Biden e Johnson amici per finta

Prima immagine: Joe Biden con la First Lady Jill – indossava una giacca con la scritta ‘Love’ sulle spalle –, Boris Johnson con la neo-moglie Carrie Symonds, mano nella mano sullo sfondo del mare della Cornovaglia. Seconda: uno scambio davanti alle telecamere, con Biden che scherza: “Io e il primo ministro abbiamo una cosa in comune: ci siamo entrambi sposati al di sopra del nostro livello” e Johnson che replica: “Non ho intenzione di discutere di questo col presidente, anzi, direi che sarò d’accordo più o meno su tutto”. Una concordia di circostanza: è tutto quello che emerge per ora dal primo incontro fra i leader di Usa e Uk, con la tradizionale conferenza stampa annullata per la prima volta nella storia dei bilaterali inaugurali fra i leader dei due paesi. A Biden, Johnson non piace, in passato lo ha definito ‘un clone fisico ed emotivo di Trump” e non gli perdona Brexit, il rapporto privilegiato con Donald, i commenti razzisti sul suo grande amico Barack Obama. Il gigantesco elefante nella stanza è però il nodo Irlanda del Nord: Biden è di origine irlandese, la diaspora irlandese in Usa è lo zoccolo duro del suo elettorato, e giovedì il Times apriva con la rivelazione che il diplomatico americano più importante nel Regno Unito, Yael Lempert, avrebbe accusato Downing Street di gettare benzina sul fuoco delle tensione in Irlanda e in Europa con la sua opposizione ai controlli doganali post Brexit. Una interferenza esplicita che segnala il livello di irritazione della Casa Bianca. Il mandato ufficiale è quello di ostentare tranquillità, e infatti prima Biden aveva twittato: “Non vedo l’ora di confermare la relazione speciale fra Usa e Uk e di discutere come affrontare le sfide condivise per gli anni a venire”. Il riferimento alla special relationship fa riflettere, visto che Johnson ha dichiarato di detestare il termine: trova che ponga il Regno Unito in una posizione di subordinazione, niente a che vedere con la sua trionfante visione di Global Britain. I due leader si sono impegnati a siglare una nuova Carta Atlantica che regoli i rapporti politici e commerciali, modellata sul precedente del 1941. Ma Johnson non ha la statura politica del suo idolo Churchill, né Biden quella di F.D. Roosevelt. E il Regno Unito di oggi, post Brexit, è ancora una nazione in cerca d’identità.

Oggi inizia il 47° summit del G7 che si tiene sotto la presidenza britannica; oltre a Usa e Regno Unito partecipano Italia, Francia, Germania, Canada e Giappone. Il premier Johnson ha invitato anche i leader di Australia, Nuova Zelanda, Corea del Sud, India e Sudafrica.

Draghi-Erdogan, niente sfida in tribuna d’onore

Ministri, ambasciatori, presidenti e presidentini del pallone. Ma niente leader di Stato. Euro 2021, il torneo della ripartenza, il business da 2 miliardi di euro, il primo grande evento calcistico che l’Italia ospita dai tempi di Italia 90, quindi a suo modo un momento storico, si apre stasera alle 21 all’Olimpico di Roma. In campo, Italia-Turchia. In tribuna, però, niente “derby” tra Mario Draghi e Recep Erdogan. Dopo la crisi diplomatica sfiorata ad aprile, i due non si ritroveranno uno fianco all’altro allo stadio, come la liturgia del pallone imporrebbe. Il premier italiano è al G7, in Cornovaglia. Il presidente (o “dittatore”, questione di punti di vista) turco invece semplicemente non è atteso. Per fortuna ci sarà il presidente della Repubblica Sergio Mattarella a rappresentare l’Italia, Paese ospitante (in condivisione) di questo strano Europeo itinerante, un po’ di tutti e per questo davvero di nessuno. A volte l’urna del pallone sa essere beffarda. Si diverte a mettere di fronte nazionali di Paesi che fuori dal campo non si incontrerebbero mai. Già c’era il caso Ucraina, che si è presentata a Euro 2021 con una splendida maglietta con in filigrana la sagoma del suo Paese, inclusa però la Crimea annessa dal 2014 alla Russia, con ovvie proteste da Mosca e l’imbarazzo della Uefa. Le due squadre potrebbero incrociarsi ai quarti ma ben prima, addirittura all’inaugurazione, ecco Italia contro Turchia. Cioè Draghi contro Erdogan.

Il sorteggio era previsto da tempo ma nessuno prevedeva che i due leader litigassero furiosamente prima del match: a metà aprile, dopo lo sgarbo della poltrona negata a Ursula von der Leyen, Draghi aveva dato come se nulla fosse del dittatore a Erdogan, che da par suo aveva risposto bollandolo come maleducato impertinente (e non eletto). Ma all’Olimpico non ci sarà nessun ritrovo imbarazzante. Quella del premier italiano non è un’assenza da poco: cinque anni fa, per l’esordio di Euro 2016, Francois Hollande troneggiava in tribuna a Parigi. Ma sfortunata coincidenza vede l’inaugurazione del torneo nello stesso giorno in cui inizia il G7. Senza il vertice tra le potenze mondiali, il premier probabilmente non sarebbe mancato. I più maligni sussurrano che, in altre circostanze, forse avrebbe comunque trovato la maniera di scapicollarsi tra Roma e la Cornovaglia, pur di presenziare a quella che resta una vetrina importante per il nostro Paese. Quanto ad Erdogan, è rimasto a Istanbul. Ci sarà suo figlio Bilal insieme al ministro dello Sport. E anche se il protocollo di sicurezza resta attrezzato per ogni evenienza dell’ultimo minuto, il presidente “dittatore”, tifosissimo di calcio, ha annunciato la sua presenza solo per il secondo match contro il Galles, a Baku. Segno che forse il problema era proprio Roma. Chissà se per caso o contrappasso per lo sgarbo a Von der Leyen, come quarto uomo è stata designata Stéphanie Frappart, prima donna nella storia ad arbitrare agli Europei. Così gli organizzatori hanno tirato un sospiro di sollievo quando è arrivata la conferma di Sergio Mattarella: il presidente della Repubblica sarà allo stadio per Italia-Turchia (ma solo per la partita, non per la cerimonia con Totti, le frecce tricolori e il cantante Bono Vox: arriverà per gli inni). Senza i due leader l’inaugurazione rischiava il flop istituzionale. Ma la tribuna autorità non andrà deserta. Anzi, sarà fin troppo affollata di (più o meno) alte cariche che hanno fatto a gara per infilarsi in lista. Alla fine quasi 250 persone: fra le istituzioni non c’è contingentamento Covid che tenga. Non poteva mancare la presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati. Per il governo ben tre ministri, Lamorgese, Giorgetti e D’Incà, più la sottosegretaria Vezzali, oltre ai rappresentanti dell’esecutivo turco. Per l’Ue, il presidente del Parlamento David Sassoli e il vice della Commissione, Schinas. Poi i n. 1 di Uefa e Fifa, Ceferin e Infantino, tutti sorrisi e pacche sulle spalle in pubblico mentre in privato cercano di distruggersi a vicenda. Il presidente del Coni, Giovanni Malagò, Boniek, Capello, Boban e altre vecchie glorie.

Prove di guerra civile: 10 morti, scontro tra Isis e Talebani

Non c’è fine all’orrore che la popolazione dell’Afghanistan sta sopportando da decenni in seguito alle invasioni delle grandi potenze, agli scontri tra i signori della guerra locali e più recentemente tra i movimenti islamici intenzionati a prendere il potere di questo devastato Stato cuscinetto. Proprio allo scopo di ripulire il terreno dalle migliaia di mine disseminate nel terreno a ricordo delle tante guerre, dieci sminatori hanno perso la vita nel nord del paese asiatico. Ma i dipendenti dell’Ong internazionale Halo Trust non sono stati uccisi dall’esplosione accidentale di una mina, purtroppo uno dei rischi di questo mestiere, bensì dai colpi di mitragliatrice sparati dai terroristi del gruppo Korasan affiliato all’Isis che ha rivendicato questa azione raccapricciante.

Inizialmente il governo centrale con sede a Kabul aveva accusato i talebani di aver commesso questo ennesimo attacco contro lavoratori inermi. Questa volta, così come a proposito della carneficina di 85 studentesse il mese scorso, però i mullah non sembrano avere alcuna colpa, anzi. James Cowan, amministratore delegato di Halo Trust, ha dichiarato alla BBC che i talebani hanno invece “contribuito a porre fine all’attacco facendo fuggire gli assalitori”. Si tratta di un’affermazione del tutto plausibile visto che la provincia di Baghlan, dove gli sminatori stavano operando, è controllata dai talebani che hanno tutto l’interesse a rendere il terreno praticabile e a mettere fuori gioco il gruppo rivale. Siamo dunque al tutti contro tutti che potrebbe spingere di nuovo il paese nell’abisso della guerra civile.

La fuoriuscita delle truppe Nato, tra cui il contingente italiano, ha incoraggiato gli affiliati locali dell’Isis a entrare definitivamente in scena per sfidare il governo centrale di Kabul e i talebani che controllano parte del territorio. Ma se i talebani – in trattativa da due anni con le autorità di Kabul per firmare un accordo di pace tuttavia ancora lontano – hanno le armi per difendersi così come i soldati dell’esercito regolare, seppur indebolito ulteriormente dal ritiro degli alleati statunitensi, la popolazione è abbandonata a se stessa e a farne le spese sono le categorie più importanti per il futuro del Paese: studenti e lavoratori nei cruciali settori della sanitá e della sicurezza.

Spiare la massa è illegale. Ma Snowden vince a metà

La Corte europea dei diritti umani (Cedu) ha emesso il 25 maggio scorso una sentenza fondamentale per le nostre democrazie. Ma non è tutto oro quello che luccica. Per la prima volta, il programma di sorveglianza di massa messo in atto dai servizi di intelligence del Regno Unito, con la complicità degli Stati Uniti, è stato infatti giudicato illegale. La Corte di Strasburgo ha condannato Londra per le intercettazioni operate dal Gchq, l’agenzia di spionaggio britannica, per “violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare e delle comunicazioni”. La sentenza arriva a otto anni dalle rivelazioni di Edward Snowden, l’ex informatico della National Security Agency statunitense, diventato whistleblower: nel 2013 Snowden aveva pubblicato dei documenti segreti rivelando l’esistenza di un sistema di spionaggio globale con il quale Usa e Regno Unito si scambiavano le comunicazioni private di milioni di persone.

Da allora Snowden vive in Russia, che gli ha accordato il permesso di residenza permanente lo scorso ottobre. A fare ricorso alla giustizia europea era stata nel 2013 la Ong britannica Big Brother Watch, raggiunta da una quindicina di altre Ong, tra cui Amnesty International e Privacy International. La sentenza della Cedu, che si può consultare online, condanna i programmi di spionaggio di massa rivelati da Snowden, il Tempora, messo a punto dal Gchq, e l’analogo Prism americano. È scritto tra l’altro che “dai documenti della Nsa divulgati da Edouard Snowden emerge che il Gchq ha avuto accesso a Prism dal luglio 2010 e che il programma è stato utilizzato per produrre dei rapporti di intelligence. Il Gchq ha ammesso di aver ottenuto dagli Stati Uniti informazioni raccolte nell’ambito del programma Prism”. La Corte inoltre ha riconosciuto che le intercettazioni operate dal Gchq non avevano ricevuto alcuna autorizzazione preventiva da parte di un ente terzo indipendente. E che quindi l’articolo 8 della Convezione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo era stato violato. Un primo successo Snowden lo aveva già ottenuto nel settembre 2020 quando una corte d’appello Usa aveva stabilito che le intercettazioni operate dalla Nsa avevano violato il Foreign Intelligence Surveillance Act. Ora la sentenza della Cedu fa giurisprudenza, per cui i paesi europei dovranno adeguare i loro metodi di raccolta dei dati. Del resto, sempre il 25, la Cedu ha condannato sulla stessa linea anche la Svezia per “non aver dato garanzie sufficienti nella raccolta di massa di informazioni di origine elettromagnetica”.

Come fa notare il giornale online Mediapart, in Francia, la Cnil, la Commissione nazionale per l’informatica e le libertà, si è già espressa nell’ottobre 2020 sull’Health Data Hub, la piattaforma che centralizza i dati sulla salute pubblica ospitata da Microsoft, raccomandando di sospendere il trasferimento dei dati verso gli Stati Uniti. Olivier Véran, ministro della Salute, si è impegnato a rompere il contratto con Microsoft “entro due anni”. A livello europeo, il 27 maggio, sono state aperte due inchieste sull’uso dei servizi cloud di Amazon e Microsoft da parte delle istituzioni Ue. “Ma la vittoria di Edward Snowden – scrive Mediapart – non è ancora completa”. La sentenza della Cedu ha infatti condannato “solo”, in quanto viola i diritti umani, lo spionaggio incontrollato, operato cioè senza la supervisione di una “autorità indipendente” dai governi. “Sul fondo però – insiste Mediapart – la Corte non rimette in discussione il principio della sorveglianza di massa, anzi, lo valida”. I giudici Ue concludono infatti che “dati i rischi che gli Stati devono affrontare nelle società moderne, ricorrere alle intercettazioni di massa non è in sé contrario alla Convenzione europea”. Mediapart fa notare anche, nell’ambito della procedura, tre paesi sono intervenuti “in difesa del governo britannico e della sorveglianza di massa: la Norvegia, l’Olanda – le cui politiche repressive sono state denunciate a settembre da Amnesty International – e la Francia”. E proprio di recente, un’inchiesta della televisione pubblica danese Dr, ripresa da altri media, tra cui Le Monde, ha rivelato che la Nsa dopo Snowden non ha rivisto i suoi metodi, dal momento che avrebbe raccolto informazioni su dirigenti europei, tra cui Angela Merkel, con la collaborazione del Fe, i servizi danesi.

Torna “Piove, governo ladro” (solo per Raggi&Appendino)

Esistono molti tipi di pioggia. Quella debole, quella a vento, quella col sole, quella forte, quella monsonica, i rovesci, i nubifragi, le bombe d’acqua, le secchiate.
E poi esiste quella che cade durante le campagne per le Comunali a Roma, che in meteorologia è un segmento a sé.

Identica, idrologicamente, al resto delle piogge durante l’anno, in campagna elettorale quella pioggia assume significati portentosi. Il suo contenimento misura le capacità del sindaco ancora in carica. Se non sa arginarla, farla evaporare o bersela tutta a gargarozzo prima che tocchi il suolo per salvare i cittadini da pericolosi allagamenti, è un inetto. E gli sfidanti, come rabdomanti 2.0, andranno alla ricerca di qualsiasi foto o video di pozzanghere, oggetti sommersi, tombini intasati, strade allagate. Virginia Raggi nel 2015 sfotteva Ignazio Marino (“Domani piove, gonfiate i gommoni!”), ora i candidati Calenda e Gualtieri sfottono la Raggi (“prestateci il Mose”), ma prima c’era stato Marino che sfotteva Alemanno per la grande nevicata e prima ancora Alleanza Nazionale che sfotteva Veltroni per i grandi allagamenti del 2005 (“Se a New Orleans è arrivato l’uragano Katrina, a Roma abbiamo l’uragano Walter”).

Insomma, a Roma se piove il “governo” ladro è sempre quello in carica, mai quello che lo ha preceduto. Consiglio dunque alla Raggi di dotarsi di imbuti giganti, magari con le rotelle (visti i successi dei banchi), da piazzare sotto i cumulonembi. In alternativa potrebbe desertificare Roma, così che la pioggia impregni la sabbia e tanti saluti, o sostituire i sampietrini con un mosaico creativo di assorbenti per i flussi abbondanti. O allargare le buche, così almeno ci finisce l’acqua che non riescono a contenere i tombini. Sì, ci cadrà qualche scooterista, ma sono reazioni avverse, come per i vaccini. Che poi voglio dire, tutti a rompere i coglioni da mesi con i cinghiali, ora che la Raggi li ha fatti affogare uno a uno, non va bene manco questa. “Circostanziate!”, “Date una spiegazione ai cittadini!” chiede Calenda postando foto degli allagamenti. Spero che queste Comunali le vinca lui. Me lo voglio vedere in giro per tombini con idropulitrice e disgorgante di primo mattino, con il nuvolone nero all’orizzonte, preoccupato che alla prima pozzanghera al Pigneto si monti la ghigliottina a piazza di Spagna. Del resto, gli argomenti per deridere la Raggi sono i più svariati e sempre da pulpiti snob, quei pulpiti per cui i 5stelle sono un branco di mentecatti ingenui, impreparati e incolti, così incolti che pure un lapsus della povera Azzolina subito corretto con un sorriso (“Scatarrare? Un verbo edulcorato”) diventa non qualcosa che può capitare, ma la prova regina (e virale) della sua ignoranza. Che poi non è che tra i 5stelle manchino gli ingenui, gli impreparati e gli incolti, ma ai 5stelle nulla si perdona e nulla si riconosce.

Prendiamo il caso della sindaca di Crema, Stefania Bonaldi, cui è arrivato un avviso di garanzia perché un bambino ha avuto un dito della mano quasi staccato dal cardine di una porta. È un avviso di garanzia, non un rinvio a giudizio. Per il pm, in questa situazione, un atto dovuto che ci si augura si chiuda con un’archiviazione. L’onda di solidarietà nei confronti della sindaca è una roba che se uno non conoscesse bene la storia e si limitasse a leggere i tweet di mezza sinistra, destra e stampa assortita, potrebbe pensare che la Bonaldi sia finita in mano ad al Qaeda. Il tema della responsabilità oggettiva dei sindaci è importante, direte voi. Certo. Quando però la Appendino è stata condannata per omicidio, lesioni e disastro colposi perché un gruppo di delinquenti ha spruzzato lo spray al peperoncino sulla folla, la responsabilità oggettiva del sindaco era evidentemente un tema meno appassionante. Poca solidarietà, qualche articoletto pigro. Chissà, forse in virtù dei suoi poteri extrasensoriali di precognizione doveva prevedere l’azione della gang e mandare i suoi scagnozzi a sventare l’azione un’oretta prima, tipo Minority Report. E invece niente, del resto è una 5stelle, che potevamo aspettarci? I 5stelle hanno sempre la responsabilità oggettiva di tutto, pure della pioggia. Ecco perché qualcuno, tra loro, credeva alle scie chimiche.

P.s. A Milano lunedì allagamenti e tetto della scuola di mio figlio danneggiato. Beppe Sala, dimettiti.

Non solo Lazio. L’Anac censura la Basilicata per gli affidamenti da 2,1 milioni a Michetti

Non solo Lazio. Anche la Regione Basilicata, a sentire l’Anac, ha sottoscritto convenzioni e affidato appalti e servizi alla Gazzetta Amministrativa Srl di Enrico Michetti senza bando. Nello specifico, “senza aver svolto alcuna preliminare indagine di mercato”. Dunque, in maniera illegittima. Il 18 luglio 2018, infatti, l’Autorità Anticorruzione ha censurato delibere regionali dal 2012 al 2015 per oltre 2 milioni di euro in favore della società del neo candidato del centrodestra a sindaco di Roma, rinviando tutto alla Corte dei Conti lucana. Sotto la lente degli ispettori sono finite in particolare tre convenzioni. La prima è del 1º aprile 2015, del valore di 800mila euro. Gazzetta Amministrativa si era impegnata a fornire organizzazione e coordinamento delle risorse umane, interscambio dei flussi informativi, la realizzazione dell’edizione lucana del Quotidiano della Pa, il monitoraggio dati della trasparenza, l’attivazione di contratti di logistica e l’integrazione banche dati applicative. I servizi dovevano essere svolti attraverso l’utilizzo software basati su algoritmi brevettati dalla società di Michetti, chiamati Talete e Pitagora. Il secondo, di 978mila euro, riguardava invece un progetto per realizzare, a Potenza, un “Centro di competenza per la digitalizzazione della Pa”. La terza convenzione, del 28 marzo 2012, per 181.224 euro, acquistava di fatto l’edizione di quattro riviste web: Rivista Giuridica on-line, Contenzioso on-line, Gazzetta Informa News, e Gazzetta Regione Basilicata. Gli ispettori Anac, nelle loro valutazioni, hanno rilevato il fenomeno del “lock in”, che in gergo è il rapporto di dipendenza fra il cliente e il suo fornitore, dovuto al fatto che i primi applicativi informatici obbligavano l’Ente a non potersi separare dalla società. In seguito ai rilievi dell’Anticorruzione, il 3 agosto 2018 la Regione Basilicata ha sospeso “in via cautelare” i pagamenti a Gazzetta Amministrativa srl. Tra questi anche 50mila euro attesi dall’avvocato Valentina Romani, socia al 20% di Michetti. Gazzetta Amministativa ha impugnato il provvedimento al Tar, ottenendo il 15 febbraio 2021 l’accoglimento del ricorso, in quanto – spiegano i giudici nel dispositivo – “la Regione Basilicata non ha previsto alcun termine nell’atto cautelare adottato, il che conclama l’assoluta indeterminatezza temporale della sospensione”.

Le carte sono state girate alla Corte dei Conti che sta approfondendo per capire se vi sia stato un danno erariale. Va precisato che, come per il caso laziale, raccontato ieri dal Fatto, anche per la Basilicata le indagini contabili riguardano i pubblici ufficiali e non i privati che erogano i servizi, in questo caso la società di Michetti.

Verdini, nuova condanna: 3 anni per il crac di una ditta edile. “Concorso in bancarotta”

Una nuova condanna per Denis Verdini. La Corte d’appello di Firenze ha inflitto all’ex senatore di Forza Italia e Ala una pena di 3 anni e 10 mesi per concorso in bancarotta patrimoniale di due imprese edili di Campi Bisenzio (Firenze) che aveva rapporti con il Credito Cooperativo Fiorentino, banca di cui Verdini è stato presidente per due decenni e per il cui crac è stato condannato a 6 anni e mezzo in Cassazione. In primo grado l’ex Fi era stato condannato a 4 anni e 4 mesi. È finito, invece, in prescrizione il reato di bancarotta preferenziale. Condannati anche i titolari della ditta: 3 anni a Ignazio Arnone (in primo grado 3 anni e 4 mesi) e 2 a suo figlio Marco (2 anni e 4 mesi) per bancarotta patrimoniale. Anche per loro quella preferenziale è prescritta.

Gli Arnone avevano ristrutturato una sede dell’ex Ccf. La banca avrebbe pagato 810mila euro alla ditta Cdm di Marco Arnone, che poi poi ne aveva girati 740mila alla srl di Ignazio, che a sua volta aveva rimborsato la banca per debiti precedenti. Per l’accusa l’operazione, congegnata da Verdini, causò il fallimento di entrambe le ditte.

Booking deve all’Italia 150 mln di Iva non pagata

Booking deve allo Stato italiano oltre 150 milioni di euro di Iva non pagata. È il conto recapitato dalla Guardia di Finanza di Genova, che per la prima volta in Italia, ha fatto i conti in tasca della multinazionale olandese e ora chiede indietro i soldi. L’inchiesta, coordinata dal procuratore aggiunto Francesco Pinto e dal pm Giancarlo Vona, ipotizza l’aggiramento sistematico del Fisco italiano. E, dopo aver ricostruito (non senza difficoltà) la catena di comando della società, le indagini potrebbero portare presto a indagare il top management della società, che a sede in Olanda.

Quest’ultimo punto è uno degli snodi più interessanti della storia. È il 2019 quando gli investigatori italiani, coordinati dal colonnello Ivan Bixio, mandano nei Paesi Bassi un ordine di indagine europeo. La risposta dovrebbe arrivare entro un mese e invece le autorità giudiziarie locali si prendono un anno, per dire sostanzialmente che secondo loro non c’è reato e senza consegnare le informazioni richieste (ad esempio l’organigramma della società). Una mancanza di cooperazione totale, insomma, che si incrocia, l’anno successivo, con il braccio di ferro sul Recovery Fund: l’Olanda, leader dei cosiddetti Paesi frugali, accusa l’Italia di non meritare prestiti per la sua poca disciplina in campo fiscale e di bilancio.

Le informazioni negate dall’Olanda, però (che riguardano tasse non pagate a Roma di una multinazionale con sede ad Amsterdam), vengono recuperate dai finanzieri attraverso una maxi accertamento fiscale. Al centro dell’attenzione degli inquirenti ci sono le transazioni che riguardano privati che mettono una casa in affitto, decine di migliaia in Italia, Paese a vocazione turistica. Ognuna di queste transazioni dovrebbe fruttare allo Stato italiano il 4% di Iva. Ma, in assenza di utenti con partita Iva (Hotel e B&B), Booking semplicemente ignorava la normativa. E ora rischia un processo penale e un contenzioso fiscale.

Su FqMillennium di giugno: la nostra estate “desnuda”

La nostra estate “desnuda”. Dopo la grande gelata del desiderio nella lunga stagione del lockdown, sono alle porte i mesi del “liberi tutti”? Fq Millennium dà la parola a sessuologi, psicologi, esperti. E soprattutto alle ragazze e ai ragazzi, responsabili ma esasperati, che non sono più disposti ad accettare le raccomandazioni puritane dei virologi. Più caute di loro, le coppie scambiste scelgono le frequentazioni selezionate: la parola a due veterani che rimandano al 2022 i raduni collettivi.

Estate, mare. Proprio al mare è dedicato FqMillennium di giugno. Al mare sostenibile di Torre Guaceto, in Puglia, dove una riserva naturale ha salvato la pesca e cambiato la vita ai pescatori. Al mare nostalgico della Valle della Luna in Gallura, dove a due passi dalla Costa Smeralda, dagli anni 60, si ritrovano gli hippy di mezzo mondo. Al mare litigioso che, sulle somme irrisorie chieste agli stabilimenti balneari, vede litigare sindaci e governo. Al mare monstrum del Gambia raccontato dal premio Pulitzer Ian Urbina, dove l’industria della trasformazione in mano ai cinesi ha devastato le coste. Al mare inumano del Mediterraneo, dove i droni e gli aerei sono gli ultimi alibi dell’Europa per eludere il dovere di salvare i migranti che affondano. Al mare inquinato di Ravenna, da trent’anni cimitero delle vecchie carrette russe, ucraine e turche.

Non solo mare: FqMillennium di giugno si occupa anche dell’insensata corsa a creare sempre nuove regioni e province, dedica una gallery fotografica a un anno di sport senza pubblico, indaga su come cambia il mondo degli influencer, che premia sempre più i contenuti di servizio e comincia a punire l’autoreferenzialità dei vip. L’intervista pop: Ale e Franz, che Gabriele Salvatores ha scelto per interpretare Comedians, raccontano che cosa è per loro la comicità.

Mail Box

 

Scuola, una riflessione al volo sulla pandemia

Da più di un anno ormai leggo Il Fatto. E mi sento a casa. Scontati i complimenti per la tua penna (scusami il tu, ti seguo da una vita, da quando poco conosciuto venivi spesso a Monopoli) e quella di tanti giornalisti, che menzionarli sarebbe lungo. Combatto tra la necessità di conoscere i fatti e l’amarezza che mi prende per l’evoluzione senza sussulti di questo governo sostenuto da un coro di “adoranti”. La scuola – io insegno, anche se sono a fine corsa – sotto sotto non la riconosco. In tv o in radio cambio programma se sento pontificare di scuola: retorica. Per poi vedere in Puglia il cosiddetto presidente regionale usare i trucchetti giuridici per tenere a casa gli studenti o al più a volontà dei genitori. La DID è un orrore, peggio della DAD. Sai qual è la mia grande tristezza? Sentir rispondere i ragazzi con tono rassegnato alle mie domande, alle mie esortazioni: i trasporti non sono migliorati? “Embè: speriamo, dai!”. Hai diritto a un edificio per attività di recupero e ludiche? Pretendiamo l’aria condizionata… un’alzata di spalle… verranno su così, quando va bene… chi studia continua a farlo – siamo in un liceo di provincia – altri si spalmeranno altrove, altri si perderanno… Le riunioni sindacali pontificano sui diritti negati, spesso autoreferenziali. Una piccola nota: conosco sempre meglio e apprezzo il Prof. Nando dalla Chiesa. Grazie. Il lavoro che fa è davvero potente, pervasivo, straordinario, capillare. Ecco, il suo lavoro mi fa sperare.

Giusy de Milato

 

L’innominabile cambia colore a seconda del caso

C’è da rimanere esterrefatti a leggere l’intervento dell’Innominabile in merito al caso della giovane scomparsa, uccisa dal proprio zio perché non voleva conformarsi ai dettami desunti da una determinata interpretazione della religione islamica riguardo al matrimonio. Ma quello che più ci stupisce, o meglio sconvolge, è la violenza verbale con la quale l’Innominabile si augura che si arrivi a una punizione spietata dell’assassino. In essa non ci vedo il Renzi-Beccaria che si è sempre proclamato di essere, almeno a partire dal discorso fatto al Senato in occasione del varo del governo Conte-1. Beccaria non si sarebbe mai augurato che un assassino, se pur efferato, possa marcire in carcere magari tra i più atroci tormenti, ma anzi avrebbe auspicato che il reo si potesse redimere in un carcere fornito di tutte le garanzie per cui avrebbe potuto effettuare un percorso di recupero e alla fine rientrare nella comunità. In secondo luogo, com’è che l’innominabile si scaglia contro gli usi e costumi del suo grande Mecenate? Ma lui non ha guidato il Principe a promuovere una revisione delle regole che disciplinano questa materia? Allora qui mi sembra che ci troviamo davanti a una folle banderuola che prende posizione a seconda dove tira il vento, senza che vi sia un minimo criterio di coerenza. Si cambia opinione in un tempo molto, troppo breve perché si possa dire che sia frutto di una riflessione meditata.

Marco Olla

 

Caro Marco, questi sono garantisti solo in famiglia.

M. Trav.

 

DIRITTO DI REPLICA

Gentile Direttore, come Commissario Straordinario ho il dovere di chiarire alle fuorvianti interpretazioni di Tomaso Montanari sul recupero dell’ex Carcere di Santo Stefano-Ventotene. Al di là del titolo inaccettabile “Cemento o niente” e alla inqualificabile allusione a presunti “affari”, tutto l’articolo vuole indirizzare l’opinione pubblica alla denigrazione del progetto, che è stato oggetto di serie, approfondite e partecipate valutazioni, ben documentate. Il progetto non nasce oggi e anzi preciso che l’“opzione 0”, il cosiddetto “non intervento”, è stata superata da tempo a favore della decisione di realizzare, attraverso il progetto di recupero e restauro, un centro di alta formazione europea che possa ospitare uno spazio espositivo e museale, attività di ricerca e produzione artistica. Una scelta già sottoscritta nel Contratto Istituzionale di Sviluppo nel 2017 e quindi condivisa dal Tavolo Istituzionale Permanente (Governo, Regione Lazio, Comune, le Riserve, il Demanio e Invitalia, soggetto di attuatore) che ha approvato dallo Studio di Fattibilità nei primi mesi del 2021. L’impegno comune che anima il progetto, è rendere accessibile a tutti un bene culturale, nel rispetto ambientale: principio che ispira anche il Concorso Internazionale di Progettazione dell’intero Complesso che lanceremo a fine giugno. La proposta progettuale dell’approdo presentata da Invitalia, al centro delle critiche di Montanari, è ora sottoposta alla procedura di VIA avviata dal MiTE, per la quale si è appena conclusa la consultazione pubblica, mentre a breve sono attese le risultanze delle valutazioni da parte della Commissione VIA. Affermare che le risorse stanziate dallo Stato abbiano come finalità solo il cemento è infondato e fuorviante, anche a fronte delle tante iniziative collaterali che ho messo in campo, tra cui l’interlocuzione con il MiTE per dotare Santo Stefano e Ventotene di modelli innovativi di barche elettriche e a energia solare. Sottolineo che il Progetto è gestito da pubbliche amministrazioni attraverso gare di evidenza pubblica ed è sottoposto ai controlli di Anac e Corte dei Conti. Concludo rispondendo all’affermazione per cui sarebbe possibile visitare Santo Stefano “senza toccare l’ambiente e la storia” ricordando che per oltre 50 anni sia l’ambiente che la storia sono stati traditi e degradati nell’assordante silenziodi tanti, privando la comunità di un bene pubblico straordinario e delle opportunità di lavoro e fruizione culturale e ambientale che, integrate a quelle dell’isola di Ventotene, il Progetto genererà.

Silvia Costa

 

Stupisce come una politica colta ed esperta quale Silvia Costa non veda ciò che moltissimi cittadini invece vedono assai bene: le osservazioni al progetto depositate dal Comitato Santo Stefano Sostenibile e dal WWF dicono esattamente ciò che dice il mio articolo. E cioè che un altro modo è possibile: è solo la politica a ostinarsi a non vedere che assumere persone è meglio che fare grandi o piccole opere mangiasuolo. Ma proprio per questo quel molo è simbolico: perché rappresenta un Paese affidato a una classe dirigente incapace di futuro.

Tomaso Montanari