Giugno doveva essere il mese della “spallata”, ma purtroppo potrebbe rivelarsi quello della frenata. La campagna vaccinale italiana, infatti, sembra risentire dell’incertezza seguita alla giravolta su AstraZeneca (divieto di somministrazione del vaccino a vettore virale per la fascia under 60 anni a seguito della tragica morte della 18enne genovese Camilla Canepa) e del conseguente caos sulle seconde dosi. “La decisione di somministrare AstraZeneca – aveva detto il generale Figliuolo il giorno dopo le nuove indicazioni dell’Aifa – avrà qualche impatto sul piano vaccinale”. E così sembra essere stato.
Il 10 giugno, giorno della notizia della morte di Camilla, erano state somministrate 618.689 dosi di vaccino anti-Covid, un record superato solo il 4 giugno (627.541). Due giorni dopo – il 13 giugno – le dosi sono scese a 420.670, per poi tornare a salire oltre il mezzo milione nei tre giorni seguenti. Il trend anche se l’esperienza insegna che le forti oscillazioni sono sempre possibili, sembra in frenata: “Il Piano – assicurava tuttavia ancora mercoledì il generale Figliuolo – è ancora sostenibile”. Resta il fatto che – secondo il report settimanale della Fondazione Gimbe – 2,66 milioni di ultrasessantenni non hanno ancora ricevuto nemmeno la prima dose e 6,2 milioni devono completare il ciclo vaccinale. E – come abbiamo dato conto ieri – il cosiddetto “abbandono vaccinale” (chi rifiuta una dose AstraZeneca o una seconda di altro vaccino) riguarda anche gli over 60.
Certo a fare chiarezza non aiuta l’Ema, l’Agenzia europea del Farmaco. Negli ultimi giorni, com’è noto, si è parlato molto di mix vaccinale, altrimenti detto “vaccinazione eterologa”, ossia la somministrazione di una seconda dose di un siero diverso rispetto dall’AstraZeneca ricevuto in prima istanza dagli under 60. Ebbene, ieri l’Agenzia europea è intervenuta sul tema creando – se possibile – ancora più incertezza: “L’approccio del mix di vaccini fra prima e seconda dose – ha detto Marco Cavaleri, responsabile Vaccini e Prodotti terapeutici per Covid-19 dell’Ema – è stato adottato con successo in passato ed è ben noto che spesso ha come esito una migliore risposta immune. Ma riguardo ai vaccini Covid abbiamo evidenze limitate, anche se alcuni studi preliminari hanno mostrato che la risposta immunitaria sembra essere soddisfacente e non stanno emergendo particolari problemi da un punto di vista di sicurezza. Quindi potrebbe essere una strategia da adottare, ma certamente le evidenze sono limitate ed è importante che raccogliamo più informazioni e monitoriamo attentamente”.
Ema, quindi, non può che alzare le mani: “Non è facile – prosegue Cavaleri – uscire fuori con una raccomandazione clinica”. Quindi che fare? “La decisione – conclude il dirigente Ema – è degli Stati Ue. AstraZeneca e Johnson&Johnson hanno un rapporto rischio beneficio positivo da 18 anni in su ed è una decisione degli Stati scegliere se lo vogliono usare solo in alcune popolazioni, se optare per il mix con un vaccino a mRna per il richiamo”.
Notizie confortanti, tuttavia, arrivano sul fronte degli effetti avversi della vaccinazione: “Ad oggi abbiamo 10 possibili casi di trombosi associata a trombocitopenia su oltre 6 milioni di persone vaccinate contro Covid con il vaccino Johnson&Johnson nello Spazio economico europeo – ha comunicato Georgy Genov, responsabile della Farmacoviglianza dell’Agenzia europea del farmaco – E su 45 milioni di vaccinati con AstraZeneca abbiamo 405 casi potenziali di queste trombosi atipiche con bassi livelli di piastrine”.
Quanto al pericolo variante Delta (ieri nel Regno Unito 11 mila contagi, come il 19 febbraio), secondo i dati del Public Health England – comunica il report Gimbe – una singola dose di Pfizer o AstraZeneca ha un’efficacia solo del 33% , percentuale che dopo la seconda dose sale, rispettivamente, all’88% e al 60%.