Sussidi, Rdc, posti vacanti e altre menzogne sul lavoro

Il pianto disperato delle imprese italiane ha ormai trasformato la retorica dei “posti che ci sono” e dei “lavoratori che mancano” nell’ossessione (interessata) della nostra stampa. Aderente per fede al racconto per cui il Reddito di cittadinanza e gli altri sussidi avrebbero spinto sul divano milioni di persone, ma pure alla tesi che vedrebbe il sistema di istruzione incapace di fornire competenze alle imprese che cercano addetti specializzati e vogliono pagarli bene.

Dati e ricerche, tuttavia, dicono altro. “Il difficile incontro domanda-offerta non è il principale problema del mercato del lavoro italiano – spiega Dario Guarascio, economista a La Sapienza di Roma –. I tassi di disoccupazione anche al Nord, soprattutto per le coorti di età più giovani, arrivano al 15%: difficile credere che il problema sia di carattere frizionale”.

Vediamo i numeri. L’Anpal e l’Unioncamere stimano finalmente una ripartenza (o meglio, un recupero del crollo degli scorsi mesi). Gli ingressi tra giugno e agosto saranno 1,283 milioni, il tasso di difficoltà di reperimento è al 30%. Un dato normale: le assunzioni continuano a esserci anche durante le peggiori crisi e non sempre le ricerche di personale sono agevoli. Ciò che determina un aumento (o un calo) di occupazione è il saldo con licenziamenti e pensionamenti. Il dato sulle sole assunzioni, da solo, è irrilevante. In ogni caso, in Italia abbiamo oggi 2,7 milioni di disoccupati, più gli inattivi e i part time involontari. La domanda era e resta troppo debole per assorbire questo esercito di forza-lavoro, anche se combaciasse perfettamente con l’offerta.

Ma davvero i lavoratori sono poco preparati per le esigenze delle imprese? “Se si guarda ai dati sugli investimenti in formazione, ricerca e innovazione – e si confrontano con quelli tedeschi o francesi – il gap è molto alto, sovrapponibile a quello delle retribuzioni. Difficile, quindi, pensare che non vi sia un sistema di formazione capace di trasferire competenze”, aggiunge Guarascio. Sono le imprese a richiedere basse qualifiche e chi cerca profili specializzati fa fatica perché i salari all’estero sono ben più appetibili.

Da noi, poi, si tende a usare strumenti molto flessibili per essere più competitivi abbattendo i costi. Negli ultimi anni, per esempio, sono cresciuti i tirocini, che permettono di retribuire i neo-assunti con poche centinaia di euro al mese. Tra 2014-2017 abbiamo avuto 1,263 milioni di stage extra-curricolari, mentre i contratti di apprendistato – ben più remunerati e tutelanti – sono stati solo 697.366.

Il grosso della domanda di lavoro resta concentrato nei mestieri a scarse qualifiche e bassi salari. Quelli del turismo, per esempio, che presentano una precarietà esasperata e alti livelli di irregolarità. Anche qui viene denunciata una carenza di manodopera e in questo caso gli imputati sono il Reddito di cittadinanza e i bonus Covid. “Tutto il contrario – fa notare Guarascio – La commissione che ha elaborato la proposta di riforma degli ammortizzatori sociali ha analizzato gli attuali sostegni al reddito di chi ha perso il lavoro e osservato che proprio la parte più fragile ha accesso a strumenti insufficienti a soddisfare bisogni primari. Non c’è alcun disincentivo al lavoro per chi li percepisce. Al massimo potrebbe esserci quello virtuoso, che porta a rifiutare salari troppo bassi. Se così fosse, bisognerebbe rallegrarsene”.

Il Reddito di cittadinanza medio per un single è di 450 euro. Gli attuali sussidi (anche l’assegno di disoccupazione Naspi) sono troppo bassi proprio per la parte più vulnerabile: impossibile che li porti a rifiutare il lavoro (vero).

Grande Aracri, “il boss Nicolino non attendibile”

“La farsa è finita”. È la frase che il boss Nicolino Grande Aracri ha scritto in una lettera ai familiari dopo gli interrogatori del 21 e 22 aprile. In realtà la Procura di Catanzaro l’aveva già capito e in una relazione depositata ieri mattina in un processo ha certificato che il neo collaboratore di giustizia è “inattendibile”. A pochi mesi dalla notizia del suo pentimento, Nicolino “Mano di gomma” Grande Aracri è stato smascherato dai pm della Dda e dallo stesso procuratore Nicola Gratteri che, a un certo punto, si spazientisce col boss di Cutro: “Grande Aracri, qua non possiamo andare avanti…”. Da qui la valutazione di Grande Aracri come “una fonte di prova dichiarativa non credibile”. I pm sospettano addirittura che “l’intento collaborativo celasse un vero e proprio disegno criminoso”. “Appare univoco – si legge – il tentativo di infrangere, con la sua collaborazione, le plurime dichiarazioni dei collaboratori di giustizia che si sono già espressi a carico del propalante (lo stesso boss, ndr) e dei suoi familiari e sono stati valutati attendibili”.

Omicidio Agostino, gup: “Ci fu un tentativo di depistaggio a opera del boss Graviano”

“Un chiaro tentativo di depistaggio intervenuto ad opera di uno dei più noti esponenti mafiosi in stato di detenzione, Giuseppe Graviano”. Non usa mezzi termini il gup di Palermo Alfredo Montalto nelle motivazioni della condanna all’ergastolo del boss Antonino Madonia, mandante dell’omicidio del poliziotto Antonino Agostino e della moglie incinta Ida Castelluccio, consumatosi il 5 agosto 1989 a Villagrazia di Carini (Palermo). Il boss ergastolano Graviano, secondo il gup Montalto, avrebbe depistato l’omicidio con un racconto “contornocentrico”, “diretto a coinvolgere ed attaccare” Salvatore Totuccio Contorno, collaboratore di giustizia, da lui “ritenuto responsabile della morte del padre Michele”, ucciso nella guerra di mafia. Una “ossessione”, spiega il gup, che conduce Graviano a “vedere Contorno dietro a qualsiasi vicenda delittuosa”, e “con alcune elucubrazioni che legherebbero il duplice omicidio Agostino alla strage di via D’Amelio”. Ma dalle ricostruzione degli eventi, le dichiarazioni dei numerosi collaboratori di giustizia e i riscontri fatti, il duplice omicidio dei coniugi Agostino porta “inequivocabilmente al mandamento di Resuttano, capeggiato dai Madonia”, territorio in cui “l’agente si era fatto notare per il suo particolare attivismo nel constato alle cosche mafiose e nella ricerca dei latitanti”, e luogo dove alcuni “esponenti delle forze dell’ordine intrattenevano rapporti”. Agostino si era messo a caccia dei Madonia, monitorando il “vicolo Pipitone”, considerato la base del mandamento per i “summit con i massimi vertici di cosa nostra” e il luogo di “partenza dei gruppi di fuoco responsabili di efferati omicidi”. Qui, spiega il gup, “i Madonia intrattenevano rapporto con esponenti dei Servizi segreti”, come l’ex questore di Palermo “Arnaldo La Barbera”, l’ex dirigente della squadra mobile “Bruno Contrada”, condannato per concorso esterno in associazione mafiosa, in seguito annullata; e l’ex poliziotto “Giovanni Aiello”, conosciuto con l’appellativo di “faccia da mostro. “È significativo evidenziare – aggiunge il gup – secondo quanto riferito da Vito Galatolo, una delle visite di Contrada e Aiello, in occasione della quale questi incontrarono Nino Madonia, Pino Galatolo, Vincenzo Galatolo, Gaetano Scotto e Raffaele Galatolo, fu notata da Agostino che stava effettuando un appostamento proprio nel vicolo Pipitone”.

Saman Abbas, estradato il cugino arrestato a Nimes

Era stato arrestato a Nimes in Francia. Ieri mattina Ikram Ijaz, il cugino di Saman Abbas, la ragazza scomparsa a Novellara, è stato estradato alla frontiera di Ventimiglia e condotto nel carcere di Reggio Emilia. Contro l’uomo, indagato per omicidio e occultamento del cadavere, sono stati raccolti elementi sufficienti a emettere un’ordinanza di custodia cautelare in carcere. Secondo il quadro accusatorio, Ijaz è uno dei tre uomini — assieme allo zio e a un altro cugino di Saman — che la sera del 29 aprile sono stati ripresi dalle telecamere dell’azienda agricola dove lavorava il padre della giovane: avevano due pale, un sacco e un piede di porco. Per gli investigatori questi strumenti sono serviti a preparare una fossa nel terreno per nascondere il corpo della ragazza la cui morte, ipotizzano gli inquirenti, è avvenuta la notte successiva. Ijaz, insieme all’altro cugino Nomanulhaq Nomanulahq, 33, secondo il fratello sedicenne di Saman avrebbe anche aiutato materialmente lo zio Danash Hasnain nell’omicidio.

“Su Eni-Nigeria profili oscuri, ma zero tangenti”

La corruzione internazionale? Non è provata. Mancano “prove certe e affidabili dell’esistenza dell’accordo corruttivo contestato”. Per questo la settima sezione penale del Tribunale di Milano lo scorso 17 marzo ha assolto in primo grado tutti gli imputati del processo Eni-Nigeria, con la formula “il fatto non sussiste”. I giudici Marco Tremolada, Mauro Gallina e Alberto Carboni firmano 482 pagine di motivazioni, depositate ieri, in cui sostengono di non ritenere “condivisibile la certezza accusatoria” dei pm, il procuratore aggiunto Fabio De Pasquale e il sostituto Sergio Spadaro, secondo cui gli imputati avrebbero “contribuito agli illeciti pagamenti”, di cui c’è una prova solo “indiziaria”. Dunque tutti assolti: l’ex ministro del petrolio nigeriano Dan Etete, i mediatori dell’affare (Luigi Bisignani, Gianfranco Falcioni, Ednan Agaev), i manager di Shell alleata di Eni (Malcom Brinded, Guy Jonathan Colegate, John Copleston, Peter Robinson) e quelli della compagnia italiana: dall’allora amministratore delegato Paolo Scaroni al suo successore, Claudio Descalzi, fino ai manager allora operativi nel Paese africano, Roberto Casula, Ciro Antonio Pagano e Vincenzo Armanna. “All’esito dell’istruttoria non è stato possibile ricostruire con certezza tutti i fatti oggetto dell’imputazione”, scrivono i giudici, “nonostante l’acquisizione di migliaia di documenti e l’esame incrociato di decine di testimoni e consulenti di parte. Alcuni profili della vicenda restano in parte oscuri e possono essere oggetto di ricostruzioni probabilistiche e ipotetiche”.

La tangente contestata era gigantesca, 1 miliardo e 92 milioni di dollari, cioè l’intera somma versata da Eni nel 2011 su un conto a Londra del governo nigeriano per ottenere la licenza d’esplorazione di Opl 245, un immenso campo petrolifero al largo delle coste nigeriane, e poi tutta finita a politici, pubblici ufficiali, mediatori e faccendieri. Quasi 500 milioni di dollari sono stati cambiati in contanti da un notabile nigeriano, Abubakar Aliyu, ritenuto l’ufficiale pagatore dei politici corrotti. Questo “costituisce un indizio certamente grave della destinazione illecita del denaro”. Ma per i giudici non basta: “Si tratta di un indizio non preciso con riferimento alle accuse mosse agli imputati”, “è una prova indiziaria del carattere genericamente illecito dei pagamenti derivati dai proventi di Opl 245”, ma non è provato che “gran parte di tale somma in contanti, se non tutta, sia finita nella disponibilità dei pubblici ufficiali nigeriani che hanno reso possibile gli accordi illeciti su Opl 245”. I giudici si spingono fino a giustificare un “eventuale intervento di Descalzi volto a indurre Armanna a ritrattare le accuse”: “Una simile condotta, anche ove sussistente, dovrebbe essere interpretata come il comportamento di un amministratore che, pur di proteggere la propria compagine dalle calunnie che le erano rivolte, accetta di scendere a patti con il ricattatore e, in cambio della cessazione delle attività diffamatorie verso la società, gli accorda quanto richiesto”. Giustificati anche i rapporti “informali” tra Descalzi e “il duo Obi-Bisignani”: “Un simile atteggiamento derivava dalla volontà di compiacere il proprio amministratore delegato Scaroni e lo stesso Bisignani in vista di future prospettive di carriera”.

Amara, i contatti con Verdini per la nomina del pm Capristo

Piero Amara nel 2015 contattò Denis Verdini per sponsorizzare Carlo Maria Capristo alla Procura generale di Firenze. A sostenerlo è la Procura di Potenza nell’ordinanza che ha disposto due giorni fa l’arresto di Amara e l’obbligo di dimora per l’ex procuratore di Taranto Capristo, entrambi accusati di corruzione in atti giudiziari. Il gip Antonello Amodeo cita la testimonianza dell’avvocato Giuseppe Calafiore, socio di Amara, a “detta del quale” lo stesso Amara “era riuscito ad ‘agganciare’” il parlamentare del Pd (ora Italia Viva), nonché magistrato e leader della corrente Magistratura Indipendente Cosimo Ferri “per la nomina di Capristo”. E, secondo Calafiore, l’aveva fatto “tramite” il parlamentare di Forza Italia, Denis Verdini. Ricostruzione che Ferri smentisce: “Mai avuto rapporti e contatti con Amara e Calafiore, né Verdini mi ha mai parlato di nomine di Capristo”. Nel paragrafo intitolato “I riscontri: le chat e l’esame dei cellulari” il gip scrive che “dal cellulare sequestrato” a Verdini “si rilevavano alcuni significativi messaggi Whatsapp scambiati proprio con Amara” che sono stati trasmessi a Potenza dalla Procura di Milano nel maggio 2020.

In un primo messaggio, del 15 ottobre 2015, “tra le 18:21 e le 19:28 Amara chiedeva ripetutamente a Verdini di incontrare Capristo, che era a Roma con lui, precisando di averlo fatto venire apposta da Trani e che aveva bisogno di parlare della questione Firenze”. Il gip annota che, oltre alla Procura di Taranto, Capristo mirava anche a quella di Firenze. Nel messaggio in questione, continua il gip, Amara chiedeva a Verdini “di vedersi nel pomeriggio” o “di cenare insieme”. Verdini, però, non risponde. Un secondo messaggio arriva una settimana dopo, il 21 ottobre, quando Amara “informa” Verdini di essere con Capristo e gli chiede di “incontrarlo l’indomani mattina anche solo per cinque minuti”. Nessuna risposta anche in questo caso. Il gip precisa: “Siamo sempre in epoca nella quale il Csm trattava la questione della nomina del Procuratore generale di Firenze, posto pubblicato a giugno 2015 e attribuito a luglio 2016”. Il 18 luglio 2016, quando “Capristo era già stato nominato Procuratore di Taranto” è Verdini a “chiedere ad Amara una conferma per la cena del mercoledì successivo”. Amara risponde così: “Ciao Denis, mercoledì ho cena con Capristo e tutti i procuratori di Taranto per Ilva a Roma. Possiamo a pranzo?”, I due concordano “di vedersi il mercoledì successivo alle 18”.

Ma Verdini e Capristo s’incontreranno mai? Capristo fornisce ai pm di Potenza la sua versione sul suo primo incontro. “Una descrizione – sostiene il Gip – che risulta radicalmente priva di intrinseca credibilità”. Eccola: “…l’ho conosciuto una volta, non ricordo in che circostanza di tempo, lo conobbi a Roma, per strada, eravamo in centro. Ci incrociammo e lo salutai, presentandomi. Era un parlamentare, lo salutai per rispetto. Lui si fermò e fece un’espressione di compiacimento per il mio saluto, in quel modo ci presentammo…”.

Il gip riprende le considerazioni del pm sul punto: “Come si è visto, tale circostanza è falsa e Capristo ha mentito sapendo di mentire, in quanto documentalmente smentita dalle indagini svolte da questo Ufficio e dalle acquisizioni presso altre autorità giudiziarie”. La Procura ritiene inverosimile anche la spiegazione data da Capristo sulla sua “decisione di proporre la domanda per il ruolo dì Procuratore generale di Firenze” che, secondo Calafiore, sarebbe stato “il ‘compenso’ illecito pattuito con Amara”. Capristo riconduce la sua scelta a “un suggerimento della moglie accolto senza particolare convinzione”. “Ero stato a Siena – spiega – e mia moglie mi suggerì di fare domanda anche lì. Ma la mia aspirazione era per la Procura generale di Bari”. Oggi per Amara è previsto l’interrogatorio di garanzia dinanzi al gip.

L’inchiesta condotta dal Procuratore capo di Potenza, Francesco Curcio, è incentrata sulle modalità con cui Capristo – accusato di essere stato corrotto da Amara proprio in virtù delle sue sponsorizzazioni per le nomine – ha gestito il suo ruolo di Procuratore capo a Trani prima e a Taranto poi. L’accusa sostiene l’esistenza di una gestione illecita di alcuni fascicoli processuali istruiti a Trani e a Taranto, tra cui le vicende che hanno riguardato l’Ilva. Il Gruppo Riva, ieri, con una nota, ha ribadito di essere “estraneo e danneggiato dai reati” addebitati a Capristo e ad Amara e “si costituirà parte civile nel procedimento”.

Parlamento europeo contro Big Pharma: sospendere i brevetti

La partita europea sui brevetti dei vaccini regala un’altra sorpresa. Dopo che nei giorni scorsi, senza aspettare il voto del Parlamento, la Commissione aveva ufficializzato la sua proposta all’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) dichiarando contrarietà alla moratoria sui brevetti, ieri sera è arrivata la risposta di Strasburgo. Durante la sessione plenaria, i Verdi hanno presentato un emendamento per chiedere una sospensione “temporanea” dei brevetti sui vaccini e le terapie contro il Covid. La sorpresa è che la maggioranza degli europarlamentari l’ha approvata, sebbene con margine di un solo voto. Oltre ai Verdi stessi, ai socialisti di S&D, ai 5 stelle e alla sinistra di Gue, si sono dichiarati favorevoli anche tre parlamentari del Partito popolare europeo (non Forza Italia), i polacchi di Ecr (contrari quelli di Fratelli d’Italia) e i rappresentanti olandesi e francesi dei liberali di Renew (mentre quelli di Italia Viva hanno votato no). Insomma, c’è grande confusione sotto il cielo d’Europa. A rendere ancora più complicata la situazione resta un fatto: l’approvazione dell’emendamento pro-sospensione non significa ancora che la linea dell’Ue cambierà.

Quello che conta è infatti la risoluzione sui brevetti, che include l’emendamento in questione ma deve essere ancora votata dal Parlamento. Mentre il nostro giornale va in stampa, le operazioni sono in corso. I parlamentari non sono tenuti a votare in presenza, motivo per cui i conteggi durano più del normale. Morale della favola: solo questa alle mattina alle 9 si conosceranno i risultati. Intanto a Strasburgo c’è chi vede nell’approvazione dell’emendamento già una grande vittoria. “Davide batte Golia”, è il commento a caldo della capodelegazione del Movimento 5 Stelle, Tiziana Beghin. “In attesa della conferma con il voto finale alla risoluzione”, dice, “possiamo dire che il Parlamento europeo manda un messaggio politico chiave”.

Segnali contrastanti arrivano però da Washington. Un accordo segreto tra Ue e Usa, svelato ieri dall’agenzia Reuters, seppellirebbe infatti sul nascere la sospensione dei brevetti. Il patto dovrebbe essere firmato martedì prossimo, quando Joe Biden volerà a Bruxelles per il vertice transatlantico. La bozza prevede la riduzione delle restrizioni all’export e la condivisione volontaria della tecnologia, senza menzionare deroghe al monopolio della proprietà intellettuale. Insomma gli Usa starebbero convergendo sulla posizione della Commissione europea.

Una giravolta inaspettata, dopo che il 5 maggio scorso il capo della Casa Bianca si era espresso a favore della liberalizzazione dei brevetti. Il piano, ha scritto Reuters, si basa su un forte coinvolgimento delle capacità di produzione dell’India che diverrebbe il partner di riferimento dell’Occidente. Nell’accordo di parla anche della creazione di una task force congiunta per rafforzare la capacità di produzione globale di vaccini e farmaci, mantenendo “catene di approvvigionamento aperte e sicure ed evitando inutili restrizioni alle esportazioni”. Il testo si limita a promuovere le collaborazioni spontanee tra le case farmaceutiche e partner terzi per il trasferimento di know-how e tecnologia. Ossia, nessun obbligo per Big Pharma a cedere i brevetti ai concorrenti, contrariamente a quanto stanno proponendo India e Sudafrica al Wto da otto mesi.

L’accordo riflette in qualche modo l’orientamento espresso dalla delegazione statunitense al termine dell’incontro del Consiglio TRIPs a Ginevra: i negoziati devono giungere a un compromesso che accontenti tutti. Proprio la settimana scorsa Washington aveva annunciato un piano per distribuire globalmente 25 milioni di dosi tramite il Covax (il fondo creato per acquistare vaccini per conto delle nazioni più svantaggiate), puntando sulla produzione americana, incoraggiando altri Paesi ad aumentare la propria e investendo nella creazione di strutture produttive nelle aree più povere del pianeta, senza citare la sospensione dei brevetti.

Ok ai vaccini in vacanza (senz’anagrafe vaccinale)

Ieri mattina, il presidente del Piemonte, Alberto Cirio, esultava, al pari del suo collega della Liguria, Giovanni Toti: era appena arrivata la lettera con la quale il commissario all’emergenza, Francesco Paolo Figliuolo, ha dato il via libera alle vaccinazioni in vacanza. Proprio come chiesto da Toti e da Cirio, che hanno sottoscritto un accordo affinché i piemontesi che per le ferie si spostano in Liguria possano fare il richiamo nel luogo di vacanza. E viceversa. Figliuolo ha preso tempo prima di autorizzare. Poi ha stabilito che “laddove per eccezionali motivi dovesse rendersi necessaria la somministrazione della seconda dose a lavoratori e turisti che soggiornano al di fuori della Regione di residenza per un periodo di permanenza congruo, questa struttura, qualora informata con adeguato preavviso, è disponibile al riequilibrio delle dosi da distribuire”. Riequilibrio che potrebbe rappresentare una ulteriore zavorra per la struttura commissariale.

Non è un caso, probabilmente, che nel corso di una intervista a Radio 24, Figliuolo abbia poi definito l’operazione “più uno spot che una necessità”, anche se “già siamo organizzati per i lavoratori non residenti o chi si sposta in altra regione per lungo tempo” e con le attuali procedure, “qualora correttamente implementate” sia già possibile “la regolare tenuta dei flussi informativi”.

Ora le altre Regioni si dicono disponibili a procedere. Lo fa la Campania, lo fa la Puglia, lo fa l’Emilia-Romagna. Idem la Lombardia, che aveva già deciso di anticipare la seconda dose, dal 28 giugno, per consentire ai cittadini di organizzarsi le vacanze. L’assessore alla Salute della Puglia, Pier Luigi Lopalco, è entusiasta: “Siamo stati tra i primi a sollevare questo tema – dice –, essendo tanti i cittadini residenti fuori regione che hanno forti legami con la Puglia, magari perché di origine pugliese, e quindi sono abituati a trascorrere anche l’intero periodo delle vacanze nella nostra regione. La cabina di regia è già al lavoro per trovare una soluzione semplice”.

Tutto bene? Non proprio. Ci sono ancora tante domande senza risposta. Periodo di permanenza congruo cosa vuole dire? Tre settimane, un mese o anche più? E come sarà gestita tecnicamente la partita? Chi avrà l’onere di comunicare alla regione di residenza l’avvenuta vaccinazione? Sarà compito del cittadino o dell’azienda sanitaria dove è stata effettuata la somministrazione? “La Campania è disponibile, ma dovrà esserci una piattaforma nazionale”, dicono i collaboratori del presidente Vincenzo De Luca. Mentre la Regione Emilia-Romagna spiega che probabilmente realizzerà un portale online ad hoc. Appare in ogni caso certo, in base a quello che trapela dalla Conferenza delle Regioni, che un’anagrafe vaccinale nazionale dedicata alle vaccinazioni in vacanza proprio non ci sarà: la struttura non ha le risorse per gestire l’operazione. Semmai tutto dovrebbe incardinarsi con accordi tra singole Regioni. Ma in ogni caso serviranno ancora incontri con la struttura commissariale e anche con il ministero della Salute per capire come procedere. E solo con la macchina messa in moto scatterebbe anche la rendicontazione al commissario Figliuolo.

AZ ai giovani, arriva lo stop “Nuove indicazioni sull’età”

Si corre ai ripari. L’uso dei vaccini a vettore virale per i giovani, in particolare AstraZeneca ma anche Johnson & Johnson, sarà limitato. In quali termini dovrebbero definirlo oggi, dopo le valutazioni del Comitato tecnico scientifico. “C’è un’attenzione che definirei suprema su eventuali effetti collaterali”, spiegava ieri mattina Franco Locatelli, coordinatore Cts.

Anche il sottosegretario Pierpaolo Sileri preme: “Lo dico da un mese, sono opportune nuove indicazioni ora che l’incidenza del virus è scesa”. Bisogna stabilire se eliminare del tutto quei vaccini per gli under 60, rendendo cioè stringente quella che fin qui è stata solo una raccomandazione, oppure fissare un limite d’età più basso come hanno fatto in altri Paesi, mentre altri ancora hanno eliminato del tutto Az e gli Usa non l’hanno mai autorizzato. “Secondo me – prevede Sileri – si valuteranno dei limiti di non fattibilità sotto i 30 o sotto i 40 anni. Comunque le valutazioni le lascerei agli scienziati”. Si è discusso anche dell’ipotesi di fare i richiami con i vaccini a mRna (Pfizer/Biontech e Moderna) a chi ha avuto la prima dose di AstraZeneca, per quanto gli eventi avversi più preoccupanti si siano quasi sempre verificati dopo la prima iniezione e non dopo la seconda.

Sono, come ormai sappiamo, trombosi rare per lo più cerebrali, spesso associate a una carenza di piastrine (trombocitopenia), più frequenti nelle donne sotto i 50 anni. Il nesso con i vaccini è affermato da diversi studi, per quanto il meccanismo della loro insorgenza non sia ancora pienamente definito. Ieri un’altra donna, 34 anni, è stata ricoverata al San Martino di Genova con sintomi compatibili. Fortunatamente è stata assistita prima della 18enne che versa ancora in condizioni definite “gravi ma stabili” nello stesso ospedale dopo due interventi chirurgici alla testa. C’è un altro caso in Toscana, uno in Calabria. È atteso anche il Quinto rapporto dell’agenzia del farmaco Aifa con i dati fino al 26 maggio: un mese fa eravamo a 0,45 casi ogni 100 mila vaccinati, ma in Gran Bretagna dove hanno più vaccinati sono a 1,8 nella fascia d’età 18/49, mentre si scende a 1 sopra i 50. La stessa Ema, l’agenzia europea che ha autorizzato Az e J&J senza limiti di età, rileva che per i più giovani i rischi superano quelli del Covid-19, specie ora che i contagi sono calati.

La pressione del mondo scientifico per limitarne l’uso è cresciuta. Agli appelli dei medici vaccinatori di Genova e di un nutrito gruppo di scienziati che ha scritto all’associazione Luca Coscioni, di cui il Fatto ha dato notizia nei giorni scorsi, si sono aggiunti altri autorevoli professori, sia pure con toni diversi: dai microbiologi Andrea Crisanti di Padova e Andrea Clementi del San Raffaele di Milano all’immunologa Antonella Viola sempre di Padova.

È chiaro a tutti che gli Open day dai 18 anni su con il vaccino anglosvedese hanno creato qualche rischio di troppo, per quanto gli under 60 siano stati vaccinati solo perché “volontari” e informati – almeno in teoria – dei rischi e delle raccomandazioni. L’hanno fatto molte Regioni, dal Lazio all’Alto Adige e alla Liguria, ma ora alcune fanno marcia indietro: così ha annunciato ieri la Campania, che userà vaccini a Rna messaggero. Lazio, Calabria e Sicilia invece vanno avanti. La Val d’Aosta attende indicazioni da Roma.

Del resto lo stock di Az accumulato nei frigoriferi ammonta, secondo stime attendibili, a ben 1,4 milioni di dosi, contro un totale di 1,7 milioni ripartite però su tre produttori: 0,7 Pfizer, 0,5 Moderna e 0,5 J&J. Ovviamente una parte di questi quantitativi dipende solo dal flusso delle consegne e delle somministrazioni, che prosegue a ritmo sostenuto. AstraZeneca e Johnson sarebbero destinati “preferenzialmente” agli over 60, tra cui ci sono almeno due milioni di non vaccinati, ma evidentemente è stato somministrato anche a migliaia di giovani, decisi a vaccinarsi al più presto.

Le larve intese

Fa discutere il processo a Torino contro l’assistente di Gianni Vattimo per circonvenzione di incapace ai danni del grande filosofo, che peraltro nega di essere mai stato circonvenuto. In ogni caso, se anche il reato ci fosse, sarebbe circonvenzione di capace. Intanto, nell’indifferenza generale, si consuma una collettiva circonvenzione di incapaci (e anche di capaci): quella del governo più sopravvalutato della storia ai danni del popolo italiano. È una sorta di incantesimo a mezzo stampa e tv che obbliga tutti a giurare fedeltà a Draghi e pure ai suoi ministri, quasi tutti scarsi, per non parlare di altri fenomeni tipo il commissario Penna Bianca. Chiunque azzardi una sia pur timida critica viene additato come sabotatore e disfattista, nemico del popolo e della nazione. E se chi rappresenta in Parlamento un milione di elettori si permette di suggerire una legge, un emendamento, un comma, apriti cielo! Come osa la zecca “piantare bandierine in un momento come questo”? “Tirare Draghi per la giacchetta”? Non sa che “i partiti devono fare un passo indietro” (perchè, non è dato di sapere)? Non sa che “l’Europa ci guarda e non vuole divisioni in questa fase” (Conte invece si poteva lapidarlo; e figurarsi se ci guardassero pure l’Asia, l’Africa, l’America e l’Oceania)? A questo sortilegio tutto magico e niente politico si può opporre soltanto la forza dei fatti, casomai fregassero a qualcuno.

Finora, a parte copiare il 95% del Recovery Plan (con un 5% peggiorativo) e proseguire (in peggio) la campagna vaccinale del governo precedente, questo Governo dei Mediocri spacciati per Migliori ha, nell’ ordine: varato il condono fiscale e la sanatoria sui precari della scuola, nascosto un condono edilizio nel Superbonus, attentato ai poteri dell’Anticorruzione, sbloccato i licenziamenti, cancellato il salario minimo, anticipato la chiusura delle scuole dopo aver promesso di allungarla, sdoganato il Ponte sullo Stretto, dirottato la transizione ecologica su nucleare, idrogeno blu e inceneritori, gonfiato i consensi alle destre. E ora pasticcia sugli Open Day per svuotare i magazzini pieni di Astrazeneca e Johnson&Johnson, mettendo in pericolo i giovani (che rischiano più da quei vaccini consigliati agli over 60 che dal Covid). Un giorno o l’altro, si avvererà la fiaba di Andersen del re vanitoso che, convinto da due impostori a indossare un abito magnifico, ma invisibile agli stolti e agli indegni, sfila in déshabillé senza che nessuno obietti alcunché, perché tutti temono di passare per stolti o per indegni. Finché un bimbo, ignaro di tutto, rompe l’incantesimo: “Ma il re è nudo!”. E scattano 92 minuti di applausi (ah no, quelli erano per Fantozzi sulla Corazzata Potëmkin, ma ci siamo capiti).