Tiziano Renzi (forse) è positivo al Covid Il processo d’appello rinviato di sei mesi

La quarantena dovuta a una sospetta infezione da Covid fa slittare di sei mesi un processo di secondo grado per fatture false conclusosi in primo grado con la condanna degli imputati. Sei mesi di rinvio per un tampone. Non per una malattia, ma per un timore di malattia. Sarebbe una notizia già così, sulla lentezza della giustizia quando persegue i reati dei colletti bianchi. Fa ancora più notizia appresi i nomi degli imputati: Tiziano Renzi e Laura Bovoli. Ovvero il padre e la madre dell’ex premier.

È successo a Firenze, in Corte d’Appello, dove i genitori di Matteo Renzi proveranno a ribaltare le condanne collegate alle società di famiglia Party ed Eventi 6, e alle fatture degli studi di fattibilità per lavori all’outlet The Mall dell’imprenditore Luigi D’Agostino. Renzi sr. ha presentato attraverso l’avvocato Federico Bagattini un’istanza di legittimo impedimento col certificato medico che gli impone di rimanere a casa in attesa dell’esito del tampone. In quarantena anche la signora Bovoli.

Fin qui tutto ok, doveroso il rinvio e offenderemmo l’intelligenza dei lettori se spiegassimo il perché. Quel che convince meno è la durata: udienza al 16 dicembre. Tutti mesi guadagnati verso la prescrizione? No. Nei casi di legittimo impedimento dell’imputato, come questo, la prescrizione viene sospesa, concetto rafforzato dai uno dei decreti Ristori scritti per affrontare l’emergenza coronavirus, Tribunali compresi. A un’attenta lettura dell’articolo 159 del codice di procedura penale, però, l’avvocato dell’imputato – parliamo in generale – potrebbe produrre in futuro un documento che attesti, come tutti ci auguriamo, che il cliente sia risultato negativo al test, o con prognosi breve. E così avanzare una nuova istanza che riduca a 60 giorni, quelli previsti dal codice, la sospensione.

I fatti sotto processo risalgono al 2015 e la prescrizione è ancora lontana. D’Agostino era amministratore delegato della Tramor, società di gestione dell’outlet The Mall di Leccio di Reggello (Firenze), e avrebbe incaricato le società Party ed Eventi 6, entrambe facenti capo ai Renzi, di studi di fattibilità per lavori all’outlet. Due le fatture ritenute false dall’accusa: una da 20.000 euro e l’altra da 140.000 euro. In primo grado, il 7 ottobre 2019, il Tribunale di Firenze ha condannato Tiziano Renzi e Laura Bovoli a 1 anno e 9 mesi, mentre Dagostino, riconosciuto colpevole anche di truffa aggravata, a 2 anni.

Dietro l’intesa. L’obiettivo: mantenere i profitti in casa e nelle mani di Big Pharma

A sviscerare le ragioni dietro all’accordo a sorpresa Ue-Usa sono gli analisti dell’Health Gap (Global Access Project). Secondo il think tank, gli Stati Uniti e l’Ue promettono di sostenere una maggiore capacità produttiva nelle aree meno sviluppate. Al contempo, tuttavia, propongono anche nuovi incentivi e sussidi per espandere la propria capacità produttiva interna con investimenti in ricerca e sviluppo, sovvenzioni all’ampliamento delle infrastrutture e accordi di acquisto anticipato.

Non solo: Big Pharma ha cercato di convincere i governi occidentali che sta creando così tanto capacità che presto ci saranno forniture sufficienti per il mondo intero. Le stime della loro capacità ipotetica combinata va dai 10 ai 14 miliardi di dosi nel 2021. Le resistenze dell’industria e gli ambivalenti proclami sull’equità vaccinale dei paesi ricchi si fanno reciprocamente sponda per rallentare le trattative al Wto. Il dilazionamento serve a fare in modo che i colossi farmaceutici abbiano il tempo di aumentare la produzione, fino a raggiungere i numeri annunciati. Così l’imperativo di supportare la decentralizzazione fuori dall’Occidente per far fronte alla pandemia potrebbe attenuarsi. Se il bisogno di accrescere le dosi per il Sud del mondo diminuisce, gli incentivi per aprire nuovi stabilimenti in Asia, Africa e Sudamerica non sarebbero infatti più sufficienti per attirare capitali privati ​​o nuovi produttori disposti a lanciarsi nel mercato. Insomma, Usa e Ue intendono sfruttare la crisi sanitaria per rafforzare le proprie industrie. Lasciando le nazioni povere alle dipendenze della loro misericordia.

Vaccini, il doppio gioco di Usa ed europa contro i paesi poveri

La battaglia per l’equo accesso ai vaccini Covid è all’apice. Giovedì l’Europarlamento ha votato a favore della sospensione dei brevetti. Ma la realpolitik vuole imporsi sui principi. I Paesi ricchi intendono accentrare la produzione tramite i propri colossi farmaceutici. Quelli poveri dovranno aspettare il loro turno per avere le briciole. Va in questa direzione il patto che Ue e Usa sigleranno martedì prossimo, al Vertice transatlantico a Bruxelles dove Joe Biden farà la sua prima visita ufficiale. L’obiettivo è aumentare la distribuzione globale di dosi sbloccando l’export (che gli Usa, contrariamente all’Ue, hanno ristretto) e promuovendo le collaborazioni volontarie pilotate da Big Pharma, senza però intaccare il suo monopolio.

Il gioco delle parti di Usa e UeLa bozza, svelata da fonti Ue, incoraggia i donatori a mantenere l’impegno di consegnare 2 miliardi di dosi ai paesi a basso e medio reddito attraverso il fondo internazionale Covax entro la fine del 2021. Un miliardo da qui all’anno prossimo è stato promesso ieri dai paesi del G7: 500 milioni dagli Usa, 400 da Ue, Germania, Francia, Italia, Canada e Giappone e 100 dal Regno Unito. Il piano Ue-Usa prevede la vaccinazione di almeno i 2/3 della popolazione mondiale entro fine 2022 (le restanti 2,5 miliardi di persone aspetteranno fino al 2023). L’accordo sposa di fatto le tesi della Commissione Ue, contraria a intaccare i brevetti. Il tira e molla sulla loro sospensione al Wto rischia di ridursi a un gioco delle parti tra tra Bruxelles e Washington, rallentando il trasferimento di tecnologia e il potenziamento degli impianti nei paesi in via di sviluppo. Due fattori cruciali per recuperare i ritardi nella campagna di vaccinazione delle popolazioni svantaggiate e creare un arsenale contro futuri focolai epidemici che potrebbero arrivare in Occidente.

Alla riunione di martedì e mercoledì del Consiglio Trips (il Trattato sulla proprietà intellettuale firmato dai membri del Wto, l’Organizzazione mondiale del commercio), l’Ue (con Regno Unito e Svizzera) è rimasta l’unico formale oppositore alle deroghe sui brevetti. Il regime derogatorio resterebbe in vigore solo per il tempo necessario a debellare la pandemia (calcolato in 3 anni). Ciò permetterebbe a terzi di produrre vaccini senza richiedere autorizzazioni, incappare in rappresaglie giudiziarie e pagare royalties. La Commissione ha controproposto che i Paesi poveri possano procurarsi le dosi di cui necessitano ricorrendo alle licenze obbligatorie. “Si dovrebbe richiederle in più giurisdizioni per tutti i componenti indispensabili per produrre i vaccini, con lungaggini burocratiche che l’Ue finge di ignorare”, afferma Brook K. Baker, analista politico dell’Health Gap (Global Access Project).

11 incontri, zero progressiL’incontro di questa settimana è l’undicesimo che il Consiglio Trips dedica, senza alcun progresso, alla proposta di sospensione avanzata da India e Sudafrica nell’ottobre 2020. Il presidente americano aveva aderito all’iniziativa, spalleggiata da quasi 100 Paesi, con il clamoroso annuncio del 5 maggio scorso. Pochi giorni fa la delegazione Usa al Wto, a cui si sono accodate quella russa e cinese, ha tuttavia ridimensionato il suo appoggio spingendo per un compromesso che accontenti tutti. Le trattative sul testo dovrebbero iniziare il 17 giugno. “Sarebbe grave se venisse ignorato il parere (non vincolante) del Parlamento Ue. La Commissione apra un tavolo di confronto con i rappresentanti dei cittadini per definire la posizione ufficiale dell’Ue ”, dichiara Tiziana Beghin, capo degli eurodeputati del M5S. “Secondo l’ultimo bollettino dell’Oms, mentre i casi diminuiscono in gran parte del mondo (-17% in Europa), aumentano in molti Paesi africani, con gravi conseguenze per tutti qualora emergessero nuove varianti”, avverte Sara Albiani, responsabile salute globale dell’ong Oxfam.

“Poveri” vaccinati in 57 anniSecondo Oxfam le nazioni ricche, pur avendo meno del 15% della popolazione mondiale, si sono accaparrate quasi la metà delle dosi di tutti i vaccini più promettenti. I Paesi a basso reddito necessitano di 11 miliardi di dosi. Altrimenti, all’attuale ritmo di somministrazioni, impiegherebbero 57 anni per raggiungere la protezione totale che quelli ricchi si assicureranno entro gennaio 2022. Lo dicono i calcoli aggiornati della People’s Vaccines Alliance. “Una deroga generale al Trips autorizzerebbe oltre alla condivisione dei brevetti anche quella del know how, offrendo alle aziende qualificate le informazioni di cui hanno bisogno per produrre autonomamente i vaccini”, chiarisce Sangeeta Shashikant, consulente legale al centro di ricerca Third World Network.

La terza via snobbata dai bigMolti sostengono che la deroga da sola non basterebbe, ritenendo necessario un attivo trasferimento di tecnologie da parte dei titolari dei vaccini. Nessuno di essi, tuttavia, ha finora aderito al Technology Access Pool, istituto oltre un anno fa dall’Oms. Il meccanismo si propone come una terza via rispetto alla sospensione dei brevetti e alle licenze obbligatorie. Consente infatti di stipulare contratti di produzione e trasferimento tecnologico con diversi licenziatari allo stesso tempo, dietro pagamento di royalties, risparmiando tempo e costi. I giganti hanno preferito firmare accordi bilaterali con un numero ristretto di partner, al di fuori del C-Tap, per mantenere il controllo sulla filiera. Pfizer-Biontech, Moderna e Curevac hanno tutti snobbato il recente appello dell’Oms a partecipare ai centri di trasferimento tecnologico sui vaccini mRna, che sarebbero replicabili mediante una rapida riconversione degli impianti, secondo uno studio dell’associazione dei consumatori Usa Public Citizen. “È auspicabile uno strumento vincolante a livello internazionale che mobilizzi fondi pubblici e che obblighi a condividere conoscenze e proprietà intellettuale”, spiega Kaitlin Mara, consulente a Medicines Law & Policy. Peccato che alla riunione informale dell’Oms del 31 maggio, Usa e Ue abbiano dilazionato il Trattato pandemico che avrebbe dovuto essere firmato a novembre all’Assemblea generale, che invece si limiterà a discutere sull’opportunità di elaborarlo o meno.

 

 

Camilla e la malattia del sangue: il medico sapeva, la mandò via

Camilla Canepa soffriva di una carenza cronica di piastrine, una malattia autoimmune di origine ereditaria. Inoltre, era sottoposta a una terapia ormonale con due farmaci, uno a base di estrogeni e un altro a base di progestinici (medicine che già di loro possono provocare rari casi di trombosi). Sono due dati importanti nell’inchiesta per omicidio colposo sulla morte della diciottenne, colpita da trombosi dopo la somministrazione del vaccino AstraZeneca. Un siero che ha mostrato di dare rari problemi proprio in condizioni simili: rarissimi casi di trombosi, associati a piastrinopenia, più frequenti in donne giovani. Chi era a conoscenza di queste informazioni e come le ha valutate, si chiede la Procura di Genova?

Ieri i carabinieri dei Nas, coordinati dal procuratore aggiunto Francesco Pinto e dai pm Stefano Puppo e Francesca Rombolà, hanno acquisito le cartelle cliniche e la documentazione medica sulla ragazza.

Due i momenti su cui si sono concentrati i primi accertamenti, in attesa dell’autopsia prevista martedì. Il primo riguarda il consenso informato firmato da Camilla il 25 maggio, all’Open Day di AstraZeneca organizzato dalla Regione Liguria. In quei moduli, firmati presso il centro vaccinale di Chiavari, non compaiono riferimenti alla malattia autoimmune. Questo ovviamente non esclude ulteriori approfondimenti. A Camilla era stato domandato se aveva problemi di piastrinopenia? La ragazza lo ha comunicato al medico vaccinatore? E ancora: con che accuratezza è stata valutata la sua situazione?

La seconda questione, per ora la più rilevante, riguarda il primo accesso al pronto soccorso di Lavagna, il 3 giugno. Camilla si presenta con mal di testa e fastidio per la luce. Le viene fatta una Tac, che risulta negativa, e viene rimandata a casa. Nell’anamnesi risulta sia la comunicazione della terapia farmacologica che la carenza di piastrine ereditaria. Perché viene dimessa? È stato forse sottovalutato qualcosa? Due giorni dopo, il 5 giugno, la ragazza si presenta all’ospedale San Martino di Genova, con una semi paresi e i movimenti corporei già compromessi. Le sue condizioni sono ormai molto gravi. Muore il 10 giugno, dopo due operazioni.

Un’altra donna di 34 anni, negli stessi giorni, si è presentata nel medesimo ospedale: era stata vaccinata con lo stesso lotto di AstraZeneca, ora sospeso. Non aveva una trombosi al seno cavernoso come Camilla, ma all’addome, più facile da trattare. A differenza della diciottenne, però, è stata ricoverata. Ora è in terapia intensiva, e le sue condizioni sono in miglioramento. I

Ieri intanto è stato il giorno del dolore a Sestri Levante. La sindaca Valentina Ghio ha proclamato il lutto cittadino. La nonna della ragazza chiede di rispettare il dolore della famiglia: “Non ci sono parole. È una tragedia troppo grande quella che ci è piovuta addosso”. Sul web decine di messaggi di cordoglio: “Non siamo numeri”, scrive un amico della ragazza. Il Vbc Casarza volley, la squadra di pallavolo per cui giocava Camilla, ha scelto il silenzio. Anche se in privato un membro dello staff si lascia andare a qualche considerazione amara: “Forse qualcuno dovrebbe fare un esame di coscienza su come è stato creato questo clima. Non sono un medico, ma mi chiedo perché dei ragazzi siano stati invitati a un Open Day e vaccinati con AstraZeneca. Saranno anche rarissimi i casi di trombosi, ma la probabilità di morire di Covid per loro era zero”.

Figliuolo, Toti&C.: Aifa ignorata e “avanti tutta”

Accelerare, sprintare, non fermarsi mai. In nome di una retorica da Formula 1, negli ultimi mesi abbiamo assistito a continue giravolte sull’utilizzo di AstraZeneca, che ancora oggi l’Aifa consiglia di somministrare solo agli over 60 ma che invece a un certo punto è diventato un prodotto da bazar, qualcosa da piazzare senza troppi fronzoli.

Diverse Regioni infatti avevano avviato i famosi Open Day di AstraZeneca, giorni di somministrazione senza limiti di età e senza bisogno di prenotarsi. Con un entusiasmo che non tradiva la minima preoccupazione, nonostante le raccomandazioni degli scienziati. Basta riprendersi qualche dichiarazione delle scorse settimane, a partire dalle più enfatiche del commissario Francesco Paolo Figliuolo: “Adesso bisogna pensare a impiegare tutti i vaccini che abbiamo. AstraZeneca è consigliato per determinati classi ma l’Ema dice che va bene per tutti”. E ancora: “Dobbiamo impiegare tutto, se non lo facciamo il ritmo della campagna vaccinale non raggiunge i risultati e gli effetti voluti. Ci sono effetti collaterali, ma infinitesimali”.

Di fronte a simili sollecitazioni, quasi tutti i presidenti di Regione hanno risposto. Il caso più clamoroso è quello dell’Alto Adige, dove la Provincia ha organizzato addirittura delle AstraNight, serate con dj per smaltire le dosi destinandole agli over 18: “Un’opportunità per iniziare l’estate con maggior tranquillità”, secondo l’assessore Thomas Widmann.

È storia recente, come purtroppo noto per il caso della morte della diciottenne Camilla Canepa, l’allargamento di AZ ai giovani in Liguria. Oggi Giovanni Toti incolpa lo staff di Figliuolo, ma anche il governatore sembrava entusiasta: “I ragazzi hanno dato una lezione agli adulti, i diciottenni hanno colto un’opportunità per mettersi in sicurezza dando fiducia a un vaccino che sta riacquistando quella credibilità che merita”.

Stessa strada seguita da Nord a Sud, con rare eccezioni come Luca Zaia in Veneto e Attilio Fontana in Lombardia. Nello Musumeci, in Sicilia, pochi giorni fa tranquillizzava: “Su AstraZeneca c’è stata qualche difficoltà , ma adesso abbiamo avviato l’Open Day. Oggi c’è una diffusa cultura di prevenzione, soprattutto tra i giovani”. Nel Lazio, Nicola Zingaretti apriva prima agli over 40, poi agli over 30 e infine a tutti: “Ero sicuro che sarebbe arrivata una massa di ragazze e ragazzi per vaccinarsi. Vogliono tornare a vivere”. Così anche in diverse città dell’Emilia-Romagna, secondo le indicazioni di Stefano Bonaccini, o in Campania, dove Vincenzo De Luca allargava le braccia di fronte ai timori dell’Aifa: “Lasciare la libera scelta al cittadino non è corretto, ma in questo momento è la cosa migliore”. In Toscana, Eugenio Giani lanciava giornate per gli over 40: “La Toscana chiede le dosi di AstraZeneca inutilizzate da altre Regioni. Non possiamo tenerle in frigo, dobbiamo vaccinare il più possibile”. Anche a costo di contraddire gli esperti.

Stop AZ, la giravolta “perentoria”. Il governo arriva tardi e pure male

Costretti a correre ai ripari dalla pressione del mondo scientifico e dalle trombosi tra i giovani e soprattutto le giovani vaccinate con AstraZeneca, sono arrivati tardi e anche male. Il ministro Roberto Speranza, dopo qualche giorno, ha scelto la “massima precauzione”, mentre altri, dal Comitato tecnico scientifico a diverse Regioni, sarebbero andati avanti con gli Open Day e i volontari dai 18 anni in su. I Cts li aveva autorizzati ancora il 12 maggio, nonostante l’agenzia europea Ema dal 23 aprile rilevasse che fino a 49 anni ci sono più rischi di trombosi che di morte o ricovero in rianimazione per Covid. Ora si cambia ancora, l’ennesima giravolta su AstraZeneca ribalta la campagna vaccinale all’inizio dell’estate.

La “raccomandazione” (che c’è da aprile) di riservare il vaccino AstraZeneca a chi ha da 60 anni in su, riconfermata ieri dopo tre giorni di discussioni dal Cts, sarà tradotta “in modo perentorio”. Sono le parole del ministro Speranza nella conferenza stampa tenuta ieri insieme al generale Francesco Paolo Figliuolo e ai professori Franco Locatelli e Silvio Brusaferro. Fino a 59 anni solo vaccini a Rna messaggero, Pfizer/Biontech o Moderna.

Né in conferenza stampa né dopo hanno chiarito ufficialmente, ma sembra che il provvedimento “perentorio” non valga per l’altro vaccino a vettore virale, Johnson & Johnson. Anche per J&J c’è “qualche segnalazione di fenomeni trombotici in sede inusuale, tuttavia c’è una frequenza minore e abbiamo un numero di soggetti che hanno ricevuto questo vaccino significativamente minore, attorno a 1 milione e 100 mila dosi”, ha detto Locatelli. Faranno con Pfizer o Moderna anche i richiami degli under 60 che hanno fatto la prima dose con AstraZeneca. “Vaccinazione eterologa”, così la chiama Locatelli. Figliuolo ha minimizzato ma non sarà facile, né per il commissario, né per le Regioni. Che stanno ancora trasmettendo a Roma i numeri di chi deve cambiare vaccino. Il Lazio per esempio dovrà chiudere alcuni hub in cui si può conservare solo Az.

È l’ultimo coup de théâtre su AstraZeneca, prima per i giovani, poi per i vecchi, poi per i “volontari”. Era il vaccino su cui l’Ue aveva puntato di più. In Italia ne arriveranno 15 milioni, ha detto Figliuolo, da qui a settembre: 7 sono per gli over 60 che attendono la prima dose, 3,5 milioni; 3,9 per quelli che devono fare la seconda. “Le altre – ha detto il generale – andranno ai Paesi Covax”, cioè i Paesi a basso reddito.

Grande assente alla conferenza stampa era Aifa. Il Quinto rapporto sui vaccini Covid, pubblicato giovedì, era meno chiaro del Quarto. Le trombosi in sedi inusuali sono costanti, da 0,85 a 26 aprile a 0,89 ogni 100 mila vaccinati al 26 maggio; quelle accompagnate da carenza di piastrine erano 0,45 ogni 100 mila, ma stavolta non c’è un focus specifico perché è in corso un’indagine europea. Certo non ci sono i dati per fascia d’età come in Gran Bretagna, dove tra 18 e 49 anni sono a 1,8 trombosi rare ogni 100 mila vaccinati con Az, e nei report di Ema. “Auspichiamo che finalmente vengano resi disponibili i dati sui vaccini a vettore adenovirale somministrati suddivisi per fasce di età e sesso, e sul numero ed esito dei casi di trombosi trombocitopenica indotta da vaccino registrati finora. Tuttora gli scienziati italiani sono costretti a basarsi sui dati che provengono dalla Gran Bretagna, non sarebbe ora di poter ottenere un quadro preciso della situazione nelle diverse Regioni italiane”, chiede la professoressa Valeria Poli, presidente Società italiana di biofisica e biologia molecolare e membro dell’associazione Luca Coscioni, che nei giorni scorsi ha pubblicato un appello contro gli Astra Day per i giovani.

I dati epidemiologici, ha spiegato Brusaferro, continuano a migliorare. Siamo a 25 casi ogni centomila abitanti a settimana, solo l’8% dei posti letto occupati da malati Covid, calano anche i decessi. Da domani passano in zona bianca Emilia-Romagna, Lombardia, Lazio, Piemonte, provincia di Trento e Puglia. Due italiani su tre nell’area con minori restrizioni. La variante Delta, l’indiana che preoccupa la Gran Bretagna, resta sotto l’1% dei casi.

Scuse e dimissioni

Nel disastro con scaricabarile degli Open Day – tutt’altro che imprevedibile, anzi ampiamente annunciato dal Fatto e dall’associazione Luca Coscioni – alcuni dati sono incontestabili. 1) Se il generalissimo Figliuolo, affetto da annuncite e ansia da prestazione, non avesse promesso ritmi di vaccinazioni che non poteva mantenere (e infatti non ha mai mantenuto), la follia di almeno mezzo milione di persone sotto i 60 anni vaccinate con Astrazeneca contro le indicazioni dell’Aifa non si sarebbe mai verificata. 2) Senza gli Open Day indiscriminati per svuotare i frigoriferi pieni di fiale AZ, i nostri ragazzi non avrebbero aggiunto al rischio zero di morire per Covid il rischio X (si vedrà quanto alto o basso) di morire per reazioni avverse. 3) Se avessimo seguito l’esempio della Germania, anziché crederci più furbi dei tedeschi per recuperare il terreno perduto nel passaggio da Arcuri (Italia davanti alla Germania) a Figliuolo (Italia doppiata dalla Germania), Camilla Canepa sarebbe ancora viva: è vero che aveva una patologia autoimmune e chi l’ha vaccinata e dimessa ai primi sintomi trombotici ha commesso un grave errore; ma senza gli Open Day, difficilmente sarebbe stata vaccinata. 4) Arcuri, al posto di Figliuolo, sarebbe già stato lapidato sulla pubblica piazza, mentre il centrodestra e tutti i giornaloni al seguito ne chiederebbero l’arresto per omicidio volontario. 5) Figliuolo (col Cts e il governo che hanno tardato troppo a fermare il suo delirio) è riuscito nell’ardua impresa di seminare altra sfiducia nei vaccini e di far passare pure le peggiori Regioni dalla parte della ragione.

Difficile obiettare alcunché al presidente ligure Toti che pubblica l’ultimo foglio d’ordini del generalissimo per la leggendaria “spallata di giugno” (1 milione di vaccini al giorno promessi e naturalmente mai visti). Il 3 maggio, Figliuolo sproloquiava: “Dobbiamo usare tutte le dosi, altrimenti il programma non raggiungerà gli effetti desiderati nei tempi voluti. È probabile che in quella che si chiama ‘rolling review’ , la revisione dovuta all’esperienza accumulata durante le vaccinazioni, si possa raccomandare anche per gli under 60… I vaccini vanno impiegati tutti. Astrazeneca è consigliato per determinate classi, ma l’Ema dice che va bene per tutti, come dimostra la Gran Bretagna (che con l’Ema non c’entra nulla, nda). È chiaro che ci sono effetti collaterali, ma sono infinitesimali”. E citava, a sostegno della sua tesi bislacca, anche l’Aifa. Che invece, ancora a fine maggio, ribadiva l’uso preferenziale dei vaccini a vettore virale per gli over 60. Ieri Figliuolo, come al solito, ha inoculato all’intera nazione un’alluvione di parole a vanvera. Ne mancavano sei: “Scusatemi, è colpa mia, mi dimetto”.

“Sembrava bellezza”, invece no: la favorita Ciabatti fuori dai 5

Sembrava bellezza: ah, se sembrava… Poi però la realtà è andata da un’altra parte: Teresa Ciabatti, entrata papessa in questa 75esima edizione del Premio Strega, ne è uscita cardinalessa. Pure anzitempo. Niente cinquina per lei né per Mondadori, che lascia lo scranno alla socia Einaudi.

Di qua sta allora Borgo Sud, di là Il libro delle case. In mezzo, L’acqua del lago non è mai dolce e Il pane perduto; Due vite, insomma: sono questi i cinque titoli finalisti dello Strega, nominati ieri a Benevento (non nel salotto Bellonci), casa madre del liquore main sponsor. “Portate qui la cerimonia finale”, ha proposto il sindaco Clemente Mastella, citando pure “il talento delle farmacie di provincia, come diceva Gramsci”, che però conosce solo lui. Buon per lui; la finale sarà assegnata, come da tradizione, il prossimo 8 luglio al Ninfeo di Villa Giulia a Roma.

Dunque, tre donne, due uomini e Due vite, il “romanzo tra virgolette” di Emanuele Trevi (Neri Pozza), che conquista al penultimo turno più voti di tutti: 256. È la storia di due scrittori amici morti: Rocco Carbone e Pia Pera. Eterofiction. Segue, con 221 voti, la 90enne Edith Bruck – probabilmente quella che sta vendendo di più in libreria e che ha conquistato anche il Premio Strega Giovani– con Il pane perduto (La Nave di Teseo), dalla Shoah all’Italia, terra “adottiva: mi ha dato molto di più del pane quotidiano”. Ci sembra il minimo. Sul terzo gradino del podio precario ci sta Donatella Di Pietrantonio con Borgo Sud (Einaudi) e 220 voti: “L’Arminuta” è diventata adulta, e si è accorta che è terribile; al paese ci sono solo pesca, fatica, superstizioni e famiglia. Quarta si posiziona la giovane Giulia Caminito con 215 voti per L’acqua del lago non è mai dolce (Bompiani) e quinto Andrea Bajani con 203 voti per Il libro delle case (Feltrinelli): il primo è un romanzo di disamore e provincia; il secondo una quasi autofiction, con l’autore che chiama il protagonista “Io” e lo narra in terza persona, e lo spazio regna sul tempo. Ciao Proust.

Tutto il resto è noia: restano fuori in sette dell’originaria dozzina. La Ciabatti (Mondadori), come si è detto, che arriva solo settima, dietro Cara pace di Lisa Ginzburg (Ponte alle Grazie). Seguono Maria Grazia Calandrone con Splendi come vita (sempre Ponte alle Grazie); Roberto Venturini con L’anno che a Roma fu due volte Natale (Sem); Giulio Mozzi – sconsigliato ai ragazzini – con Le ripetizioni (Marsilio); Daniele Petruccioli con La casa delle madri (TerraRossa); Alice Urciuolo con Adorazione (66thand2nd). Ora i cinque finalisti partono in tour promozionale: ci si rivede a Roma a luglio, tutti adulti e vaccinati.

“La mia ‘Heimat’, la mamma delle serie: il maestro è Proust”

“Heimat non ha confini”, dice Edgar Reitz. Ma una location sì: questa sera in piazza San Cosimato il maestro tedesco presenterà in video-collegamento Heimat – Eine Chronik in elf Teilen (Nostalgia di terre lontane, 1984) alla presenza di Klemens Mömkes, vice-ambasciatore della Repubblica Federale di Germania in Italia. La proiezione fa parte della rassegna “Il cinema in piazza” del Piccolo America, alla settima edizione.

Heimat è un termine di non facile traduzione: Reitz, ci aiuta?

In tedesco ha una forte carica emotiva. Significa il luogo della nostra infanzia, della nostra famiglia e dell’attaccamento a una terra. Heimat è il piccolo spazio personale dove cerchiamo protezione e calore. In questo senso, rappresenta qualcosa di diverso, di personale per ognuno di noi. Tradurlo con “patria” sarebbe un errore: Heimat non ha confini.

Questa serie fluviale è stata la sua vita: i momenti migliori, e i peggiori?

I momenti più belli li ho vissuti quando tutti gli episodi dell’epos Heimat furono proiettati alla Mostra del Cinema di Venezia. Il successo di Heimat 2 in Italia nel 1993 è stato il momento più importante della mia vita. Il momento più duro: quando la televisione tedesca si rifiutò di produrre il seguito. Ci ho messo sette anni per girare la terza parte.

Un aggettivo per i suoi film?

Ho ricercato le forme epiche nel cinema. Un quotidiano italiano scrisse che Heimat era la madre di tutte le serie. Forse è davvero così, ma per me epos significa molto di più. Il mio interesse è rivolto alla dimensione narrativa del grande romanzo. Il modello è Marcel Proust, per intenderci.

Nel 1968 siete riusciti a far entrare il cinema nei programmi scolastici; da allora non si sono fatti molti progressi, anzi.

Ho lottato più e più volte per inserire il cinema come materia principale a scuola. Dal momento che la maggior parte degli adulti difficilmente legge libri completi ma vede migliaia di brutti film, l’unico modo per ottenere una cultura cinematografica duratura è educare all’estetica del cinema. Questa complessa relazione viene purtroppo ignorata dalla politica da cinquant’anni. E mancano i buoni educatori, ecco perché ho suggerito che i registi vadano nelle scuole.

Quale sarà l’impatto della pandemia sul cinema?

I portali di streaming avranno un ruolo importante per la cultura cinematografica. Sono un eccellente complemento alle sale, possono svolgere funzioni necessarie per un’attività dinamica: fornire informazioni, commenti, approfondimenti sulla storia e il background dei film. D’altra parte, la sala come luogo sociale è indispensabile per una storia del cinema condivisa. Solo nello spazio reale, in presenza, un film diventa evento.

Portare Heimat in piazza cosa significa per lei?

Sono molto contento che venga proiettato a Roma nella versione Director’s Cut restaurata. Mi dispiace solo di non poter essere lì di persona già quest’anno.

Oggi che cosa può comunicare ai giovani?

Spero scatti quella magia che nasce quando un film ci ricorda i nostri sogni e le nostre speranze. Il sentimento di Heimat è universale e senza tempo.

Esiste un cinema europeo? Oppure le nazioni e Stati sono imprescindibili?

Non dovremmo mai rinunciare a credere in un’Europa luogo di pace perenne. La nostra storia di duemila anni fa di noi una sola famiglia. Sappiamo che anche nelle famiglie si litiga, ma è l’appartenenza a renderci forti. Come regista, mi sono sempre sentito europeo. L’Europa rappresenta l’espressione più alta del sentimento di Heimat.

Il cinema può o deve essere antifascista?

Nessun artista serio può essere fascista.

Quali registi italiani ammira?

Da sempre i miei film preferiti sono quelli italiani. Partendo da Vittorio De Sica, di cui ho venerato Umberto D. e Miracolo a Milano per molti anni. Poi fu la volta di Antonioni, con film come L’avventura o L’eclisse. Infine, iniziando a lavorare su Heimat, L’albero degli zoccoli di Ermanno Olmi, che avevo visto a Cannes.

Il suo film prediletto?

Fanny e Alexander di Ingmar Bergman.

 

Traduzione di Brigitte Stanglmeier

Mahmood: dal ghetto all’Olimpo

Mahmood, è pronto per Cannes?

In che senso?

Nel senso del video-spoiler di Tre Piani, il film che Moretti porterà sulla Croisette. Nanni vi si cimenta in una straniante citazione di Soldi

Sono molto orgoglioso e onorato che un regista del suo calibro abbia menzionato me e la mia canzone.

Sapeva della trovata?

No, è stata una bellissima sorpresa, non ero a conoscenza dell’intenzione del maestro di un regalo del genere. Mi ha stupito ricevere questo omaggio da lui e anche da tutto il cast del suo nuovo film che non vedo l’ora di vedere al cinema.

Moretti ha un catalogo pop tutto suo. In Palombella Rossa reinventa pure il Battiato di E ti vengo a cercare. A proposito, lei era un grande fan di Franco…

Sono a pezzi. Non ho avuto l’occasione di conoscerlo. Un anno fa, con il mio staff, chiesi informazioni sulla sua salute: avrei voluto invitarlo in studio. Capii che non fosse il caso.

Quando lo scoprì?

Avevo 21 anni, in auto con amici, una pineta in Sardegna. Alla radio passava I treni di Tozeur. Restai folgorato. A sera, nella mia stanza, mi inoltrai nella sua discografia. Un’altra volta, durante il mio tour europeo, camminavo da solo a Berlino ascoltando Alexanderplatz. E mi commossi.

Brandelli di cuore.

Un altro è Dalla. Girando in Sicilia il video di Klan, ho alloggiato nella stanza-torre in cui si rifugiava Lucio.

Il nuovo album Ghettolimpo: due anni di lavoro, con amici come Dardust, Elisa, Sferaebbasta, Woodkid.

Sono tante cartoline di quanto mi è accaduto dopo Sanremo. È concepito, sin dalla copertina, come un videogame con personaggi su più livelli. Qualcosa di me è immortale, ma è una natura racchiusa solo nelle canzoni. La parte mortale di me è nel ghetto: le paranoie e le insicurezze che continuo a nutrire dopo aver conosciuto il successo. Mahmood è nel mezzo, nella doppia “O” del neologismo Ghettolimpo.

Insicurezze?

Non credevo che oltre all’impegno artistico dovessi concentrarmi quotidianamente sullo scavo psicologico di me stesso. E sulla fiducia da concedere agli altri. In tanti mi avevano fatto promesse, io non vedevo un euro, e continuavo a lavorare al bar. Però anche prenderlo in quel posto fa parte della maturazione.

Nel brano-guida evoca Narciso. Poi ci sono Dei e Icaro è libero.

Narciso sono io, ma non riesco a innamorarmi del mio riflesso. Vedo brutto anche il mio sorriso migliore. Quanto a Icaro, è un carcerato in cerca di ali per volare sopra le ristrettezze della società.

C’è molta mitologia applicata, nel nuovo album.

Quando ero bambino consumavo l’Enciclopedia dei Miti Greci. Ora in Rapide evoco l’Ade, e in Ghettolimpo sottolineo la permanenza della preghiera. Da piccolo, tornando in Egitto, sentivo cinque volte al giorno la voce del muezzin che volava sopra la città.

Una delle sue radici è nella cultura islamica. Lei è cattolico.

Ma questo è un disco senza timbri religiosi. Nei momenti più tormentosi ognuno alza gli occhi lassù. Io canto: “Se pregherai da solo fuori da una chiesa, saprai che il cielo guarda solo chi merita”.

Cosa prova quando l’Islam viene tirato dentro anche in orrendi casi come quello di Saman?

Chi come me vive e lavora con l’arte ha la fortuna di poter dare il proprio contributo su argomenti e situazioni che sente vicini alla propria realtà. Una canzone o un’intervista non risolveranno i problemi che questo mondo ancora presenta ma sento sia un’epoca in cui tutti possono aiutare a spostare qualcosa. Io lo faccio continuando ad attingere alle due culture che mi appartengono: un modo onesto per dimostrare che convivenza e inclusione sono possibili.

Lei si è speso anche sul ddl Zan.

Due ragazzi torinesi sono stati picchiati dal branco a Palermo. È inconcepibile che questa legge non sia stata ancora approvata. Episodi così avvengono tutti i giorni: di quanti nuovi motivi avremo bisogno, prima di rendere civile questo Paese?

E il dibattito sul politically correct?

Siamo tutti incattiviti dopo questo lockdown. C’è molta negatività nell’aria. Le parole contano, ma anche io dovrò imparare a usarle.

Ha dedicato un brano, T’amo, a sua madre.

Vi cito anche Non Potho reposare, l’inno della nostra Sardegna. Mamma ha pianto. L’ha presa male.

Il trionfo dei Maneskin?

Chi se non loro meritava di vincere l’Eurofestival? Ora anche questi ragazzi sono di fronte al pericolo rappresentato dalla fama. Che ti impone di lavorare su te stesso, ancora più duramente di prima.