Post Covid Un giorno anche i “creatori di regole” resteranno disoccupati

Quasi ci siamo. Pronti via. Finalmente vivremo con la ragionevole speranza che la pandemia sia passata. Domande: resterà l’orrore per le folle sudaticce? O ci divideremo tra i chi ci si ritufferà a pesce e i renitenti? Resterà la consapevolezza che a far tangenti sulla sanità si producono morti? Si affermerà l’idea che i militari affrontano le emergenze meglio delle burocrazie regionali? Esploderà la voglia di notti lunghe fino all’alba? E ancora: che rapporto mentale avremo con la Cina, specialmente se vincerà la tesi che il mondo intero ha pagato come una guerra un esperimento di laboratorio? Questioni grandi.

Io però vorrei qui volare molto più basso. “De minimis non curat praetor”, è vero. Solo che io non faccio il pretore ma sono un signore anziano irritato assai da certe abitudini galoppanti. Di cui si accinge a liberarsi con gioia infantile. Ad esempio non dipenderemo più tutto il giorno da corrieri e messaggeri. Potendo andare in giro liberamente, non dovremo più rispondere dieci volte al giorno al citofono a signori (sottopagati) improvvisamente inebriati dal piccolo ma decisivo potere di consegnarci qualcosa. Signori che ti invitano perentoriamente a scendere a prendere un pacchetto, una busta. Meglio: te lo “ordinano”, in qualunque condizione tu sia, anche se sei malato. Non entrano neanche nel portone, non oltrepassano il cancello. La regola è di stare fuori. Se non scendi subito, ti lasciano tutto in strada. Anzi può capitare che ti diano del tu (“allora il pacco non te lo do”, “scendi giù”), come decenni fa facevano poliziotti o carabinieri con i viandanti più dimessi. Ora basta: perdono questo potere di amministrare imperiosamente il nostro rapporto con i bisogni quotidiani. E io mi riprometto, per il futuro, di passare solo dalle poste.

Sono contento perché in certe località turistiche nostrane finisce lo spirito di rendita portato dalla fine dei viaggi internazionali. Per un anno hai pensato di trattarmi come un molestatore perché non avevo alternative, perché qui dovevo venire? Mi hai trattato con fastidio perché mi permettevo di essere tuo cliente? Ecco, ora posso viaggiare liberamente. Ancora girano gli aneddoti da antologia degli orrori di turisti increduli, in pole position la Liguria: “belin, ma se do più focacce a lei, agli altri che gli do?”; “io vendo biglietti, mica informazioni”.

Sono contento anche perché una cosa resterà con certezza dopo questa vicenda: le lezioni a distanza. Soprattutto per i corsi di perfezionamento, dove l’esperienza è riuscita benissimo. Più iscritti e di più alta qualità, costi più bassi perché non c’è bisogno di ospitare nessun docente esterno. E infatti sono qui le usanze che saltano. Viene l’acquolina al pensiero che resteranno finalmente disoccupati i potenti “creatori di regole”. Perché dovete sapere che sugli arrivi dei docenti esterni è cresciuta una sterminata letteratura giuridica. Quanti possono essere ospitati a cena sui fondi autogenerati dalle iscrizioni al corso? Viene il tale luminare da Londra? Bene, ma la cena della moglie se la deve pagare lui, sia chiaro. Che vuol dire che la paga il docente organizzatore. Il quale, beninteso, a sua volta non può mica far compagnia a sbafo all’ospite famoso, se la deve pagare anche lui la serata, ecchecavoli. Morale: tempo gratis per organizzare, telefonare, scrivere, tempo gratis per dare compagnia all’ospite. E in più pagare. Per uno, per due o per tre. E poi il ristorante: l’hai fatta la gara? L’hai firmata la convenzione? Regole capricciose e cangianti da università a università. Ecco, voi non mi crederete. Ma l’idea che non ci sia più materia su cui gli insaziabili legislatori di turno possano partorire i loro editti e codici personali mi regala una leggerissima sensazione di libertà. Perché quando sui “de minimis” ti fanno impazzire, uno se ne cura, credetemi. Oh, se se ne cura…

Donne & insulti Chiamata “zoccola” dal superiore. E nessuno ha detto nulla

“Io, insultata mentre operavo. Non ho denunciato per paura”

Cara Selvaggia, scrivo a te perchè́ sono una codarda; ho paura di denunciare quanto mi è accaduto per le ripercussioni che potrei avere, all’inizio di quella che io credo sia una splendida carriera.

Sono un chirurgo. Spendo buona parte del mio tempo in sala operatoria, un posto in cui riesco a lasciare silenti le preoccupazioni che mi creo nel poco tempo libero: cosa mangerò questa sera? Perché quel tipo non mi ha più scritto? Cosa trasmettono su Netflix di nuovo? In sala perdo le connessioni col mondo e penso solo a tagliare e cucire.

Qualche giorno fa, mentre mi destreggiavo al tavolo operatorio e godevo superbamente dell’impeccabilità del mio lavoro, mi sono stati rivolti gratuitamente e improvvisamente degli insulti volgari e pesantissimi da un superiore che passava di là. Io sono rimasta pietrificata e ho continuato ad operare fingendo di non aver sentito, perché in fondo se senza motivo un tuo superiore ti chiama “zoccola” mentre hai le mani sul rene di un paziente, puoi solo andare avanti per finire quello che hai iniziato.

In tanti erano li e hanno ascoltato le parole di quel giullare; tutti hanno sentito quel buffone appellarmi così, e nessuno ha detto niente. Non cercavo il difensore del mio onore, non volevo che nessuno combattesse per la mia dignità, ma qualcuno poteva riportarlo nelle righe, forse poteva farlo il primario, i colleghi presenti. Nessuno ha fiatato, ma tutti hanno commentato dopo… “ma lo sai che è così…”, “ne dice tante.”. ..Boys will be boys, ma anche i professori e i dottori will be boys.

Ci ho messo tre giorni per piangere la rabbia che covavo; non sono riuscita a razionalizzare prima, anzi, ho chiamato un’amica e le ho raccontato l’accaduto ridendo. Non credo che farò altro se non cercare di dimenticare. Ho paura delle conseguenze di una mia diffida nei confronti del mio superiore, ho paura per il mio futuro lavorativo. L’ambiente è piccolo, le voci girano, e chi vorrebbe portarsi nell’equipe una chirurga che ha denunciato l’ex capo? Ne ho sentite tante di storie simili alla mia, non siamo poche, e continuiamo a lavorare, cercando di far assopire il mostro fatto di rabbia e rancore che ci mangia lo stomaco. Te l’avevo già detto che sono codarda?

V.

 

Tieniti il tuo lavoro, cara V., e diventa il miglior chirurgo di quell’ospedale. Il superiore un giorno sarà in pensione e fuori di lì, al massimo, sarà un trombone patetico e volgare.

 

“Sono stata truffata in un momento di debolezza”

Sono stata vittima di una truffa, una cosiddetta romance scam. Fatto denunciato ai carabinieri. Truffa definita anomala per il calibro del personaggio con cui ero in contatto costante. Sono devastata psicologicamente e perdo peso. Non ho familiari, né una rete amicale decente (alla mia età sono tutti sposati). Lui, americano (vero, texano) residente a Bellagio, architetto secondo la narrazione.

Io ho avuto una vita complicata emotivamente: ho perso il mio compagno in un incidente, mio padre sei mesi dopo è stato vittima di un altro incidente, poi mia madre si è ammalata di Alzheimer e l’ho tenuta con me fino alla fine. Ho paura per la mia tenuta. Ho pagato 3 mila euro la prima volta, “l’architetto era volato negli UAE per un contratto”, è riuscito a far crollare i miei muri e le mie resistenze, non ho ancora capito come ho fatto a fare quel bonifico, io che sono diffidente e sospettosa. Poi quando stava per rientrare in Italia (copia del biglietto aereo inviata un paio di giorni prima) “lo hanno arrestato all’aeroporto di Dubai con una falsa accusa di detenzione di droga, punita con la pena di morte”. Shock, panico, concitazione, ultimi messaggi con nome dell’avvocato d’ufficio “love you babe ma mi stanno portando in carcere, mi tolgono il telefono!”.

Entra in gioco il nuovo personaggio, ma il livello scende, sia di inglese che di competenza e credibilità. Mi comunica la condanna immediata a 2 anni con alternativa di cauzione di oltre 50 mila euro per farlo uscire in 24 ore. Tutte le mie domande, contattare ambasciata, accedere al suo conto di Boston visto che è appena stato pagato, vedere copia della sentenza, ecc. cadono nel vuoto… Parte la richiesta di soldi per salvarlo. Appare un altro personaggio, l’amico americano. Cercano di prendermi tra due fuochi. L’americano scrive come un bambino e non risponde alle mie domande. Questo crollo del livello degli interlocutori mi ha scossa e ho iniziato a svegliarmi.

Sono andata dai carabinieri, sono stata un’ora in macchina fuori dalla caserma a piangere e vomitare per la vergogna. Il maresciallo è stato splendido: mi ha tranquillizzata. Sono amareggiata perchè ho fornito numeri di telefono, conversazioni, coordinate bancarie, e la denuncia non avrà un seguito perché non verranno mai chieste rogatorie internazionali per reati minori. Reati minori! Io non so se sopravvivo. Ho dato la mia disponibilità, ho chiesto se posso essere utile alla polizia postale, il personaggio è ancora attivo sui social. Non si può. Ho tenuto attivi i contatti con i 2 scagnozzi incaricati del recupero del denaro: ho temporeggiato, chiesto di intercettarli, non si può. A che serve la mia denuncia, fatta con tanta vergogna e dolore, sentendomi stupida ed esposta? Sono nel baratro.

R.

 

Cara R., nelle truffe romantiche sono cadute ragazze, ragazzi, donne e uomini anche molto intelligenti e smaliziati. Posso consolarti dicendo che tu hai investito (relativamente) poco denaro e pochissimo tempo. C’è chi ha dedicato a dei fantasmi virtuali anni della propria vita e regalato tutto il conto in banca. Non ti incaponire nella ricerca di un colpevole oltre quello che faranno i carabinieri, pensa a volerti bene e, soprattutto, ad assolverti.

Selvaggia Lucarelli

Cristianesimo Eva una, nessuna e centomila: la teologia femminile che abbatte le barriere

Eva e il serpente, la mela e il peccato originale. È l’immagine biblica della Genesi che associa alla prima donna dell’umanità il concetto negativo di “caduta”, nonché lo stereotipo della passività femminile legata al desiderio sessuale, a fronte del dominio maschile di Adamo.

Eppure, come scrive Cristina Simonelli, “Eva è una, Eva è nessuna, Eva è centomila”. E ancora: “Non c’è dubbio che Eva (…) richiami il tema della sessualità, in molti modi. L’idea della generazione dei figli vi è infatti certamente legata, ma la questione ‘sesso’ trapela anche nella trasgressione, che è stata spesso interpretata come approccio sessuale, probabilmente anche per la suggestione creata dalla forma sinuosa e insieme erettile del serpente tentatore”. Epperò “si potrebbe e forse dovrebbe obiettare che non c’è alcun motivo per riferire la sessualità soltanto a Eva”. Sbagliato, quindi, descriverla come una sorta di Venere dell’Eden.

S’intitola appunto Eva, la prima donna. Storia e storie (Il Mulino, 172 pagine, 15 euro) il saggio che Cristina Simonelli, già presidente del Coordinamento delle teologhe italiane (Cti), ha dedicato a questa figura “mitica” della Bibbia, spesso contrapposta o affiancata a Maria, madre di Gesù. Addentrarsi nell’universo della teologia femminile (e anche femminista) contribuisce innanzitutto ad avere finalmente uno sguardo matriarcale sulla fede e sulla Chiesa, laddove lo studio e l’elaborazione esplorano con decisione e senza chiusure temi sensibili e divisivi (per i credenti) come l’omosessualità e l’ideologia gender, oltre ovviamente alla vexata quaestio del sacerdozio e del diaconato alle donne. Non a caso la teologia femminile è considerata alla stregua del diavolo da quei clericali di destra che badano solo alla dottrina e al formalismo dei riti religiosi.

Peraltro, proprio in questi giorni, il Cti ha rinnovato i suoi organismi direttivi e al posto di Simonelli è stata eletta presidente Lucia Vantini, che nel suo discorso di presentazione ha ribadito l’esigenza di “sconfinare”: “Occorre allora il coraggio di uno sconfinamento in diverse direzioni, oltre quei timori che costringono a trattenere il respiro e a sentirsi in debito con realtà chiuse a questa ostinata speranza delle donne attive nelle nostre comunità e di coloro che le amano, le ascoltano e le sostengono”. Del resto anche nel libro di Simonelli, suddiviso in capitoli definiti “stanze” dall’autrice, si coglie questo afflato rigeneratore in relazione a Eva e alle sue compagne ritenute solamente peccatrici e tentatrici: si pensi alla tradizione “distorta” su Maria Maddalena, che fu la prima discepola a vedere Cristo risorto.

La loro riabilitazione non è però in funzione di un depotenziamento dell’eros. Anzi. La “concretezza della carne” si abbina “alla spiritualità e alla tenerezza”. Ché il problema è la passività sessuale. Di qui i “punti di vista positivi” nella “trasgressione di Eva”. Positivi, scrive Simonelli, “nel senso del superamento dell’ignoranza e dei confini imposti e soprattutto nel senso dell’inizio vero e proprio della storia umana, che fa i conti con limiti da custodire e barriere da infrangere, continuamente”.

 

La sai l’ultima?

 

Austria Un soldato 29enne si fa arrestare
per essersi tatuato una svastica su un testicolo

Notizie che riconciliano con la giustizia: un soldato austriaco è stato condannato a 19 mesi di carcere per una svastica tatuata sul testicolo. Il savio 29enne militare, racconta il Daily Mail, si è ubriacato come una spugna e ha consentito al fratello di improvvisarsi tatuatore sui suoi genitali. Ma non bisogna considerare l’alcool un’attenuante della totale imbecillità di questo individuo: una volta tornato sobrio, il soldato si è vantato dell’opera d’arte mostrando il tatuaggio online e facendolo vedere anche ai suoi commilitoni dopo un’esercitazione. Come scrive Adnkronos, secondo le indagini, “il giovane ha tenuto altri comportamenti che hanno violato le leggi contro l’apologia del nazismo” e “per completare il quadro, è stato trovato anche in possesso di arma detenuta illegalmente”. Una serie di prodezze che gli sono valse una meritatissima condanna a 19 mesi di reclusione da parte del tribunale di Klagenfurt.

 

Usa Il deputato repubblicano vuole spostare l’asse
della luna per combattere il cambiamento climatico

Tra gli eroi della settimana c’è il deputato texano Louie Gohmert (Partito Repubblicano). Ha presentato una modesta protesta per combattere il cambiamento climatico: perché non spostiamo l’asse della luna? L’ideona di Gohmert non è stata esposta durante un aperitivo ma in una sede officiale, durante un audizione dell’House Committee on Natural Resources, una commissione del parlamento statunitense. Spostiamo la luna, dunque. Gohmert sostiene di essere venuto a conoscenza da un pezzo grosso della Nasa che l’orbita del satellite naturale si stia lentamente modificando da sola nel corso del tempo. Magari l’uomo può aiutarla, ha pensato. E si è informato in audizione con Jennifer Eberlien, rappresentante dello US Forsest Service: “Non c’è niente che si possa fare per cambiare l’orbita lunare e di conseguenza l’orbita terrestre intorno al Sole?”. Ci allontaniamo un po’, torna a fare un bel fresco, gli orsi polari sono contenti. Che ci vuole?

 

Rimini Due bambini entrano in una casa abbandonata
per recuparere il pallone e finiscono interrogati in caserma

C’era una volta il cattivissimo cartello stradale con scritto “Vietato giocare a pallone in tutta la piazza”, sotto al quale giustamente un poeta aveva replicato a penna: “Allora ci droghiamo”. Ma la repressione nei confronti del gioco più bello del mondo raggiunge nuove vette di cattiveria e perversione. A Rimini due bambini (10 e 12 anni) sono entrati in una casa abbandonata per recuperare il pallone con cui stavano giocando, sono stati fermati dalle forze dell’ordine e sono finiti sotto interrogatorio in caserma. Per gli agenti si trattava di una probabile “invasione con atti vandalici”. Niente di meno. I bimbi, che certo non si aspettavano di finire davanti ai carabinieri, ne sono rimasti piuttosto traumatizzati. “Il piccolo – scrive Open – ha detto di essere entrato da una finestra aperta, per prendere un pallone. Un vicino li ha visti e, forse pensando si trattasse di ladri, ha avvisato il proprietario, che li ha denunciati”.

 

Reggio Emilia Un ladro le ruba il portafogli ma ci trova pochi soldi,

poi le telefona: “Mi dai il pin della carta di credito?”

Impeccabili strategie criminali a Guastalla, in provincia di Reggio Emilia. Un ladro, insoddisfatto dal bottino modesto nel portafogli rubato poche ore prima, ha chiamato la proprietaria del borsello e le ha chiesto educatamente il pin della carta di credito, per poter prelevare qualche soldo in più. Lo racconta Il Resto del Carlino: “È stata derubata della borsetta da un ladro, nel parcheggio del supermercato. Poi, in serata, lo stesso autore del furto ha telefonato alla sua abitazione: ‘Scusa, potreste darmi il codice per prelevare col bancomat?’”. Il genio aveva rubato anche il cellulare della donna, da cui ha ricavato il numero del telefono fisso. A rispondergli è stato il marito: “Mi ha chiesto di dettargli il codice per poter prelevare denaro col bancomat, aggiungendo la sua delusione per non aver trovato denaro nella borsetta. Gli ho risposto di dirmi dov’era, che lo avrei raggiunto per effettuare io il prelievo”. Il ladro però a quel punto ha interrotto la comunicazione. Voleva solo sapere il pin.

Usa Inchiesta sulle tasse dei 25 uomini più ricchi d’America:

la loro aliquota fiscale effettiva è del 3,4%

Il concetto è chiaro: per avere meno tasse bisogna diventare ricchi in modo schifoso. Che il sistema fiscale americano fosse basato su criteri discutibili si sapeva già, ma i numeri di un articolo del Guardian sono la fotografia di una realtà inquietante: i multimiliardari più facoltosi degli Stati Uniti pagano una quantità di tasse semplicemente patetica. Secondo un indagine di ProPublica i 25 uomini più ricchi della nazione, inclusi Jeff Bezos, Warren Buffett ed Elon Musk, sono stati sottoposti a un “true tax rate” – un’aliquota fiscale effettiva – del 3,4% tra il 2014 e il 2018. Il Guardian fa degli esempi: è stato scoperto che nel 2007 Bezos, fondatore di Amazon e all’epoca già miliardario, non ha pagato un solo dollaro di tasse federali, mentre nel 2011 (quando aveveva un patrimonio netto di 18 miliardi di dollari) ha ricevuto addirittura 4mila dollari di tax credit per i suoi figli. I 25 super ricconi, negli stessi anni in cui maturavano l’aliquota media al 3,4%, hanno aumentato il loro patrimonio di 401 miliardi di dollari.

 

Europei di calcio Achille, il gatto dell’Ermitage è il nuovo
oracolo felino: ha azzeccato la vittoria dell’Italia sulla Turchia

C’era una volta il polpo Paul, oggi il palcoscenico è del gatto Achille. L’uomo è una bestia strana e si desume anche dal suo rapporto con gli altri animali. Per qualche ragione, si diverte un mondo ad affidargli i pronostici delle partite di calcio. La leggenda era appunto il polpo Paul, cefalopode tedesco, in grado di indovinare (scegliendo la bandiera giusta nel suo acquario) il risultato giusto di 8 partite su 8 durante i Mondiali del 2010. Da diversi anni l’oracolo marino è scomparso – è finito in padella? – ed è stato soppiantato da un felino. Achille è un micione bianco che viva nel museo dell’Ermitage di San Pietroburgo: pare sia anche lui esperto di pallone e pronostici, è indubbiamente più lucido di Fabio Caressa. L’hanno assoldato per gli Europei: gli presentano due ciotoline di cibo e sceglie la nazionale vincente, dopo approfondita analisi tecnica. Intanto ha già azzeccato la prima vittoria dell’Italia: prima del match d’esordio agli Europei, Achille ha preferito la bandiera italiana a quella turca. Il risultato è sotto gli occhi di tutti.

 

Salvini Video social mentre guida e canta “Notti magiche”
Ma non è lo stesso che ha sempre tifato contro l’Italia?

Che nostalgia per il vecchio Matteo Salvini padano e secessionista. Da quando ha scoperto di amare l’Italia il capitano non si sopporta più. È noto, vive i social forsennatamente, senza freni: foto di fidanzate, cibi ipercalorici, video lisergici in cui corre ad abbracciare le mucche in spiaggia; denunce sui crimini degli immigrati ma anche cuoricini virtuali per gli eroi nazionalpopolari. Un flusso insostenibile di incoscienza e nonsenso. L’ultimo capolavoro è il filmato raccapricciante in cui guida la sua smart e canta a squarciagola “Notti Magiche” di Gianna Nannini. Ci sono gli Europei, c’è la nazionale, va bene. Ma qualcuno si ricorda ancora il Salvini di prima. Quello che nel 2000 faceva la telecronaca della finale Francia-Italia su Radio Padania e tifava “Macron”. E nel 2010, estate dei Mondiali in Sudafrica, non perdeva la coerenza: “Non so chi tifo ma certo non l’Italia”. Dal coro sui napoletani “colerosi e terremotati” – mica ce l’aveva con Insigne e Immobile – a “Notti Magiche”: tutta la meraviglia di un uomo che tiene solo a se stesso.

Graviano ha scritto alla Cartabia: lettera con avvertimento

L’uomo che custodisce i segreti delle stragi ha scritto al ministero della Giustizia. Non a un ufficio qualsiasi che si occupa di detenuti: Giuseppe Graviano ha preso carta e penna per rivolgersi direttamente alla guardasigilli Marta Cartabia. Lo ha fatto praticamente subito dopo la formazione del del governo di Mario Draghi: il nuovo esecutivo ha giurato il 13 febbraio, il boss di Brancaccio ha scritto la sua lettera nel carcere di Terni una decina di giorni dopo. Cosa nostra non perde mai tempo. Impossibile conoscere il contenuto della missiva di Graviano, visto che l’ordinamento penitenziario non prevede il controllo della corrispondenza dei detenuti quando questi si rivolgono ad autorità come il capo dello Stato o il ministro della Giustizia. Quella lettera, però, potrebbe essere divulgata dalla stessa Cartabia, in modo da chiarire anche tre interrogativi: la ministra era a conoscenza della missiva a lei indirizzata dall’uomo condannato per le stragi di Roma, Milano e Firenze del 1993? Ha mai risposto? Lo hanno fatto i suoi uffici senza farglielo sapere?

Non sarebbe la prima volta che accade. Nel 2013 il boss di Brancaccio ha scritto a Beatrice Lorenzin, in quel momento ministra della Salute – in quota Pdl – dell’esecutivo di Enrico Letta: tra le altre cose il mafioso faceva riferimento alla “provenienza dei capitali per formare il patrimonio della famiglia Berlusconi”, auspicando il coraggio di qualche politico per “abolire la pena dell’ergastolo”. Di quella missiva si è avuta notizia solo nel 2016 perché lo stesso Graviano – intercettato in carcere – ne aveva fatto cenno con il compagno d’ora d’aria. Poi nel 2020 il boss ne ha parlato in aula al processo “’Ndrangheta stragista”, sostenendo anche di aver avuto un riscontro: “Il ministero mi ha risposto che stava portando avanti tutto quello che avevo chiesto. Io avevo quella lettera, ma è scomparsa quando mi hanno trasferito ad Ascoli nel 2014”. La Lorenzin, da parte sua, ha spiegato di non averne mai saputo nulla e che di solito questo tipo di corrispondenza non passa dalle scrivanie dei ministri ma viene smistata agli uffici competenti.

La missiva del boss di Brancaccio era stata spedita al suo dicastero il 21 agosto, ma era stata esaminata dalla Direzione generale solo il 17 settembre. In mezzo, e cioè il 31 agosto del 2013, Silvio Berlusconi si era fatto fotografare mentre firmava i referendum dei Radicali sulla giustizia: tra i 12 quesiti c’era anche l’abolizione dell’ergastolo. La soglia delle 500mila sottoscrizioni, però, non venne poi raggiunta.

Otto anni dopo Forza Italia è tornata per la prima volta al governo. E Graviano ha scritto subito a un’esponente dell’esecutivo. Lo ha fatto alla vigilia della sentenza della Consulta, che nell’aprile scorso ha decretato l’incostituzionalità della legge sull’ergastolo ostativo. Se il Parlamento non approva una nuova norma entro il maggio dell’anno prossimo, anche i boss irriducibili potranno sperare di ottenere la libertà vigilata dopo 26 anni di pena: non servirà aver mai collaborato con la giustizia, ma basterà dare prova di non essere più pericolosi. In che modo? “Si potrebbero prevedere specifiche condizioni e procedure per l’accesso alla liberazione condizionale” dei mafiosi, “più rigorose di quelle applicabili ad altri detenuti”, ha detto di recente la stessa Cartabia in commissione Antimafia, spiegando che le nuove norme dovranno tenere “in considerazione le peculiarità del fenomeno mafioso e della criminalità organizzata”.

Il meccanismo del “fine pena mai” per i mafiosi inventato da Giovanni Falcone è l’incubo di tutti i boss. Pure di Graviano, che da tempo porta avanti la sua strategia per uscire dal carcere senza rivelare i segreti di cui è custode. Ferratissimo sulle sentenze della Cedu sul 41bis e sull’ergastolo, ha spesso sostenuto di essere stato condannato solo sulla base di false accuse dei collaboratori di giustizia. Lo ha fatto anche davanti alla corte d’Assise di Reggio Calabria, quando ha rotto il silenzio per la prima volta dal 27 gennaio del 1994, il giorno in cui venne fermato a Milano insieme al fratello Filippo. “Andate a indagare sul mio arresto e scoprirete i veri mandanti delle stragi”, è uno dei tanti avvertimenti pronunciati in aula dal capomafia, che ha annunciato anche l’imminente uscita di un libro sulla storia della sua famiglia: di quella pubblicazione, però, non si ha più avuto alcuna notizia. Lo stesso Graviano è tornato a chiudersi nel suo storico silenzio, dopo lo show messo in scena al processo ’Ndrangheta stragista: uno spettacolo fatto di messaggi trasversali dal velato sapore ricattatorio.

Il mafioso ha parlato di “imprenditori del nord che non volevano fermare le stragi”, ha sostenuto di aver incontrato Silvio Berlusconi “almeno tre volte” a Milano mentre era latitante, di averlo conosciuto tramite suo nonno, che negli anni ’70 avrebbe finanziato l’uomo di Arcore con venti miliardi di lire. Accuse tutte da dimostrare, che per l’avvocato Niccolò Ghedini erano “palesemente diffamatorie”, anche se non si è poi avuta notizia di una denuncia da parte del legale dell’ex premier. Nel frattempo Graviano è stato interrogato dai pm della procura di Firenze, che indagano sulle bombe del 1993: nel novembre scorso l’uomo delle stragi ha risposto per ore alle domande degli aggiunti Luca Tescaroli e Luca Turco. Negli stessi giorni i due magistrati hanno sentito pure l’altro Graviano, Filippo: un interrogatorio molto più breve, in cui il mafioso ha messo a verbale di essersi dissociato da Cosa nostra, ammettendo di averne fatto parte, ma negando le accuse relative alle stragi. Poi ha chiesto al giudice di Sorveglianza di avere un giorno di permesso premio: richiesta respinta. Graviano ha potuto avanzarla perché già nel 2019 la Consulta aveva dichiarato illegittimo il divieto di concedere benefici agli ergastolani condannati per mafia che non si fossero pentiti. Quella decisione è stata definita “di particolare rilievo” nella relazione della corte Costituzionale dell’aprile 2020. A scriverla era proprio Marta Cartabia, all’epoca presidente della Consulta.

Primarie per pochi intimi: a Torino votano in 11 mila

Una partecipazione che imita i numeri della Piattaforma Rousseau: appena 11 mila in una città di quasi 900 mila abitanti. E un vincitore, il capogruppo del Pd in Sala Rossa, Stefano Lo Russo, che non sfonda “quota 50 per cento” e, anzi, si ferma al 38,6 (con solo 400 preferenze in più del secondo). Quanto basta (nel gioco ad accontentarsi) per fare di lui il candidato formale del centrosinistra subalpino che dovrà tentare due sfide per nulla facili. Una “ideologica”, cancellare la sconfitta del 2016 di Piero Fassino da parte di Chiara Appendino e dei 5 Stelle, e la seconda invece sostanziale: tenere lontano da Palazzo di Città l’agguerrito candidato del centrodestra, quel Paolo Damilano, esponente della società civile, imprenditore delle acque minerali e del vino, ma già in campagna elettorale da quasi un anno. Con particolare predilezione per quelle periferie dove il centrodestra e Fratelli d’Italia trovano sempre più consensi e dove anche ieri, a diversità del centro della città, abitato dalla buona borghesia di sinistra, la partecipazione alle primarie è stata ancora più bassa.

Una partenza in salita e per nulla benaugurante in vista delle urne di ottobre, nella quale i numeri conteranno molto di più di quelli per l’incoronazione un po’ deprimente di Lo Russo, che rivela come il Pd, innanzitutto, ma anche gli altri “partitini” della coalizione, abbiano corso in una gara quasi tutta interna: degli apparati e delle nomenclature della politica. Le cifre, infatti, sono ben distanti da quelle delle primarie nell’inverno 2011, quando erano stati raccolti oltre 53 mila voti nella competizione vinta dal futuro sindaco Piero Fassino. Con una Torino rimasta, questa volta, lontana dai 39 gazebo delle primarie, ma anche dal voto elettronico: bisognava però iscriversi usando lo Spid, “quasi più difficile che prenotare il vaccino”, commentavano ieri alcuni degli scarsi votanti.

Perché è andata così male dal punto di vista del coinvolgimento dell’elettorato di centrosinistra? Contano certamente la pandemia, il weekend da grande caldo estivo e la corsa verso il mare, il Monferrato e le Langhe nella prima vera occasione di un “liberi tutti” rispetto alla paura per il Covid. Soprattutto, però, il forte distacco tra lo stesso Pd (e i suoi alleati) e i cittadini e lo scarso appeal dei candidati in campo. Che, oltre a Lo Russo (appoggiato dalla maggioranza torinese del Pd), erano Enzo Lavolta (anche lui Pd, come Lo Russo ex assessore di Fassino e oggi vicepresidente del Consiglio Comunale) che è arrivato terzo col 26,5 per cento e l’appoggio della sinistra del suo partito, Articolo Uno ed Europa Verde; Igor Boni, storico esponente radicale e di +Europa (ha raggiunto l’1,9 per cento), e Francesco Tresso, consigliere comunale eletto cinque anni fa nella lista civica “Per Fassino”, sostenuto da Sinistra Ecologista. È lui il secondo, con il 32,9 per cento.

La bocciatura di Lavolta, soprattutto, apre adesso un nuovo solco tra le intenzioni politiche locali e quelle dei vertici nazionali del Pd dall’altra: ancora interessati a cercare un’alleanza col M5S nelle urne. Il vicepresidente del Consiglio comunale torinese, infatti, era stato l’unico tra i contendenti delle primarie a pronunciarsi per un’alleanza organica con i Cinque Stelle. Una posizione opposta quella di Lo Russo, complicata anche da una vicenda giudiziaria. Era stato lui a presentare la denuncia che è costata una condanna di Chiara Appendino per un falso nel bilancio comunale, la stessa che l’ha poi costretta a non ricandidarsi. L’uomo meno adatto, dunque, per dialogare con i Cinque Stelle, persino nella loro nuova versione guidata da Giuseppe Conte, e per strappare un accordo almeno in vista di un possibile ballottaggio con Damilano.

Il caos del mix vaccinale De Luca: non lo faremo

In Lombardia Letizia Moratti si accontenta del parere dell’agenzia del farmaco Aifa e conferma il via libera alle seconde dosi con Pfizer/Biontech o Moderna per gli under 60 che hanno avuto la prima di AstraZeneca: anche gli appuntamenti di oggi sono rimandati, riprogrammarli non è uno scherzo. In Campania, almeno a parole, il presidente Vincenzo De Luca si è messo di traverso: no al cosiddetto “mix di vaccini”, ha scritto su Facebook, “tranne per chi è alla 12esima settimana” dalla prima dose Az (i richiami sono previsti a 8-12 settimane). Ha annunciato una richiesta di chiarimenti al ministero della Salute, dove però confidano di mettersi d’accordo con lui. “Qui nessuno vuole AstraZeneca, nemmeno gli over 60 –­ dicono dalla Regione Campania – e non sappiamo se ci saranno dosi Pfizer a sufficienza nei tempi previsti”. Ma anche l’assessore Alessio D’Amato della Regione Lazio si sente vittima di uno “scaricabarile”. Prima il Comitato tecnico scientifico ha consentito gli Astra Day dai 18 anni in su, ancora il 12 maggio, perché bisognava vaccinare il più possibile; poi è arrivato lo stop perché il virus circola meno e questo modifica il rapporto rischi/benefici, cioè fa scendere il pericolo di morte o Covid-19 grave fra i giovani al di sotto di quello delle trombosi rare associate a carenza di piastrine. A Roma, peraltro, c’è chi si mette in fila inutilmente e protesta perché vorrebbe il richiamo con AstraZeneca, ora vietato a chi ha meno di 60 anni dalla circolare diramata l’11 giugno dalla Salute insieme al parere del Cts. Si trovano meglio le Regioni che, come l’Emilia-Romagna e il Friuli-Venezia Giulia, non hanno esagerato nel dare Az ai giovani.

Il “pasticcio” c’è stato e la campagna vaccinale, se tutto va bene, subisce uno scossone. Il commissario, generale Francesco Paolo Figliuolo, resta ottimista. “Dopo aver sentito Figliuolo posso rassicurare che il piano vaccinale continua: non ci sono incertezze né timori che non possa andare in porto”, ha detto Mario Draghi dal G7 di Carbis Bay in Cornovaglia. Il presidente del Consiglio ha speso qualche parola per Camilla, la diciottenne di Sestri Levante morta a Genova dopo una trombosi post vaccino Az; ha spiegato che “sarà difficile attribuire responsabilità” perché quel caso, all’esame della magistratura genovese, è complesso, dall’anamnesi prevaccinale che ha ignorato patologie e farmaci al primo accesso al pronto soccorso di Lavagna. Ha anche ipotizzato il ripristino della quarantena per chi arriva dalla Gran Bretagna, dove cresce la variante indiana di Sar-Cov2. Per il resto si è rifatto alle parole del ministro della Salute Roberto Speranza, che ieri mattina aveva provato a chiarire le cose in un incontro riservato ai soli giornalisti di tre agenzie di stampa e di tre reti tv. Delle riprogrammazioni e delle forniture Pfizer la Conferenza delle Regioni si occuperà in settimana.

Speranza ha ricordato che quasi un italiano su due ha avuto almeno una dose di vaccino, che la raccomandazione di evitare Johnson & Johnson c’era già e rimane (ma non è un divieto come per Az) e ha rassicurato sul “mix” vaccinale: “La vaccinazione eterologa– ha affermato ­– è già utilizzata da Paesi importanti come la Germania da diverse settimane, ma anche in altre aree del mondo, e i risultati sono incoraggianti. Vi sono alcuni studi che testimoniano come la risposta immunitaria sia persino migliore di quella con due dosi dello stesso vaccini”.

Gli esperti però sono divisi, l’aggettivo “incoraggiante” non basta a tutti. Sergio Abrignani, immunologo della Statale di Milano e membro del Cts, ha ribadito: “Una stupidaggine dire che siamo cavie. Non è una sperimentazione”. Più dubbioso Andrea Crisanti, direttore di Microbiologia a Padova: “Dal punto di vista immunologico scientifico non ci dovrebbero essere problemi, ma rimane il fatto che implementiamo una misura che dal punto di vista sperimentale non è supportata da dati”. Del resto, ripete Crisanti, l’errore è a monte: “Non si doveva dare AstraZeneca ai giovani”. E più in generale: “L’errore fondamentale è stato il non dire: ‘Questi vaccini vengono approvati in via emergenziale, quindi quello che dicono Aifa ed Ema non sono le tavole della legge, ma significa che via via che si accumulano dati, noi cambieremo le indicazioni”.

Conte dà gli indizi: addio ai 2 mandati e 5S “partito light”

Assume una fisionomia più definita il “Neo-Movimento” di Giuseppe Conte. Servono ancora “7 o 10 giorni” per il lancio ufficiale, ha detto l’ex premier a Lucia Annunziata, ospite di Mezz’ora in più. Ma nell’intervista Conte ha concesso più di un’indicazione sulla “rivoluzione gentile” dei Cinque Stelle a cui sta lavorando da settimane. A cominciare dalla natura stessa della “cosa”: la diversità dei Cinque Stelle sarà attenuata, il Movimento si farà partito a tutti gli effetti. Conte ne rivendica comunque lo status particolare: “Non avremo la forma partito tradizionale, novecentesca, che ha subìto il logorio del tempo e oggi non serve più”. Avremo una “struttura light”, ma pur sempre una struttura: un’idea a lungo rifiutata dai teorici della purezza del Movimento. Per colmare un difetto storico del movimentismo, aggiunge l’avvocato: “Serve maggiore capacità di dialogo con i territori. In questi anni è stato uno dei principali problemi del M5S”.

Conte presenterà questa proposta di una nuova organizzazione insieme a uno statuto (i tempi del “non statuto” sono lontani) e una carta dei princìpi. Su questi documenti saranno interpellati gli iscritti (“dobbiamo costruire” una nuova piattaforma, ha detto l’avvocato, dopo la fine della querelle Rousseau) e solo dopo si procederà all’elezione degli organi direttivi del Neo-Movimento.

Ecco, sui nuovi organi che “condivideranno la responsabilità della linea politica”, Conte ha aggiunto più di un dettaglio: sarà un “sistema misto”, dice. “Ci sarà una sorta di consiglio nazionale” con i dirigenti nominati direttamente dal leader, ma saranno rappresentati anche i gruppi parlamentari e una parte dei componenti “sarà eletta dagli iscritti”. Un po’ partito e un po’ movimento, dunque. O, nelle parole di Conte, “un giusto mix tra una struttura con funzionalità piramidale e allo stesso tempo un ampio coinvolgimento degli iscritti”. La scomessa dell’ex premier si reggerà su questo equilibrio precario.

Quanto al suo “lancio” da leader, Conte non richiederà un’acclamazione ma un voto formale sulla sua proposta di “rivoluzione”. E vuole un’affermazione netta: “Ho bisogno di una grande investitura”, dice, “di una maggioranza solida, adeguata. La rivoluzione gentile del Movimento deve suscitare convinzione ed entusiasmo”.

Anche sull’altro totem dei vecchi Cinque Stelle – il delicatissimo limite dei due mandati – Conte si concede parole prudenti, ma significative: “Ce ne occuperemo quando affronteremo il nuovo codice etico. Su questo tema la posizione di Beppe Grillo – che vorrebbe mantenere intatta la regola – è da rispettare”. Conte però non nasconde l’intenzione di superarla: “Mi assumerò la responsabilità di formulare una proposta nel quadro della ragionevolezza. Poi consulteremo gli iscritti”. Il “quadro della ragionevolezza” potrebbe assumere la forma di una “deroga per meriti” non dissimile da quella presente nello statuto del Pd, ma allo stato attuale sono ancora speculazioni.

L’altro passaggio politicamente significativo dell’intervista di Conte è sul rapporto con il Pd. L’idea di un’alleanza strutturale, cavalcata a lungo, sembra riposta in un cassetto: “Non possiamo riprodurre formule del passato come quella dell’Ulivo”. Con i dem, dice, “vogliamo dialogare alla pari”. Nessuna “sovrapposizione, perché rispetto a loro abbiamo un’altra identità”. Anche se con Enrico Letta il rapporto è buono (“è una persona per bene, disponibile, aperta”) e si sta cercando un candidato civico comune da schierare in Calabria.

Una battuta anche sul “Conticidio”, il racconto della crisi di governo descritto nel libro di Marco Travaglio: “Le valutazioni sugli eventi non spettano a me, le faranno gli storici. Non mi interessano le ipotesi di complotto”. Ma non è stata solo un’azione di Matteo Renzi: È chiaro che c’è stata una convergenza d’interessi, da parte di un gruppo che sta in Parlamento e qualche gruppo che sta fuori”. Quello che è successo, dice Conte, è il risultato della “debolezza strutturale” del sistema politico italiano, ricattabile anche da un partito “che vale il 2%”. Per questo l’avvocato si dice pronto ad appoggiare riforme istituzionali che rafforzino il ruolo del premier, tra cui la fiducia costruttiva. Se ne parlerà più avanti: “In questo scorcio di legislatura non ci sono le condizioni”.

Ma mi faccia il piacere

Good news/1. “Un milione cambia il vaccino. Svolta nella campagna. Gli under 60 che hanno ricevuto la prima dose di AstraZeneca dovranno fare la seconda con Pfizer” (Repubblica, 11.6). È il loro modo di parlare del governo e del commissario Figliuolo quando fanno una figura di merda.

Good news/2. “Addio Afghanistan. Si torna a casa. I nostri soldati si ritirano dopo 20 anni. Persa la guerra, ma n’è valsa la pena” (Renato Farina, Libero, 9.6). Sono soddisfazioni.

E la luna Rousseau. “Casaleggio, schiaffo a Conte: ‘Governo e Figliuolo egregi’” (Giornale, 13.6). La Piattaforma Leccò.

Avanti c’è posto. “La Lega è il partito di Draghi” (Lorenzo Fontana, vicesegretario Lega, Foglio, 10.6). “Il governo Draghi è casa nostra” (Enrico Letta, segretario Pd, Messaggero, 12.6). Dev’essere in multiproprietà.

Fate la carità. “Il mio vitalizio è una vittoria del diritto, nessuno deve morire di stenti” (Roberto Formigoni, pregiudicato per corruzione, Le Iene, Italia1, 1.6). Ah sì? E chi l’ha detto?

Bei tempi. “Sì, la politica ora si ribella ai pm: ma una rivoluzione ha bisogno di leader veri…” (Fabrizio Cicchitto, Dubbio, 10.6). Tipo Licio Gelli.

Mercato ortofrutticolo. “Ecco l’ultimo post di De Vito dei 5 Stelle, arrestato oggi per corruzione. Arance…” (Maurizio Gasparri, senatore FI, Facebook, 20 marzo 2019). “Siamo lieti dell’adesione in Forza Italia di Marcello De Vito, questo ci rafforza in vista della prossima sfida elettorale a Roma. È una fase nuova della vita politica italiana” (Gasparri, 7.6). Dalle arance alle banane.

Sua Altezza. “Ho un rapporto molto forte con la mia dimensione alta” (Giorgia Meloni, leader FdI, Stasera Italia, Rete4, 8.6). Mai però quanto Brunetta.

Mulino Bianco. “Barilla: ‘Ragazzi, rinunciate ai sussidi e mettetevi in gioco’” (Stampa, 11.6). Cercatevi un padre miliardario che vi lasci in eredità l’azienda e il gioco è fatto.

Mai dire mai. “Io non ho mai fatto una campagna contro gli immigrati” (Matteo Salvini, segretario Lega, In mezz’ora in più, Rai3, 6.6). In effetti una no.

Come si cambia. “Conte non sa ancora parlare da leader politico. È dura cambiare M5S” (Emilio Carelli, deputato M5S, poi fondatore di Centro – Popolari Italiani, ora approvato a Coraggio Italia, Libero, 10.6). Lui, nell’attesa, ha cambiato tre partiti in sei mesi.

Nardelloni. “Da Forza Italia a Leu, ecco l’altra federazione” (Dario Nardella, sindaco Pd di Firenze, Foglio, 10.6). E CasaPound niente?

Vendoloni. “Penso che la guerra dei trent’anni fra potere politico e potere giudiziario abbia fatto male alla nostra democrazia, diventando l’alibi che ha di fatto impedito una seria riforma della politica e della giustizia” (Nichi Vendola, ex Rifondazione Comunista, ex Sel, ex presidente Puglia, condannato in primo grado a 3 anni e 6 mesi per concussione al processo Ilva di Taranto, Giornale, 12.6). Cavaliere, è lei?

Lucanoni. “Mimmo Lucano riabilita Berlusconi: ‘Perseguitato come me’” (Giornale, 10.6). Casomai servisse la prova decisiva della sua colpevolezza.

Cappellate. “… una omologa dell’Estetista, solo che invece di vendere creme fa l’editorialista” (Stefano Cappellini di Repubblica, riferito a Selvaggia Lucarelli, Twitter, 12.6). Parola di un editorialista talmente noto che, se vendesse creme, non le comprerebbe neanche lui.

Caput che? “Tornare Caput Mundi con competenza e visione” (Maurizio Michetti, candidato a sindaco di Roma per il centrodestra, Messaggero, 10.6). Primo caso al mondo di un candidato che invita a votare per qualcun altro.

Voce del verbo. “Vogliono mettere in cella l’uomo che ha travolto la mafia” (a proposito del generale Mario Mori, Riformista, 8.6). Primo caso al mondo di un generale che, per travolgere la mafia, trattava con la mafia.

La parola all’esperta. “Cybersecurity, fatto: un altro punto per Draghi” (Claudia Fusani, Riformista, 11.6). Questa deve aver rifatto una seduta spiritica con Pio Pompa.

La parola all’esperto. “Vacciniamo i giovani in discoteca” (Flavio Briatore, Verità, 7.6). È il famoso consenso informato.

Il titolo della settimana/1. “Il Pd e la continuità dei governi Conte. Per l’ex premier, con Salvini o con i dem è stato uguale. Imbarazzo a sinistra” (Foglio, 11.6). La sinistra è talmente imbarazzata che ora governa con Salvini, con Berlusconi e con i 5Stelle insieme.

Il titolo della settimana/2. “A Milano Sala perde anche contro mister X. Secondo Tecnè il centrodestra, ancora senza un candidato, è in vantaggio sul sindaco uscente” (Libero, 9.6). Sala riuscirebbe a perdere anche contro un paracarro. Quindi il segreto per batterlo è non candidare nessuno.

Il titolo della settimana/3. “Se passa il ddl Zan i preti finiscono in galera. Con leggi simili in Inghilterra le infermiere perdono il posto e le ragazze col ciclo sono costrette a usare i bagni dei maschi” (Libero, 1.6). Uahahahahahah.

L’Italia non è la più forte, ma almeno ha un’idea. E Mancini ha finalmente trovato il giusto equilibrio

Tutti “draghi”, giocando sulle parole. E per il Guardian, addirittura “Bellissimo”. Da fateci vaccinare a fateci sognare il passo è breve, e non sempre greve. È cominciato l’Europeo, il primo e unico itinerante, da una visione, romantica, di Michel Platini, e “la storia siamo noi” ci ha subito contagiato: dalla nazione alla nazionale. La squadra di Roberto Mancini continua a segnare e a non far segnare. Ha strapazzato la Turchia per 3-0 (frittata di Merih Demiral, zampata di Ciro Immobile, bignè di Lorenzo Insigne) ed è un gioioso ribollir di coccole, ovunque.

Non perdiamo da 28 partite, vinciamo da nove, con una striscia di 28 gol a 0. Per carità, mancano scalpi illustri, quelli che – perché grandi – rendono grandi le vittorie. I turchi si sono limitati a un bieco catenaccio. A “tradurre” il battesimo bastano il senza voto di Gigio Donnarumma e l’8 a Leonardo Spinazzola, un terzino-ala in perenne baruffa con il destino, ora claudicante ora arrembante. Travi, non pagliuzze.

Mercoledì, di nuovo all’Olimpico, ci aspetta la Svizzera, che a Baku ha pareggiato 1-1 con il Galles. Infortunato Alessandro Florenzi, si profila la conferma di Giovanni Di Lorenzo. Non siamo i più forti, non abbiamo totem. Siamo un’idea. In carriera, il Mancio è stato un fuoriclasse sottovalutato. In panchina, fu per me un allenatore sopravvalutato (in rapporto agli harem gestiti). Il ruolo di ct gli calza a pennello. Sa di calcio, non deve più concordare il mercato con i dirigenti, è il general manager di sé stesso. Studia, setaccia, sceglie: penso a Nicolò Zaniolo, lanciato in largo anticipo sui progetti della Roma.

Gian Piero Ventura, che pure aveva pilotato il Toro a espugnare Bilbao in Europa League, si era smarrito nel labirinto, pagandone il fio più burrascoso: l’esclusione dal Mondiale russo del 2018. Piano piano, ci siamo riavvicinati al carro, dopo un decollo che non poteva non essere tribolato, attratti non tanto dai risultati, quanto – ebbene sì – dalla qualità della manovra. Vada come vada, a guardare la Nazionale non ci si annoia più, non ci si pente più.

In cima alla griglia ho piazzato la Francia, poi Belgio, Inghilterra e Portogallo. Quindi l’Italia, in compagnia di tedeschi e spagnoli (sempre che il Covid li lasci in pace). Patti chiari e abbasso gli alibi: tocca ai giocatori. Al netto del peso della concorrenza, e di un obiettivo che oggi, per me, oscilla fra i quarti e le semifinali, il pericolo resta l’euforia isterica che ci accompagna. Non vorrei che finisse per soffocarci.

Schiumano pressing, gli azzurri. Soffrono le sportellate (se però sorrette da una tecnica all’altezza, cosa che pochi possono permettersi). Sanno eluderle attraverso un contropiede rapido, che al fraseggio della transizione affianca il gusto verticale dello strappo. L’assenza di genio spalma le responsabilità. Molto dipenderà dalla tenuta della vecchia ditta, Leonardo Bonucci & Giorgio Chiellini. La bussola è Jorginho; l’ago che la “agita”, Nicolò Barella; l’esploratore capace di ricavarne le rotte più frizzanti, Lorenzo Insigne. Abbiamo terzini che spingono, centravanti che aiutano ed esterni come Domenico Berardi, la cui vastità geografica contribuisce a saldare la tradizione della fascia alle esigenze del fast-foot. Siamo normali, semplici: per questo, quasi “rivoluzionari”.