli Stati Uniti. In Canada e in altri Paesi è già adottato. L’unico lavoro pubblicato su rivista accreditata, Nature, è stato condotto da un gruppo di ricercatori spagnoli. Lo studio Combivax (così si chiama il mix di vaccini) ha arruolato (solamente!) 663 soggetti tra i 18 e i 59 anni, che hanno già ricevuto la prima dose del vaccino AstraZeneca e 450 (solamente!) di questi, sono stati trattati con una seconda dose con vaccino Pfizer. In quest’ultimo gruppo, si è avuto un incremento anticorpale più significativo di quello riscontrato nel gruppo controllo, che aveva ricevuto due dosi AstraZeneca. Sono, dal punto di vista scientifico, numeri irrisori. Gli stessi autori, infatti, invitano alla cautela. Di contro, un altro studio, pubblicato su Lancet, dimostra che il mix vaccinale mostra un aumento degli effetti collaterali, anche se non gravi. Anche questo condotto su un campione di soggetti molto limitato. Sebbene l’uso dello schema Combivax potrebbe apportare un beneficio logistico e una migliore gestione della campagna vaccinale, credo che in nome dell’emergenza abbiamo già concesso troppe scorciatoie scientifiche. La morte di una giovane che, indubbiamente, scatena una reazione emotiva superiore alle centinaia di morti giornaliere a cui abbiamo assistito, non può autorizzare scelte affrettate. Il fatto è ancor più grave, non solo per una deroga alla serietà scientifica, ma anche per il disorientamento che ne sta derivando. In Italia, dall’errata comunicazione è derivata la percezione dell’ennesima affrettata decisione, dopo altri significativi cambiamenti. Risultato di questi giorni è il sensibile calo di vaccinazioni.

Amazon, Walmart e la sanità futura

C’è una fraseassai nota del linguista Noam Chomsky: “Questa è la tecnica standard per la privatizzazione: taglia i fondi, assicurati che le cose non funzionino, fai arrabbiare la gente, consegna la gestione al capitale privato”. Ovviamente questo vale per tutti i servizi pubblici, ma in particolare per i due in cui lo Stato intermedia la maggior quantità di risparmio: salute e pensioni. Quanto alla prima, forse il lettore saprà che da oltre 10 anni cresce la spesa privata, spesso per tagliare i tempi delle liste d’attesa: due anni fa, ultimo dato Istat disponibile, in totale si aggirava sui 40 miliardi, il 2,3% del Pil (più che in Germania e Francia, meno che in Spagna e Portogallo). Tutte cose, la citazione e le statistiche, che ci sono tornate in mente leggendo un articolo dal sapore vagamente orwelliano, pubblicato martedì da Italia Oggi, in cui si raccontava il nuovo “duello” commerciale in corso tra la mega-catena di distribuzione Usa Walmart e la ancor più grande Amazon spostatosi “sul terreno della salute: in palio un bacino di spesa di 2.400 miliardi di euro negli Usa”. Pare che ci si possa fare un abbonamento “Walmart+” per 98 dollari l’anno e avere lo sconto “sui farmaci prescritti più comunemente (diabete, problemi cardiaci, psicofarmaci)”. E Amazon? Ha reagito subito e “ha iniziato a offrire prescrizioni per i membri Prime all’equivalente di 1 dollaro al mese con una fornitura di sei mesi”. Walmart, poi, “sta entrando nel business della telemedicina, un settore già coperto da Amazon Care”. Pare, o così dice la catena di supermercati, che “le persone si aspettano un accesso omnicanale alle cure e l’aggiunta della telemedicina consente di fornire assistenza di persona”. Un residuo senso di sé potrebbe far storcere il naso a qualcuno nell’affidare il servizio sanitario a due supermercati, ma bisogna intendersi: se i diritti di qualunque genere, come si scrive e si dice ogni giorno, sono sottoposti alla compatibilità economica allora tutto è in vendita. Perché in una società siffatta sullo scaffale, tra shampoo e detersivi, non dovrebbero finire gli stessi esseri umani, i loro pezzi difettosi, le loro debolezze? “Tutti gli animali sono uguali, alcuni sono più uguali degli altri” (e i meno uguali possono essere venduti).

È solo il lavoro che può rigenerare il centrosinistra

 

“Nel lavoro libero, creativo, partecipativo e solidale l’essere umano esprime e accresce la dignità della propria vita”

(dall’esortazione apostolica Evangelii Gaudium di Papa Francesco – 2013)

 

La nostra Repubblica, come recita l’articolo 1 della Costituzione, è fondata sul lavoro. E sul lavoro, appunto, potrebbe essere rifondata la sinistra italiana, quello schieramento riformatore e progressista che al momento comprende il Partito democratico, il Movimento 5 Stelle e Leu, contrapposto al centrodestra sovranista e padronale costituito da Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia. Già, ma quale lavoro? Il lavoro che manca e non si trova? Quello precario, provvisorio, insicuro dei rider che consegnano la pizza a domicilio? Quello sottopagato, sfruttato, schiavizzato? Il “lavoro nero” che spesso provoca le “morti bianche”?

È a questi interrogativi, richiamati drammaticamente dall’uccisione di un sindacalista ieri a Novara, che la nuova sinistra deve dare risposte concrete e praticabili. Soluzioni applicabili a un’economia di mercato, dominata ormai dalla finanza e dalla tecnologia. Compatibili con la dignità dell’individuo, con l’ambiente e con la salute, con quello sviluppo sostenibile di cui molti si riempiono la bocca solo per riempirsi le tasche.

Fa bene Giuseppe Conte, da leader in pectore dei Cinquestelle, a mettere il lavoro al primo posto nella triade riassuntiva del suo programma, seguito dall’ambiente e dalla legalità. È una scelta strategica che sarebbe già sufficiente ad attribuire un’identità al neo-Movimento che l’ex premier sta cercando faticosamente di rilanciare. Ma, davanti all’evoluzione tecnologica che distrugge la vecchia occupazione più di quanta ne crei, si tratta di un impegno epocale che deve coinvolgere l’intero fronte progressista, al di là delle differenze politiche e delle divergenze elettorali.

Questa è la sfida principale del nostro tempo. Il futuro dell’umanità, tanto più dopo la pandemia da Covid-19, si misurerà proprio dalle risposte che sapremo dare alle istanze sociali del lavoro, dell’ambiente e della salute. Un agglomerato di valori e diritti che non possono essere più separati l’uno dall’altro. Non c’è lavoro senza rispetto della dignità, individuale e collettiva.

Non può bastare evidentemente l’impegno di un partito o di una coalizione per affrontare una “transizione ideologica” di tale portata. Occorre un salto di cultura e di mentalità, magari attraverso un “Patto dei produttori” che metta intorno a un tavolo virtuale le forze politiche e le parti sociali, imprenditori, sindacati, lavoratori, per ridefinire le regole di un mercato dell’occupazione più equo, garantito e flessibile.

Perché, allora, i leader del centrosinistra non convocano una Conferenza nazionale sul Lavoro, per cercare le risposte da offrire alle nuove generazioni che si sentono senza orizzonte e senza futuro? Quali sono i nuovi mestieri verso cui orientare e preparare i giovani? Come compensare l’erosione occupazionale alimentata dalla tecnologia? Come coinvolgere i lavoratori nella gestione delle imprese, magari con qualche forma di compartecipazione agli utili? E come garantire, infine, la parità salariale fra uomini e donne a parità di ruoli e di responsabilità?

Ecco, dunque, la “nuova frontiera” sulla quale si può attestare lo schieramento progressista nel confronto con quello conservatore. Oggi è necessario parlare meno di formule e più di contenuti intorno a cui aggregare le alleanze. Nel campo riformista, non mancano studiosi, esperti, intellettuali in grado di contribuire a elaborare un’idea nuova di lavoro e di società, per rigenerare una sinistra appiattita sulle percentuali dei sondaggi e sulle esibizioni mediatiche nei talk show televisivi.

 

C’è troppo sangue versato nella “guerra tra poveri”

Il sangue versato nei conflitti di lavoro: a questo siamo ritornati, in un crescendo culminato ieri con la morte del sindacalista Adil Belakhdim. Nostro concittadino, se questo dovesse fare la differenza per i sovranisti del “prima gli italiani” che negli immigrati vedono solo manodopera da sfruttare e licenziare a seconda degli ordinativi da smaltire. Stavamo ancora aspettando di sapere perché mai la polizia presente in tenuta antisommossa davanti al magazzino Zampieri di Tavazzano non fosse intervenuta a proteggere i facchini licenziati della Fedex, picchiati sotto i suoi occhi. Salvo apprendere (vedi articolo a pagina 3) che il subappalto era assegnato a una ditta che offre bodyguard specializzati in security nel far west della logistica. Altro che guerra fra poveri.

Nel frattempo altri tre lavoratori sono rimasti feriti da un lancio di mattoni davanti alla Texprint di Prato. E in questo clima si è giunti allo sciopero nazionale della logistica proclamato ieri dai sindacati di base. Biandrate, tra Novara e Vercelli, dove le risaie cedono spazio ai magazzini della Esselunga, della Amazon e della Lidl, accanto ai nuovi outlet, teatro dell’ennesimo sfondamento di picchetto a opera di un camionista, è divenuta ormai un polo strategico dello smistamento merci ramificato fra Emilia, Lombardia e Piemonte. La logistica ha preso il posto della grande fabbrica come epicentro di un capitalismo senza regole, che accumula i superprofitti dell’e-commerce e della grande distribuzione sfruttando la fatica fisica del lavoro notturno privo di tutele e malpagato. Da anni glielo lasciano fare, calpestando la dignità dei dipendenti con la scusa della flessibilità: l’addio al posto fisso sbandierato come funzionale alla crescita economica, ma in realtà funzionale solo all’arricchimento delle multinazionali e dei loro prestanome.

Ieri, mentre Adil Belakhdim perdeva la vita ai cancelli della Lidl, abbiamo letto sul Corriere della Sera un’intervista compiacente a Stefania Pezzetti, presidente della filiale italiana di Fedex-Tnt. Annunciava 800 assunzioni dirette di lavoratori selezionati dalle ditte che finora venivano utilizzate in subappalto, grazie a un accordo con i sindacati confederali che nella giungla della logistica contano poco o nulla. Si guardava bene la Pezzetti dallo spiegare il perché della chiusura della sede di Piacenza, con 280 licenziati; e soprassedeva sui vantaggi economici derivanti dalla repentina svolta di internalizzazione. Questo è l’andazzo, nella logistica: spremere in un’accumulazione selvaggia i facchini e gli autisti approfittando della legislazione favorevole finché si può; e poi negoziare con Cgil-Cisl-Uil tagliando fuori le rappresentanze di base. Tanto queste ultime rappresentano per lo più lavoratori stranieri, i più esasperati ma anche i più ricattabili.

Oggi che il ricorso all’intimidazione anti-operaia e allo squadrismo delle guardie private rischiano di diventare sistematici, tanto più per la fretta padronale di cavalcare la ripresa dei consumi post Covid, è questa lacerazione del mondo del lavoro che va ricucita. Landini e gli altri dirigenti di un sindacalismo che si sente minacciato dalla concorrenza dei vari Cobas e Usb dovrebbero essere i primi a capirlo, promuovendo con la loro forza organizzativa un’iniziativa contro il precariato, i subappalti, le cooperative spurie da cui troppo a lungo si sono astenuti. Non possono certo aspettarsi che a farsene promotore sia un governo la cui cabina di regia è tenuta saldamente dai neoliberisti, fautori della libertà d’impresa a briglie sciolte.

Se il cordoglio espresso da Draghi per la morte di Adil Belakhim non è solo di circostanza, lo potrà dimostrare innanzitutto schierando le forze di polizia a protezione, e non contro, chi lotta per affermare il diritto a un lavoro dignitoso.

 

Piantiamola di seguire la nato e i padroni Usa

Nell’ambito del G7 è stata ventilata, sia pur in modo sotterraneo, la candidatura di Mario Draghi a segretario della Nato. Draghi andrebbe a fare la bella statuina perché la Nato è un organismo nelle piene mani degli americani che, per coprire in qualche modo questa realtà, fanno nominare segretario un norvegese, come l’attuale Jens Stoltenberg, o un danese o comunque il rappresentante di un paese che nell’ambito Nato non conta nulla. Il lato favorevole della faccenda è che ci libereremmo di Draghi come premier che è riuscito a far peggio del bistrattatissimo Conte. La confusione sui vaccini è stata massima. Ma la cosa più grave è di aver voluto, per accontentare il generale Figliuolo, esaurire a tutti i costi le scorte di Astrazeneca dandole ai giovani che, in quanto tali, col Covid non rischiavano nulla. Cioè per un motivo economico s’è messa a rischio, sia pur marginale, la salute di una parte della popolazione, mentre tutto lo sforzo di Conte è stato quello di mettere la salute in primo piano ai danni dell’economia.

Ma il problema non è questo. Il problema è che cosa ci facciamo noi Italia nella Nato. È in forza della Nato che abbiamo seguito l’avventurismo americano in Afghanistan, in Iraq e in Libia dove a tutto avevamo interesse (ce l’avevano i francesi) tranne che a defenestrare il colonnello Gheddafi. Le operazioni Nato in Iraq e in Libia, da cui i tedeschi di Angela Merkel si sono tenuti ben lontani, non avevano la copertura dell’Onu, come non aveva la copertura dell’Onu l’aggressione alla Serbia di Slobodan Milosevic la cui sola colpa era di essere rimasto l’ultimo paese socialcomunista d’Europa. E si sa che mentre un tempo fra l’intellighenzia europea bastava essere comunisti per avere ragione, poi ne è venuto un altro in cui bastava essere comunisti per avere torto. Sulla Serbia dissi queste cose a Ballarò di Floris, presente Massimo D’Alema che era premier all’epoca di quella aggressione del tutto immotivata e che ha finito per favorire la componente islamica dei Balcani, quell’islamismo che oggi provoca isterie “Fallaci style”, dove Isis ha trovato un buon punto di riferimento.

La lezione dell’Afghanistan non ci è bastata? Evidentemente no. Al G7 non s’è fatto altro che parlare di multilateralismo, di stretta alleanza fra “le due sponde dell’Atlantico”. Il “multilateralismo” non è altro che la conferma della sudditanza europea nei confronti degli Stati Uniti. Sudditanza di cui la Nato è stata strumento essenziale per mantenere l’Europa in uno stato di minorità, militare, politica, economica e alla fine anche culturale.

Lasciamo pur perdere che nella Nato c’è la Turchia, con quel bel soggetto di Erdogan. È vero che abbiamo anche alleanze che sul piano etico non sono migliori come l’Egitto del tagliagole al-Sisi o l’Arabia Saudita dove, Renzi permettendo, le donne hanno il peggior trattamento al mondo. Però, per lo meno, né Egitto né Arabia Saudita stanno nella Nato.

Né si vede poi perché noi dovremmo essere vicini all’America, che come minimo è un competitor economico sleale, e invece avversi alla Russia e all’Iran. Con i russi non abbiamo materia di contendere, ci sono utili a fini energetici, ci sono più vicini geograficamente e culturalmente perché Dostoevskij, Tolstoj, Gogol e gli altri appartengono all’Europa. Né materia di contendere c’è con l’Iran con cui abbiamo sempre avuto ottimi rapporti economici prima che gli americani ce lo impedissero.

Gli Stati Uniti, si tratti di Biden o di Trump, sono attualmente in lotta con la Cina per contendersi la supremazia mondiale. Si fanno delle illusioni, perché il Novecento è stato il “secolo americano”, il Duemila sarà di altri. È stata molto contestata dagli Stati Uniti la scelta della “via della seta” fatta dal nostro ministro degli Esteri Di Maio. Ma non si vede in nome di che noi dovremmo rinunciare a un mercato enorme, in ascesa e molto promettente come quello cinese.

La via a mio parere giusta era quella di Angela Merkel e cioè di una ragionevole equidistanza fra questi colossi economici e militari, il che comporta ovviamente la creazione di un vero esercito europeo e quindi l’abolizione dell’anacronistico impedimento alla Germania di avere l’Atomica (ce l’hanno India, Pakistan, Sudafrica, Israele e non si vede perché non il più importante e determinante Paese europeo). La cosa è tanto più urgente perché adesso la Gran Bretagna si è staccata di fatto dall’Europa per privilegiare, come da parte sua è legittimo per ragioni storiche, i rapporti con gli Stati Uniti. La mia formula è da sempre questa: un’Europa politicamente unita, neutrale, armata e nucleare, non per aggredire alcuno ma per avere, autonomamente, il deterrente necessario per impedire che altri aggrediscano noi. Questo era, ho la presunzione di credere, il pensiero di Angela Merkel quando disse paro paro: “Gli americani non sono più i nostri amici di un tempo, dobbiamo trovare la forza di difenderci da soli”. Ma Angela è allo scadere del suo mandato che ha tenuto con polso fermo per vent’anni favorendo sì la Germania, ma, con essa, anche l’intero Vecchio continente. Adesso al posto di Merkel abbiamo Draghi. Auguri.

 

Cosa c’è in televisione: il film con Peter Sellers e la biografia su Gandhi

E per la serie “Chiudi gli occhi e apri la bocca”, eccovi i migliori programmi tv della settimana: Sky Uno, 5.45: Tatuaggi da incubo, documentario. I tatuaggi sono sempre un ottimo argomento per attaccar bottone con una sconosciuta. “Bella quella faccia sorridente che hai sulla schiena”. “Non è una faccia sorridente. È l’identikit dell’uomo che ha ucciso mia figlia”. “Scopiamo?”.

Rai 1, 10.15: La Santa Messa, fiction. Serie sul paranormale in cui i protagonisti hanno contatti con l’aldilà. Dio: “Abramo, prendi il tuo unico figlio, Isacco, e portalo sul monte Moriah”. Abramo: “Chi è?”. Dio: “Voglio che tu sacrifichi tuo figlio con un coltellaccio”. Abramo: “Come no. Chi è, dai? Com’è che mi vuoi far fare solo cose strane?”. Commento di padre Scannone, S.I.: “Il motivo per cui Abramo stava per sacrificare Isacco a 12 anni è perché a 13 anni non sarebbe stato più un sacrificio”.

Sky Cinema Uno, 21.15: Oltre il giardino, film commedia. Peter Sellers interpreta un vecchio idiota, Chance il giardiniere, che non è mai uscito dalla villa con giardino in cui ha lavorato per tutta la vita, e per caso diventa il consigliere fidato del più potente uomo d’affari americano e poi del presidente degli Stati Uniti, finché potenti uomini d’affari decidono di fare lui presidente, come faranno le multinazionali con Reagan, e Putin con Trump. (Il trailer profetico diceva: “È un film divertente, ma anche spaventoso, perché potrebbe diventare realtà”.) Del mondo esterno, lo sprovveduto Chance conosce solo quello che vede in tv, di cui è uno spettatore famelico. Il suo Qi è 22: potrebbe fare il critico tv, se il suo Qi fosse almeno la metà. Alla morte del padrone, Chance s’avventura oltre il giardino, ma attraversa sbadato la strada e viene investito da una limousine con autista. Dentro c’è Eve, la giovane moglie del più potente uomo d’affari americano, che lo soccorre e decide di ospitarlo in villa per farlo curare dal suo medico di fiducia. Eve: “Questo è Ben, mio marito. Ha 80 anni e sta morendo”. Chance: “Mi dispiace. Da quando è così?”. Eve: “Dalla prima notte di nozze. La scorsa settimana”. Ben: “Il più bel pompino della mia vita”. Chance s’intende solo di giardinaggio, ma il tycoon crede parli per metafore sagge, e lo presenta al presidente. Chance: “Un giardino ha le sue stagioni. Prima c’è la primavera, poi l’estate, poi l’autunno, poi l’inverno”. Il presidente: “Buona idea! Bombarderemo prima la Siria, poi la Libia, poi la Somalia, poi l’Iran!”. Eve si innamora di Chance e gli entra in camera per sedurlo mentre lui sta guardando la tv. Eve: “Cosa ti piace fare?”. Chance: “Guardare”. E così lei, credendolo un guardone, prende a masturbarsi sulla moquette, mentre lui continua a guardare la tv, che sta trasmettendo La Pantera rosa, in cui Peter Sellers interpreta un giovane idiota. Il tycoon, dopo un tracollo in Borsa che gli fa perdere un dollaro, muore d’infarto, e Chance accompagna la vedova appiccicosa al funerale. Per liberarsene, nella celeberrima scena finale Chance dipinge un buco nero su una roccia e ci entra dentro, come fa Cristo in un famoso passo dei Vangeli per liberarsi di quella rompiballe di sua madre.

La 7, 21.15: Gandhi, film biografico. Il film ripercorre la vita del Mahatma dando risalto alla sua lotta non violenta per l’indipendenza dell’India dalla Gran Bretagna. Gustosi gli episodi poco noti. Per esempio, Gandhi non sopportava le pettegole. Una volta incontrò una coinquilina in ascensore. Lei: “Gandhi, ha saputo? L’avvocato all’ultimo piano è gay!”. E Gandhi: “Nooo! Incredibile! È sei mesi che me lo inculo e non mi ha mai detto che era un avvocato!”.

 

Mail box

 

 

L’articolo di Spinelli, una boccata di ossigeno

Ogni articolo di Barbara Spinelli è una boccata d’ossigeno per il cervello, la ringrazio per la sua correttezza e la sua onestà intellettuale.

Stefano Strano

 

Caso Luana: è un reato lesinare sulla sicurezza

La perizia tecnica ha stabilito che a uccidere Luana D’Orazio, l’operaia di 22 anni stritolata da un orditoio, non è stato un “incidente”: i sistemi di sicurezza erano stati disattivati per “velocizzare” la produzione. Succede spesso così, le norme di sicurezza sono, per l’imprenditore, un “costo” e un “rallentamento”, cioè una diminuzione dei profitti. È, drammaticamente, una prassi comune quella di “snellire” le procedure di sicurezza, chi non lo fa rischia di essere estromesso dal mercato, tanto più che i controlli sono rari, quasi inesistenti. Questa è la realtà che tutti conoscono ma nessuno fa niente. Quando è morta Luana ci fu un’ondata di commozione generale, tanti bei discorsi da parte delle “massime autorità” del Paese, ma poi tutto è rimasto come prima, peggio di prima. Eppure le cose da fare sono chiare a tutti: intensificare notevolmente i controlli assumendo personale nell’Ispettorato del Lavoro e inasprire le pene per gli imprenditori che non attuano correttamente i protocolli di legge. Abbiamo o no il “Governo dei Migliori”? E allora cosa aspettano, Draghi e i suoi ministri, a intervenire? Quante Luane dovranno ancora morire?

Mauro Chiostri

 

Inghilterra, quarantena a nazionalità alterne

Sono mesi che il Regno Unito chiede dieci giorni di quarantena agli italiani che devono recarsi lì, impone un tampone a pagamento, controlli super fiscali all’arrivo e chissà quant’altro, e adesso con l’aggravamento della loro situazione con la nuova variante Delta, ho letto in questi giorni che il nostro governo ha molti dubbi se imporre o meno la quarantena agli inglesi che arrivano da noi. Si rischia forse di dare una cattiva immagine della “zona bianca”? Ma scherziamo? O siamo veramente un’armata Brancaleone…?

Roberto Davide

 

Letta, un “re travicello” in mezzo alle correnti

Gualtieri: “Nessun apparentamento con i 5 Stelle. No a grillini in giunta se diventerò sindaco”. Letta: “Il giudizio sulla Raggi è molto negativo”. Sono opinioni deliranti e senza senso che tuttavia possono essere ricondotte a una spiegazione razionale. I messaggi sono rivolti alla componente renziana di Base riformista che nel Pd fa il bello e il cattivo tempo. Lo stesso Zingaretti, che ha dimostrato sempre lealtà al premier Conte, per compiacere i renziani, un giorno sì e l’altro pure reiterava come un mantra la proposta del Mes. Lo strapotere delle correnti, poi, lo costrinse alle dimissioni. Stessa sorte subirà il neo-segretario Letta, che nel partito conta quanto il due di coppe quando comanda bastoni: insomma un “re travicello” in balia delle correnti. Ovviamente posizioni politiche del genere sono destinate ad aprire sterminate praterie alle destre, ma ciò sembra non preoccupare i notabili dem che preferiscono l’alleanza con i quattro gatti di Italia più morta che Viva. De gustibus non est disputandum. Morale della storia: fidarsi del Pd è bene, non fidarsi è meglio, votarlo mai!

Maurizio Burattini

 

La polemica assurda di Mieli sulle mascherine

Caro Travaglio, ho seguito con attenzione Otto e mezzo di giovedì 17 giugno. L’ho seguita fino a un certo punto, poi mi sono perso. È stato quando lo storico “Ovemai” ha parlato di mascherine, e dopo aver dichiarato “io non sono un esperto di mascherine” ha cominciato ad incalzarti, direttore, chiedendoti di ammettere se non fossero troppe 763 settimane di mascherine, ordinate da Conte-Arcuri. Ora, io sapevo che se vuoi ordinare un prodotto, per esempio le mascherine, puoi indicare la quantità, quanti pezzi (5,8,20 milioni…), oppure il peso (80 quintali, 2 tonnellate…), magari il volume (100 metri cubi…). Più difficile rapportarle ad ettolitri. Ma “settimane di mascherine” io non l’avevo ancora sentito. E poi, quanto durano le mascherine? un giorno, due giorni, o in eterno? Io penso di avere poche probabilità di incontrare lo storico “Ovemai”. A te càpita spesso. Puoi chiederglielo per mio conto?

Ennio Lombardi

 

Caro Ennio, sono ancora basito anch’io. Mi devo riprendere.

M. Trav.

 

Dichiarazioni politiche o attentato alla salute?

Sentivo poco fa la conferenza stampa del Robert Koch Institut. A proposito, perché in Italia non abbiamo un’istituzione simile? in cui si affermava, tra l’altro, che almeno fino a quando gran parte della popolazione in Germania non sarà vaccinata, sarà opportuno continuare con le misure di prevenzione: distanziamento, igiene e uso delle mascherine. Mi chiedo: ma in quest’ottica, le improvvide dichiarazioni di certi nostri politici non potrebbero essere considerate attentato alla salute della nazione?

Sergio Fratucello

Giovani di sinistra “Caro Briatore, basta con la retorica sui fannulloni”

 

 

Gentile redazione, ho deciso di scrivervi in quanto è ora di dire basta a questa favola che i media mainstream ci raccontano. Storielle umilianti per un’intera generazione il cui il futuro è stato svenduto. In questi giorni, sui grandi giornali la voce è unica: gli imprenditori non trovano dipendenti a causa del reddito di cittadinanza, i giovani sono sfaticati e i sussidi statali vanno aboliti. La questione che voglio porre è la seguente: se un giovane o un disoccupato preferisce il reddito di cittadinanza a un lavoro senza diritti e con salario da fame, dovremmo colpevolizzarlo perché rivendica condizioni di vita dignitose? I vari datori di lavoro ripetono ossessivamente che “il lavoro nobilita l’uomo”, ma non sanno cosa significhi sopravvivere con 800 euro al mese e turni disumani, a cui noi under 35 siamo abituati ormai da anni. Preferiamo ricevere un sussidio, piuttosto che essere sfruttati. Rivendichiamo condizioni lavorative migliori e salari che ci consentano di vivere al meglio. Pretendiamo che i giovani non siano visti semplicemente come manodopera, ma come custodi del futuro. Quale futuro può avere una nazione che vede i giovani come scansafatiche sul divano senza arte né parte? Come se non bastasse, un’altra umiliazione cui siamo costretti è quella di doverci sorbire le lezioni di gente nata ricca, con la presunzione di volerci insegnare il duro lavoro. Barilla ci spiega come metterci in gioco e Briatore afferma che senza il ricco il povero non mangia. Tutti uniti con un unico scopo: eliminare le ultime forme di welfare in Italia per destinare quei fondi in sussidi alle imprese. Infatti, ci raccontano che solo attraverso l’impresa si può creare lavoro. Gli under 35 di questo Paese sono stanchi. Sentono il fuoco della frustrazione nel petto e ogni giorno si sentono chiamati “incapaci” dai media e dagli imprenditori. Io, nel mio piccolo, vorrei dire che magari, i veri incapaci sono proprio gli imprenditori che non vogliono pagarci. Gli incapaci sono quei ristoratori che vorrebbero camerieri per 700 euro al mese con turni da 12 ore. Incapaci sono coloro i quali hanno ricevuto miliardi di euro in incentivi e hanno sfruttato migliaia di ragazze e ragazzi con la scusa dei tirocini/stage gratuiti.

La mia generazione rivendica condizioni di lavoro dignitose: vogliamo iniziare a pretendere il futuro che ci è stato sottratto. Quindi, come prima cosa, consiglierei a chiunque si lamenti del reddito di cittadinanza e dei giovani di cominciare a pagare meglio i propri dipendenti. Perché alle vostre condizioni disumane che volete imporci, noi non ci stiamo.

Mario Moretti, portavoce di UGS

Matteo Salvini, il negazionista sempre obliquo

Non è un mistero che Mario Draghi nutra una crescente insofferenza per le pressioni negazioniste di Matteo Salvini sulla pandemia. Mentre altri (Repubblica) si tuffano nei “tre colloqui burrascosi” tra il premier e Giuseppe Conte, il Corriere della Sera sta sulla notizia e scrive che a Salvini “il presidente del Consiglio ha chiesto una tregua, una moratoria sulle parole e sulle polemiche politiche, almeno sul fronte delicatissimo della lotta alla pandemia” (Monica Guerzoni). Il negazionismo salviniano non può consistere certo nella negazione del Covid-19, e neppure nella propaganda No-Vax, e meno che mai nell’occultamento dei 127mila morti stroncati dal virus. È qualcosa di più sottile che da quel 9 marzo 2020, quando è tutto cominciato, parla a quella parte del Paese che ha sempre ritenuto il Covid-19 un’esagerazione; il lockdown deciso dal governo Conte l’inizio della dittatura sanitaria; i relativi Dpcm un’aperta violazione della Costituzione; le mascherine, un’assurda imposizione; il vaccino, una sostanza pericolosa cui sottrarsi in ogni modo. Salvini ha dato spago a tutto questo ciarpame nel suo abituale modo obliquo giocato sul dico-non-dico tanto qualcosa resterà. Se il capo del partito da due anni in testa ai sondaggi (anche se ora un po’ di meno) mette e leva la mascherina sbuffando, invoca la cacciata del ministro Speranza perché “vuole chiudere tutto”, approfitta della tragica morte di una ragazza dopo la somministrazione di AstraZeneca per dire che “i nostri giovani non possono essere usati come cavie da laboratorio”, lancia un preciso segnale a una parte numericamente rilevante di potenziali elettori. Quelli appunto che continuano a considerare il Covid poco più di un’influenza e che eviteranno di farsi inoculare il vaccino, di qualunque marchio esso sia. È come se Salvini dicesse loro (accompagnato dalla fanfara della stampa sovranista e dal coro della destra televisiva): da quando sono al governo non posso dire di più, ma voi fate bene a diffidare.

Insomma: capisci a me! Il problema è che se anche la campagna vaccinale procede a buon ritmo, a meno di accelerazioni miracolose è molto ma molto difficile che con l’arrivo dei primi freddi (quando il virus riacquista forza) riesca a raggiungere la soglia di sicurezza fissata al 70-80% di popolazione vaccinata. Meno che mai se nella maggioranza di governo c’è un signore che rema contro. Perciò Draghi chiede a Salvini “una moratoria sulle parole”: ovvero che una volta per tutte chiuda il becco.

Il ricalcolo dei vitalizi (per ora) è salvo: la Camera mantiene la delibera di Fico

Per ora la manovra è stata bloccata e sì che c’è mancato poco. Il collegio di appello della Camera ha stoppato la decisione assunta in primo grado dall’organo di giustizia interna di Montecitorio che rischiava di azzoppare il taglio dei vitalizi deciso appena due anni fa, facendo rientrare dalla finestra il ripristino degli assegni pieni per i quali si sta battendo senza sosta un esercito di ex deputati, 1400 pasdaran che non si sono mai rassegnati alla sforbiciata. A forza di carte bollate, avevano prima ottenuto che venisse rivista la delibera del 2018, quella che aveva diminuito gli importi grazie all’introduzione del calcolo contributivo degli assegni. E poi, insoddisfatti pure dei nuovi criteri più miti, hanno cercato di far saltare proprio il banco per riottenere l’intero il malloppo.

Il Collegio d’Appello presieduto da Andrea Colletti, già 5 Stelle oggi in Alternativa c’è, ha invece detto no, stoppando le esose pretese fatte invece proprie dai “giudici” di primo grado che avevano accolto 36 ricorsi che avrebbero innescato un effetto a valanga e l’accoglimento di almeno altri 500 ricorsi tutti di onorevoli disperati. Per l’organismo di Colletti i giudici di primo grado hanno travalicato i limiti del loro potere invadendo quelli dell’ufficio della presidenza della Camera. E così ne ha sospeso l’esecuzione della sentenza, riservandosi di trattare a settembre il ricorso presentato in appello dall’Amministrazione di Montecitorio dato che il “danno lamentato dalle parti ricorrenti (ossia gli onorevoli malconci, ndr) non appare allo stato grave e irreparabile”.

Apriti cielo. Per l’associazione degli ex parlamentari si tratta di un’ingiustizia indicibile, anzi di più. “Che dire? Lo spettacolo è di bassa lega. Sono passati due anni e mezzo dall’entrata in vigore della delibera, senza precedenti e discriminatoria, che ha colpito in modo cieco e immotivato gli ex parlamentari della Repubblica, e anziché affrontare la questione della legittimità di una decisione che viola principi fondamentali del diritto e della giurisprudenza costituzionale, si è perso nel labirinto della mitigazione. Leggere che il danno lamentato dai ricorrenti non appare allo stato grave e irreparabile, vista l’età e le condizioni di salute di tanti tra loro, fa non solo fa tristezza, ma appare piuttosto cinico e beffardo”. E i comuni mortali pure loro in là con l’età o in difficoltà nera? Anziché del vitalizio versioni mini o extralarge devono accontentarsi di quel che passa il convento: il welfare frutto delle leggi fatte da Lorsignori e che Lorsignori invece schifano per sé. Tanto paga il Palazzo, gli altri mangino brioches.