Il sindaco di Fd’I che dà consulenze per 36 mila euro agli amici di partito

Incarichi assegnati dal Comune a membri del partito. È successo ad Avola, piccolo centro in provincia di Siracusa, amministrato da Luca Giovanni Cannata che fa parte della scuderia siciliana di Giorgia Meloni, con l’approvazione della sua giunta (5 voti favorevoli contro 3), sono state assegnate tre diverse consulenze, tra maggio e dicembre dello scorso anno, per un valore complessivo di 9.300 euro all’avvocato Giuseppe Napoli. Solo che Napoli non è un semplice legale, ma è anche il coordinatore provinciale di Fratelli d’Italia. “Sono incarichi fiduciari che vengono assegnati di continuo – spiega Cannata –, si sceglie sul merito e in base alla singola causa”. Quando facciamo notare che forse per opportunità politica si sarebbe potuto evitare, il sindaco replica con fermezza: “Abbiamo dato anche incarichi a coordinatori del Pd, centrosinistra e miei oppositori. Non si fanno differenze, poi se uno appartiene a un partito o a un altro che succede, non può più lavorare?” A maggio, l’amministrazione Cannata ha assegnato un nuovo incarico, questa volta “di esperto nelle materie del sindaco”, “per la durata massima di un anno” e legato al mandato “del primo cittadino”. Il compenso complessivo è di 26 mila euro. A riceverlo è stato Giambattista Bufardeci, per tutti semplicemente “Titti”, mentore politico di Cannata che lo aveva introdotto diversi anni fa in Forza Italia.

Bufardeci infatti è un volto noto del panorama siciliano, essendo stato per due volte sindaco di Siracusa (tra il 1999 e 2008), due volte deputato regionale, una volta vicepresidente della regione e tre volte assessore della giunta dell’ex governatore autonomista Raffaele Lombardo. Una lunga carriera inizia con il Centro Democratici Uniti (Cdu) di Rocco Buttiglione, passando poi con Silvio Berlusconi in Forza Italia e poi al fianco di Gianfranco Miccichè in Grande Sud. Da alcuni anni è tornato alla libera professione, ricevendo dall’ex governatore Rosario Crocetta un incarico al consiglio di giustizia amministrativa siciliana (Cga). “Che sia stato il mio mentore è noto a tutti, ma quella sulla nomina è un polemica sterile, abbiamo fatto un avviso pubblico, c’erano tre candidati e abbiamo scelto Bufardeci per merito, perché ha un ricco curriculum”, precisa Cannata.

Discariche: i soldi del capo di Rida, indagato a Roma

Per difenderne gli interessi si era scomodata lei in persona, Giorgia Meloni. Nel dicembre del 2013, a una settimana dal Natale, la leader di Fratelli d’Italia era andata in gita ad Aprilia (Latina) per presenziare all’inaugurazione di una nuova discarica. Proprietaria: la società Rida Ambiente Srl, controllata dall’imprenditore Fabio Altissimi. “Una persona onesta e libera”, disse di lui Francesco Storace, ex compagno di partito della Meloni, in un’intervista del 2017 al Corriere della Sera per sostenere la necessità che la Regione Lazio (governata dal Pd) autorizzasse la discarica di Altissimi. Quella mattina del dicembre 2013, con la leader di Fd’I c’era anche il rappresentante del partito nella provincia di Latina, l’allora deputato Pasquale Maietta.

A otto anni di distanza da quella inaugurazione finita sulle pagine dei giornali locali, la situazione è la seguente. Rida Ambiente ha finanziato Fratelli d’Italia. Maietta sta affrontando un processo in corso in primo grado. Altissimi è indagato dalla Procura di Roma per traffico illecito di rifiuti. La donazione della Rida Ambiente a Fd’I è del 7 maggio 2019. Un bonifico da 3.200 euro, regolarmente registrato dal partito come elargizione liberale ricevuta. Il 2019 è stato un buon anno per la società di Altissimi. L’azienda ha registrato un fatturato di 52,5 milioni di euro, in aumento del 22% rispetto all’anno prima, con profitti netti pari a 3,4 milioni di euro. Una redditività merito dei contratti stipulati dall’azienda con alcuni Comuni laziali, ma anche con la Regione Lazio. Nel dicembre del 2018 – in piena emergenza rifiuti – una società controllata dalla regione (Ambiente Lazio) ha infatti siglato un accordo della durata di quattro mesi per conferire alla discarica di Altissimi 300 milioni di tonnellate di rifiuti indifferenziati della Capitale. “Abbiamo ritenuto di effettuare la donazione nella speranza che l’unico volto femminile di primo piano della politica italiana possa proseguire in un percorso che potrebbe finalmente portare una donna all’incarico più prestigioso del governo”, ha spiegato al Fatto l’imprenditore Altissimi. E ha aggiunto: “A livello di politica regionale, quella che conta nel settore dei rifiuti” Fd’I “non ha alcun potere decisionale. A livello locale è più volte accaduto che la nostra azienda si sia trovata” sulle questioni di rifiuti “su posizioni opposte a quelle degli esponenti locali di Fd’I. L’autorizzazione all’esercizio e all’ampliamento dell’impianto è stata rilasciata dal governo regionale di Zingaretti”.

Quando nel 2013 la Meloni andò all’inaugurazione di una loro discarica c’era anche Maietta, ex deputato, che successivamente ha avuto qualche grana: arrestato (e poi scarcerato) nel 2018 nell’ambito dell’indagine “Arpalo” della Procura di Latina, ora è a processo – in corso in primo grado – con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata a commettere reati tributari. Nell’atto di chiusura indagine dei pm di Latina si parla di un’associazione “allo scopo di commettere più reati tributari, societari, di bancarotta, riciclaggio…”. Maietta – riporta l’atto – “quale commercialista e consulente fiscale delle imprese di autotrasporti, socio e amministratore del Latina Calcio Us, dava direttive ai partecipi per la realizzazione di ogni aspetto inerente i reati fine, mettendo a disposizione la struttura del suo studio professionale e la rete di fiduciari di cui poteva avvalersi”. Ma questa è un’altra storia. Oggi sull’evento del 2013, Altissimi spiega: “…non ha alcuna relazione con la donazione del 2019. L’azienda aveva invitato a partecipare tutta la cittadinanza e politici e amministratori pubblici (…) di tutti gli altri schieramenti…”. Molto tempo dopo quell’inaugurazione, Altissimi e la vicepresidente del cda della Rida Ambiente sono stati indagati per traffico illecito di rifiuti dai pm di Roma che hanno chiesto il rinvio a giudizio (non vi ancora è la decisione del gip). “Il procedimento deriva da una denuncia del gruppo Cerroni con il quale è noto non corre buon sangue – spiega Altissimi –. Si tratta di una questione interpretativa su quali siano le tecnologie applicabili a specifiche fasi del ciclo di trattamento del rifiuto urbano… Siamo certi che saranno risolti anche i residui dubbi che hanno portato il pm a depositare la richiesta di rinvio a giudizio. Abbiamo dimostrato che (…) Rida Ambiente non ha guadagnato un euro in più di quanto le spettava”.

Rifiuti, armi e Sanità: i chi finanzia la Meloni

Più consensi, più soldi. Mano a mano che il partito di Giorgia Meloni s’impone come principale forza della destra (stando ai sondaggi Fratelli d’Italia ha raggiunto la Lega), anche le casse del partito si gonfiano. In via principale, di denaro donato dai suoi eletti, ma anche da tante imprese, alcune con interessi economici nei Comuni e nelle Regioni dove i meloniani governano. Lo dicono i bilanci di Fd’I e lo raccontano nel dettaglio i rendiconti pubblici analizzati da Il Fatto. Nel 2019, quando era al 4% (sondaggio YouTrend di gennaio), il partito erede dell’Msi ha raccolto contributi privati pari a 1 milione di euro. L’anno dopo il pallottoliere ha toccato quota 1,4 milioni (registrando quindi un +40%). Da gennaio ad aprile di quest’anno (ultimi dati disponibili), siamo già a 337mila euro incassati. Tutti contributi leciti e regolarmente dichiarati dal partito.

SANITà. Fd’I piace molto al mondo della sanità privata. Tra i principali finanziatori spicca il Gruppo Villa Maria (Gvm), che nel 2020 ha fatto partire due bonifici per un totale di 50mila euro. Con oltre 3900 dipendenti e 715 milioni di fatturato (dati 2019), quella fondata da Ettore Sansavini è una multinazionale delle cliniche private presente in mezzo mondo, dalla Francia, all’Albania e alla Polonia. Il core business resta però in Italia. “Non abbiamo mai ricevuto alcun favore particolare dalla politica e finanziamo diversi partiti, non solo Fd’I, ma anche ad esempio la Lega e il Pd”, ci ha assicurato Sansavini. Dai rendiconti pubblici dal 2018 in poi non risultano donazioni di Gvm ad altre forze politiche. Bisogna anche dire che nei mesi scorsi il gruppo ha trovato qualche ostilità da parte di esponenti di Fd’I in Regione Lazio. Era marzo 2020 quando Gvm firma un protocollo per la trasformazione dell’Istituto clinico Casal Palocco in centro Covid. Il consigliere regionale Giancarlo Righini chiede spiegazioni alla Regione “sulla scelta di allestire un Ospedale Covid in una piccola clinica privata”. “Chiedevo un dettaglio dei costi. – spiega oggi Righini al Fatto – Ho appreso solo di recente del contributo, ma questo prescinde dalla mia attività di verifica. Sull’Icc di Casal Palocco tornerò a chiedere informazioni”.

Nella lista di donatori ci sono anche altre imprese legate al mondo della sanità. Soprattutto quella marchigiana, dove Fratelli d’Italia è riuscita nel settembre scorso a fare eleggere il suo secondo presidente di Regione, Francesco Acquaroli (il primo, Marco Marsilio, governa dal 2019 l’Abruzzo). C’è ad esempio la Innoliving di Ancona, che ha versato 5 mila euro ad ottobre 2020. Controllata dal russo Andrey Derevyanchenko e da Andrea Falappa, produce in Cina e vende in Italia piccoli elettrodomestici e dispositivi diagnostici. Da ottobre scorso, la società fornisce tamponi rapidi dall’aeroporto delle Marche, di cui la Regione detiene una quota. “L’hub che effettua tamponi presso l’Aeroporto – spiegano dalla Regione Marche – è gestito da un soggetto privato, l’iniziativa non è promossa dalla Regione”. A settembre 2020 a Fd’I sono arrivati poi 4 mila euro da un’altra azienda marchigiana: la Radiosalus, un centro polispecialistico privato. L’azienda, sempre a settembre, ha donato 5mila euro anche al candidato presidente del centro sinistra, Maurizio Mangialardi, sconfitto da Acquaroli.

L’AFFARE ESSELUNGA. Non c’è solo il mondo della sanità. Tra i bonifici più generosi ci sono quelli di Aep, ditta di costruzioni. La donazione a Fd’I – 49.500 euro in totale, versati in due tranche tra settembre e ottobre 2020 – è diventato un caso a Lodi, dove i meloniani sono in maggioranza, con tanto di denuncia in Procura presentata da un gruppo di cittadini e poi archiviata dai pm, che non hanno ravvisato alcun reato. Il motivo delle proteste è che Aep sta costruendo in città un supermercato per Esselunga. Racconta Stefano Caserini, consigliere d’opposizione: “Nel territorio dove si sta costruendo, il piano di governo del territorio (pgt) prevedeva un’area prevalentemente residenziale e direzionale. Poi, dopo che Aep ha acquistato il terreno, in consiglio comunale è stata approvata una variante al pgt per rendere l’area commerciale, e questo con i voti della sola maggioranza di cui fanno parte 5 consiglieri di Fd’I. L’approvazione è avvenuta il 22 settembre 2020, un giorno dopo il primo bonifico al partito da parte di Aep, da 25mila euro. Il 27 settembre e il 4 ottobre Fd’I ha organizzato un banchetto in città a favore della costruzione del supermercato Esselunga. Il 23 ottobre Aep ha fatto l’altro bonifico, da 24.500 euro”. E quindi? “Quindi”, dice Caserini, “non mi sembra normale che un costruttore doni soldi a un partito quando sta portando avanti operazioni urbanistiche in cui i rappresentanti di quel partito sono coinvolti”. Coincidenza. Nello stesso periodo poi Aep ha fatto una donazione da 50mila euro al Comitato Giovanni Toti Liguria. Anche in questo caso c’è di mezzo un nuovo supermercato Esselunga. Come rivelato dal Fatto, Aep era infatti impegnata nella realizzazione di un supermercato a Genova per conto della catena di ipermercati.

ARMI E RIFIUTI. Sottomarini militari venduti alle forze armate di mezzo mondo, comprese quelle italiane. C’è anche il gruppo Drass Srl fra i finanziatori di Fd’I. La storica azienda livornese tra il 2019 e il 2020 ha donato 7.500 euro alla sezione toscana del partito. Tra i prodotti di punta della Drass c’è ad esempio il “sottomarino compatto per acque costiere”.

Tra le aziende donatrici di Fd’I c’è poi la Ecoserdiana, che gestisce una discarica a 20 chilometri da Cagliari e il 17 maggio del 2019 ha versato 6mila euro alla sezione sarda del partito. Altra donazione (in questo caso i dettagli sono raccontati nell’articolo accanto) arriva poi dalla Rida Ambiente Srl, società che gestisce una discarica ad Aprilia (Latina) e che il 7 maggio 2019 ha donato 3.200 euro alla sezionale nazionale del partito. Nei mesi scorsi alcuni dei vertici della Rida Ambiente sono finiti nel mirino dei pm di Roma per traffico illecito di rifiuti. “Il procedimento penale deriva da una denuncia del gruppo Cerroni con il quale non corre buon sangue”, spiega il presidente del Cda Fabio Altissimi, oggi indagato. “Abbiamo dimostrato – aggiunge – che (…) Rida Ambiente non ha guadagnato un euro in più di quanto le spettava in base alla tariffa regionale”.

Associazioni. Fd’I però deve aver fatto colpo anche sul mondo delle associazioni. A luglio del 2020 la Confederazione generale dell’Agricoltura ha versato al partito 2800 euro; Confapi – che riunisce le piccole e medie imprese – ne ha invece donati 4 mila. Altri 12500 euro sono arrivati, a settembre 2020, da Confartigianato imprese Marche.

Calabria, i giallorosa uniti sull’imprenditrice Ventura

Sono Enrico Letta, Giuseppe Conte e Roberto Speranza a firmare la nota congiunta per annunciare la candidatura dell’imprenditrice Maria Antonietta Ventura alla guida della Calabria. La ricerca spasmodica di una donna era partita un attimo dopo il ritiro di Nicola Irto, candidato del Pd che il M5S non ha mai voluto appoggiare, sostanzialmente per non convergere su un nome dei dem. E che alla fine – davanti alla poca convinzione del partito – si è ritirato non una, ma due volte. C’era stato poi un tentativo di chiudere su Enzo Ciconte, ma il Pd locale (rappresentato da figure come Oliverio, Nicola Adamo, Enza Bruno Bossio) non ha mai voluto appoggiarlo. E con loro anche alcuni civici. Alla fine, la decisione l’hanno presa Letta e Conte, con Francesco Boccia, responsabile Enti locali, nelle vesti di frontman.

Non passa neanche un minuto dall’ufficializzazione che partono le polemiche e le voci su una possibile non tenuta dell’accordo. “Hanno fatto una porcata e sanno bene di averla fatta”, dice un esponente calabrese del Pd. Parlamentari, consiglieri regionali, uomini di partito, sono quasi tutti d’accordo: dal Pollino a Reggio, nessuno ha digerito la candidatura. Ventura, 53 anni, è anche presidente dell’Unicef e moglie del sindaco di San Lucido. È nata a Bisceglie, lo stesso paese di Boccia che ieri l’ha difesa durante la riunione d’urgenza dei dem calabresi. Ventura fino a ieri guidava il consiglio di amministrazione dell’impresa “Francesco Ventura Costruzioni Ferroviarie Srl”. È socia al 31% dell’azienda di famiglia che lavora con gli appalti pubblici. Il 38% delle quote, invece, li ha il fratello, Pietro Ventura, che il procuratore Nicola Gratteri e i pm di Catanzaro volevano arrestare nell’inchiesta “Passepartout” per abuso d’ufficio. Ma anche per frode, reato per il quale è stato prosciolto. Il gip non ha concesso l’arresto perché i presunti reati sarebbero stati commessi nel 2016 ed è venuta meno l’attualità. Il processo, però, è andato avanti e Pietro Ventura è stato rinviato a giudizio assieme all’ex governatore della Calabria Oliverio e all’ex vicepresidente della Regione, Adamo. La candidata è comunque estranea alle inchieste e c’è chi solleva dubbi sul coinvolgimento della società. Intanto, pure la sardina Jasmine Cristallo si defila e parla di “soluzione al ribasso”. Mentre il segretario nazionale di Leu Nicola Fratoianni annuncia il sostegno alla coalizione di Luigi de Magistris e Mimmo Lucano.

Dal Nazareno chiariscono che una volta accettata la candidatura, lei ha rinunciato a ogni carica in azienda. E che sarà appoggiata anche da Centro democratico, Partito socialista, lista “Io resto in Calabria” e la lista della Presidente. Nel frattempo, a Barcellona, Letta e Luigi Di Maio si incontrano: il segretario del Pd sa che a questo punto per gestire i rapporti con il Movimento ha bisogno di un filo diretto anche con il ministro degli Esteri.

Primarie: la destra vota la renziana Conti

Nel centrodestra bolognese, alla vigilia delle primarie del Pd di domani, circola una battuta quando si tocca il dolente tasto del candidato da contrapporre al centrosinistra alle Comunali in autunno: “Isabella sarebbe stata la nostra candidata perfetta”. Isabella Conti è la sindaca di San Lazzaro di Savena lanciata da Matteo Renzi nella corsa per le primarie dem con l’obiettivo di spaccare il fronte giallorosa che sostiene l’assessore alla Cultura, Matteo Lepore. Un profilo, quello della 39enne sindaca, che piace molto all’establishment e agli elettori del centrodestra bolognese. Tant’è che alle primarie del Pd di domani, che sono aperte e quindi basta sottoscrivere un documento che impegna gli elettori a “votare Pd”, andranno anche molti elettori di centrodestra. La mobilitazione è già partita sui social con diversi gruppi Facebook di elettori moderati o apertamente di centrodestra che dichiarano di volersi recare ai seggi pur “non avendo mai votato Pd”: il più attivo è “Isabella Conti sindaco di Bologna” che conta oltre 2mila iscritti e dove molti bolognesi, sempre avversari dei dem, dicono espressamente che andranno ai gazebo domenica e voteranno contro “la nomenklatura Pd” e il “fortino rosso”. C’è chi, come l’utente Stefano, paragona Conti a Giorgio Guazzaloca, il sindaco di centrodestra che nel 1999 riuscì nella storica impresa di strappare la città al centrosinistra dopo cinquant’anni di potere rosso.

Poi c’è “Primarie Sempre”, un altro gruppo che sostiene Conti, che può contare su quasi 6mila iscritti. In queste pagine, oltre a Lepore, i principali bersagli sono i suoi sostenitori: il presidente della Regione Stefano Bonaccini (“una grande delusione”), Giuseppe Conte, Enrico Letta, le Sardine ma soprattutto Romano Prodi che nei giorni scorsi è sceso in campo in favore di Lepore e dicendo che alle primarie bolognesi ci sarebbe stato “spargimento di sangue”. Prodi viene attaccato così dai sostenitori di Conti: “La demenza senile non lo ha risparmiato”, scrive Giuseppe, “sta invecchiando malissimo” gli fa eco Nicola mentre secondo Pietro “ormai Prodi, come Bersani, è un vecchio rincoglionito”. Difficile che questi siano elettori di centrosinistra. Tant’è che Lepore ha avvertito: “Le primarie sono inquinate”. La sindaca strizza l’occhio alla destra: “Possono votare tutti i bolognesi” va dicendo. Ma il sostegno a Conti arriva anche da buona parte dell’establishment del centrodestra bolognese. In primis Gian Luca Galletti, ex ministro dell’Udc del governo Renzi, che poche settimane fa ha fatto sapere di “tifare” per la sindaca e che “molti di noi andranno a votare per lei ai gazebo”. Poi c’è Fabio Battistini, imprenditore già sceso in campo e che potrebbe essere scelto come il candidato del centrodestra: “Se Conti perde potrebbe fare il capo della mia lista” ha detto.

Anche la stilista Elisabetta Franchi ha fatto un endorsement a favore di Conti mentre l’apprezzamento è arrivato anche da Alessio Carbone, presidente del comitato “No Tram”, che nel 2020 si candidò alle regionali con la leghista Lucia Borgonzoni. Nel frattempo il centrodestra non ha ancora scelto il suo candidato e si aspetterà l’esito delle primarie dem: se vincerà Lepore i leader potrebbero scegliere un civico mentre, se vincesse Conti, la partita sembra chiusa. Gli elettori moderati andranno a votare in massa per la sindaca.

È l’Oscar della condanna: 4 mesi per evasione fiscale

Dobbiamo fare autocritica. Sul favorito tra i candidati sindaco per il centrodestra a Milano, Oscar di Montigny, abbiamo scritto sul Fatto che “non risultano condanne a suo carico”. Abbiamo sbagliato. Il Mr. Baciperugina di Banca Mediolanum è stato condannato in via definitiva per aver esibito per anni false fatture all’erario, al fine di evadere il fisco. Il gioco è andato avanti dal 2005 al 2008, finché la Procura di Milano non ha aperto un’inchiesta sul sistema Mediolanum, mandando sotto processo una lunga serie di promotori finanziari e dipendenti della banca di Ennio Doris, oltre a un finanziere svizzero, Giovanni Guastalla, e a un commercialista brianzolo, Marco Baroni. Nel 2011 sono arrivate condanne per tutti. Oscar di Montigny, che aveva presentato al fisco false fatture per 230 mila euro, se l’è cavata, grazie al giudizio abbreviato, con una condanna a 4 mesi di reclusione, convertiti in una sanzione di 4.560 euro, più altri 3.000 euro di risarcimento danni all’Agenzia delle entrate, oltre alle spese processuali (assolto per il delitto di dichiarazione fraudolenta per l’anno 2008).

Una brutta storia, anche perché nella quarantina di promotori finanziari e dipendenti Mediolanum indagati dai pm Roberto Pellicano e Mauro Clerici, di Montigny aveva un ruolo speciale: era ed è il genero del capo, avendo sposato la figlia di Ennio Doris, Sara. La Guardia di finanza di Milano l’aveva chiamata “Operazione Transferre”: aveva individuato una “associazione a delinquere organizzata e diretta da Guastalla” che operava come un “sodalizio criminoso organizzato e stabilmente dedito al riciclaggio e all’emissione di fatture per operazioni inesistenti al fine di favorire l’evasione fiscale”. Guastalla, alla fine, confessa e racconta il suo sistema: offriva dalla Svizzera un servizio ai contribuenti italiani che volevano abbattere i redditi e pagare meno tasse. Forniva fatture estere per inesistenti corsi d’aggiornamento professionale. I soldi facevano un lungo giro. Le fatture venivano emesse da società americane, britanniche, austriache, ungheresi, svizzere. Pagate su Barclays di Londra. Denaro trasferito a una scatola di Vaduz. Poi mandato alla Prezofin di Chiasso che lo consegnava agli spalloni che lo riportavano in contanti in Italia e lo restituivano ai clienti, tranne un 3 per cento trattenuto da Baroni, “uomo di fiducia di Ennio Doris”, come compenso per la sua intermediazione. Grazie a questo giochetto, gli uomini Mediolanum pagavano meno tasse. Ma a guadagnarci era soprattutto Banca Mediolanum, che con il sistema Guastalla risparmiava sugli stipendi: “Pagava i promotori in misura ridotta”, scrive il giudice in sentenza, e “poteva lucrare una riduzione dei costi relativi alle retribuzioni”. Mette a verbale Guastalla: “Mi dava l’idea di un ordine di gruppo, di scuderia… Baroni mi disse che lui seguiva quasi tutti i principali promotori di Mediolanum e li seguiva sia in Italia, con la presentazione delle dichiarazioni, sia all’estero, attraverso i servizi di contenimento del carico fiscale… I promotori si rivolgevano a lui perché aveva un ottimo rapporto con Ennio Doris e Oscar di Montigny”. Conclude il giudice: “Il disegno criminoso posto in essere godeva dell’avallo di Banca Mediolanum”, che offriva ai propri promotori e dipendenti “una sorta di incentivo fiscale”. L’adesione al sistema Guastalla “non scaturiva da autonome e personali decisioni dei singoli promotori/dipendenti, ma era piuttosto da inquadrare in un contesto più ampio che necessariamente coinvolgeva lo stesso Istituto di credito”. Se Baroni era il regista del sistema, di Montigny era, fra tutti gli imputati, il più vicino a Doris. Era suo genero, non un promotore finanziario, ma il capo della comunicazione. Da allora, si è costruito addosso il personaggio di “esperto di Mega trends e Grandi Scenari, Innovative Marketing, Comunicazione Relazionale e Corporate Education”. Dimenticata la vecchia evasione fiscale, si dà arie da guru. Oggi sembra perfetto per quello che potrebbe essere ricordato come lo scontro a colpi di marketing tra generi di banchieri: il genero di Doris contro Giuseppe Sala, genero di Nanni Bazoli (ex Banca Intesa).

Scontri vicino Lodi: a gestire i facchini la srl dei vigilantes

L’ultimo caso è quello del sindacalista Si Cobas ucciso ieri a Novara travolto da un camion. Ma il bollettino di guerra nel fronte caldo della logistica italiana conta, solo nell’ultima settimana, un ferito grave a Tavazzano con Villavesco (Lodi) e altri otto lavoratori colpiti. “Guerra fra lavoratori” è il leit motiv di politici e stampa. Il sindacato di base, che da anni è entrato di forza tra i facchini, non ci sta e accusa. Gli scontri fuori dalla FedEx? “C’erano vigilantes assoldati dall’azienda”. “Sono facchini, normale siano ragazzi robusti”, risponde a distanza Vincenzo Pipari, intervistato dal Corriere della Sera in qualità di Direttore Tecnico della Logis srl. È un’impresa di facchinaggio che ha in subappalto i magazzini lodigiani della società italiana Zampieri Holding, che fattura 50 milioni di euro e sua volta li affitta alla multinazionale americana Tnt-Fedex. La stessa Procura di Lodi, che ha aperto un fascicolo sui fatti dell’11 giugno scorso, è intenzionata a esplorare l’ipotesi dello scontro fra lavoratori.

Ma chi sono davvero la Logis e Vincenzo Pipari? Si tratta di una società di trasporti e facchinaggio da 1,9 milioni di ricavi e 112 dipendenti nel 2020 che ha siglato un “contratto di rete” denominato “Security & Logis” con un’altra impresa ancora: la Nks Security & Global Service srl. Quest’ultima è una società che opera contemporaneamente nei settori della logistica e della sicurezza integrata, dalla vigilanza (armata e non) ai portavalori, passando per la tutela del patrimonio alle investigazioni. A chi appartiene? L’amministratore unico è lo stesso Vincenzo Pipari, che la controlla con il 90% delle quote insieme al fratello, Giuseppe Pipari. Entrambi domiciliati a Milano ma nati a Melito Porto Salvo in Calabria.

Che altro lavoro fa Vincenzo Pipari nella sua vita? Sul suo profilo Linkedin scrive di essere il responsabile sicurezza presso Skp Global Security Group. È un gruppo di sicurezza privata con vari rami d’azienda (Skp Vigilanza, Skp Investigazioni e altri) controllato al 30% da Roberto Lombardi, 32 anni in polizia prima di darsi al privato, e con il 70% da Luca Antonio Tartaglia, il bodyguard che intervenne a difesa di Silvio Berlusconi contro “l’altro” Tartaglia – in una casuale omonimia – quando questi scagliò la statuetta del Duomo contro il volto dell’ex premier nel 2009. Tra i co-fondatori risulta anche Daniele Rovini. Nati nel 2004 per occuparsi di vigilanza, investigazioni, ronde, videosorveglianza, security nelle discoteche e nei locali di Milano, ben presto hanno virato il proprio business verso un profilo industriale di alto livello. Offrendo servizi che arrivano fino alle soluzioni di intelligence e all’anti-pirateria per le navi cargo che attraversano il golfo di Aden o l’Oceano indiano.

La SKP si è già incontrata con i Cobas, prima di Tavazzano. I vigilantes sono stati denunciati in Procura a Lodi da un sindacalista per fatti dell’estate 2020. Quando il 9, 10 e 23 luglio i facchini in sciopero sarebbero stati aggrediti da uomini “vestiti di nero, esibenti sempre il logo della Skp Global Security” – si legge nella querela – assoldati fuori dall’hub Fedex a San Giuliano Milanese. Non è chiaro se siano state svolte indagini in merito dai magistrati. Un altro episodio simile si è verificato poche settimane fa: il 27 maggio 2021, sempre a sud di Milano.

Non è solo Pipari il punto di collegamento fra le due società di sicurezza privata e la logistica. Anche Pierpaolo Battistini, che da visura risulta essere il procuratore speciale della Nks Security & Global Service, ha rapporti con la Skp. Classe ’66, Battistini è un esperto nel campo della sicurezza lavorativa. Ha prestato servizio tenendo corsi di formazione al Ministero dell’Interno (dove fino al 2008 è stato Assistente Capo), come Responsabile dei Servizi di Prevenzione e Protezione (Rspp) in vari Tribunali del Nord Italia e come Direttore “Safety and Security” ancora una volta presso la Skp Formazione.

Nel 2017 Pierpaolo Battistini è stato nominato Rspp del Comune di Lacchiarella, piccolo paese alle porte di Milano, vicino Binasco, nell’ambito di una Convenzione Consip per la “Gestione Integrata della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro”. Quali sono le attività produttive di Lacchiarella? Ci sono tutti gli hub delle più importanti multinazionali della logistica presenti in Italia: da Tnt-Fedex a Dhl.

Oltre 10 anni di lotte operaie: con Amazon si riparte da capo

Ci sarà tempo per tornare a dimenticarsene, ma in questi giorni – tra i mazzieri del Lodigiano e l’omicidio di Novara – lo scontro tra capitale e lavoro nella logistica si è guadagnato un po’ di attenzione tra i grandi media. Quando il fascio di luce si sarà spento converrà ricordare che quel che è accaduto in questi giorni – esito mortale a parte (anche se c’è il precedente del sindacalista Abd el Salam a Piacenza nel 2016) – accade ogni settimana nel disinteresse di stampa e politica: la conflittualità operaia nella logistica va avanti da oltre dieci anni e, caso raro, ha spesso portato risultati.

Le lotte partite dai facchini della cintura di Milano all’alba della crisi finanziaria del 2008 hanno via via incendiato i magazzini di mezza Italia e cambiato quel mondo sotto le insegne del sindacalismo di base: proprio le conquiste operaie, insieme all’avvento del modello Amazon, costringono il settore a riorganizzarsi, provando a stringere un’alleanza col sindacalismo “responsabile” dei confederali e sfruttando la disponibilità di nuova forza lavoro resasi disponibile nei periodi delle chiusure da Covid.

È quel che accade in questi mesi ad esempio in una grande vertenza come quella Fedex-Tnt che è al centro degli scontri di Tavazzano. La torta d’altronde è di quelle appetitose: il settore pre-Covid valeva all’ingrosso il 7% del Pil (quasi 120 miliardi di euro) e solo nel movimento delle merci a terra contava 100mila imprese, spesso piccole o piccolissime, e 900mila occupati.

Com’era il mondo vecchio (che in qualche posto c’è ancora)? Compressione selvaggia dei salari via subappalti affidati a cooperative di breve vita, coi “soci lavoratori”, spesso immigrati, tenuti nella perenne paura del licenziamento, costretti a turni assurdi, a ritmi infernali, a subire veri e propri furti in busta paga. È in questo contesto che un decennio fa il sindacalismo di base riesce a organizzare le prime lotte: d’altra parte non si può “delocalizzare” il traffico merci più di tanto e il rispetto dei tempi è parte rilevante di questa industria (bloccare i camion fa sanguinare le imprese ogni ora che passa).

Scioperi e picchetti, ancorché spesso repressi con durezza dalle forze dell’ordine, hanno portato risultati: il più rilevante è che tra i corrieri diminuiscono le cooperative e aumentano Srl e assunzioni dirette, gli stipendi sono cresciuti anche tra i subappaltatori arrivando a volte a superare quelli garantiti dal Contratto nazionale (firmato solo dai confederali). Non solo: quei metodi di lotta hanno “contagiato” anche settori limitrofi, come la filiera dell’agroalimentare, in particolare in Emilia-Romagna. Le leggi sui blocchi stradali o sui reati di piazza firmate da Matteo Salvini (e reclamate a gran voce dalle imprese) sono state la reazione padronale: le centinaia di processi in corso e i ripetuti arresti di sindacalisti in tutta Italia il loro risultato.

All’aumento del costo del lavoro, che rende meno utile il ricorso ai subappalti, si è aggiunto l’effetto del modello Amazon. Qui il rispetto formale dei contratti, che ovviamente include quelli precari (interinali e somministrati su tutti), si declina in un’organizzazione del lavoro post-umana: riduzione al minimo delle pause, controllo di ogni attività da parte dei capisquadra, tempi di lavoro assoggettati a quelli di algoritmi e robot operativi, gamification (tipo le “medagliette” date a chi fa più consegne). Il massimo d’innovazione riporta insomma il terreno di scontro sulla frizione tra corpo del lavoratore e tempi della macchina: siamo al Chaplin di Tempi moderni. Amazon ormai domina, per l’integrazione verticale tra servizi di vendita e consegne, nel settore in più rapido sviluppo della logistica: il cosiddetto “B2C”, business to consumer, in soldoni i pacchi che arrivano a casa. Sull’abuso di posizione dominante del gruppo di Jeff Bezos in questo segmento di mercato indaga da tempo l’Antritrust: qualsiasi cosa decida, Amazon ha già cambiato l’industria della logistica.

La vertenza Fedex-Tnt da cui siamo partiti ne è un esempio di scuola. Nell’ambito di un piano industriale che nessuno ha visto, il colosso ha annunciato 6.300 esuberi in Europa: in Italia, nonostante un impegno formale a non farlo preso in Prefettura, questo ha comportato la chiusura dell’hub di Piacenza e la perdita del lavoro di quasi 300 persone (alcune delle quali protestavano a Tavazzano). Molti altri lavoratori in Italia, invece, hanno dovuto scegliere se essere assunti direttamente da Fedex invece che lavorare in subappalto: la decisione parrebbe facile, ma non lo è perché il contratto nazionale è assai meno remunerativo di quello aziendale strappato a colpi di scioperi e picchetti.

Alla fine di questo processo di ristrutturazione, la multinazionale avrà più dipendenti diretti, ma avrà scaricato i subappalti per cui era comunque responsabile in solido: potrà non solo tenersi alcune ditte satellite, ma iniziare a usare interinali & C., liberarsi dei lavoratori più sindacalizzati, cancellare le conquiste contrattuali del decennio precedente. L’accordo che glielo permette è stato firmato dalla Filt Cgil, che ovviamente lo difende, forse nell’idea – dopo aver appoggiato per anni il sistema delle coop – che riportare tutti i lavoratori sotto il Ccnl sia utile a strappare in futuro rinnovi vantaggiosi, di certo sarà utile a isolare i sindacati di base che l’hanno messa in minoranza nei magazzini.

L’autista forza il picchetto e uccide un sindacalista

È successo di nuovo: un operaio e sindacalista della logistica è morto, travolto da un camion durante uno sciopero. Ieri mattina a Biandrate, in provincia di Novara, fuori dai magazzini della Lidl, ha perso la vita a 37 anni Adil Belakhdim, coordinatore territoriale SiCobas di origine marocchina.

Una tragedia arrivata dopo settimane di violenze crescenti contro diversi militanti della sigla di base, come l’aggressione di una settimana fa vicino Lodi, in un altro degli snodi logistici più importanti del Nord Italia. È, soprattutto, una storia che si ripete a cinque anni dalla quasi analoga morte del delegato egiziano dell’Usb, Abd El Salam, davanti alla Gls di Piacenza. Ieri era stata anche proclamata la mobilitazione nazionale per quello che è uno dei settori a più alto tasso di sfruttamento e irregolarità. Nelle attività di magazzinaggio, i subappalti selvaggi servono spesso a ridurre i salari e negare i diritti.

Anche contro questo stava protestando la delegazione SiCobas, che aveva scelto la sede da cui partono le merci della catena di supermercati e nella quale sono occupati dipendenti diretti e in appalto. Il presidio aveva formato una barriera all’uscita dei cancelli, creando un incolonnamento di mezzi pesanti. Secondo le prime ricostruzioni, uno dei conducenti – 25enne campano impiegato in una ditta incaricata dalla Lidl – avrebbe perso la pazienza e compiuto una manovra per imboccare contromano la corsia di uscita, ignorando l’ordine di fermarsi degli agenti Digos in borghese con in mano il distintivo. Avrebbe accelerato più volte (a scatti, è stato riferito) per far spostare i manifestanti che erano davanti al suo veicolo; poi, presa la curva per uscire, avrebbe colpito Adil Belakhdim con le ruote del lato destro e ferito altri due prima di scappare e imboccare l’autostrada. Poco dopo si è fermato e si è costituito: è stato arrestato e ora è indagato per omicidio stradale, resistenza e omissione di soccorso. L’area dell’investimento non era coperta dalla video-sorveglianza, quindi bisognerà lavorare soprattutto con le testimonianze.

Adil Belakhdim viveva in Italia da anni e in passato aveva lavorato come operaio alla Tnt di Peschiera Borromeo. “Aveva iniziato l’impegno sindacale nel 2013 – ha ricordato Fulvio Di Giorgio del SiCobas – da quando si era sentito lui stesso sfruttato”. Come raccontano colleghi e amici, la sezione SiCobas di Novara è stata costituita anche grazie al suo impegno. Giovedì sera aveva inviato un audio a tutti i lavoratori nel quale li invitava a partecipare sia allo sciopero, sia alla manifestazione di oggi a Roma: “Se venite – diceva – imparerete molte cose sull’organizzazione”. Sposato con una donna italiana, aveva due figli di 15 e 17 anni. La famiglia era però in Marocco e ha appreso della sua morte dai notiziari.

Nella giornata di ieri, c’è stato un profluvio di reazioni. Il premier Mario Draghi si è detto “molto addolorato”, il ministro del Lavoro Andrea Orlando ha detto che è “inaccettabile che nel nostro Paese l’esercizio delle libertà sindacali possa mettere a rischio la vita”.

“Nella logistica – ha affermato il segretario Cgil Maurizio Landini – si stanno verificando troppi episodi d’intimidazione e di violenza”.

Tra gli argomenti di protesta del Sicobas c’è la norma del decreto Semplificazioni che prima innalza e poi cancella la soglia massima dei subappalti, oltre che l’opposizione al contratto nazionale del trasporto merci firmato dalle sigle di categoria di Cgil, Cisl e Uil. Inoltre, SiCobas è molto preoccupato per gli effetti dello sblocco dei licenziamenti in un comparto come la logistica, che fa i conti con continui cambi d’appalto ed è frammentato in cooperative che spesso appaiono e scompaiono nel giro di pochi anni.

Ecco perché oggi saranno a Roma mentre, contemporaneamente, ci sarà un nuovo presidio al polo logistico Lidl di Biandrate, dove anche i sindacati confederali hanno indetto uno sciopero fino a domani.

La sentenza “Cavallo” salva Genovese

Come una ghigliottina, la sentenza “Cavallo” della Sezione Unite della Cassazione si abbatte su due processi siciliani in cui l’accusa era voto di scambio. Il primo a Messina in cui sono stati assolti, perché il fatto non sussiste, l’ex deputato Francantonio Genovese e il cognato ed ex deputato regionale Franco Rinaldi, che erano imputati per associazione finalizzata dalla corruzione elettorale. L’altro è quello di Termini Imerese (Palermo) dove sono stati prosciolti dalla maxi-inchiesta sul voto di scambio l’ex governatore siciliano Salvatore Cuffaro, il deputato leghista Alessandro Pagano e l’attuale assessore regionale all’ambiente Toto Cordaro.

Con la sentenza del novembre 2019, gli ermellini si erano pronunciati sul ricorso presentato da tale Vito Antonio Cavallo dopo una condanna d’appello a Brescia, e i giudici avevano deciso di vietare l’utilizzo dei risultati delle intercettazioni di conversazioni in procedimenti diversi da quelli per la quali i dialoghi captate erano stati autorizzati.

Per anni soprannominato il “re della formazione messinese”, Genovese era stato coinvolto nel 2016 nell’inchiesta “Matassa” della Direzione Distrettuale antimafia di Messina. Secondo le indagini, erano emersi gli interessi e l’infiltrazione dei clan mafiosi messinesi nelle attività economiche e nella politica. Per questo erano finite sotto le lenti della magistratura anche tre tornate elettorali: le regionali del 2012, le politiche del 2013 e le amministrative di Messina del giugno 2013. Per l’accusa posti di lavoro, generi alimentari di prima necessità e buste della spesa erano state offerte e promesse in cambio del voto. Così, secondo gli inquirenti, molte preferenze erano finite a Genovese e al cognato Rinaldi, che nel frattempo erano passati dal Pd alla corte di Silvio Berlusconi in Forza Italia. Ma dato che la “Cavallo” rende inutilizzabili le intercettazioni, le accuse cadono sancendo 16 assoluzioni e annullando le condanne in 1° grado a Genovese (4 anni e 2 mesi) e Rinaldi (3 anni e 4 mesi). Da alcuni anni Genovese ha abbandonare la politica, lasciando l’eredità al figlio Luigi, eletto alle regionale del 2017 con oltre 17 mila preferenze con Forza Italia, a sostegno del governatore Nello Musumeci.

Anche nella maxi-inchiesta di Termini Imerese non si potranno usare le intercettazioni, e per questo motivo 69 indagati su 87 sono stati prosciolti dall’accusa di voto di scambio, perché il fatto non sussiste. Erano tutti finiti nell’indagine “Voto connection”, in cui era emerso un giro di promesse e favori in cambio della preferenza. Posti di lavoro, trasferimenti di ufficio, l’affidamento di servizi, l’accesso ai corsi di laurea a numero chiuso e il superamento degli esami di maturità. Il tutto per ottenere voti alle amministrative di Termini Imerese e alle regionali, entrambe celebrate nel 2017. “Dal contenuto delle conversazioni telefoniche intercettate si evinceva – si leggeva nell’informativa redatta dei carabinieri –, che Cuffaro è ancora uno degli esponenti politici del territorio siciliano, capace di far confluire voti in favore dei candidati da lui individuati”. Accuse che però non hanno più un peso processuale e per questo sono prosciolti l’ex governatore, il leghista Pagano, l’assessore Cordaro, i deputati regionali di Diventerà Bellissima Alessandro Aricò e il forzista Mario Salvini, l’ex deputato Salvino Caputo e l’ex sindaco di Termini Imerese, Francesco Giunta.