B. al colle è un vero scandalo e i tre giornaloni stanno zitti

Massimo Fini ha ragione a scrivere “Berlusconi for President è un’indecenza” (il Fatto, 11 giugno). È un’analisi precisa. Puntuale. Ricca di fatti documentati su cui tornerò, intanto dico che B. al Quirinale è uno scandalo a) Per la malafede di chi, per calcolo politico, ha avanzato l’idea; b) Per l’assenza di rossore dello stesso B. che punta a candidarsi pur sapendosi impresentabile; c) Per il fetore che emanano alcuni media (giornali e tv) capaci d’ingoiare e giustificare qualsiasi cosa torni utile al loro “campo di appartenenza”. Perché questo è il punto: quintali di carta e chilometri di paroloni sull’“interesse generale” e “il bene del Paese”, poi tutti proni ad accettare (anche) Silvio Berlusconi presidente della Repubblica. Dai giornali di famiglia non mi aspetto nulla contro il Caimano, ma dai direttori di Repubblica, Corriere della Sera, La Stampa… attendo qualcosa di più di una semplice “registrazione” di ciò che accade perché quando vogliono sanno opporsi, indignarsi, organizzare campagne giornalistiche di protesta. Adesso invece tacciono. Perché? A Molinari, a Fontana, a Giannini… sta bene la candidatura del plurinquisito al Quirinale? Lo dicano. Il prezioso articolo di Fini è scritto con la schiena dritta (non è un particolare secondario) e ricorda che “Berlusconi è stato condannato in via definitiva a quattro anni, poi ridotti, via condono, a un anno e mezzo, per una colossale evasione fiscale”. È un dato enorme che dovrebbe bastare a squalificarlo, e invece prevale l’incredibile tendenza a soprassedere: gli italiani dimenticano. Insomma, mentre negli Stati Uniti gli evasori fiscali vengono sbattuti in prima pagina, indicati agli americani con disprezzo, e, naturalmente, finiscono in carcere; in Italia accade il contrario: dopo la ridicola “rieducazione” ai servizi sociali, finiscono al Quirinale. Bisogna fermare questa sconcezza! E ricordare a tutti – “gridarlo dai tetti” – che oltre alle condanne, B. “ha usufruito di nove prescrizioni e in tre casi la Cassazione ha accertato che i reati li aveva commessi.” È sulla parola “prescrizione” che bisogna soffermarsi. I cortigiani del Re giocano spudoratamente su questo termine sproloquiando in tutti i salotti Tv come se “prescrizione” significasse “assoluzione”. È un falso assoluto. È sulla manipolazione della realtà che poggia la credibilità sia pur ridotta di cui gode B; mentre in verità, ricorda l’autore de La ragione aveva torto?, una sentenza della magistratura dice che si può definirlo “delinquente naturale, pregiudicato, corruttore”. È una miniera d’informazioni il suo articolo, invito chi l’avesse perso a leggerlo perché ogni riga è un omaggio alla giustizia. E all’etica. Vedi la denuncia della “truffa miliardaria” di B. “ai danni di un’orfana minorenne”; un dato scandaloso che i giornaloni nascondono, occupati ad attaccare “i populisti” e quel bolscevico di Conte. Breve considerazione finale. Sono stati scritti migliaia di articoli, e molti libri e girati film su Berlusconi, e tutti (tranne quelli agiografici) colgono qualche suo tratto. L’indole. Una sfumatura del carattere. Il cinismo. L’arroganza. La sete di potere. Il disprezzo delle regole. Il rifiuto della giustizia. È nella satira latina tuttavia che trovo meglio rappresentata la fase odierna del Caimano. Sto pensando a Giovenale; scrisse 16 Satire pubblicate in 5 libri: “Di fronte a una società che gli appare irrimediabilmente corrotta – dice la critica – Giovenale svela i vizi e le ingiustizie della società romana… il servilismo, l’indegnità delle classi dominanti, il legame tra ricchezza, corruzione e potere”: afferma: “C’è chi, come prezzo del proprio misfatto, ebbe la forca, chi la corona”. Sembra scritto per il Caimano. Ha compiuto molti misfatti: ora è pronto per il Quirinale. Grandezza di Giovenale! Insisto: non hanno nulla da dire Molinari, Fontana, Giannini? Tacciono. “Le menzogne più crudeli sono spesso dette in silenzio”.

 

Vaccini e sorveglianza: la nostra bussola oggi

Cari concittadini, le riflessioni che abbiamo scritto sono dedicate a tutti coloro che hanno sofferto a causa della pandemia, anche quando non sono stati direttamente contagiati. Il virus ha distrutto famiglie, lacerato affetti e messo in pericolo la sicurezza economica di molti. Solo uno sforzo corale che superi egoismi e divisioni politiche può rimarginare questa ferita del nostro tessuto sociale. (…) Solo l’analisi di informazioni aggiornate e corrette può aiutarci a capire cosa sia successo, e trovare il filo conduttore per uscire da questo gorgo, identificando le strategie adeguate e le tattiche più mirate e condivise. Il che richiede innanzitutto un cambio di atteggiamento che deve realizzarsi in primo luogo nel comune sentire, nel cuore dell’opinione pubblica. (…)

A partire dall’anno dell’Unità fino al primo decennio dopo la Seconda guerra mondiale, la priorità di tutti i governi che si sono susseguiti, indipendentemente dal colore politico, è stata il controllo e l’eliminazione di malattie epidemiche come il tifo, il colera e la malaria. (…) L’Italia ha sconfitto queste malattie senza avere a disposizione vaccini e terapie efficaci, con uno sforzo collettivo basato sulla prevenzione e sulla sanità pubblica. Oggi abbiamo i vaccini. Questi sono un presidio determinante, che riduce drasticamente il pericolo, restringendo di molte volte la base del contagio, ma non sono la bacchetta magica. La durata della protezione indotta dal vaccino e il possibile sviluppo di varianti resistenti al vaccino potrebbero minare l’efficacia di questo strumento. Tutti noi speriamo che queste condizioni non si realizzino, ma da qualche parte nella nostra mente lo dobbiamo tenere presente. (…)

Viviamo ora una transizione che ci sta portando da una situazione epidemica a uno stato endemico del rischio di infezione. Una situazione ancora insidiosa, che richiede misure molto dettagliate e granulari, soprattutto sostenibili a lungo termine. La sostenibilità sociale ed economica delle misure di prevenzione e controllo sarà il fattore che determinerà la possibilità di ritornare a una vita normale nel prossimo futuro. Vaccini più sorveglianza: è questa la proposta che vogliamo condividere con voi. Perché sarà proprio la vostra persuasione informata che potrà fare la differenza. (…)

La diffusione della malattia e la politica per combatterla passano necessariamente da tutti noi; in ultima istanza, coincidono con i nostri comportamenti. Non è difficile capirlo, è complicato organizzarlo. La malattia ci permette, nelle pieghe delle infinite conseguenze drammatiche che comporta, di trovare spunti per meglio conoscere gli uomini, anche i più lontani. “Dimmi il tuo rapporto con il dolore e ti dirò chi sei”, era il motto di Ernst Jünger, il preveggente filosofo tedesco del Novecento, che lavorò proprio sul concetto di catastrofe come complicità umana. La sofferenza diffusa procurata a tutti noi dalla pandemia ci offre una lente di ingrandimento per meglio valutare la nostra comunità, i nostri amici e colleghi, i nostri governanti, la classe dirigente politica ed economica del paese. Questo non implica mettere in discussione il ruolo e il rispetto per le istituzioni. Al contrario, pensiamo che da questo tunnel si esca proprio con uno Stato più capace, una politica più prestigiosa, istituzioni più salde. (…)

Le misure che di volta in volta vengono applicate determinano un equilibrio instabile, come fossimo su una bilancia che oscilla in continuazione. Su un piatto abbiamo il virus che cerca implacabilmente di riprodursi, sfruttando ogni opzione e possibilità che la nostra vita gli offre, la scuola, le vacanze, gli ambienti affollati, i contatti sociali. Sull’altro piatto stanno il distanziamento, i dispositivi di protezione, le vaccinazioni e tutte le accortezze e le soluzioni farmacologiche, tecnologiche e sociali che attiviamo per stroncare questa sua aggressione. Esattamente come su una bilancia in equilibrio: se tu togli un elemento da un piatto, per ricostituire il bilanciamento devi pareggiare dall’altra parte. (…) La nuova bussola di questa opzione è il legame fra vaccini e sorveglianza. (…)

Per questo ci rivolgiamo ai nostri concittadini, a quanti ancora tremano a ogni colpo di tosse, o si accalcano al pronto soccorso degli ospedali, o temono per un vaccino di cui non riescono ancora a capire bene rischi e benefici. A questo popolo non si parla con i colori delle Regioni, o le gradazioni dei vincoli che sbiadiscono a ogni tirata di giacca. Bisogna dare informazioni trasparenti e attendibili, ed elementi di giudizio probanti, senza filtrare la realtà.

* Estratto da Caccia al virus” 

Bancari esodati Sul ricalcolo fiscale è in arrivo il chiarimento dei ministeri

Sono una degli 11mila esodati delle banche che nel 2016 hanno aderito al Fondo esuberi volontari e si sono prepensionati. L’accordo sulle uscite prevedeva che l’ex dipendente percepisca, tramite l’Inps, un assegno mensile netto straordinario di sostegno al reddito in attesa del pensionamento definitivo. Ogni banca paga all’Inps l’assegno, i contributi previdenziali e le imposte. L’assegno, ricevuto tramite Inps, non costituisce reddito e gode di un’aliquota d’imposta agevolata. Ora però l’Agenzia delle Entrate ha mandato un avviso bonario e chiede entro 30 giorni un conguaglio sulle imposte, ricalcolato su un’aliquota che parifica fiscalmente l’assegno al Tfr. Ho presentato via Pec all’AdE l’autotutela, chiedendo l’annullamento della richiesta e il ricalcolo di quanto non dovuto, ma ho pagato la prima rata per poter “prendere tempo”. Che devo fare?

L. P.

Quando fu istituito negli anni 90, il Fondo di solidarietà del credito che gestisce gli esuberi volontari erogava assegni con aliquota fiscale agevolata dal 23 al 28% equiparata a quelle sul Tfr, la cosiddetta “liquidazione”. Negli ultimi 12 anni il fondo così ha gestito 70mila uscite volontarie, consentendo di ristrutturare il settore bancario senza esuberi e agevolando l’assunzione di 35mila nuovi bancari. Poi nel decreto legislativo 47 del 2000 l’aliquota di tassazione del Tfr è stata adeguata a quelle sul reddito e ora arriva anche al 40%. Così l’AdE ora applica la nuova norma fiscale sul Tfr e ricalcola le imposte pregresse per gli esodati. La questione è stata sollevata in alcuni incontri con l’Agenzia dai cinque sindacati del credito e dall’Abi. L’AdE si è impegnata a non iscrivere per ora a ruolo quelle somme in attesa di un’interpretazione autentica dei ministeri dell’Economia e del Lavoro. I sindacati chiedono ai ministeri che sugli assegni del Fondo l’aliquota fiscale resti quella precedente al dlgs 47/2000 perché quelle somme sono erogate al netto, come previsto dal regolamento del Fondo e dalla sentenza della Corte di Cassazione sezione Lavoro n. 18128 del 22 agosto 2014, e non sia equiparata a quella sul Tfr, siccome gli assegni hanno natura di ammortizzatore sociale e non di reddito accantonato. Prima di pagare conviene dunque aspettare la risposta dei ministeri.

Nicola Borzi

Mail Box

Napoli, Manfredi e la sua passione per la Juventus

Manfredi si è giocato l’elezione a sindaco di Napoli dicendo di essere juventino. Non penso che Conte riesca a ribaltare la situazione. Ho molti amici napoletani sostenitori del MSS e tutti mi hanno detto che non voteranno Manfredi. Cari saluti,

Aurelio Scuppa

 

Credo che i napoletani, o almeno una parte di essi, siano troppo intelligenti per legare il loro voto alla fede calcistica del sindaco, visto come hanno ridotto la città tanti sindaci tifosi del Napoli.

m. trav.

Professoressa Gismondo, la ringrazio per l’articolo

Gentile Professoressa Gismondo, sento il dovere di ringraziarla per quello che ieri ha scritto sul Fatto Quotidiano. Il protocollo della vigile attesa e paracetamolo è disumano. Vaccinare 6-7 miliardi di persone ogni anno (con tanti effetti letali, gravi e meno gravi) rende molto di più, basta vedere le quotazioni in Borsa. Sappia che la stimo molto e spero che veramente si arrivi a una cura incontrovertibile, ma già da adesso il Covid si può curare, con attenzione e soprattutto monitorando il paziente. La saluto con la mia più viva e sentita considerazione.

Daniele Morandi

 

Lavoro: il salario deve tenere conto delle spese

Facciamo due conti in una famiglia di tre persone: padre, madre e figlia. La spesa da sostenere al mese: 1) un affitto (casa normale) pari a 700 euro ; 2) condominio pari a 80 euro ; 3) bollette pari a 100 euro ; asilo/vestitini/medicine pari a 100 euro ; 4) spese mediche pari a 100 euro ; 5) un divertimento per 3 pari 100 euro; varie pari a 50 euro. Totale di 1.230 euro netti al mese a cui deve corrispondere un salario lordo di circa 1.530 euro visto che i salariati, a differenza dei ricchi, le tasse le pagano! Ovviamente questa famiglia non fa vacanze. Ecco, invece di parlare a sproposito, sarebbe ora di parlare di cifre in modo che si dica apertamente che chi lavora non deve vivere ma sopravvivere perché la vita, quella vera, è riservata agli imprenditori che sono “il sale” del Paese! Quindi stabilire un salario minimo lordo di 12 euro l’ora è proprio il minimo per sopravvivere, non per vivere. Sarebbe il caso di avere un sindacato che accanto alla voce salario iniziasse a mettere la voce profitti e fare la contrattazione su ambedue, perché il profitto non è una variabile indipendente, ma il risultato del lavoro del salariati e dell’investimento dell’imprenditore.

Raffaele Fabbrocino

 

Minzolini, nuovo arrivo di “qualità” al “Giornale”

Ho letto l’intemerata reazione del “Minzolingua” al suo obiettivo commento riguardo la promozione alla guida del Giornale fondato da Montanelli. Intemerata ripresa dal Tempo con la sentenza per la quale lei era stato fatto a pezzi dal suddetto (ottimo spunto corifeo). Ho avuto modo di imbattermi nello “Scodinzolini” quando entrambi frequentavamo la palestra di Villa Borghese, denominata allora Sport Center Club e il suo modo di porsi nei confronti degli altri nell’ambito degli spogliatoi non mi è garbato. La sua islamica sottomissione a B. fece fare uno sketch nella trasmissione della Dandini nel quale il suo sosia affermava sull’aria della musica di New York-New York che per fare piacere a B. era disposto a far dire le “news” pure a Gattuso.

Marco Olla

 

Se commerciamo in Cina appoggiamo la dittatura?

Caro Direttore Travaglio, so, perché lo afferma lei, che è a favore della intensificazione dei rapporti commerciali con la Cina per motivi economici e di numeri. Però bisognerebbe ragionare razionalmente e giurisprudenzialmente su certe cose, favorite dallo sconsiderato WTO, che ai tempi di Ruggero fece entrare la Cina e l’India, con la possibilità di commerciare con tutto l’Occidente, anche se non avevano le caratteristiche per poterlo fare (erano dittature di fatto, baravano sui commerci, inquinavano, e altro). Perché vede, se noi vituperiamo tanto, e giustamente, la Trattativa Stato-mafia, dovremmo pensare che commerciare con Stati dove regnano Xi Jinping, Putin, Lukashenko, Al-Sisi, Kim Jong-un o Min Aung Hlaing, cioè reali dittature, equivale a fare affari con la mafia, la ‘ndrangheta, la camorra, la yakuza, il cartello di Medellin o le triadi cinesi. Ci conviene a noi occidentali? Se la globalizzazione ci ha portato a questo, si capisce da qui quanto fosse da evitare.

Enrico Costantini

 

Quindi rompiamo i rapporti commerciali anche con Usa e Regno Unito per le torture e le stragi in Afghanistan e in Iraq, senza contare Guantanamo?

m. trav.

 

Piero Angela: lo stile misurato che manca oggi

Ho letto con estremo piacere l’articolo di ieri di Piero Angela. Con il suo stile misurato e pacato rende un grande servigio alla comunità e alla comunicazione scientifica. Spero che in futuro anche altri professionisti utilizzeranno questo approccio anziché un sistema aggressivo che non è di alcun aiuto ed è, anzi, di detrimento per tutti.

Marco Schiavetti

Il prof. Coso Krechtz, la droga dentro al liceo e la tutela dell’ambiente

E per la serie “Battute che sorridono anche quando mordono”, la posta della settimana.

Caro Daniele, chi è “l’uomo della strada” di cui i politici parlano tanto? (Ugo Seriacopi, Bergamo)

L’uomo della strada è un signore di nome Roberto che lavora in una salsamenteria di Orvieto. Lui è il metro di misura rispetto a cui tutti noi siamo paragonati. Il signor Roberto ne è orgoglioso. Almeno finché non glielo spiegheranno.

Ti capita mai di sbagliare numero telefonico? (Laura Carosio, Bologna)

Mi è capitato proprio due giorni fa. Stavo cercando una mia amica. “Scusi, posso parlare con Cristina?” “Non saprei”, mi risponde un signore che non conoscevo. “Ha solo due mesi”. E io: “Aspetto”.

Sei un pezzo di merda. (Mauro Mandelli, Varese)

Grazie. Memorizzerò il tuo nome e butterò via la testa.

Di cosa si occupa la donna con cui stai? (Gia Fumagalli, Milano)

Fa la designer d’interni. Tengo molto a lei. Per questo cerco di non stonare con le tende.

Ti succede di far fatica a rimuovere una striscia di merda dalla tazza del cesso pisciandoci sopra? (Bartolomeo Infante, Venezia)

Spesso, e ne resto avvinto: la debolezza del mio getto di urina contro la forza della mia merda. C’è niente di più affascinante, in natura? (A parte i discorsi di Draghi, ovviamente.)

Gli uomini fanno la guerra, le donne no. (Andrea Termalli, Bolzano)

Il prof. Coso Krechtz, inventore dell’aspirapolvere in cui puoi infilare il tuo pene in tutta sicurezza, considera la circostanza da te evidenziata un esempio classico di invidia dell’utero. Secondo Krechtz, infatti, gli uomini farebbero così spesso la guerra perché hanno bisogno di sanguinare periodicamente.

La droga era un problema, nel tuo liceo? (Fabio Caputo, Foggia)

No, non era un problema. Ce n’era per tutti.

Cosa sta facendo il governo per la tutela dell’ambiente? (Linda Odescalchi, Catania)

Il governo non sta facendo nulla per la tutela dell’ambiente, ma ha una scusa valida: è troppo impegnato a non fare nulla per risolvere i problemi dell’occupazione.

Sei a favore della fecondazione assistita? (Agata Picariello, Avellino)

Sì, anche se non capisco l’esigenza dello sperma congelato. Non è che scarseggi il prodotto fresco, mi pare. È per tutelare la privacy? Bendate la ragazza!

Di recente è morto l’ultimo superstite del Titanic. Aveva 98 anni. (Franco Giusti, Roma)

Peccato. Proprio adesso che erano così vicini a tirarlo fuori dall’oceano.

Perché non chiudono l’ex Ilva di Taranto? Inquina e uccide. (Renzo Fabris, Potenza)

Perché chiuderla avrebbe ripercussioni negative sull’economia e sui posti di lavoro. E l’economia è più importante della vita. “Preferirei avere un lavoro piuttosto che respirare”. L’ho detto tante di quelle volte. La respirazione è sopravvalutata. L’altro motivo è che i politici vogliono essere rieletti e seguono i sondaggi. Anni fa, Bush firmò un decreto che rendeva Yucca Mountain una gigantesca pattumiera per scorie nucleari. È in Nevada, vicino alla zona dei bordelli. Perché i sondaggi dicevano che c’era bisogno di puttane radioattive. L’unico a protestare fu Leonardo DiCaprio. E Bush replicò: “DiCaprio? Credevo fosse morto sul Titanic”.

 

Il Pd inciampa sul palazzo da sgomberare

L’idea, sottaciuta, che il Pd offra la sua merce in una specie di supermercato dove il cliente-elettore può trovare tutto e il suo contrario ha subito un disastroso tracollo. A causa della presenza del candidato sindaco, Roberto Gualtieri, in un palazzo occupato vicino San Giovanni – lo Spin Time – scelto dai democratici romani come sede per un dibattito sulle primarie. Apriti cielo: fulmini e saette sono piovuti sull’ex ministro dell’Economia, a cura soprattutto di colui che potremmo definire il padrone del market e di (quasi) tutto ciò che c’è intorno: Francesco Gaetano Caltagirone. Che oltre a essere proprietario di mezza città, e dunque sensibile al problema dell’occupazione abusiva (tra Ater e Comune, il 16% dei 75mila alloggi popolari), è anche l’editore del Messaggero, che nella Capitale è il quotidiano più diffuso, e dunque assai temuto dai politici. Infatti, ieri mattina, dopo il fuoco amico (?) del Nazareno di rito renziano (l’immancabile Marcucci), sulla testa del povero Gualtieri si è abbattuta una paginata del giornale di “Caltariccone” (copy Dagospia) con i rivali implacabili nell’infierire sulla sfortunata iniziativa. Dalla sindaca ricandidata Virginia Raggi (“un salottino radical-chic, se si avallano le azioni di chi usurpa un immobile, istituzioni sconfitte”). A Carlo Calenda, in tuta mimetica e sfollagente (“un danno civile di proporzioni inaudite, io sono per gli sgomberi”). Al campione della destra, Enrico Michetti, che invoca “il rispetto della legge”, ma che a proposito dello stabile nel cuore della città occupato da CasaPound risponde con un impagabile: “Non li conosco”.

Gualtieri prova a replicare che “un sindaco serio va nelle situazioni più complicate”, se non fosse che chi si candida seriamente a fare il sindaco non può limitarsi a fare tana saltabeccando dal teatrino di Tor Bella Monaca ai fortini di Action, se poi non comunica una proposta forte e chiara per arginare degrado e illegalità. E se non ne fa una battaglia. Altrimenti siamo alla stanca riproposizione del “ma anche” di veltroniana memoria. Con gli elettori che non sanno che pesci prendere mentre la politica se ne lava le mani.

Provenzano (Pd) contro i liberisti chiamati da Palazzo Chigi

Eppur qualcosa si muove nel Pd, almeno da parte del suo vicesegretario. S’intende la presa di posizione che ieri Peppe Provenzano ha espresso contro la chiamata a Palazzo Chigi di un gruppo di esperti, tra cui alcuni ferventi nemici dell’intervento pubblico in economia. “Una vita a infamare la spesa pubblica su Twitter, e poi? – ha scritto – Ma aggiornare, se non le letture, le rubriche di alcuni consiglieri a Chigi?”.

Provenzano ce l’ha soprattutto con la scelta di chiamare due figure al Nucleo tecnico per il coordinamento della politica economica (Ntpe), struttura del ‘Dipartimento della programmazione economica di Palazzo Chigi che fa capo all’economista Marco Leonardi. Le figure in questione sono quelle di Carlo Stagnaro, direttore ricerca del think tank ultraliberista Bruno Leoni (la vice, Serena Sileoni, è già a Palazzo Chigi come consigliera) e di Riccardo Puglisi, professore associato a Pavia noto soprattutto per le sue polemiche su Twitter. “È una scelta incomprensibile – spiega Provenzano al Fatto – Questi esperti lavorano in un dipartimento che si occupa di investimenti pubblici e sono contrari all’intervento pubblico in economia. È come far fare il sommelier a un astemio”.

Sulla scelta dei nuovi esperti, retribuiti con circa 30mila euro annui e, a quanto risulta, voluti dal sottosegretario al Dipe Bruno Tabacci, il Pd non ha però preso una posizione ufficiale, anche se nel partito in molti condividono l’uscita e il malumore del sottosegretario. Silenzio assoluto, invece, dai 5Stelle e da LeU.

Esuberi e hub elettrico, Stellantis ora tiene per la gola il governo

A che punto è il futuro di Stellantis in Italia? La risposta data mercoledì dal ministro Giancarlo Giorgetti, dopo un’interrogazione alla Camera e il tavolo delle parti sociali al Mise, lascia ancora in campo molte, troppe incertezze. I vertici del nuovo colosso hanno posto la questione già indicata dall’ad Carlos Tavares nelle visite ai siti italiani: l’eccessivo costo industriale. Di qui, la richiesta di parlare per prima cosa dello stabilimento di Melfi: Stellantis ha annunciato di voler realizzare lì quattro nuovi modelli elettrici per 400mila vetture annue, chiedendo però di riorganizzare le linee produttive da due a una e riducendo il personale di 700 unità.

È questa la stranezza della trattativa, con il governo che ha accettato una discussione per singoli siti senza pretendere un piano generale. Per ora nulla è dato sapere su cosa accadrà negli altri stabilimenti. Gli ultimi dati sono quelli del 2019, prima della pandemia. Fca aveva raggiunto quasi 900mila vetture prodotte, conteggiando però 250mila veicoli industriali: l’indicazione di 400mila vetture previste a Melfi e l’andamento del mercato peseranno non poco. Cosa intende fare Tavares a Pomigliano (proseguire la produzione di Levante e mantenere quella della Panda?), a Cassino (continuerà la produzione dei modelli dell’Alfa Romeo?) e nel polo di Torino, “culla” della Fiat? Da giorni filtra la voce della possibile chiusura del “polo del lusso” della ex Bertone di Grugliasco: se accadesse, la produzione dei modelli Maserati (saranno ancora un asset per Stellantis?) sarebbe spostata a Mirafiori. Uno stabilimento che occupa quasi 9 chilometri quadrati, ospita la linea della 500 elettrica, ma nel 2019 ha fatto uscire solo 25mila vetture.

Altrettanto in stand by è la questione fondamentale della collocazione della terza gigafactory europea, dopo quelle in Francia e Germania, per produrre le nuove batterie elettriche. Un elemento strategico per garantire la produzione di vetture elettriche nel nostro Paese. Giorgetti ha spiegato che Stellantis è stata invitata a realizzare l’impianto in Italia. L’impressione, però, è che l’azienda potrebbe rinviare l’annuncio oltre il suo Electrification Day di Parigi dell’8 luglio, aprendo una “gara” tra Paesi europei legata al maggior contributo pubblico per la realizzazione. Fronte dove la concorrenza della Spagna è temibilissima, date le vendite molto più forti e 12 miliardi del Pnrr iberico stanziati per la transizione elettrica. Se toccasse all’Italia, poi, dove collocarla? Al Sud, come vorrebbe il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani, o a Mirafiori, come pensa un’altra parte dell’esecutivo? Il tutto nel totale silenzio delle istituzioni di Torino (con l’eccezione della sindaca Appendino) e in particolare del suo centrosinistra: l’interrogazione a Giorgetti è stata firmata solo da deputati del centrodestra.

L’ultima questione, ma non la meno importante, riguarda la garanzia pubblica Sace concessa nel 2020 al prestito di 6,3 miliardi a Fca. È sempre stata considerata “un’arma in mano all’esecutivo” per premere su Stellantis. Al termine del tavolo di martedì, però, Giorgetti ha esordito parlando di “preoccupazione”. Termine che fonti governative hanno interpretato così: Stellantis potrebbe eludere il problema, dando il via alla restituzione di quel prestito e poi accelerandola.

Liquidità per le imprese, scontro con l’Ue sugli aiuti

Formalmente nessuno conferma e il negoziato con la direzione Concorrenza della Commissione europea diretta da Margrethe Vestager è ancora in corso. Plurime fonti di mercato, però, sono concordi nel riferire che Bruxelles è contraria a un allungamento “eccessivo” degli aiuti pubblici alla liquidità delle imprese per la pandemia. La conseguenza quasi certamente sarà un ulteriore ridimensionamento rispetto alle aspettative italiane. Una decisione che, se confermata, imbarazzerebbe il governo.

Lo scontro riguarda il decreto Sostegni bis, in discussione alla Camera. Come richiesto dalle associazioni imprenditoriali, Confindustria in testa ma anche dall’Abi, l’associazione delle banche, il testo (articolo 13) ha esteso la moratoria sui prestiti fino al 31 dicembre 2021 per le piccole e medie imprese; allo stesso tempo, però, è previsto, per chi ha già richiesto un prestito oltre i 30mila euro, di estendere la durata della garanzia pubblica dai 6 anni attuali a 10.

Qual è il problema? Bruxelles è contraria all’allungamento a 10 anni. La norma inserita nel decreto, infatti, non è automatica ma è vincolata al via libera europeo. Il ministero dell’Economia nega che ci sia stata una bocciatura formale e parla di “negoziato in corso”, ma al Fatto risulta che Bruxelles abbia lasciato capire che, così com’è, l norma non passerà. Di regola, in questo tipo di negoziato i governi evitano di notificare la misura se sanno di vedersela respinta e avviano prima una interlocuzione informale. Per questo, il ministero dello Sviluppo economico starebbe lavorando per notificare una misura che riduca a 8 anni la durata delle garanzie pubbliche sui prestiti.

Insomma, un ridimensionamento di due anni, che per questo tipo di provvedimenti non è poco. La mossa, peraltro, impatta su misure che sono già state ridimensionate rispetto alle intenzioni iniziali. La moratoria, per dire, non sarà automatica e la sospensione delle rate varrà solo per la quota capitale dei finanziamenti. La copertura della garanzia pubblica sui prestiti, invece, resta invariata al 100% per i finanziamenti fino a 30mila euro e al 90% per quelli di importo superiore, solo per i finanziamenti già in essere. Per i nuovi prestiti richiesti dal primo luglio (anche qui la scadenza è prorogata a fine anno), invece, la garanzia scende, rispettivamente, al 90 e all’80%.

Le misure di sostegno alla liquidità delle imprese sono arrivate col decreto Cura Italia del marzo 2020 per evitare il tracollo seguito alle misure restrittive per fronteggiare l’emergenza Covid. Stando ai dati diffusi mercoledì scorso dal Tesoro, le moratorie tuttora attive riguardano prestiti per un totale di 136 miliardi, a fronte di 1,3 milioni di sospensioni accordate. Hanno superato quota 177 miliardi, invece, le richieste di garanzia per i nuovi finanziamenti bancari per le micro, piccole e medie imprese presentati al Fondo di garanzia per le Pmi. Attraverso “Garanzia Italia” di Sace i volumi dei prestiti garantiti raggiungono i 24,5 miliardi di euro, su 2.290 richieste ricevute.

“Roma non sa dirci come vuol tutelare salute e ambiente”

Dopo la condanna emessa a gennaio 2019 dalla Corte europea dei diritti dell’uomo rispetto alla gestione dell’Ilva, il 30 giugno scade il termine ultimo concesso all’Italia dal Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa, la principale organizzazione di difesa dei diritti umani del Vecchio Continente composta da 47 Stati membri, per dimostrare di aver tutelato la salute dei tarantini. La sentenza, diventata definitiva a marzo dato che l’Italia non ha presentato ricorso, afferma che i diritti umani sono stati violati per aver esposto la salute degli abitanti all’inquinamento dell’ex Ilva. I rimedi del governo sono stati inefficaci. La Corte di Strasburgo ha condannato anche il continuo ricorso dello Stato ai decreti “Salva Ilva” che dal 2012, quando i pm sequestrarono l’impianto, hanno permesso alla fabbrica di continuare a inquinare. Per i giudici le misure di protezione della salute e dell’ambiente dovevano essere attuate al più presto, ma a due anni da quella sentenza l’Italia è ancora inadempiente.

Lo scorso 11 marzo, durante la seduta del Comitato dei ministri che vigila sull’esecuzione della sentenza, l’Italia è tornata sotto accusa. La delegazione europea ha rilevato “con soddisfazione” che “i responsabili dell’attuazione del piano ambientale non beneficiano più dell’immunità penale e amministrativa”, il famoso scudo previsto dal governo Gentiloni, ma per il resto ha puntato il dito contro l’Esecutivo italiano. Nel documento il Comitato ha ricordato che “l’esecuzione di tale sentenza esige che le autorità competenti assicurino che il funzionamento attuale e futuro dell’acciaieria Ilva non continui a presentare dei rischi per la salute dei residenti e per l’ambiente”. Una richiesta che stride con l’ultima Valutazione del danno sanitario elaborata dalle agenzie ambientali e sanitarie della Puglia, che hanno certificato che se l’ex Ilva (oggi “Acciaierie d’Italia”, dopo l’ingresso della pubblica Invitalia) tornasse a produrre 6 milioni di tonnellate di acciaio l’anno, come previsto dall’ultima Autorizzazione integrata ambientale, il rischio per i tarantini sarebbe inaccettabile. Ma c’è di più. I delegati europei “lamentano e deplorano – si legge – la mancanza d’informazione sulla questione cruciale in risposta all’ultima decisione del Comitato: notano che in queste circostanze è impossibile valutare i progressi realizzati nell’attuazione del piano ambientale, il rispetto del calendario fissato per la realizzazione dei restanti interventi e l’impatto dell’attuale gestione della fabbrica sulla salute pubblica e sull’ambiente: richiedono alle autorità di fornire rapidamente delle informazioni complete e aggiornate su queste questioni”. Insomma entro il 30 giugno l’Italia dovrà spiegare cos’ha fatto per porre rimedio a quelle violazioni ed entro quanto tempo intende attuare tutte le misure perché i tarantini non siano più a rischio. Nella sentenza, l’Italia era sta condannata anche per il ricorso alla decretazione d’urgenza contro la quale i cittadini non possono opporre ricorso: “Il governo – era scritto – è più volte intervenuto con misure urgenti per assicurare la continuazione dell’attività produttiva nonostante la constatazione, da parte delle competenti autorità giudiziarie, basata su competenze chimiche ed epidemiologiche, dell’esistenza di seri rischi per la salute e l’ambiente”. Questo dovrebbe impedire al governo di varare nuovi “Salva Ilva”, anche nel caso in cui il Consiglio di Stato confermasse la chiusura dell’area a caldo (la sentenza è attesa a giorni).

Nel frattempo Daniela Spera, rappresentante dei tarantini che hanno presentato ricorso a Strasburgo, insieme agli avvocati Sandro Maggio e Leonardo La Porta ha inviato nuove comunicazioni al Comitato dei ministri sul comportamento dello Stato italiano. Nei giorni scorsi ai delegati è giunta anche la sentenza penale del maxiprocesso “Ambiente svenduto” con le condanne dei fratelli Nicola e Fabio Riva.

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