Il paradosso spazio-temporale degli Europei in quel di Teramo

In secondi, no. Il calcio non è uno sport che si misura in secondi. Quelli, i secondi, contano nell’atletica, nello sci, nell’automobilismo, nel nuoto, anche nel conteggio del tempo concesso nel basket per andare al tiro. Nel calcio, no.

Anzi: a Teramo, sì. Eccome, se contano. Perché a Teramo, gli Europei si giocano in zona bianca. Anzi: si guardano in zona bianca. Questa è una storia curiosa, quasi paradossale, di calcio sotto le stelle, in una provincia abruzzese, al tempo del Covid.

Siamo in piazza Martiri della Libertà, è la sera di Italia-Turchia, prima partita degli Europei e debutto degli Azzurri. Soprattutto, prima partita da poter vivere tifando, all’aperto, in mezzo a tanta altra gente, senza coprifuochi, controlli, paure, con la ritrovata libertà di un maxischermo in un bar. Anzi: due maxischermi, quelli dei due bar più importanti della piazza principale. Il Grande Italia e il DesArtistes, l’uno di fronte all’altro, divisi dalla decina di metri della bocca del Corso principale della città.

Due bar, due schermi, due platee di tavolini finalmente pieni di vita. Distanziati e non assembrati, ma di nuovo popolati e vivi. E due canali televisivi. Diversi. E qui, la storia si complica. Tanto che il calcio lo devi misurare in secondi.

Il Grande Italia ha scelto la Rai, il Des Artistes ha preferito Sky. Ma la tecnologia, a volte, è un gioco bislacco, così per qualche strano motivo la telecronaca Sky viaggia con qualche secondo di ritardo, rispetto a quella della Rai. Secondi che fanno la differenza, tra un’emozione possibile e una delusione annunciata. Come potevano, i tifosi del Des Artistes, emozionarsi per un’azione, se dal Grande Italia soffiava l’eco smorta dell’occasione perduta? E quanto è stato “imprevisto” ogni gol azzurro se, prima del tiro, nell’altro bar già festeggiavano? In una sorta di “singolarità spazio temporale” larga quanto il Corso, c’era anche chi faceva il “doppio sguardo”, seguendo la partita su uno schermo, usando l’altro come una sorta di instant replay fai da te.

Alla fine, tutti in festa. Con qualche secondo di ritardo.

Mercoledì, si replica. Fischio d’inizio alle 21.

Secondo più, secondo meno.

Mail box

 

La Rai e l’ammirazione estatica per Super Mario

Qualche mattina fa ero in viaggio in auto e dalle ore 12 alle ore 14 ho ascoltato alcune edizioni del giornale radio Rai sui canali di Radio 1, Radio 2 e Radio 3. Nel servizio dedicato al G7 la giornalista incaricata, non ricordo il nome, ha riportato anche queste testuali parole riferite al presidente Draghi: “…è sbarcato alle 12 circa in abito scuro e cravatta color malva”. Nella mia lunga militanza di radio ascoltatore (ho già compiuto 70 anni), non ho mai ascoltato un servizio di devozione estatica a questo livello! Posso sbagliarmi, mi correggerà. Sono preoccupato per la Rai e per il nostro Paese.

Claudio Locatelli

Caro Claudio, come diceva Montanelli citando Mussolini: “Come si fa a non diventare padroni in un paese di servi?”.

M. Trav.

 

Ho 67 anni e non mi fido a fare AstraZenenca

Ho visto la puntata di Otto e mezzo dell’11 giugno e volevo portare il mio contributo per comprendere il fatto che tre milioni e mezzo di over 60 non facciano la vaccinazione: io sono uno di questi, pur non essendo “No Vax”, e non intendo assolutamente vaccinarmi con AstraZeneca in quanto non capisco perché un 59enne sia a rischio se usa tale vaccino e invece io che ne ho 67 sia del tutto esente. La credibilità del Cts e della classe politica (il ministro della Salute il giorno prima alla Camera nel Question time affermava che tutti i vaccini sono sicuri e il giorno dopo ne autorizza l’uso solo per gli anziani) in questo periodo ha molto latitato. Penso che se a noi anziani proponessero Pfizer o Moderna andremmo quasi tutti a vaccinarci e avremmo risolto questo problema. Vorrei sapere, inoltre, da questi “esperti” che parlano, quale vaccino abbiano usato per la loro prevenzione, dato che non lo dicono mai.

Giuseppe Trestini

 

“Figliuoli di Crozza” sarà il programma per l’estate

Possibile che non vi sia balenato il vero motivo del perché il generalissimo tutto medaglie, mimetica e penna bianca, come distintivi compia certe azioni che consideri scriteriate? Ce ne sono almeno tre. Il primo è che in Italia, dopo il successo del duo Gallera-Sala, si senta il bisogno di qualcuno che li superi nel rendersi ridicoli di fronte all’Ue e al resto del mondo. Il secondo è il fatto che Crozza ha terminato temporaneamente il suo programma e si potrebbe fare ora un collage di “Figliuoli di…”, tanto per passare l’estate in allegria. A questo proposito Luttazzi sarebbe disponibile? Il terzo, ma sarebbe da verificare, credo che il generale Figliuolo potrebbe essere un valido “concorrente” per la presidenza della Repubblica, coronando così il sogno di Giorgia Meloni e dei vari Mattei. Faccio notare che l’aria pesante che si respira nel nostro Paese, come bene scrive Gad Lener, dove il pestaggio da parte di una squadraccia armata di bastoni ed altro materiale, verso degli operai licenziati, con la polizia che rimane inerte, mi sa di déjà vu.

Franco Novembrini

 

Polemiche sui fannulloni, parlano i cervelli in fuga

Rimango esterrefatto a leggere quanto dicono politici, industriali e datori di lavoro che invitano i giovani a rifiutare il Reddito di cittadinanza e accettare invece lavori con redditi da fame per mettersi in gioco. Loro hanno mai provato a mandare avanti una famiglia con 1.100-1.200 euro al mese? Quando parlano pensano a quello che dicono o il cervello è uno di quelli fuggito all’estero? Ho molta nostalgia dei politici di una volta che non avevano i social e che soppesavano le parole affinché il discorso non venisse travisato, perché le parole hanno tutte un significato preciso.

Afro Serafini

 

Qualche dubbio… senza sembrare No Vax

In tempi di vaccinazione di massa, ai nostri figli che a quanto pare rischiano più col vaccino che col Covid (in effetti la mia ha avuto solo mal di testa), l’articolo di Maria Rita Gismondo ci ricorda che la necessità di ospedalizzazione per il Covid è realmente del 3%, se la malattia viene presa in tempo. Basterebbe questo numero per chiedersi se rincorrere un vaccino che non starà mai al passo con le varianti e di cui non abbiamo casistica sugli effetti collaterali abbia un senso. Sono milanese e non posso che essere d’accordo sulla sanità che va cambiata, ma va cambiata anche la comunicazione, almeno la vostra, per uscire dalla dinamica Pro Vax vs. No Vax. Oggi è sufficiente farsi una domanda in più per essere bollati come No Vax che credono nella dittatura sanitaria. Beh, se un ricercatore come Crisanti non può avanzare un dubbio o essere libero di scegliere perché il giorno dopo si ritrova in prima pagina e costretto a vaccinarsi in mondovisione per farsi perdonare, allora ditemi voi che nome vogliamo dare a questa tifoseria acritica e ignorante che può dare del “coglione” al Nobel Luc Montagnier. La scienza non è matematica, procede per tentativi, ricordatecelo ogni tanto.

Margherita Helzel

“Io, ex expat, bloccato nel limbo tra Inghilterra e Italia”

Gentile Redazione, all’inizio del 2017 mi sono trasferito in Inghilterra, dove ho vissuto e lavorato per un paio d’anni. Appena arrivato mi sono iscritto all’Aire (Anagrafe italiani residenti all’estero), tramite il Consolato italiano. Prima di rientrare ho di nuovo contattato il consolato per avvisarli del mio ritorno in Italia. Solo recentemente ho saputo che, pur non essendo più residente in Uk, non lo sono neanche in Italia, perché il Consolato mi ha solo tolto dall’Aire, ma non lo ha comunicato al Comune lombardo in cui sono tornato a vivere nel 2018, cosa che avrei dovuto fare io, ma nessuno me lo ha detto, quindi non ho la tessera sanitaria. Sul sito non si può prenotare senza tessera, allora sono andato al centro vaccinazioni locale, dove mi hanno spiegato che, nonostante sia nato nel 1971 e abbia un serio problema polmonare, senza tessera non mi vaccinano, quindi mi hanno detto che devo rivolgermi all’Agenzia delle entrate, richiedere la tessera, aspettare di riceverla, poi andare sul sito, prenotare il vaccino, aspettare la data dell’appuntamento e finalmente farmi vaccinare. Alla faccia del “Vacciniamo tutti, anche i passanti!”, sbandierato da Figliuolo. Io sono rimasto sbalordito e l’impiegato che controllava la temperatura all’entrata, vedendomi uscire dopo dieci minuti e saputo l’accaduto, ha commentato: “Roba da matti! Se ha qualche amico che lavora in un giornale importante, gli dica di scriverlo sul giornale!”. Non avendo amici che lavorano in giornali importanti, ho pensato di provare almeno a mandare questa lettera al giornale per me più importante.

Alessandro

 

Caro Alessandro, come corrispondente da Londra ho cercato di vederci chiaro nella sua vicenda. Innanzitutto le mando un abbraccio virtuale: lei si trova in un limbo burocratico che è un po’ un girone dei dannati in cui tutti noi expat abbiamo il terrore di finire. Però, sentito il Consolato, devo confermarle che loro possono far poco: in caso di rimpatrio è l’interessato a comunicare il rientro al Comune di residenza e a chiedere l’iscrizione nell’anagrafe locale. Ed è poi il Comune a comunicare al consolato la cancellazione dall’Aire. Il Consolato si limita a prenderne atto e ad aggiornare le proprie liste. In ogni caso, anche gli Aire sono stati inseriti nel programma vaccinale italiano; quindi penso che la soluzione sia rivolgersi all’ufficio anagrafe del suo Comune e/o alla Asl competente. Un grande in bocca al lupo.

Sabrina Provenzani

Siamo messi così male da rimpiangere (da sinistra) Fini

Qualche giorno fa è circolata sui social una foto di Gianfranco Fini. Era in compagnia di Francesco Storace, quindi il povero Fini non doveva passare un gran momento. Era da un po’ che non si vedeva una foto dell’ex leader di Alleanza Nazionale. In tivù non ci va quasi più e in Rete è diversamente attivo.

Nello scatto, veicolato sui social proprio dall’orgogliosamente (e comicamente) fascistissimo Storace, Fini appariva sorridente ma in qualche modo affaticato. Il viso un po’ smunto, i capelli brizzolati. La Rete, bravissima nello scatenarsi in maniera belluina contro chi è – o anche solo sembra – in difficoltà, si è esibita in una serie di commenti feroci su Fini, quasi che invecchiare fosse un reato. Come ebbe genialmente a dire una volta Jean-Paul Belmondo, e a dire il vero non solo lui: “Invecchiare è brutto, ma l’alternativa è parecchio peggio”. Sacrosanto. E sarebbe peraltro assai divertente, nonché illuminante, scoprire come stiano invecchiando quei carciofi che hanno insultato Fini.

Perché ne sto scrivendo? Perché quella foto mi ha messo una grande malinconia. Di più: mi ha addirittura generato una strana forma di nostalgia. Non ho mai votato Fini, né mai potrei farlo. Incarna una storia lontanissima da me. Vent’anni fa, durante il G8 di Genova, disse e sostenne cose per me irricevibili. Per troppo tempo si è ridotto a vassallo di Silvio Berlusconi (Nanni Moretti glielo rinfacciò spesso). E ha sdoganato una classe dirigente non di rado imbarazzante, che ancora oggi vediamo in tivù e in Parlamento, e che ovviamente non ha poi avuto alcuna forma di riconoscenza nei confronti di Fini quando lo ha visto cadere.

Il suo tramonto politico è stato certo figlio di alcuni suoi errori, puntualmente ingigantiti da una stampa scorretta e incarognita. Se tutti pagassero le loro colpe come le ha pagate Fini, il Parlamento sarebbe pressoché vuoto e i talk-show risulterebbero sostanzialmente deserti. La “casa di Montecarlo” è un fatto mille volte meno grave dei 49 milioni della Lega, di Matteo Renzi da Bin Salman, di quasi tutto ciò che ha fatto Berlusconi e di non poche tresche di certi gaglioffi in quota Fratelli d’Italia, ma nel suo caso l’errore ha coinciso con “l’ergastolo”. Non pochi suoi amici ritengono che Fini si sia suicidato politicamente da solo, lasciandosi irretire – semplifico – dal gentil sesso e comportandosi come un ingenuo adolescente. Se anche così fosse, non meritava comunque neanche un decimo della rumenta che gli hanno vomitato addosso.

E adesso? Adesso il contesto post-atomico della politica italiana contemporanea rende Fini quasi un Churchill. Paragonatelo a Salvini, a Meloni, a Borghi, a Santanchè, a Nobili e a Marcucci: in confronto pare un gigante. Ecco perché quella foto mi ha messo nostalgia (e sono di sinistra!). Magari sbaglio, ma forse Fini – come scrisse secoli fa anche Fiorella Mannoia – avrebbe potuto rendere “normale” la destra italiana. Una destra finalmente liberale, conservatrice, mai populista e men che meno becera e xenofoba.

Qualcuno dirà che siamo messi così male da rimpiangere (da sinistra!) uno come Fini. È possibile. Resta il fatto che, dopo di lui, la destra italiana ha definitivamente sdoganato il peggio di sé. E adesso tira un’aria bruttissima, che può solo peggiorare.

 

I “contribuenti solidali” beffati dalla burocrazia kafkiana

Avete per caso pagato delle tasse o dei contributi che l’anno scorso avreste potuto non pagare? È possibile. La pandemia ha portato anche questa perversione.

L’anno scorso esistevano delle scadenze di tasse di cui, grazie al Covid, avreste potuto rinviare il pagamento. Non era una grande furbata perché tanto, prima o poi, avreste dovuto pagarle lo stesso. Mettiamola così. Voi le avete pagate subito, allo scadere del termine. E non solo perché non sapevate che potevate evitarlo. Ma proprio per spirito civico. Avreste dovuto evitare di pagare le tasse solo perché c’era in giro per il mondo un virus che la faceva da padrone? E così le avete pagate, senza sapere che per il ministro dell’Economia e delle Finanze diventavate un “contribuente solidale”. O meglio: avreste potuto diventarlo.

Avreste potuto diventarlo. Perché a dire il vero per diventare “contribuente solidale” avreste dovuto scoprire un comunicato del Mef, chiedere un apposito modulo e accuratamente riempirlo. Noi italiani siamo fatti così. Abbiamo bisogno di riempire un modulo anche per chiedere un modulo che ci serva per spedire un modulo. Quindi per acquisire il diritto di diventare “contribuente solidale” e soprattutto di essere inserito nell’elenco dei “contribuenti solidali” per far sapere a tutti gli italiani di avere rinunciato a rinviare il pagamento delle tasse, pur potendolo fare, bisognava prima di tutto studiare il decreto Cura Italia n. 18 del 17 marzo 2020 che, all’articolo 71 spiegava come scaricare il modulo, come compilarlo e come inviarlo all’apposito indirizzo certificato contribuentisolidali @pec.mef.gov.it. L’importante era non lasciarsi spaventare dalla burocrazia.

All’indirizzo mef.gov.it c’era spiegato tutto. Per avere diritto a essere inseriti nell’elenco dei “contribuenti solidali” il cittadino interessato doveva dimostrare di aver pagato nei termini stabiliti i tributi essenziali indicati negli articoli 61 e 62 del decreto Cura Italia, un elenco lungo dieci pagine e doveva darne comunicazione al ministero dell’Economia e Finanze. Il tutto doveva essere descritto nel modulo che era diviso in due sezioni. Nella prima bisognava inserire i dati del contribuente aspirate solidale e nella seconda bisognava inserire tutte le informazioni sulle imposte pagate, sulle date dei pagamenti, sugli importi e sui documenti che comprovavano il tutto. Oltre, ovviamente, alla fotocopia del documento di riconoscimento. E alla dichiarazione sulla privacy. Una volta compilato il tutto bisognava spedirlo per via telematica alla Direzione della Comunicazione Istituzionale del Mef.

Semplice no? Entro 30 giorni il vostro nome sarebbe stato inserito nell’elenco dei “contribuenti solidali”, neanche fosse l’elenco dei “Giusti delle Nazioni”. Ma sorge imperiosa la domanda: perché?

Lo spiegava il ministro in persona: “Per fini reputazionali”. Ah be’, allora. Valeva la pena di rischiare. Perché nel caso che i dati fossero risultati errati sarebbe scattata l’immediata rimozione dall’elenco dei “contribuenti solidali” oltre alle “conseguenze che la legge prescrive in caso di dichiarazioni mendaci”. Capito? Contribuenti solidali, cornuti e mazziati.

 

Pd, Letta non si faccia intimidire dai renziani

Come da copione, riprende il tormentone delle correnti Pd e, segnatamente, la sorda fronda degli ex renziani. Non me ne vogliano, ma è difficile chiamarli diversamente. Tutto secondo copione, prevedibile e previsto. Ho ragione di pensare che lo stesso Letta non si sorprenda. È il prezzo puntualmente pagato alla sua investitura emergenziale e unanimistica, anziché vagliata da un passaggio chiarificatore di natura congressuale. Zingaretti aveva avvertito.

Spero tuttavia che il buon Enrico non si faccia intimidire. Egli può far leva su buone ragioni. Per quel poco valgono, stante la loro aleatorietà, le rilevazioni più recenti danno il Pd primo partito, seppur di qualche decimale. L’annunciata federazione Lega-FI, a dispetto delle sue rappresentazioni sublimate e delle esili resistenze dell’ala governista di FI, è a tutti gli effetti un’annessione che semmai ci consegna uno schiacciamento a destra dello schieramento capeggiato dalla coppia Salvini-Meloni tra loro in competizione, ma entrambi attestati su un asse sovranista. Che si porta dietro tre problemi: un deficit di affidabilità in Europa suffragata dai referenti a Bruxelles di Lega e FdI, una vistosa insufficienza di classe dirigente e una competizione per la leadership della coalizione. Problemi dei quali si è avuta conferma nel tormentone circa le candidature alla guida delle grandi città. Con una soluzione spartitoria che sembra non abbia sortito candidature di alto profilo. A cominciare da Milano e Roma.

Vero è che i sondaggi che misurano il consenso alle sigle di partito danno la destra largamente favorita e tuttavia le stesse rilevazioni (vedi Ipsos), se mirate sulle plausibili coppie in corsa per la premiership – rispettivamente Meloni-Salvini e gli ex premier Letta-Conte –, danno un risultato diverso e comunque largamente aperto. Il discorso dunque si sposta sulla offerta politica e sulla comunicazione di essa.

Conte è alle prese con una impegnativa opera rifondativa del M5S. Mi limito a un cenno sul versante di Letta. Lo conosciamo: egli è, per indole, moderato, certo non un estremista di sinistra. Perché, merita chiedersi, gli si attribuisce una svolta gauchiste? Per titoli: come ha osservato Prodi, è cambiata la fase (Biden con le sue politiche, il nuovo corso Ue, il dopo pandemia, la domanda di protezione sociale che, nel recente passato, ha gonfiato le vele dei populisti e alienato alle sinistra il consenso dei ceti popolari); difficilmente si riuscirà a cambiare la legge elettorale che quasi costringe a una scelta di campo duale (di qua o di là); la conclamata vocazione maggioritaria che si risolverebbe nel suo contrario se il Pd rinunciasse a stringere alleanze (non è bastata la lezione del 2018?!); chiamati a schierarsi, i cespugli centristi prenderanno le loro decisioni, ma non sarà facile coniugare la retorica liberale e moderata con il sostegno alla coppia sovranista. Se lo crederanno, convergeranno con le loro gambe.

In ogni caso, non si capisce perché, come invocano i critici interni di Letta, egli dovrebbe correre appresso a quei cespugli dal consenso esile e dagli orientamenti incerti (quando non programmaticamente divisivi) e non coltivare invece con Conte, che tuttora gode di ampio consenso, un rapporto stabile e sì strategico dichiaratamente e reciprocamente ricercato. Seguendo uno schema che, pur dentro le nuove coordinate, richiama un po’ l’Ulivo: il Pd come major party posto al centro di un centrosinistra largo, plurale, inclusivo. Un cantiere cui imprimere un segno di novità e di apertura. Un solo esempio: ripensare le primarie, onde evitare flop tipo Torino e, temo, Roma. Le primarie devono essere vere, libere, competitive, mirate a rafforzare e allargare la coalizione. Senza previe investiture di candidati con casacche di partito che mobilitano solo i rispettivi, limitati iscritti a esso.

Ai nostalgici di Renzi si dovrebbe chiedere: davvero volete rovesciare il vostro mantra per ripiegare su un neocentrismo a “vocazione minoritaria”? Che interesse avete a indebolire la leadership di Letta che magari avete subìto ma che, sola, allo stato, se associata a un Conte auspicabilmente in sella del nuovo M5S, può competere con la coppia sovranista? Sì, investendo su una certa personalizzazione politica e comunicativa della partita.

Dunque, il buon Enrico non si faccia intimidire. I suoi critici interni non dispongono di alternative politiche. Possono solo fare interdizione (lo stigma del renzismo) con l’illusione di ritagliarsi una quota di un potere svanito.

 

Guerrafondai, giornaloni e complottisti: cosa si sa finora sull’Afghanistan

“L’Italia via dall’Afghanistan” (Agenzia DiRE, 8 giugno 2021)

Raccontando la ritirata militare Nato dall’Afghanistan, i giornaloni scrivono che gli Usa di Bush fecero la guerra all’Afghanistan come reazione all’11 settembre. Così però non si capisce nulla. Perché attaccare l’Afghanistan, se 15 dei 19 terroristi dell’11 settembre venivano dall’Arabia Saudita? Perché l’Arabia Saudita è una delle due amanti legittime che gli Usa hanno in Medio Oriente (l’altra è Israele). Per fortuna, Bush aveva le prove che bin Laden era collegato a Goldfinger, e poté far partire la “guerra al terrore”. Come pretesto, Bush accusò i talebani di non volergli consegnare bin Laden. Gli Usa stanziarono pure una taglia su bin Laden: 25 milioni di dollari. Nessun risultato. Allora la aumentarono a 50 milioni. Perché è noto che i pastori di capre in Afghanistan non si alzano dal letto per meno di 50 milioni di dollari. Immagino i falchi neo-con: “25 milioni di dollari, capiamo perché non ce lo hanno consegnato. Ma con 50 milioni di dollari dovremmo convincerli”. “Per 25 milioni di dollari hanno detto di no?! Chi si credono di essere, Tom Cruise?” diceva nel 2007, a teatro, un comico che chiedeva a gran voce il ritiro delle truppe italiane dall’Afghanistan, mentre il ministro della Difesa Parisi affermava al Tg2: “Quella in Afghanistan è una missione militare per la pace in una situazione che presenta molti tratti che richiamano la guerra”. Questa frase presentava molti tratti che richiamavano la stronzata: eravamo in guerra, nonostante la nostra Costituzione lo vieti (lo siamo stati fino al 2015). L’Italia berlusconiana e ulivista si era accodata agli Usa, che 10 anni prima stavano con i talebani, così come erano stati con Saddam, a cui fecero guerra due anni dopo con altri pretesti (Saddam non aveva “armi di distruzione di massa”; né legami con al Qaeda, nonostante la serie Homeland, pluripremiata, nella terza stagione accreditasse questa mistificazione). (Nota: negli anni 80, gli Usa di Bush padre avevano finanziato Saddam in funzione anti-iraniana, e gli avevano fornito tutto il gas necessario per sterminare i curdi, gas che era prodotto da una società di Bush padre. A parte che, se proprio vuoi eliminare tutti i dittatori dalla faccia della Terra, perché cominciare dalla lettera S? Vai almeno in ordine alfabetico, Cristo! Mussolini invade l’Abissinia. Perché? È alfabetico. Lui lo sapeva, Bush no). “Coi talebani o contro? Gli Usa si decidano, una buona volta, o il resto del mondo penserà che D’Alema non abbia una politica estera!”, diceva a teatro quel comico. Diventò una guerra in cui a un certo punto i talebani, che sono pashtun, venivano accolti come liberatori dalle popolazioni pashtun a sud e a est. Con gli Usa che ammettevano di non sapere quando sarebbe finita, ipotizzando addirittura la guerra all’Iran. Bush rassicurò: “Non c’è nessun piano di attacco contro l’Iran. Lo attaccheremo senza alcun piano, come con l’Afghanistan”. (La guerra all’Iran era un’altra delle idee da dottor Stranamore promosse dal “Progetto per un nuovo secolo americano”, think tank neo-con che annoverava guerrafondai del calibro di Cheney, Rumsfeld, Wolfowitz, Libby, Perle, Bolton. Nel 2000, un loro documento, “Ricostruire le difese dell’America”, proponeva gli Usa come poliziotti del mondo per meglio garantire gli interessi Usa. Scrivevano: “Il processo di trasformazione risulterà molto lungo, se non si dovesse verificare un evento catastrofico e catalizzante, come una nuova Pearl Harbor”. Sicché i complottisti fecero due più due quando, l’anno dopo, ci fu l’11 settembre, l’evento catastrofico e catalizzante che proiettò gli Usa nelle guerre coloniali in Afghanistan e in Iraq). (1. Continua)

 

Hanno Evirato Michetti: pare un dc sbiadito

Intervistona di Enrico Michetti a Libero, su cui mi butto avidamente a pesce, agognando apologie del saluto romano, concioni tribunizie sui Colli fatali, incursioni No-Vax. Insomma quel format nostalgico-caciaron-sovranista assai apprezzato da Talenti a Porta Furba e che ha condotto er Prof ai vertici degli ascolti nell’etere romano, e quindi agli onori della Destra che lo candida sindaco della Capitale. Macché. Uno sciapo semolino di ovvietà degno di un sottosegretario doroteo del governo Pella, dove galleggia roba forte come: “Per amministrare serve competenza” e, riguardo a Mourinho e Sarri, “svolgiamo due attività diverse”. Ma va? Qualcosa avevamo subodorato quando in una foto scattata poco prima della presentazione ufficiale del ticket con Simonetta Matone avevamo visto Michettone nostro circondato (diceva la didascalia) da un plotone di spin doctor, che devono averlo edulcorato, scozzonato e svigorito a puntino visto che adesso non si lascia sfuggire la pur minima sillaba che possa increspare l’umore dello sponsor Giorgia Meloni.

Purtroppo l’evirazione (in senso metaforico) del candidato è diventata pratica comune da quando la famosa Bestia che nutriva Matteo Salvini a Nutella e razzismo si è ingrippata (vedi sondaggi). Anche se il guaio non riguarda solo la destra con la coda (e il fascio) di paglia. Nella collezione elettorale primavera-estate, infatti, si porta molto lo stile “Come tu mi vuoi”, con i candidati che vengono ammaestrati a una compunta moderazione verbale, “perché questo vogliono gli elettori”. Immaginati dalla comunicazione mainstream come dei fighetti gnè gnè Ztl, estasiati davanti al michettiano “algoritmo Pitagora” (boh).

E invece manco per niente, soprattutto a Roma dove la propaganda si è spesso nutrita di sapori forti (bei tempi quando l’inciuciona Polverini imboccava Alemanno e Bossi con polenta e vaccinara). Passi per Roberto Gualtieri, la cui uscita più forte è un si-bemolle alla chitarra, e viva comprensione per Virginia Raggi occupata a scrutare il cielo per eventuali cadute bombe d’acqua. Però, è intollerabile che al “camerata Michetti” (Vittorio Sgarbi) sia impedito quel minimo sindacale che si concederebbe perfino a un Calenda. Tipo: anche il Duce ha fatto cose buone.

Savona: le criptovalute come i subprime. La Consob chiede regole internazionali

Criptovalute e fintech sono potenti fattori di sviluppo, ma anche di rischio, tanto per i risparmiatori quanto per la stabilità finanziaria. La loro evoluzione è stata più veloce della regolamentazione, motivo per il quale serve una collaborazione internazionale sulle regole. Ne è convinto il presidente della Consob, Paolo Savona, che ieri ha presentato la relazione annuale dell’autorità di controllo. “L’informatica finanziaria è una lampada prodigiosa dalla quale è uscito il Genio” . Per “riportarlo dentro”, secondo Savona, le authority devono usare le stesse tecniche digitali. Attualmente i criptoasset non sono considerati strumenti finanziari e chi li acquista, in assenza di promesse di rendimento, non è tutelato da regole e controlli.

Per il presidente della Consob questo buco legislativo e di vigilanza ricorda quello dei prodotti finanziari strutturati basati sui mutui subprime che fece esplodere la crisi del 2007-08: “Pur con le dovute distinzioni, è prevedibile che stia accadendo qualcosa di analogo nel mercato dei prodotti monetari e finanziari virtuali”. Inoltre l’assenza di una vigilanza condivisa a livello sovranazionale sui criptoasset solleva il tema del “confine d’incertezza di essere dentro o fuori il perimetro della legalità”. Dunque raccomandare prudenza ai risparmiatori non basta più: “Gli effetti sulla tutela del risparmio e sulla stessa distribuzione del reddito appaiono rilevanti e richiedono un’esatta comprensione per dare seguito urgente a una regolamentazione che colmi le lacune”, ha sottolineato il presidente della Consob.

Nel frattempo la Commissione deve “garantire un’informazione quanto più completa e affidabile, indispensabile per un buon funzionamento del mercato finanziario e incentivare il risparmio e ancorarlo all’attività reale”. Ma è una continua rincorsa per l’enorme mole di informazioni che si formano quotidianamente. Così nel 2020 Consob ha avviato 348 istruttorie su ipotesi di abusivismo finanziario legate a offerte al pubblico di prodotti finanziari non autorizzati. Ciò ha portato a 422 provvedimenti, con l’oscuramento di 237 siti internet che portano il totale da luglio 2019 a 410. Il tutto in un anno, il 2020, “uno dei peggiori vissuti dall’Italia sul piano economico e sociale dalla fine della Seconda guerra mondiale”. Dopo la crisi per la pandemia si intravede la ripresa che conferma come “risparmio ed esportazioni sono i pilastri della forza sociale ed economica del Paese”, conclude Savona.

Aggredito Aiello, aveva denunciato il voto di scambio

Un cenno di richiamo e poi due ceffoni violenti: il deputato Davide Aiello, ex capogruppo M5S in Commissione antimafia, domenica sera è stato aggredito così da uno sconosciuto a Casteldaccia (Palermo). A giugno 2018 Aiello aveva denunciato alla Camera il voto di scambio a Torre del Greco e Casteldaccia, suo comune natale, rivelando che durante le elezioni amministrative un assessore vicino al sindaco Giovanni Di Giacinto, Pd (arrestato per corruzione e abuso di ufficio, sospeso dal prefetto) aveva incaricato due persone di portare gli elettori al seggio e riportarli a casa elargendo “soldi, buste della spesa e pagamento di bollette elettriche’’. “È stata un’aggressione vigliacca”, ha detto il presidente dell’Antimafia Nicola Morra che ha chiesto indagini.

Deputato da una legislatura, Aiello è pronipote di una vittima di mafia. Suo bisnonno Andrea Raia, segretario della Camera del lavoro di Casteldaccia, fu assassinato con una fucilata alle spalle davanti a casa la sera del 5 agosto 1944. I suoi assassini sono sconosciuti.