Io musulmano. “L’islam vieta le nozze combinate: sono frutto di ignoranza”

 

Gentile redazione, da vecchio musulmano laico, vorrei trasmettere questo messaggio ai genitori dell’ennesima vittima (Saman Abbas, ndr) sacrificata a causa di nient’altro che ignoranza e stupidità, figlie di antiche tradizioni tribali che l’Islam stesso vietò.

L’Islam ha equiparato uomini e donne al diritto di scegliersi l’un l’altro e non ha dato ai genitori il potere di obbligarle.

La donna ha il diritto di scegliere suo marito, e il tutore (padre, zio, fratello o nonno) non può altro che consigliare e orientare, ma non ha il diritto, né il potere, di obbligarla a sposare qualcuno di cui non è soddisfatta o non vuole… Perché l’Islam stabilì l’affetto e la misericordia come basi fondamentali del matrimonio.

Il Profeta Mohammad, che Dio lo benedica e gli conceda la pace, proibì il matrimonio di una ragazza matura finché non concedesse il suo permesso… L’Islam ha dato alle donne il diritto di scegliere un marito, quindi non è permesso per alcun uomo costringere sua figlia, sorella o nipote a sposare un uomo che non desidera.

Quante donne dovranno ancore saldare il conto della stupidità e ignoranza degli uomini?

Arriverà il giorno in cui la letteratura islamica riuscirà a purificarsi dalle tante interpretazioni patriarcali errate?

Riusciranno i musulmani a capire il senso dell’Islam?

Ho tantissimi dubbi… E comunque, non nel mio tempo… Ma continuerò a leggere il Fatto Quotidiano.

Con i miei più distinti saluti.

Ahmed M. El Nahhas

Il brusco risveglio di “Sogno azzurro”

Ma che ci andiamo a fare agli Europei? Abbiamo vinto e stravinto, siamo già in parata trionfale, nelle qualificazioni abbiamo spezzato le reni a metà continente, morti, risorti e assunti all’empireo del calcio. Invece di tre giorni, come da tradizione, ci abbiamo messo quattro anni, ma meglio così, è tutto incenso che cola, sulla Nazionale dei migliori risorta si può perfino girare un docufilm in quattro puntate dal titolo Sogno azzurro. I sogni son desideri, ma a volte vale anche il contrario, specie se si esagera a sognare; vedi cosa è successo dopo la messa in onda della prima puntata (Ra1, 20.30). Ascolti catastrofici (la dura realtà), tanto da richiamare d’urgenza Amadeus con I soliti ignoti mentre il Sogno azzurro è slittato a ieri, prima serata in tripla dose, tipo vaccino.

Ma intanto ci siamo preparati al debutto sul campo con questo tappeto rosso preventivo a base di trombe, violini e grancassa. Cameramen e mezzibusti Raisport imbottigliati all’origine, acquattati per mesi negli spogliatoi di Coverciano come l’ispettore Clouseau, pronti a carpire esclusive e rivelazioni dalle labbra dai vari Immobile, Chiesa, Chiellini: “Siamo una grande famiglia…”, “La nostra forza è nel gruppo…”. “Il mister ci ha trasmesso la sua mentalità vincente…”. Una raffica di breaking news, e la più clamorosa arriva dal Mancio in persona: “Il segreto per vincere? Ce n’è uno solo: fare gol, e non prenderne”. Caspita, mo’ ce lo segniamo. Speriamo solo che le spie di Putin non abbiano riempito di cimici i telefonini di Alessandro Antinelli e Donatella Scarnati per rubarci la formula segreta.

Il sogno azzurro è appena cominciato, e lo squadrone di Raisport è pronto a disporsi in formazione nelle trincee, almeno cinque o sei uomini a incontro. Pazienza se il docufilm è un flop di ascolti, resta il messaggio sulla ritrovata unità nazionale, sul saper fare squadra, sulle larghe intese dei migliori… Insomma, che giochiamo a fare? Mandiamo direttamente Mattarella a ritirare la Coppa.

Silvio for president e va tutto bene?

Quella che fino a qualche mese fa poteva sembrare solo una boutade, o piuttosto un incubo, “Berlusconi for President”, fra un anno potrebbe diventare una concreta, concretissima realtà.

Il Corriere ne ha parlato più volte in questi giorni senza peraltro dar mostra di scandalizzarsi per questa indecenza, segno che evidentemente non la ritiene tale per i suoi lettori così come, probabilmente, non lo è per buona parte degli italiani. Tutto parte dall’iniziativa di Matteo Salvini di formare una Federazione o un consorzio o quel che l’è fra le destre italiane. In realtà l’obiettivo di Salvini è di stoppare Giorgia Meloni che lo sta superando nei sondaggi. Mai, sia detto di passata, che i nostri uomini politici si muovano per quel “bene del Paese” che hanno sempre sulla bocca; le grandi parole, le grandi iniziative mascherano quasi sempre, per non dir sempre, manovre da sottobosco, manovre “tattiche” si dice, per nobilitarle, nel loro gergo poi assunto dai giornalisti.

Si sarebbe pensato che Silvio Berlusconi sarebbe stato contrario a un partito unico, o a qualcosa che gli assomiglia molto, perché farebbe la fine che lui ha fatto fare a Gianfranco Fini. In un partito dove c’è un personaggio di gran lunga dominante per voti, chi ne entra ne viene fatalmente fagocitato e perde ogni rilevanza. Fu così per Fini nei confronti di Berlusconi, così sarebbe per Berlusconi nei confronti di Salvini. Il prezzo che Berlusconi pagherebbe per questa mossa che lo cancellerebbe come partito (da qui le forti resistenze di molti importanti membri di Forza Italia) è un ‘patto di ferro’ fra le destre che lo porterebbe al Quirinale. E la cosa può riuscire perché Giorgia Meloni, pur essendo il vero obiettivo della mossa di Salvini, ha comunque già dichiarato: “Non mi metterei mai contro la candidatura di Berlusconi al Quirinale”. I voti quindi ci sono o potrebbero esserci andando a pescare i 50 che mancano, convincendoli, offrendogli, o anche all’occorrenza pagandoli, cosa non certo nuova per Forza Italia (caso De Gregorio), fra ex grillini, già adusi a ogni tradimento, renziani o ex renziani e peones vari della Camera e del Senato.

Berlusconi è stato condannato in via definitiva a quattro anni, poi ridotti, via condono, a uno e mezzo, scontato nel modo ridicolo che sappiamo, per una colossale evasione fiscale. Berlusconi, con la sua coorte di avvocati, è ricorso alla Corte europea dei Diritti dell’uomo lamentando che nel processo sarebbero stati lesi i suoi diritti. Strasburgo ha inviato otto quesiti al governo italiano perché verifichi queste circostanze. Strasburgo si è rivolta all’indirizzo sbagliato, perché il governo è un organo politico che non può entrare in alcun modo nelle decisioni della Magistratura a meno di non violare anche, oltre a tutto il resto, quella separazione dei Poteri, esecutivo, legislativo, giudiziario, che è il cardine di ogni Democrazia. I quesiti vanno rivolti a un organo giudiziario, in questo caso la Cassazione, che non potrà che respingerli, per la lapalissiana ragione che il suo ruolo è proprio la verifica di legittimità.

Berlusconi ha usufruito di nove prescrizioni e in tre casi la Cassazione ha accertato che i reati che gli venivano attribuiti li aveva effettivamente commessi, ma era passato il tempo utile per sanzionarli. Berlusconi ha tre processi in corso per corruzione di testimoni, reato in cui sembra essere specializzato. Certo si potrebbe aggirare l’ostacolo varando in tutta fretta una legge ‘alla Putin’ per cui il capo dello Stato è sottratto ai processi per tutto il tempo del suo mandato e anche oltre, magari almeno fino a quando l’ex Cavaliere avrà compiuto gli agognati 120 anni.

Una recente sentenza della Magistratura mi ha assolto dal reato di diffamazione ai danni di Berlusconi, che aveva proposto azione civile contro di me, affermando che sulla base della straordinaria carriera giudiziaria, chiamiamola così, dell’ex Cavaliere, era lecito definirlo “delinquente naturale, pregiudicato, un uomo nefasto, terrorista, corruttore di magistrati, colossale evasore fiscale, specialista nella compravendita di parlamentari a suon di milioni di euro”.

Inoltre questa sentenza ne ribadisce un’altra della Corte di Appello di Roma, quella del 2.5.2008, sempre di assoluzione, a riguardo di Berlusconi e Previti, avendo io raccontato che i due, in combutta fra di loro, avevano truffato, per miliardi, Anna Maria Casati Stampa, minorenne, orfana di entrambi i genitori, morti in circostanze tragiche. Quella sentenza diceva testualmente che ciò che aveva raccontato il coraggioso giornalista Giovanni Ruggeri nel libro Gli affari del Presidente, e in seguito da me raccolto, si basava “sulla sostanziale veridicità putativa dei fatti”. Ora si può capire, anche se in nessun modo giustificare, l’imprenditore che corrompe la Guardia di Finanza, corrompe i testimoni, corrompe i magistrati, ma essere l’artefice di una truffa miliardaria ai danni di un’orfana minorenne, di una persona inerme e totalmente indifesa, dà l’esatta misura della statura morale dell’uomo. Ce ne dovrebbe essere abbastanza per escludere che un soggetto del genere possa diventare presidente della Repubblica Italiana. Totalmente in subordine ci sono poi dei corollari, comunque gravi, che rendono Silvio Berlusconi inadatto a ricoprire quel ruolo. Il presidente della Repubblica rappresenta l’Italia anche all’estero. Berlusconi ha al suo attivo una serie di memorabili gaffe commesse in sedi internazionali, coprendoci di ridicolo. La più clamorosa è quella ai danni del capo della Spd Martin Schulz definito, in pieno Parlamento europeo, “un kapot”. Io mi trovavo in Corsica in quel momento. La cosa era così grottesca che persino Corse Martin, che si occupa abitualmente di itinerari turistici, di Festival estivi, di corse di cavalli, di petagne, sentì il bisogno di sbattere la notizia in prima pagina. I miei amici corsi mi guardavano e ridevano. Poi ci sono state le corna fatte alle spalle di un ministro spagnolo durante un convegno internazionale. In altra occasione alle spalle di Putin e Obama ne prende le teste e tenta di avvicinarle come a dire che solo lui, il “Superuomo Silvio”, può far fare pace agli eterni nemici. Una cosa da asilo infantile o più precisamente da oratorio dei salesiani dove Berlusconi giocava, malissimo, a calcio.

Il presidente della Repubblica ha importanti e pesanti impegni a livello internazionale. Come potrebbe onorarli uno che attualmente sta sotto una tenda a ossigeno, o qualcosa di similare, comparendo solo saltuariamente su Skype?

“Berlusconi for President”. Una cosa così grottesca non sarebbe possibile in nessun altro Paese al mondo, occidentale, non occidentale, democratico, totalitario. Da noi invece tutto questo passa sotto il segno dell’indifferenza. Ma sì, cosa vuoi che sia, lascia perdere, pensa alla salute, tira a campà.

Giorgio Gaber cantava nel 2003 “Io non mi sento italiano”. Oggi molto probabilmente direbbe: “Io mi vergogno di essere italiano”.

 

Roma, Napoli e l’invasione delle “toghe azzurre”

A Napoli e a Roma, ma il conto è ancora provvisorio, il centrodestra ingaggia due magistrati per conquistare i municipi di Napoli e Roma. Catello Maresca e Simonetta Matone, il primo come sindaco sotto al Vesuvio, la seconda come vice sindaca nella Capitale, isseranno le bandiere in nome e un po’ per conto dei partiti che si propongono di ammainare la loro.

È lo sviluppo un po’ fantastico della serrata campagna del centrodestra contro la “politicizzazione” della magistratura, contro la quale un fuoriclasse come Luca Palamara – appena radiato dal Csm – è schierato da settimane nel salotto televisivo di Mediaset per illustrare le spregevoli note caratteriali di tanti suoi ex colleghi. E il libro-memoriale, sfornato con Alessandro Sallusti, al tempo direttore del Giornale, è fortunato best-seller per il dettaglio minuzioso delle marachelle che giudici e Pm producono in nome della lex. Quindi siamo nel campo della cura omeopatica della malattia che Silvio Berlusconi anche ieri ha detto di patìre più di ogni altro dolore fisico e psicologico. È perciò per affrontare una lotta senza quartiere alle toghe “rosse” che negli anni gli azzurri hanno messo in campo una pattuglia di altrettante toghe “azzurre”.

C’è da dire che qualcosa di inedito e veramente speciale è accaduto: il primo deputato a finire in galera è stato infatti Alfonso Papa, pm a Napoli e a Roma e poi eletto proprio nel centrodestra. E come dimenticare Melchiorre Cirami, l’estensore del cosiddetto “legittimo sospetto” dell’imputato nei confronti del suo giudice naturale? E Francesco Nitto Palma, Giacomo Caliendo, Ignazio Abrignani, Franco Frattini, Alfredo Mantovano, Roberto Centaro, via via indietreggiando fino a Tiziana Parenti? I prossimi mesi diranno se la scelta omeopatica conquisterà spazio nella strategia politica e dunque se nelle liste per il Parlamento infileranno altri giudici per fermare “l’aggressione” dei giudici.

Roma, regalo della destra per Calenda

La destra che candida a Roma Enrico (chi?) Michetti potrebbe essere un’ottima notizia per Carlo Calenda, e una notizia buona per Virginia Raggi. Non è un mistero che la scelta del tribuno radiofonico fortemente voluto da Giorgia Meloni abbia poco convinto Matteo Salvini e soprattutto i vertici di Forza Italia. Che alla fine si sono piegati, in assenza di valide alternative e per non mandare in frantumi un’alleanza già piuttosto incrinata. Non sarebbe dunque una sorpresa se una parte non piccola dell’elettorato d’opinione destrorso, molto presente in città, preferisse scommettere su Calenda al posto di un esperto di diritto amministrativo politicamente meno quotato e abbastanza misterioso. Mentre il leader di Azione – che ha saputo giocare d’anticipo le sue carte e con grande dovizia di mezzi – dai tassisti romani, bravi a veicolare oltre alle vetture i giudizi dei passeggeri, viene già apprezzato come “competente”. La buona notizia per la Raggi è che avendo destra e sinistra ripiegato su candidati non irresistibili se la vedrà con tre competitori alla sua portata. Potrebbe quindi giocarsi il ballottaggio con buone chance, pure se con un consenso fortemente ridimensionato rispetto al boom del 2016 (sempre che lapidi e bombe d’acqua le diano tregua). Invece, per il pd Roberto Gualtieri la crescita di Calenda non sembra una buona notizia, alla luce dell’accordo secondo il quale se uno dei due andasse al ballottaggio riceverebbe appoggio e voti dall’eventuale escluso. Anche qui partita aperta pur se Calenda ha dalla sua una certa padronanza del mezzo televisivo, mentre nelle prime uscite talk l’ex ministro dell’Economia è apparso piuttosto ingessato (anche se meno supponente del suo diretto competitor). Infine, il professor Michetti. Se per la Meloni egli sarà un’eccellente o una pessima notizia lo diranno soltanto i risultati. Certo è che se il personaggio – con una società attenzionata dalla Corte dei Conti, e piuttosto incline a certe uscite nostalgiche sulla “Roma dei Cesari e dei Papi” (ai Colli fatali, ci siamo quasi) – dovesse bucare strada facendo, per la destra non sarebbe uno scherzo. Neppure sappiamo in che misura la sua vice, l’ex magistrata Simonetta Matone, molto a suo agio nei salotti tv, sarebbe in grado di soccorrerlo. Ma se lo strano tandem non dovesse farcela non ce li vediamo proprio i fratelli coltelli (della Meloni), Salvini e Berlusconi che si stracciano le vesti.

Vespa umarell della virologia e infatti non ne azzecca una

L’insonnia, chi ne soffre lo sa, procura strani compagni di letto. Mercoledì Porta a Porta prometteva bene: un bel dibattito tra Ronzulli e Serracchiani in mezzo a gigantofrafie di Figliuolo. Avevamo sperato nell’anestesia generale, poi è comparso il telegenicissimo Matteo Bassetti, infettivologo vip, col suo libro in uscita e la sua spilletta sul bavero con bandierina (dell’Inghilterra?), e addio sonno. Il tema è: vaccinare o no i giovani con AstraZeneca?

Vespa la vuole chiudere in fretta: “(Somministrare) AstraZeneca agli uomini non è problema, dai bambini al centenario si può dare. Alle donne sopra i 50 lo diamo, va bene?”.

Bassetti si guarda nella telecamera (l’uomo si piace): “Bisogna essere ragionevoli”, dice. Vespa insorge: “Che vuol dire essere ragionevoli, su, dai”. In effetti, sarebbe un inedito. Bassetti è ultimativo: “Lo vogliamo continuare a utilizzare su tutti o su nessuno?”. Si sarebbe tentati di dire nessuno, ma la puntata bisogna portarla a casa. Aleggia in studio la proposta: “Diamolo ai Paesi poveri”, per i quali la trombosi cerebrale è una manna, un dono dell’Occidente. Bassetti dice che ha prenotato il vaccino per i figli di 12 e 16 anni.

Vespa fa l’umarell della virologia: “Non si sa più a chi credere”, perciò ha invitato Bassetti, quello che “non ci sarà nessuna seconda ondata”; il quale Bassetti sostiene che gli antigenici abbiano la stessa validità (e dunque attendibilità?) dei molecolari e che costino “5, 6, 10 euro” (ne costano minimo 22, in media 38). Addirittura promuove i salivari per andare in vacanza, ai concerti, in discoteca (le varianti, appostate in qualche riserva biologica del Vietnam o della Baviera nel tentativo di sfuggire ai controlli, pasteggiano a champagne davanti alla Tv).

Qui si tifa molto per AZ, il vaccino dapprima indicato solo sotto i 55 anni, quindi bloccato, poi riautorizzato fino ai 65 anni, poi indicato da Aifa solo per gli ultrasessantenni, quindi autorizzato dall’Ema senza limiti d’età, indi iniettato nelle vene di parecchi giovani nei baccanali vaccinali detti Open Day, infine bloccato sotto i 50 anni nelle ultime ore.

Vespa è in modalità illuminista: “Vogliamo smentire le fake news secondo cui questi farmaci portano infertilità, miocarditi… Qui siamo impazziti!”. Evidentemente via Teulada è una strada di Paperopoli, non appartiene al mondo in cui ci sono stati casi di miocardite tra giovani vaccinati con Pfizer. Lo dice una pediatra in collegamento, parlando di migliaia di casi tra i maschi tra i 16 e i 24 anni. Vespa è ignifugo: “Comunque, 12-15 anni non c’è nessun rischio, fate come il prof. Bassetti coi suoi figli: prenotatevi”, il quale Bassetti però ha un figlio di 16 (lo sapevamo anche senza che lui lo ricordasse: guardiamo Barbara D’Urso, dove egli è di casa con consorte al seguito), quindi semmai a rischio. Intanto l’Ema ha detto che sotto i 49 anni il rischio di trombosi trombocitopenica indotta da vaccino AZ è maggiore di quello di morire di Covid. Quando si dice: la sana informazione riduce la platea dei novax. Proprio nelle stesse ore, il Cts – senza interpellare Vespa – sta pensando di non vaccinare più con AZ i giovani ambosessi (quindi non è ritenuto sicuro “dal bambino al centenario”) e di chiudere gli Open Day, geniale idea del Gen. Figliuolo per rifilare il vaccino di serie B ai valorosi figli della Patria (ma vedrete che ora si darà la colpa alle Regioni). Bei tempi, quando si poteva vaccinare “chi passa”, senza calcolare età e fattori di rischio. Che sfiga, proprio ora che s’erano sfondato il tetto delle 500mila somministrazioni al giorno.

 

AstraZeneca: il solito pasticcio all’italiana sulla pelle dei giovani

Ora che due giovani donne lottano per sopravvivere in ospedale e un’altra è morta perché colpita, come loro, da una rara forma di trombosi, la politica corre lentamente ai ripari. In Campania viene sospeso l’Open day in cui chiunque si poteva vaccinare con AstraZeneca; il sottosegretario alla Salute, Pierpaolo Sileri, spiega che questo tipo di vaccino non andrebbe somministrato sotto i 30 anni e a donne che non ne abbiano almeno 50; in Liguria è interrotta l’inoculazione di un intero lotto di fiale di cui faceva parte quella che ha verosimilmente ucciso la diciottenne ricoverata.

Nessuno però arriva al cuore del problema. O meglio nessuno pone la domanda giusta: perché diavolo alcune Regioni hanno deciso di consentire la vaccinazione con AstraZeneca a partire dai 18 anni quando l’Aifa (l’Agenzia italiana del farmaco) aveva detto e ripetuto che quel vaccino era raccomandato per gli ultrasessantenni? Il messaggio della scienza era chiaro: le trombosi celebrali sono eventi molto rari, ma sotto quella soglia di età conviene non rischiare e somministrare Pfizer o Moderna. Per questo all’estero, anche tra chi è meno prudente, ci si comporta più o meno allo stesso modo. In Gran Bretagna, la nazione che ha inventato AstraZeneca, si è stabilito di non inocularlo sotto i 40 anni, in Germania sotto i 55. In altri Paesi del Nord Europa quel vaccino è stato addirittura bandito.

In Italia invece abbiamo deciso di farlo strano. L’Aifa “raccomanda in via preferenziale” e i politici (per fortuna non tutti come dimostra, ad esempio, la scelta di Luca Zaia) fanno finta di capire che non essendo esplicitamente vietato si possono invitare centinaia di migliaia di persone a vaccinarsi con esso. Il principio di precauzione non scatta. Col risultato di mettere a rischio la salute e la vita di cittadini che in ogni caso, prima della fine dell’estate, sarebbero comunque stati vaccinati, ma con un siero diverso.

Le menti geniali protagoniste di questa scelta non hanno poi nemmeno preso in considerazione l’ipotesi che, se qualcosa fosse andato storto, in tantissime persone si sarebbe potuta creare una sfiducia generalizzata in tutti i vaccini. Non lo hanno fatto loro e non lo ha fatto nemmeno il generale Francesco Figliuolo, che intervistato da Radio 24 risponde alla domanda su AstraZeneca con una supercazzola degna di Amici Miei: “Polemiche sugli Open day per vaccinare i giovani? Oggi noi sappiamo che questo tipo di vaccini sono consigliati agli over 60, dopodiché possono essere usati per tutte le classi di età. È bene fare un’anamnesi molto approfondita, ma ovviamente le riflessioni le devono fare gli scienziati. E io sono sempre pronto a recepire qualsiasi riflessione che venga fatta in ambito ufficiale, quindi le raccomandazioni che poi daranno sono da applicare”. Bravo, bene, bis. Peccato che gli scienziati abbiano già raccomandato. Se non ci fosse di mezzo la salute, verrebbe da dire che la situazione è tragica, ma non seria. Anche perché, se qui qualcuno non si rimette a ragionare, il tutto corre il rischio di ripetersi con il vaccino dato agli under 16. In Germania l’istituto Robert Koch ha suggerito di vaccinare con Pfizer solo bambini e adolescenti con patologie gravi. Per gli scienziati tedeschi è inutile rischiare i rari episodi di miocardite nei giovanissimi causati dai vaccini a Rna messaggero, quando si sa che nessuno di loro, se sano, morirà mai di Coronavirus e nemmeno si ammalerà gravemente. In Italia tutto, o quasi, invece tace. E così si può solo sperare che quella della scienza tedesca sia solo troppa prudenza.

 

La Riforma Cartabia va contro la Costituzione

La Commissione Lattanzi, istituita su iniziativa della ministra della Giustizia Cartabia per elaborare proposte di riforma in materia di processo e sistema sanzionatorio penale, nonché in materia di prescrizione del reato, ha depositato una corposa relazione caratterizzata almeno in un punto da sorprendente distonia con l’assetto costituzionale.

Nel riformulare l’articolo 3 d.d.l. atti Camera 2435, si prevede il mantenimento della lettera h) secondo la quale nei decreti legislativi di riforma del processo penale occorre “prevedere che il Parlamento determini periodicamente, anche sulla base di una relazione presentata dal Consiglio superiore della Magistratura, i criteri generali necessari a garantire efficacia e uniformità nell’esercizio dell’azione penale e nella trattazione dei processi…”.

Questo testo contiene affermazioni sorprendenti per la loro difformità costituzionale, diagnosticabile anche da non brillanti laureati in giurisprudenza. Le spettacolari tesi, purtroppo, non sono altro che il mezzo per un’impropria forzatura del sistema. L’art. 111 Cost. dispone che “La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge”; il successivo articolo 112 recita: “ Il Pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale”. Gli articoli 111 e 112 della Costituzione non lasciano margini di manovra ad alcuno che non sia lo stesso titolare del processo o dell’azione penale. La bizzarra tesi della Commissione Lattanzi è che, in realtà, basta un decreto legislativo, cioè un atto normativo di provenienza governativa, di forza e valore inferiore a quello costituzionale, per inserire negli articoli 111 e 112 parametri di modulazione. È come se quelle norme fossero riscritte, in Costituzione. La conseguenza: con legge ordinaria si può modificare a piacere una disposizione costituzionale e, come se non bastasse, se ne attribuisce la compiuta attuazione alla disciplina in concreto determinata dal governo attraverso decreti legislativi delegati: un vero e proprio corto circuito istituzionale dell’intera procedura che, dequotando anche l’intervento del Csm a quello di organo di mera consultazione, appare preordinata a mettere i pubblici ministeri sotto stretta tutela governativa e a dettare ai giudici precise indicazioni su quali processi celebrare e perfino come celebrarli! Anche perché, è bene rammentare, il Parlamento non è completamente neutrale, posto che esprime la maggioranza di governo.

Le tristi vicende rivelate da Palamara, le diverse “sensibilità” tra procure e la giustizia lumaca non sono certo argomenti favorevoli al mantenimento dello status quo. Fin quando gli articoli 11 e 112 Cost. lo impongono (anche al Parlamento) non si possono immaginare vie alternative ed elusive per raggiungere un risultato d’incerta moralità politica e di patente illegittimità. La proposta della Commissione Lattanzi è in evidente rotta di collisione non solo con le norme scritte nella Carta, ma con lo spirito di quest’ultima e di tutte le costituzioni democratiche, informate al principio della divisione dei poteri. La divisione dei poteri non si risolve in un mero criterio di divisione del lavoro. Molte interferenze soprattutto tra potere esecutivo e legislativo sono state composte con temperamenti a tutti noti: lo provano in modo evidente la decretazione d’urgenza e la legislazione delegata. Le interferenze, tuttavia, non hanno quasi mai intaccato o solamente sfiorato uno dei cardini essenziali: cioè il tendenziale isolamento del potere giudiziario rispetto agli altri poteri sovrani. A questa stregua è evidente che le valutazioni di politica criminale che competono al Parlamento non possono estendersi all’esercizio della giurisdizione.

Le costituzioni democratiche sono fondate sulla separazione dei poteri e sul coordinato principio dei checks and balances come strumento di equilibrio e di garanzia: il potere esecutivo e quello giurisdizionale “mantengono una loro sfera di potere subordinata alla legge, ma costituzionalmente garantita in cui il potere legislativo non può entrare” (G. U. Rescigno). La tripartizione dei poteri è perciò funzionale al mantenimento delle garanzie democratiche (Kelsen), come la storia ci insegna.

Il testo della Commissione Lattanzi sembra, invece, conferire al potere legislativo una sicura supremazia (una specie di sovranità parlamentare) che non lascia spazio ad ambiti di garanzia. Nella storia costituzionale si conosce un esempio normativo di questo tipo: la Costituzione dell’Anno Primo (1793) nella quale gli altri poteri (e in particolare quello giurisdizionale) erano totalmente soggetti alle decisioni dell’assemblea legislativa. Solo che la Costituzione dell’Anno primo era opera di Robespierre e con essa ebbe inizio il periodo detto del Terrore.

 

Donne, motori e dolori (di una cattolica praticante fidanzata)

E per la serie “Pestatela porta fortuna”, la posta della settimana.

Caro Daniele, la Formula 1 mi sembra troppo pericolosa (Serena Santapaola, Brindisi). Se fosse più sicura, sarebbe traffico. Sarebbe come guardare del traffico.

Perché gli uomini hanno paura delle donne intelligenti? (Alessia, Como). Non saprei, ma confesso che mi piacciono le donne che sono più stupide di me. Il problema è trovarle.

Sono una trentenne, cattolica praticante. Sto con un ragazzo da sei anni. In tutto questo tempo, abbiamo fatto l’amore due volte, dopo lunghe insistenze da parte sua. Mi sento in colpa a fare sesso fuori dal matrimonio. Di recente mi ha detto che a lui invece piacerebbe farlo ogni giorno! (Giulia Vatta, Bergamo). Digli di no. Per chi ti ha preso?

Mi piace Diletta Leotta (Marco Biondo, Palermo). Piacciono anche a me. La cosa buffa è che, ogni volta che Diletta si mette con qualcuno, resto depresso per giorni. Come se potessi avere delle possibilità!

Finalmente la Chiesa condanna i preti pedofili (Fabio Barettin, Venezia). Il Papa ha strigliato le gerarchie, chiedendo con veemenza perché e come certi abusi si siano potuti verificare. Al che un cardinale americano è sbottato: “Ehi, cos’è questa, l’Inquisizione?”.

In tutt’Italia esistono negozi chiamati “Centro del mobile”. Da una pubblicità, pubblicata sul Corriere in piena pandemia, appresi che a Milano c’è pure un “Centro del funerale”. Ammirai la tempestività dell’annuncio, posizionato sotto le notizie dell’ecatombe da Coronavirus (Filippo Danesi, Milano). Perché frenare la fantasia? La mia si è messa subito a sfornare equivalenti per ora inutilizzati (ed è un peccato) quali “L’outlet del funerale”, “La città del funerale”, “Il mondo del funerale”, “L’universo del funerale” e “Tutto funerali”. Il promo tv potrebbe essere questo: paesino della Basilicata. Un carro funebre di quarta classe avanza su una strada bianca, tirato da un ronzino. Niente fiori. Dietro il carro, una sola persona: un bambino che avrà sì e no dieci anni. Pallido, l’espressione più adulta dell’età: nella bara c’è sua madre, non ha più nessuno al mondo. Solo arrivato al cimitero il bambino sente lo scalpiccìo alle sue spalle. Si volta: dietro di lui c’è tutto il paese, il sindaco in testa. (E qui parte una musica tipo Amaro Averna).

L’arte rende felici? (Rachele Barone, Vasto). Non necessariamente. Prendi Herbert von Karajan. Era uno dei più grandi direttori d’orchestra di tutti i tempi, eppure era profondamente infelice. Perché? Non sopportava la musica.

Cosa ne pensi del matrimonio? (Sandro Tumiati, Firenze). Il matrimonio è un’idea pessima. Lo so perché un mio amico si è sposato. Dice sempre: “Il matrimonio è una cosa meravigliosa”. Poi chiude la porta per non farsi sentire e dice: “Santo cielo, salvami! È una prigione! Corri fuori ad avvisare tutti gli altri!”.

Qual è stata la tua prima auto? (Alberto Camomilla, Genova). Una Panda, che si era appena aggiudicata il secondo posto al titolo di “Auto dell’anno”. La assemblavano in sette minuti. Se la lavavi si restringeva. Dopo quattro anni, avevo percorso 80 chilometri: la guidavo solo quando riuscivo a metterla in moto. Il motorino d’avviamento continuava a sputare la chiave. Indimenticabili i tergicristalli: erano all’interno. Perché era lì che pioveva.

 

Brunetta lascia l’Anac nel limbo, ma (per ora) non viene esautorata

Lo scontro sui poteri dell’Autorità anticorruzione termina con un compromesso che lascia Anac in un limbo. La Funzione pubblica di Renato Brunetta chiarisce (per ora) che non toglierà all’Authority i poteri in materia di vigilanza sui piani anticorruzione della P.A., ma si appropria di funzioni molto simili e si riserva margini di intervento. Si chiude così lo scontro che ha tenuto aperto per giorni il decreto sul reclutamento straordinario in vista del Piano di ripresa nazionale (Pnrr).

Breve riepilogo. Nel testo il ministero ha inserito una norma che con il Pnrr non c’entra nulla: impone a tutte le amministrazioni di consegnargli entro dicembre un “piano integrato” triennale dove dettagliano tutta le attività e gli obiettivi da perseguire, tra cui quelli in materia di “anticorruzione”. In pratica, un doppione dei piani anticorruzione su cui oggi vigila l’Anac, che li custodisce e fissa anche le linee guida per redigerli. Il decreto, stando alle bozze, affida poi la vigilanza alla Funzione pubblica, comprese le sanzioni (la riduzione del salario di risultato per i dirigenti inadempienti). Le bozze hanno fatto infuriare i vertici dell’Anac. Il presidente Giuseppe Busia ha parlato di “pericolo passo indietro sull’anticorruzione, con il controllore subordinato al controllato”. I 5Stelle hanno protestato, a partire da Giuseppe Conte.

Il testo, approvato venerdì scorso dal Consiglio dei ministri, è approdato solo giovedì sera in Gazzetta ufficiale. Nella versione finale, Palazzo Chigi ha provato a stemperare la norma (articolo 6) richiamando espressamente in premessa la legge anticorruzione del 2012 e chiarendo che restano in piedi i poteri sanzionatori dell’Anac. Resta però il doppione in mano al ministero di Brunetta, che fisserà le linee guida dei piani, aumentando la confusione normativa.

La parola ora passa al Parlamento. La speranza di Anac è che si torni indietro con un emendamento e, magari, si recuperino anche le 32 assunzioni richieste per rafforzare i controlli.