Mail box

 

 

Imposta di successione, tutti difendono quell’1%

Dopo 40 anni di esperienza bancaria su redditi e patrimoni della clientela e commentando a tal proposito il sociologo De Masi, avevo scritto la mia idea di patrimoniale. Oggi constato che qualcosa si sta muovendo dopo la mini proposta di successione di Letta, ma guardando la Gruber l’altra sera (unico programma che ascolto per via della presenza a turno dei giornalisti del Fatto), non potevo che sorridere amaramente nel constatare che, mentre nessuno si è preoccupato di gridare allo scandalo col blocco della rivalutazione delle pensioni edito da Monti e che riguardava una percentuale vicino al 70%, oggi si elevano tutti a fiscalisti ed economisti per difendere quell’1% che sarebbero destinatari di tale tassa. Povera patria, canterebbe Francuzzo.

Anna Lanciotti

 

Conte recuperi lo spirito originale del Movimento

Io non so che storia abbia visto la ministra Fabiana Dadone quando afferma sul Fatto di ieri che “noi dovevamo entrare in questo governo per monitorare e imporre i nostri temi… così hanno deciso i nostri iscritti”. A parte che il quesito a me è parso una presa in giro così come è stato proposto, ma monitorare e imporre i propri temi non mi sembra un obiettivo esattamente raggiunto, anzi… al contrario. Perciò penso che Conte tra le altre cose dovrà recuperare almeno in parte il ruolo originario che ha permesso ai 5 Stelle di arrivare ad oltre il 30% dei consensi. Per fare questo sarà fondamentale far rientrare nei ranghi Di Battista. Il tempo per recuperare posizioni nei sondaggi c’è.

Delfino Biscotti

 

Riaperture di Draghi, affrettate o “ragionate”?

Provo un certo disgusto nell’assistere agli sciacallanti attacchi rivolti al prof. Galli e al Fatto, colpevoli di essere stati prudentemente contrari ad aperture premature, ergo al governo. Mi domando e ti chiedo: siamo davvero sicuri che le aperture anticipate siano state il grande successo di un azzardo ragionato descritto? Draghi, nei suoi “calcoli”, ha preso in considerazione un aspetto che, quantomeno, andava ponderato. E cioè: quanti contagi, quante terapie intensive e quanti decessi si sarebbero evitati mantenendo le chiusure più a lungo? Se mai quel “ragionato” come criterio motivante sottintendeva l’accettazione potenziale di rallentare la curva pandemica decrescente, si dovrebbe dedurre che siano stati messi in conto contagi e vittime in nome dell’economia e contro la Costituzione. Penso che il governo Conte avrebbe sicuramente tenuto maggiormente in considerazione la salute dei cittadini come diritto primario, catalizzatore di tutto il resto. Economia compresa.

Giovanni Marini

 

Brugnaro leader come B. ascolti la lezione di Totò

L’imprenditore Luigi Brugnaro, sindaco di Venezia, si propone come il nuovo demiurgo della politica. Con Giovanni Toti di “Cambiamo!”, ha appena fondato “Coraggio Italia”, un agglomerato di transfughi che cercavano disperatamente di accasarsi. Brugnaro si sente il vero successore di Berlusconi, parla già da leader nazionale: “Datemi due anni e vedrete. So costruire perché ho fatto architettura”. Insomma, più o meno, come direbbe Totò, “uno studente che studia, che deve tenere la testa al solito posto, cioè sul collo”.

Marcello Buttazzo

 

Dedico “Non c’è” al M5S: in tv si vede solo la destra

Nel condividere in toto l’articolo di Andrea Scanzi del 2 giugno sul Fatto, aggiungo: ascoltate l’ultimo brano di Edoardo Bennato, ponendo attenzione alle parole, dal titolo Non c’è. Si addice perfettamente ai 5 Stelle di oggi! Il loro “non c’è” si articola in 3 parti: 1) La mancanza di un leader; 2) La circostanza prevedibile già nel 2018 che molti eletti fossero opportunisti e voltagabbana; 3) Non aver compreso, e non solo Di Maio e gli altri leader, che se non appari continuamente e con dialettica efficace nelle TV nazionali e locali a rivendicare ciò che si è fatto, la gente non sa. Ad esempio, qui a Messina la Gelmini e la Carfagna appaiono tutti i giorni nelle due emittenti locali per prendersi il merito dello sbaraccamento, quando il Movimento è riuscito a mantenere l’importantissima autorità portuale a Messina. E la maggior parte delle persone che si informano solo dai faziosi giornali e Tv locali non ne hanno saputo nulla.

Giacomo Calzavara

 

“Matheo Renzi” e l’arte del “lodevole inganno”

“…si tratta a volte di autentiche repliche…”. Ho iniziato con una specie di rebus ma – tormentato da dubbi, incertezze sulla figura, il valore e la forza morale anzitutto di Matteo Renzi – mi sono imbattuto in una sua “incarnazione” precedente. Nel XVII secolo, al tempo di Baltasar Gracian, gesuita illustre e teorico celebrato del cosiddetto “concettismo barocco”. Non vado oltre quanto ho appena accennato per dir subito che in un trattato tuttora inedito di Baltasar de Zúñiga dal titolo El privado perfecto, un “dottor Don Matheo Renzi” discetta sul tema della dissimulazione e afferma che il principe può servirsi del “lodevole inganno” per garantire la conservazione e la difesa dei regni. Sostituendo l’espressione “dei regni” con “del potere”, l’analogia tra il Matteo Renzi del Seicento e l’attuale sembra perfetta.

Rosario Moscheo

 

Semplicemente stupefacente!

M. trav.

Bonus Irpef I pensionati sono esclusi dai 100 euro (gli ex 80 euro di Renzi)

 

 

Gentile redazione, una semplice domanda : perché il bonus Irpef non si applica ai pensionati?

Stefano Tacchini

 

Gentile Tacchini, come si dice in questi casi, “è una questione squisitamente politica”. È questa la riposta più semplice che si possa dare a una domanda molto complicata. Il bonus Irpef, infatti, altro non è che una modifica del bonus Renzi che consisteva in 80 euro mensili sempre e solo destinati ai lavoratori dipendenti o assimilati. Abbiamo più volte scritto che è stata una misura fortemente voluta dall’allora premier e segretario del Pd nell’aprile del 2014, nei giorni della campagna elettorale in vista delle Europee. Un bonus poi rimasto in vigore con evidenti problemi di coperture. Impensabile per la politica trovare i fondi per estenderlo anche ai pensionati che nel corso degli anni si sono dovuti accontentare di altri aumenti, come la minima. Il bonus, del resto, è a carico statale e deve essere equiparato a redditi da lavoro e non alla pensione che viene gestita dall’Inps. Il bonus 80 euro è rimasto in vigore fino al 30 giugno 2020, quando è stato un po’ modificato, ma sempre esteso ai soli lavoratori dipendenti e assimilati. Dal 1° luglio 2020 il bonus è stato poi incrementato a 100 euro mensili per i lavoratori con un reddito annuo lordo complessivo non superiore a 28.000 euro. Poi, man mano che il reddito saliva, il bonus scendeva progressivamente. Tanto che al raggiungimento di 40 mila euro, il bonus si azzerava del tutto. Esattamente con questo meccanismo funziona il nuovo bonus Irpef, che continua ad applicarsi solamente ai titolari di reddito da lavoro dipendente e assimilati, con esclusione dei titolari di pensione di ogni genere. Il bonus vale 100 euro mensili fino a 28.000 euro di reddito. Tra 28.000 e 35.000 euro il bonus, erogato sotto forma di detrazione sui redditi da lavoro, scende progressivamente fino a 80 euro mensili per azzerarsi quando il reddito raggiunge 40.000 euro. Il bonus non spetta neanche ai “soggetti incapienti”, vale a dire coloro che hanno avuto nell’anno un reddito inferiore a 8.000 euro.

Patrizia De Rubertis

Ormai i media italiani paiono la prima strofa di “Contessa”

“Gridavano, pensi, di essere sfruttati!”… Chissà se da giovane l’ha cantata pure lui, la prima strofa di Contessa. Di certo, però, ieri l’anonimo titolista del nuovo corso di Repubblica ha deciso di condividere in pieno l’indignazione padronale contro “quei quattro straccioni” disposti addirittura a rinunciare a una paga da fame. Testuale, d’apertura in homepage: “I posti ci sono, mancano i lavoratori. Chi si sente sfruttato ora rinuncia. Gli imprenditori: troppi assistiti”.

Avete capito bene. La Confindustria sta lanciando una campagna preventiva contro l’eccessiva destinazione di fondi del Recovery Plan

a sostegno di precari, lavoratori in nero, disoccupati. E il giornale che fu dei progressisti se ne fa portavoce, ricorrendo all’antico argomento dei proletari ingrati e lavativi che invece di rimboccarsi le maniche lamentano l’iniquità di retribuzioni al di sotto dei livelli minimi di sopravvivenza.

Si tratta, naturalmente, di un’invenzione bella e buona, ma sentite come si unisce al coro servile il vicedirettore del Corriere della Sera, sempre ieri, in prima pagina, per scongiurare la malaugurata ipotesi che venga prorogato il blocco dei licenziamenti: “Sta vincendo ancora una volta il riflesso condizionato che ci porta a combattere la disoccupazione attraverso provvedimenti che mirano al mantenimento a tutti i costi dei posti di lavoro”.

Oibò, possibile che “quei quattro straccioni” non lo capiscano? Prima di assumere bisogna licenziare. E oltretutto si permettono di criticare il via libera ai contratti a termine, di cui deteniamo il record europeo (senza peraltro che mai abbiano frenato il calo dell’occupazione). Lo sconsolato Manca denuncia l’“ostilità preconcetta verso le imprese”. Lasciatele licenziare, pagare poco e assumere a termine. Altrimenti a cosa serviamo noi giornalisti?

Ma non c’è alternativa all’immunità naturale

Le somministrazioniprocedono in quasi tutto il mondo. Malgrado si esprima entusiasmo, questa volta è necessario guardare la parte vuota del bicchiere. Gli sforzi sono molti, ma siamo molto lontani dal raggiungere l’obiettivo prefissato di avere almeno il 60% della popolazione vaccinata. Oggi nel mondo sono state somministrate 2,2 miliardi di dosi: il 12,4% della popolazione ne ha ricevute una o due. Le persone vaccinate, che hanno completato il ciclo di vaccinazione, sono solamente il 6% dell’intera popolazione. Nella classifica dei Paesi, il cui primo posto è dell’Arabia Saudita e il secondo di Israele, l’Italia è al 20° posto con il 22,1% della popolazione vaccinata con due dosi, pari a 13,3 milioni di persone, su una popolazione totale di 60,6 milioni di residenti. Per raggiungere l’obiettivo di vaccinare il 60% della popolazione, dovremmo ancora somministrare il vaccino a oltre 23 milioni di abitanti. Nel frattempo il virus può tranquillamente circolare e quindi mutare, perché ha ancora molti milioni di ospiti in cui “soggiornare” e mutare vuol dire potenzialmente aumentare la probabilità che non venga bloccato dai vaccini. Abbiamo osservato come modello l’esempio del Regno Unito e gli ottimi risultati raggiunti. Purtroppo in questi giorni sta accadendo ciò che temevamo (ricordo che siamo davanti a un virus a RNA) e cioè la risalita dei contagi dovuti alla variante indiana (meno sensibile ai vaccini). Quale sarà il futuro? Sino a quando non otterremo vaccini sterilizzanti, cioè capaci di prevenire l’infezione, la circolazione del virus, anche se attenuata dai vaccini, non si arresterà. Il virus avrà opportunità di mutare e noi dovremo rincorrerlo con vaccini aggiornati secondo il suo calendario. Non è un quadro entusiasmante. Dobbiamo solo sperare che, malgrado le varianti e malgrado non si raggiunga l’eliminazione del virus, con i vaccini si riesca a prevenire la malattia grave nei fragili. Il resto della popolazione, prima o poi, sarà infettata e conquisterà la sua immunità naturale. Non riesco a vedere alternativa.

 

Ecco Mr. Michetti: danni alla Regione per 839mila euro

Per una serie di abbonamenti, accessi web e servizi di formazione del personale, ora alcuni ex politici della Regione Lazio rischiano che venga contestato un danno erariale di oltre 800 mila euro. Perché quei servizi – finiti nel mirino della Corte dei conti – secondo la Finanza sono stati acquistati in passato a prezzi gonfiati o in altri casi erano fruibili gratuitamente. Chi vende è la società Gazzetta Amministrativa Srl, legata alla Fondazione Gari, presieduta da Enrico Michetti, da ieri candidato del centrodestra come sindaco di Roma, voluto da Giorgia Meloni. La società gestisce il portale Gazzetta Amministrativa.it. Nel mirino dei pm contabili – che, come rivelato dal Fatto hanno aperto un fascicolo – ci sono finiti i soldi spesi in gran parte fra il 2010 e il 2012 dal Consiglio regionale della Regione Lazio (allora guidata dalla Polverini). Spese che secondo la Gdf potrebbero aver causato un danno erariale di 839.540 euro. I rilievi che non riguardano direttamente né l’imprenditore-candidato né la Gazzetta Amministrativa Srl, ma l’ente pubblico che ha acquistato i servizi.

Gli investigatori in un’informativa del 30 marzo hanno ripercorso dunque tutti i pagamenti della Pisana. Un affidamento riguarda “servizi online di supporto tecnico-giuridico all’Amministrazione regionale degli enti locali, nel triennio 2011-2014”, mediante l’attivazione di 1.500 accessi riservati al portale. Costo totale: 810 mila euro. Il pacchetto di accessi al sito fu acquistato in seguito a un protocollo d’intesa firmato il 5 aprile 2011 dall’allora presidente del Consiglio regionale, Mario Abbruzzese (ex FI): a suo carico i finanzieri ipotizzano un danno erariale (non ancora contestato dai pm contabili) di 701.100 euro, in solido con l’allora segretario generale, Nazzareno Cecinelli, che ratificò la convenzione. Per gli inquirenti, alcuni dei servizi contrattualizzati con il Consiglio regionale “potevano essere fruiti gratuitamente”. Non solo. Dalle verifiche è emerso che la Gazzetta Amministrativa srl aveva autorizzato ben 9.309 accessi riservati, “sintomatico – scrive la Gdf – di un minor valore degli accessi riservati acquistati”, il cui costo i militari quantificano in 29 euro l’anno, contro i 180 euro “riconosciuti dalla convenzione”. La Regione, per la Gdf, avrebbe dovuto pagare 108.900 euro, contro gli 810.000 euro bonificati.

Il secondo affidamento riguarda un “servizio formativo” per 430 dipendenti della Regione Lazio, come stabilito da una delibera del 2012, firmata da Abbruzzese e ratificata da Cecinelli. Per la Finanza, “per i 2 corsi erogati in convenzione, nel periodo 2012-2013, sono stati richiesti dalla società e pagati dall’Ente regionale 365.000 euro, ovvero 182.500 euro per edizione/corso”. Il problema è che, successivamente, la società aveva proposto un pagamento “in via forfetaria” rifiutato dalla Regione: “Se nell’atto convenzionale – si legge – fossero state applicate le stesse condizioni economiche poi proposte dalla società appaltatrice (…) i 2 corsi erogati e pagati avrebbero avuto un costo di 240.000 euro invece di 365.000”. La Finanza ha analizzato anche l’acquisto di 320 abbonamenti annuali alla rivista trimestrale “Gazzetta Amministrativa dei Comuni e delle Province d’Italia”, comprati dalla Regione nel 2007 (presidente Marrazzo). Per i militari il prezzo finale degli abbonamenti è gonfiato, non essendo stato applicato lo sconto del 25%, previsto in listino, per chi acquistava più di 100 copie. Nei giorni scorsi sui servizi acquistati dalla Pisana la fondazione Gari ci ha scritto: “Trattasi di attività espletate da soggetto distinto e diverso dalla Fondazione, (…) eventuali verifiche della Corte dei conti (…) potrebbero riguardare unicamente l’operato del soggetto pubblico e giammai il soggetto privato che ha svolto regolarmente le attività”. Sono le spese della Regione Lazio a finire nel mirino dei pm contabili. Non la società che ha erogato i servizi, per la Finanza però acquistati a prezzi gonfiati.

Campidoglio: destra in ticket. Adesso manca solo Milano

Dopo l’ennesimo vertice, il centrodestra ha sbloccato la partita sul candidato sindaco a Roma. Ma non ancora quella su Milano. Mentre a Torino è stata ufficializzata la scelta sull’imprenditore del vino Paolo Damilano. Nella Capitale s’è imposto un ticket: Enrico Michetti candidato sindaco e Simonetta Matone vice. Un po’ come si fa nelle elezioni americane. Qui però non siamo alla Casa Bianca, ma al Campidoglio, dove l’uomo che sfiderà Virginia Raggi, Carlo Calenda e Roberto Gualtieri (primarie permettendo) sarà questo avvocato amministrativista noto per una sua rubrica di consigli ai cittadini su Radio Radio, l’emittente del tifo cittadino. Dove proprio ieri è andato ospite Salvini a spiegare che “Michetti mi è piaciuto perché è una persona concreta” e che “ora l’obiettivo è vincere al primo turno e guidare la città per 10 anni”.

Non è un mistero che il leader leghista, costretto a rinunciare a Bertolaso, avrebbe preferito Matone, ma alla fine si è piegato alla legge del più forte, almeno nella Capitale, quella di Giorgia Meloni: è stata lei a fare il nome di Michetti. Che Salvini ha conosciuto solo qualche giorno fa. La scelta, guarda caso, arriva nel giorno in cui un’altra importante partita si è risolta: quella del Copasir, con l’elezione di Adolfo Urso, dopo un estenuante braccio di ferro tra Lega e FdI. Vice, anzi prosindaco, sarà Matone, magistrata, per 17 anni al tribunale dei minori, spesso ospite nel salotto televisivo di Bruno Vespa. Masticano amaro i due “politici” che ci speravano: Maurizio Gasparri e Fabio Rampelli. E su un “civico” si dovrebbe andare pure a Milano. Qui negli ultimi giorni s’era fatto strada il nome di un manager della Mediolanum nonché genero di Ennio Doris, Oscar Di Montigny, ma sembra che Salvini abbia un altro nome coperto, che potrebbe rispondere a Gian Vincenzo Zuccotti, primario dell’ospedale pediatrico Buzzi.

Il boom di FDI: trasformisti, vecchi missini e familiari

Cosa c’è oltre Giorgia Meloni? Un partito al 20% che punta a diventare la prima forza politica ha bisogno di organizzazione, uomini-macchina e roccaforti nei territori, anche solo per scongiurare il rischio di essere una meteora. Da anni però Fratelli d’Italia è associato quasi soltanto alla sua leader, presenza carismatica in tv e abile stratega nel fiutare l’opportunità di non logorarsi dentro al governissimo. Ma il boom degli ultimi mesi significa pure centinaia di nuovi ingressi nei Comuni e nelle Regioni, anche grazie all’arrivo di formidabili porta-voti. Con un rischio: imbarcare professionisti del trasformismo insieme alla loro infedeltà politica, sperando che non si manifesti per un po’.

RomaDove è nato tutto

Per descrivere il cuore e il cervello di FdI bisogna partire da Roma. Qui, e nei suoi dintorni, tutto è nato: la Meloni viene dalla Camilluccia ma il suo quartiere, dove muove i primi passi da militante di Azione Studentesca, è la Garbatella, storica zona rossa della Capitale. La svolta risale al congresso di Viterbo del 2004, con l’elezione di Meloni a presidente di Azione Giovani. Poi nel 2012 i meloniani (la “generazione di Atreju”) si emancipano dai padrini Gianfranco Fini e Silvio Berlusconi. Oggi i principali consiglieri di Meloni vengono da quell’esperienza. In primis Giovanbattista Fazzolari e Francesco Lollobrigida. Il primo, nato a Messina ma romano di adozione, è il braccio destro di Meloni. Se lo è portato dietro ovunque: consulente giuridico da vicepresidente della Camera, caposegreteria al ministero della Gioventù, oggi responsabile del programma del partito. È lui la mente politica delle proposte e della strategia di FdI. Lui studia, lei traduce in proposte concrete. Capogruppo alla Camera invece è il romano Lollobrigida, detto “Lollo”, nonché cognato di Meloni (è il marito della sorella). È lui uno dei volti televisivi più noti e con ottime relazioni con gli alleati nel centrodestra. Romani sono anche Fabio Rampelli e l’ormai “adottato” Ignazio La Russa.

A Roma c’è sempre stato lo zoccolo duro dell’elettorato di FdI: quando, nel 2016, Meloni si candidò sindaco prese 270mila voti (20%) mentre a livello nazionale il partito non superava il 5%. Oggi la situazione è un po’ cambiata ma resta un problema: negli anni FdI non è riuscita a far emergere un nome forte da candidare sindaco, così si deve ripiegare su Enrico Michetti.

Abruzzo e marchele contee

Per usare la mappa della Terra di Mezzo di Tolkien, molto cara alla destra missina e ai suoi epigoni, se Roma è Minas Tirith, le contee di FdI sono l’Abruzzo e le Marche. Nel 2019 Marco Marsilio è stato il primo governatore eletto targato FdI. Lo si ricorda per una gestione non proprio esemplare della pandemia, tra ospedali a pezzi e una campagna vaccinale che in una prima fase ha dato la precedenza ai forestali più che agli over 80. L’altro presidente è Francesco Acquaroli che a settembre è riuscito a sradicare il sistema di potere rosso che nelle Marche governava da 25 anni.

Il vero dominus del Centro Italia nel partito però è Giovanni Donzelli, pratese e responsabile dell’organizzazione del partito. È lui l’artefice delle principali vittorie a livello locale. Dopo i successi a L’Aquila con Pierluigi Biondi e ad Ascoli Piceno con Marco Fioravanti, ha creato le condizioni per le clamorose vittorie a Pistoia con Alessandro Tomasi e a Piombino con Francesco Ferrari.

Il Sudpreferenze e riciclati

Secondo Winpoll, da marzo FdI è il primo partito al Sud. Per darsi una struttura, si è affidato a diversi referenti strappati soprattutto a Forza Italia e Udc e recuperando qualche cavallo di ritorno dalla Lega. La prima figura di riferimento è Fausto Orsomarso, assessore in Calabria e arrivato nel 2017 da FI insieme alla deputata Wanda Ferro. Non è un caso che di lì a poco li abbiano seguiti due ras delle preferenze forzisti: Domenico Creazzo, l’anno scorso finito ai domiciliari e imputato per scambio elettorale politico-mafioso, e Alessandro Nicolò, accusato di essere vicino alla cosca Libri. Dopo le inchieste, sono stati subito espulsi dal partito, ma resta il problema della mancata selezione della classe dirigente. Ma la pesca è anche dalla Lega. Pochi giorni fa è arrivato Vincenzo Sofo, eletto alle Europee, mentre il partito di Salvini si squaglia: a Crotone se ne sono andati 50 attivisti, molti dei quali in orbita FdI. In Sicilia, la Meloni si affida invece alle spalle larghe di Salvo Pogliese, sindaco di Catania e già europarlamentare di FI. Poi sono arrivati anche Basilio Catanoso (17 anni in Parlamento con B. e Fini) e l’ex forzista Rossana Cannata. I risultati si vedono: a Palermo FdI ha annunciato un +500% di iscrizioni sul 2019. Dati che fanno rima con altri granai, come la Puglia, dove da due anni FdI può contare su un collettore di voti come Raffaele Fitto, o come la Campania dove è tornato a casa Alberico Gambino, una vita tra Pagani (Salerno) e la Regione passando da un partito all’altro. Il tutto con la supervisione del fedelissimo Edmondo Cirielli, salernitano.

Il NordI volti noti

L’ascesa di FdI al Nord, pur meno marcata rispetto al Sud, la si deve al peso dei suoi esponenti, molto influenti a livello nazionale. In Lombardia è ascoltatissimo Carlo Fidanza, capogruppo all’Europarlamento che a Milano gestisce il partito con Daniela Santanchè. Primi segnali: nel 2021 sono arrivati due consiglieri regionali, Paolo Franco (Cambiamo) e Patrizia Baffi (Iv). In Veneto si muove il deputato Marco Osnato, ma in crescita è anche Augusta Montaruli, deputata piemontese, tra i volti più spendibili per il futuro. Quando non basterà più solo la leadership mediatica della Meloni.

“Conte ci darà una linea. Niente ministri per caso: deve vincere il merito”

Ora Giuseppe Conte pare davvero in campo e il M5S dovrebbe ripartire. Così il 5Stelle Stefano Buffagni, già viceministro e ora deputato, giura che tutto va meglio: “Io sono ottimista. Prima per noi il mare era in tempesta, era difficile reggere. Ma adesso…”.

Ora, Buffagni?

Adesso abbiamo un capitano sulla nave. L’importante è che non tenga nessuno nella stiva.

Cioè che nomini organi collegiali, soddisfacenti? Tra voi 5Stelle in queste ore non si parla d’altro.

Ripeto, sono fiducioso. Conte ha parlato di merito e di competenza, ed è quello il parametro.

Prima non c’era merito nel M5S?

La fase in cui si riteneva che la casalinga di Voghera potesse fare la ministra dell’Economia l’abbiamo superata da un po’.

E tanti saluti all’uno vale uno.

È più complessa di così. Di sicuro stando al governo abbiamo capito alcuni errori. E dagli errori si impara.

L’errore era non valorizzare i competenti?

Non deve prevalere l’invidia, anche sociale talvolta. Uno non vale l’altro.

Ma cosa deve fare Conte oltre a puntare sul merito? A Dimartedì ha parlato di M5S “radicale”. Fastidioso, per un moderato come lei?

Ma no, significa essere intransigenti sulla legalità e sull’onestà, e sono i nostri valori. Dopodiché dobbiamo portare avanti i nostri temi come l’ambiente e l’attenzione alla classe media. Sono contentissimo che Conte abbia parlato della necessità di abbassare le tasse, è bello che si riparta da lì.

Nel frattempo continuate a chiedere di prorogare il blocco dei licenziamenti: è coerente con la richiesta di tasse più basse?

Sui licenziamenti si vedrà. Di sicuro bisogna ricordarsi anche dei tanti che hanno perso i loro contratti a termine per la pandemia e che devono recuperarli.

Siete spesso ondivaghi sulla linea.

Ora c’è Conte, e lui darà la linea.

Molti di voi nel governo Draghi si sentono soffocare.

Con Conte alla guida potremo sicuramente incidere maggiormente nel governo. Dobbiamo agire con più coraggio in questo esecutivo.

Ma a suo avviso dovete restare dentro, giusto?

Dobbiamo fare gli interessi degli italiani, e dobbiamo lealtà al presidente del Consiglio.

Però sovente incassate colpi. Per esempio il ministro alla Transizione ecologica da voi voluto, Stefano Cingolani, ha appena assegnato le deleghe. E alla sottosegretaria leghista ha dato molto più che alla 5Stelle.

Io auspico che ci sia una collaborazione più fattiva con il ministro, e forse anche noi sul tema dell’energia dovremo incidere di più.

Cingolani parla di riconsiderare gli inceneritori. Legittimo, ma è l’opposto della vostra linea.

Quando ero al Mise avevo proposto delle soluzioni su quel tema. Il dossier sull’idrogeno è stato modificato in un modo non proprio coerente con la transizione ecologica.

Al Fatto Vito Crimi ha confermato che diversi eletti non vogliono più versare al M5S se non avranno chiarimenti sul vincolo dei due mandati.

Io ho sempre versato, tutto. Dovrà esserci una discussione su questo, mettendo da parte i conflitti di interessi. Ma vedendo quanti parlamentari abbiamo perso da inizio legislatura, forse molti non avrebbero dovuto fare neppure il primo di mandato.

Avete fatto male le liste…

Il tema è sempre il merito.

Quindi?

Di sanità è preferibile che si occupi un primario.

I sondaggi sono sempre pessimi per il M5S.

Dobbiamo tornare sui territori, tra le persone. Un altro errore è stare troppo sul web.

Lei crede?

Sì, e le assicuro che parlando con le persone la percezione è positiva. Siamo molto più popolari di quanto si dica.

Pd-5S: i leader in Calabria Primo “atto” dei giallorosa

Il primo atto politico congiunto dei due leader giallorosa. Un modo anche simbolico per mostrare che una coalizione c’è, esiste. Per questo la prossima settimana Giuseppe Conte ed Enrico Letta andranno assieme in Calabria, in vista delle Regionali. Gli accordi nelle grandi città hanno evidenziato tutte le difficoltà nel costruire un’alleanza, ma bisogna ripartire. Magari da Nicola Irto, candidato del Pd, che la settimana scorsa si era ritirato dalla corsa, per rientrare poi in pista dopo la visita in Calabria di Francesco Boccia, responsabile Pd Enti Locali. Per ora, i dem un altro nome spendibile non ce l’hanno. Mentre pochi giorni fa Conte, che sta incontrando via Zoom le varie rappresentanze locali dei 5Stelle, ha evocato un nome civico come candidato della coalizione. Va cercato un punto di caduta.

D’altronde le strade del capo prossimo venturo del M5S e del segretario dem si incrociano o si sfiorano per molti versi. Entrambi sono fuori dal Parlamento, per esempio, ma mentre Conte ha spiegato chiaramente di non voler correre per le suppletive a Roma, Letta sul seggio di Siena tentenna. Entrare in Parlamento sarebbe ovviamente utile, innanzitutto per governare i gruppi parlamentari, ma se non entra anche Conte il segretario dem teme di sembrare attaccato alla poltrona. Peraltro, dal Parlamento si riparte per mettere mano alle riforme costituzionali, che Conte ha rilanciato martedì a Dimartedì. E la discussione per l’ex premier dovrebbe partire dalla sfiducia costruttiva, in base a cui per sfiduciare un governo bisognerebbe avere un’alternativa pronta, al potere di revoca dei ministri, fino a misure per parlamento “razionalizzato”. Per arrivare a una revisione del Titolo V, con minori poteri per le Regioni. In sintesi, dai punti che Conte aveva illustrato nel discorso in Parlamento per la fiducia lo scorso 18 gennaio, poco prima di cadere.

Anche Letta ha molto a cuore le riforme. Tra queste, la sfiducia costruttiva, ma anche la riforma dei regolamenti per arginare il trasformismo, di cui il segretario del Pd ha spesso parlato. D’altronde proprio Letta considera il più grande errore nella storia della sinistra l’approvazione del Titolo V: autocritica significativa, visto che lui era presente. Invece Conte lavora agli ultimi dettagli della rifondazione. Ieri sono circolate indiscrezioni su un suo incontro a Marina di Bibbona con Beppe Grillo, ma lo staff non lo ha confermato. Probabile, invece, che i due si siano sentiti. “Come spesso avviene” ricordano dal M5S.

Insegnanti di sostegno? No, grazie

Il decreto Sostegni bis non cambierà sulla scuola, salvo due modifiche: il M5S ha strappato l’ok per permettere ai bocciati ai concorsi per l’insegnamento di ripresentarsi a quello seguente, ma quello che per ora non sarà toccato (non ci sarebbe tempo, sembra essere la spiegazione) è la possibilità di accedere alla cattedra per i docenti di sostegno specializzati.

L’insegnante di sostegno è una figura che, come ormai da anni viene ribadito, manca come il pane nella scuola italiana. Puntualmente ce ne sono pochi, puntualmente vengono invocati, puntualmente vengono sostituiti da docenti a cui “fare carriera” sul sostegno interessa molto meno rispetto all’accumulo di punteggio ed esperienza nelle scuole.

In generale, il docente di sostegno sarebbe obbligato a conseguire la specializzazione. Di fatto, però, negli anni le nomine sono spesso in buona parte state conferite a docenti non specializzati proprio perché i docenti di sostegno “per vocazione” sono molto pochi. Molto più spesso, come accennato, si entra su queste cattedre per poi, alla prima occasione, cambiare insegnamento. Secondo le recenti stime della Cisl, l’anno scorso ben 4.040 docenti sono passati da posto di sostegno a posto comune (si stima che nel 2021, dopo la mobilità, saranno quasi 18 mila i posti disponibili sul sostegno solo nella secondaria).

Ebbene, l’anno scorso si è concluso il quarto ciclo di specializzazione sul sostegno. Il paradosso però è che mentre i docenti specializzati e con tre annualità di servizio hanno potuto partecipare al concorso straordinario, bandito nell’estate 2020, quelli senza le tre annualità ne sono stati esclusi nonostante la carenza di personale qualificato in ruolo.

In realtà, l’idea era che partecipassero al concorso ordinario che a oggi e in vista di settembre – nonostante sia formalmente iniziato – ha messo a bando solo 6mila posti per docenti delle materie scientifiche (Stem). Per gli altri, se va bene, se ne parla il prossimo anno. Dunque, docenti senza tre annualità di servizio, selezionati (per la specializzazione), formati e preparati, ricopriranno incarichi a tempo determinato ma a loro non sarà riservata, come invece chiedono, la procedura velocizzata di assunzione dopo un anno di servizio, quella ormai nota sanatoria che invece c’è per buona parte dei precari storici.

“Ancora una volta – spiega un coordinamento di docenti – vengono esclusi gli specializzati senza le tre annualità di servizio, seppur titolati e nonostante la necessità emergenziale di personale qualificato in ruolo. Con loro, gli studenti seguiti nell’anno scolastico 2020/21 saranno costretti, a settembre 2021, ad adattarsi all’ennesimo nuovo docente”.