Andrés Manuel Lopez Obrador si tiene la maggioranza alla Camera secondo i risultati delle elezioni parlamentari di domenica. Ma con i suoi alleati di “Insieme facciamo storia”, Verdi e Partito dei lavoratori, non raggiunge la maggioranza assoluta che gli avrebbe permesso di attuare la “Quarta transizione”: cioè le riforme costituzionali. Eppure Amlo si è detto “felice. Molto felice” del risultato: 279 scranni di cui 197 di Morena contro i 313 del 2018 di cui 256 di Amlo. Talmente felice che, nella mañanera di ieri, la consueta conferenza stampa mattutina, è arrivato a sostenere di non aver anzi mai avuto in passato la maggioranza assoluta alla Camera (251 su 500 deputati). È stata tutta una “distorsione dei media”, ha assicurato Amlo. La verità è che – se all’interno della sua coalizione ad acquistare maggiore peso sono i Verdi – vero exploit di queste parlamentari di medio termine, 44 deputati a fronte degli 11 del 2018, in Parlamento l’opposizione è riuscita a intaccare la forza di Morena, con il blocco di Pri, Pan e Prd a 197 seggi contro i 137 dell’ultimo voto. La nota davvero stonata per il presidente è stata Città del Messico, dove, secondo le attese, Morena è crollato in quattro città chiave per il partito, che resta così con sole sei città contro le otto dell’opposizione. “Si deve lavorare di più con la gente qui a Città del Messico”, ha fatto autocritica il presidente alla mañanera. “Perché è una contraddizione che vinciamo a Taumalipas, Bassa California, Sinaloa e Sonora”. Soprattutto “bisogna tenere conto che qui c’è un maggiore bombardamento dei mezzi di informazione. Qui è dove si risente di più della guerra sporca, dove si può leggere l’Economist”, è stata l’analisi del presidente, in riferimento all’articolo critico uscito del giornale inglese: “Si stordisce e si confonde, è propaganda dalla mattina alla sera”. In controtendenza il voto sul territorio, dove Amlo su 15 governatori da rieleggere, ne incassa almeno 10. A festeggiare sono le candidate donne che governeranno in cinque Stati: Colima, Tlaxcala, Guerrero e Chihuahua e Bassa California. Un risultato storico.
Sassonia, la Cdu si intesta il successo targato Haseloff
In Sassonia-Anhalt, la Cdu del presidente Reiner Haseloff ha vinto, anzi ha stravinto. Ma la Cdu del candidato cancelliere Armin Laschet deve essere cauta nel proiettare il successo di domenica verso le elezioni politiche del 26 settembre, perché gli elementi di insoddisfazione – corruzione e scandali, specie quello delle mascherine – che azzoppano il partito a livello federale restano intatti. Il prestigio di Haseloff, al potere dal 2011, e la sua gestione della pandemia sono fattori importanti nei risultati della Sassonia. Sul pennone della presidenza a Magdeburgo, Haseloff può scegliere quale bandiera alzare: quella dell’alleanza nero-rosso-verde uscente tra Cdu, Spd e Verdi; o quella Giamaica Cdu-liberali-Verdi; o quella nero-giallo-rossa Cdu-liberali-Spd. Qualsiasi coalizione metta insieme, ha la maggioranza.
La Cdu ha avuto oltre il 37% dei voti, guadagnandone più del 7%, mentre l’AfD di estrema-destra è scesa di oltre tre punti al 20,8%. La sinistra della Linke è all’11% (-5,3%, mai così in basso). L’Spd cala all’8,4% (-2,2%). Guadagnano, ma meno del previsto, i Verdi con il 5,9% – volevano andare in doppia cifra –; e tornano del parlamento regionale i liberali dell’ Fdp con il 6,4%. I sondaggi, fino alla vigilia, davano Cdu e AfD testa a testa: un risultato che poteva destabilizzare la scena federale, con contraccolpi sulla campagna per il voto del 26 settembre. Ma la paura dell’AfD, che ha giocato a favore della Cdu in Sassonia – Anhalt, non pesa altrettanto a livello federale, dove l’estrema destra è accreditata di meno di un voto su otto. E Laschet, in Sassonia, ha tassi di popolarità inferiori a quelli della candidata cancelliere dei Verdi Annalena Baerbock e persino del candidato Spd Olaf Scholz.
L’incubo del sorpasso rintuzzato ha comunque ringalluzzito i dirigenti cristiano-democratici. Laschet ha detto: “La Cdu è il baluardo contro l’AfD”. Il governatore del NordReno-Vestfalia non intende “cambiare di un millimetro la linea di centro” e conferma la “demarcazione verso destra”: nessun accordo con l’AfD, né di coalizione, né di collaborazione. Di “risultato sensazionale” parla il segretario generale della Cdu Paul Ziemiak. “Un candidato forte, un profilo di centro chiaro e una campagna determinata… Così, la Sassonia-Anhalt resta stabile”. Per il capogruppo parlamentare Ralph Brinkaus, la vittoria in Sassonia “ci mette il vento nelle vele verso Berlino”: “è una vittoria anche per Laschet e per tutta l’Unione”, compresa la Csu bavarese, che voleva candidare alla cancelleria il suo leader Markus Soeder. Per la Cdu, è una buona notizia anche la modesta performance dei Verdi, che crescono molto meno del previsto – qualche errore tattico li ha penalizzati –, mentre la batosta dei socialdemocratici non fa più notizia, il loro è uno dei risultati peggiori di sempre nella storia della Repubblica federale.
L’AfD di Oliver Krichner resta solida seconda. Per questo, il leader nazionale Alexander Gauland ostenta “soddisfazione”: il grande peso politico dell’estrema-destra all’Est è confermato, ma l’ambizione era il sorpasso. Ammaccato da scandali che toccano il ministro della Salute Jens Spahn e numerosi parlamentari, con dimissioni in serie, sulle mascherine e in generale sui dispositivi di protezione anti-Covid – l’ultimo l’ha denunciato nel fine settimana la Bild am Sonntag –, il partito di Angela Merkel resta vitale. Ma la via del successo il 26 settembre resta impervia e accidentata.
Algeria, la democrazia per finta: i soliti noti favoriti alle elezioni
Secondo il Comitato nazionale per la liberazione dei detenuti (Cnld), al 31 maggio, 200 persone si trovavano dietro le sbarre per aver espresso le loro opinioni in Algeria. Sono oppositori politici, attivisti per i diritti umani, giornalisti e militanti dell’Hirak, il movimento nato nel febbraio 2019 in opposizione al quinto mandato del presidente Abdelaziz Bouteflika, poi costretto a dimettersi. Gli algerini hanno ricominciato a manifestare il 22 febbraio scorso, a un anno dalla nascita del movimento, e dopo la lunga sospensione dovuta all’epidemia di Covid-19, per tornare a reclamare un cambiamento radicale del sistema politico, sempre lo stesso dall’indipendenza dalla Francia del 1962, e la nascita di una nuova Algeria democratica. Il 18 febbraio, il presidente Abdelmadjid Tebboune, eletto nel dicembre 2019 con un tasso di partecipazione ufficiale del 40%, aveva graziato diverse decine di detenuti politici e annunciato le elezioni anticipate al 12 giugno per rinnovare il Parlamento. Said Salhi della Lega algerina per i diritti umani (Laddh) aveva definito la mossa di Tebboune un “primo passo dopo mesi di ingiustizie e repressioni”, ricordando che la democrazia “non si limita alle elezioni”, ma implica anche il rispetto “della libertà di espressione e di manifestazione”.
Si è capito ben presto che le elezioni indette da Tebboune erano una finta apertura, il tentativo da parte del presidente di riprendere il controllo della situazione e smorzare in partenza la ripresa delle proteste. I cortei sono quindi andati avanti. Dalla strada sono saliti appelli a boicottare il voto. Ma da quando la campagna per le Legislative è iniziata, il 20 maggio, il governo reprime in ogni modo le manifestazioni. I cortei settimanali dell’Hirak del venerdì, dopo la preghiera, vengono impediti, i controlli si inaspriscono. Il governo ha votato anche una nuova legge ad hoc per la quale, dal 9 maggio, ogni manifestazione, per potersi tenere, deve ottenere l’autorizzazione preventiva del ministero dell’Interno. I manifestanti sono tenuti a comunicare gli orari, l’itinerario del corteo e gli slogan utilizzati. Ogni manifestazione dell’Hirak viene quindi sistematicamente vietata. Il 14 maggio una decina di giornalisti e fotografi sono stati arrestati, tra cui Khaled Drareni, corrispondente ad Algeri della tv francofona TV5, già stato arrestato nel marzo 2020 e mantenuto in carcere per dieci mesi. Da allora Drareni è diventato uno dei volti simbolo della lotta per la libertà di stampa. La Laddh continua a denunciare la “repressione sproporzionata e ingiustificata” della forze dell’ordine: “È evidente che il regime vuole far tacere le voci prima delle elezioni, massicciamente respinte dalla popolazione”, ha detto Said Salhi alla stampa francese. Amnesty International ha più volte denunciato gli “arresti sommari”. Il 14 è stata arrestata anche Kenza Khatto, giornalista politica di Radio M, con i capi d’accusa di “attacco all’unità nazionale” e “istigazione a riunioni disarmate”. Il 18, è stato arrestato Ihsane El Kadi, direttore di Radio M e del sito di informazione Maghreb émergent, per i contenuti di un suo articolo. Dovrà rendere conto di “diffusione di false informazioni” e “turbativa di elezioni”. “A ogni elezione si assiste a una escalation della repressione – ha spiegato la politologa Dalia Ghanem-Yazbeck al giornale francese La Croix – il regime sta dispiegando un intero arsenale: la strumentalizzazione del sistema giudiziario, la minaccia di vietare i partiti politici del Patto per un’alternativa democratica, l’autorizzazione obbligatoria per le manifestazioni”. Il 10 maggio quasi 1.500 liste elettorali sono state confermate dalla Anie, l’autorità nazionale indipendente per le elezioni. Di queste circa 800 si definiscono “indipendenti”. Ma la maggior parte sono legate ai partiti di potere, il Fronte di Liberazione nazionale (Fnl) e l’Unione nazionale democratica (Rnd). Il Movimento per la Società e la Pace (Msp) di Abderazzak Makri si presenta con una coalizione comune insieme alle altre formazioni islamiste.
I partiti progressisti, di sinistra e laici, come il Fronte delle forze socialiste (Ffs) e il Partito dei lavoratori (Pt), hanno deciso di ritirarsi. Circa 1.200 liste sono state respinte sulla base delle disposizioni della nuova legge elettorale, che fissa le regole di finanziamento delle campagne e vieta ai candidati di ricevere denaro dall’estero. Il 12 giugno l’astensione potrebbe essere da record, come fu per il referendum costituzionale del novembre 2020.
Il re ama le bocce, lo zar i soldatini: giochi da ragazzi
Propaggini. “I bambini giocano/ nuovissimi giuochi,/ noiose astruse propaggini/ del giuoco dell’oca” (Eugenio Montale).
Tasselli. “Puzzle divisi per numero di tasselli. Mentre quelli per bambini scendono a un minimo di 20, 15, 10, per gli adulti è facile trovare in commercio piccole bare, kg 11,5, contenenti puzzle di 6.000 pezzi, che si possono fare solo a patto di possedere un tavolo di cm 157,5×107 (anzi due tavoli, come sa chi s’intende di puzzle). Nel 1985 la Ravensburger ha messo in commercio un puzzle di 12.000 pezzi. Nel film di Orson Welles Citizen Kane (1941) la seconda moglie, nel castello, fa un puzzle di 5 metri quadrati e forse più”.
Bruti. Solo i bruti usano per il Backgammon dadi che abbiano un lato superiore ai 5 mm”.
Bocce. “Gli storici seri… per bocce e birilli non fanno discorsi che vadano più in là del Medioevo. Anche gli aneddoti sono pochi. Si dice che le bocce su prato furono il gioco preferito di Enrico VIII d’Inghilterra. Sotto di lui la popolarità del gioco tanto crebbe che si cominciò a praticarlo su appositi campi coperti, presto trasformati in luoghi di malavita. Il figlio di Enrico VIII, Edoardo VI, ne ordinò la chiusura in tutto il regno”.
Soldatini. “Maria de’ Medici regalò al figlio, Luigi XIII re di Francia dall’età di nove anni, 300 soldatini d’argento. Più avanti negli anni Luigi XIII, i soldatini, se li faceva da sé (ancora al giorno d’oggi c’è chi pratica questo tipo di bricolage). Il figlio di lui, Luigi XIV, arricchì la collezione di famiglia ricorrendo anche alle arti di un famoso ingegnere militare, il quale inventò dei meccanismi che permettevano ai soldatini di muoversi da sé. Lo zar Pietro III aveva tanti soldatini che riempivano un grande salone. Tutti i giorni li passava in rassegna, in divisa: dovevano mettersi in divisa anche gli ospiti che lo accompagnavano”.
Bambini. “Nei pochi momenti solenni dei regali, per il bambino c’erano Regali Veri e, ahimè, Regali Utili. Scarpe e vestiti erano Regali Utili. Graditi, ma senza musica, muti… Regali Veri erano spade e fucilini, bambole e pentolini. Quaderni, pennini, matite, astucci, cartelle erano Regali Utili o Regali Veri? Per qualche bambino lombrosianamente cattivo forse quaderni pennini matite astucci erano Regali Utili, forse. Ma per i bambini buoni, detti anche Bravi Bambini, quaderni pennini matite astucci cartelle erano Regali Veri. Il Primo Giorno Di Scuola, e soprattutto il Primissimo Giorno Di Scuola, nella prima classe delle elementari, era più bello che non il Natale (o la Befana, o San Nicola, o Santa Lucia, a seconda dei luoghi)”.
Pennino. “Far scrivere un bambino d’oggi col pennino inastato sulla cannuccia sarebbe una fra le prove più stranianti. La piccola cavia dovrebbe sedere in un banco che abbia al posto giusto un buco, e nel buco ci dovrebbe stare un calamaio di ferro, e dovrebbe arrivare il bidello coll’ampolla dell’inchiostro a riempire o rabboccare il calamaio. Che poi dal calamaio si peschino palline di carta assorbente, potrà sembrare ovvio. Meno ovvio forse sembrerebbe il fatto che in tutti i calamai di tutti i banchi ci fosse qualche mosca morta. Ma il mondo dei Bambini D’Una Volta era pieno di mosche”.
Hegel. “La cosa migliore che il bambino possa fare del suo giocattolo è romperlo” (Georg Wilhelm Friedrich Hegel).
Notizie tratte da: Giampaolo Dossena,
“Abbasso la pedagogia”, Marietti 1820, 2020 (ristampa; I edizione: Garzanti, 1993)
Quanto vale il silenzio mafioso
Aseguito della scarcerazione del collaboratore Giovanni Brusca dopo 25 anni di carcere, è stato anche ipotizzato che egli non abbia rivelato tutto quanto sapeva sulle stragi del 1992 e del 1993. Non so se sia il caso di Brusca, ma è possibile formulare l’ipotesi che alcuni collaboratori abbiano taciuto segreti di cui sono a conoscenza per autotutelarsi nei confronti di entità ritenute in grado di colpirli nonostante le misure di protezione.
Lo strano suicidio in carcere di Antonino Gioè, esecutore della strage di Capaci a conoscenza dei retroscena politici della strategia stragista e uomo di collegamento con soggetti esterni, lo strano omicidio di Luigi Ilardo, importante capo mafia, poco prima che iniziasse a collaborare e a rivelare, come aveva già anticipato, l’identità di mandanti esterni di stragi e omicidi eccellenti eseguiti dalla mafia, le strane visite ricevute in carcere dal capo mafia Antonino Giuffrè, quando ancora la sua collaborazione era segretissima, da parte di sconosciuti mai identificati che lo invitavano a tacere e a suicidarsi, e tanti altri episodi inquietanti costituiscono punti di emersione della occulta partecipazione di altri players oltre ai mafiosi al “gioco grande”, come Falcone definiva la lotta per il potere, che si svolse durante gli anni delle stragi e che fu giocato contemporaneamente su vari tavoli, alcuni dei quali restano significativamente ancora avvolti nel segreto.
Laddove inizia il segreto impenetrabile inizia il vero potere. A questo proposito meritano riflessione i tanti segreti che Riina tenne per sé. Riina non rivelò agli altri capi mandamento palermitani l’identità dei soggetti esterni che gli avevano dato garanzia di coprirgli le spalle, non rivelò il sofisticato piano di destabilizzazione politica lungamente discusso nella seconda metà del 1991 solo all’interno di una ristrettissima élite di capimafia regionali tra i quali Benedetto Santapaola e Giuseppe Madonia, non spiegò perché aveva improvvisamente richiamato a Palermo la squadra di killer capitanata da Messina Denaro che si apprestava a uccidere Falcone a Roma dove in quel periodo egli camminava spesso senza scorta, per ucciderlo invece a Palermo eseguendo una strage che richiedeva elevatissime competenze tecniche e presentava un notevole rischio di insuccesso. Non spiegò perché aveva deciso di anticipare l’omicidio di Borsellino, senza attendere i pochissimi giorni che mancavano alla data del 7 agosto 1992 quando il Parlamento avrebbe dovuto decidere se convertire o meno in legge il c. d. decreto Falcone che dopo la strage di Capaci aveva introdotto il 41-bis e il regime dell’ergastolo ostativo. Era evidente che l’esecuzione di una seconda strage eclatante in prossimità del voto parlamentare avrebbe coagulato la maggioranza necessaria per la conversione in legge. Riina si rifiutò di spiegare le motivazioni di una decisione che appariva assolutamente controproducente per gli interessi di Cosa Nostra. Tagliò corto e disse che si assumeva tutta la responsabilità. Fu a quel punto che alcuni capi mandamento come Salvatore Cancemi capirono, come questi ha dichiarato, che Riina doveva rispondere a qualcuno e che altri come Raffaele Ganci commentarono che Riina avrebbe portato Cosa Nostra alla rovina.
Sempre a proposito di segreti impenetrabili, va ricordato che ancora non sappiamo chi erano gli “infiltrati della polizia” nella strage ai quali fece riferimento Franca Castellese, moglie del collaboratore Mario Santo Di Matteo scongiurandolo di non farne menzione ai magistrati per salvare la vita del loro secondo figlio dopo che il primo, il piccolo Giuseppe, era stato rapito. Non sappiamo chi era il soggetto esterno visto da Gaspare Spatuzza al momento del caricamento dell’esplosivo. Non conosciamo l’identità del soggetto esterno che immediatamente dopo l’esplosione si impossessò dell’agenda rossa di Borsellino andando a colpo sicuro e con un tempismo talmente eccezionale da fare ritenere che fosse stato preventivamente messo a conoscenza del luogo e dell’orario esatto dell’esecuzione della strage. Si potrebbe continuare con un elenco molto lungo di punti oscuri e di verità nascoste che ancora non conosciamo, nonostante le dichiarazioni rese da vari collaboratori e che hanno tutte un unico comun denominatore: riguardano l’operare dietro le quinte di soggetti esterni durante la campagna stragista. Alcuni di questi segreti sono certamente a conoscenza di alcuni dei capi di Cosa Nostra condannati all’ergastolo per le stragi.
È possibile ipotizzare che proprio per questo motivo taluni di essi non ritengono di potere collaborare. Un conto è affrontare il pericolo di ritorsioni da parte della mafia miliare, altro è sfidare entità dotate di risorse ben superiori e in grado di raggiungerti ovunque.
Spero di sbagliarmi, ma è ragionevole presumere che le residue speranze che alcuni di costoro possano collaborare si sono ridotte ai minimi termini a seguito delle sentenze della Corte EDU e della Corte costituzionale che, al di là delle migliori intenzioni, hanno di fatto aperto la possibilità anche per costoro di uscire dal carcere senza collaborare, dimostrando di essersi dissociati dalla mafia e di non essere più pericolosi. Vari fattori inducono a ritenere che il “gioco grande” non si è mai interrotto ed è ancora in pieno svolgimento.
Quelle targhe sbagliate, che lasciano ricordi più forti
La recente vicenda della targa dedicata all’ex presidente della Repubbica Carlo Azeglio Ciampi con relativo errore ha innescato in me una sorta di piccolo effetto domino. In verità, in un primo momento, e dopo aver appreso che il responsabile dell’errore è stato rimosso (licenziato? incarcerato? fucilato?) ho provato un po’ di sgomento cercando tra me e me di giustificarlo. Forse, mi sono detto, avrà pensato che al pari di biliardo o bigliardo così come famigliare o familiare, la sostanza non sarebbe cambiata. E poi, trattandosi di nome d’altro profilo, possibile che nessun altro occhio abbia notato l’inesattezza, lasciandolo così, solo nella tempesta? Gli auguro comunque di non passare troppi guai e vengo ora all’effetto di cui sopra che dapprima mi ha riportato alla memoria uno splendido racconto di Andrea Camilleri, appunto intitolato La targa, ambientato in epoca fascista, che narra le traversie del consiglio comunale di Vigata per adeguare la detta targa alle scoperte che si succedono sulla vita del soggetto cui è intitolata. Ovvio che ciò che è narrato in successivi colpi di scena nulla ha a che vedere con la vita dell’ex presidente Ciampi, ma il pensiero associativo funziona così, è anarchico in un certo senso. E, di targa in targa, ecco che, poiché come si dice tutto il mondo è paese o in alternativa il mondo è piccolo, mi sovviene una terza targa, indigena questa, posta su una viuzza, o contrada, del mio paesello a celebrare la memoria del poeta milanese Carlo Porta. Sulla quale la mano di buontemponi, ispiratisi probabilmente grazie alla prossimità di una mescita di vini e generi affini, ha elaborato l’iscrizione trasformandola come fedelmente si riporta: “SuvVia, Carlo, PortaCi da bere”. Resiste da anni ormai, a segno che nessuno se n’è sentito offeso o abbia gridato all’iconoclastia. Anzi, qualche turista attento la fotografa con un mezzo sorriso. Quando si dice, o si diceva, la fantasia al potere.
Il prossimo nemico: la zanzara
È assolutamente comprensibile che, passata la pandemia, si polarizzi l’attenzione su quale virus o altro microrganismo sarà il nuovo nemico globale. È comune pensiero che si possa trattare di un microrganismo a trasmissione respiratoria, la più temibile per capacità di diffusione. Attenzione a non sottovalutare un’altra minaccia, il cambiamento climatico che provocherà, a breve, una nuova rivoluzione infettivologica. La specializzazione medica, attualmente titolata “Malattie Tropicali”, dovrà necessariamente cambiare intestazione, perché quelle che fino a oggi abbiamo considerato malattie non di pertinenza della nostra zona geografica, potrebbero riguardarci direttamente. Mi riferisco soprattutto alle infezioni trasmesse da vettori, quelle che comunemente chiamiamo “da puntura di zanzara”. Questi piccolissimi insetti sono considerati il primo animale killer sulla Terra (al secondo posto, tristemente, c’è l’uomo!). La zanzara Anopheles è l’unica specie riconosciuta quale causa della trasmissione della malaria. La zanzara Culex può trasmettere l’encefalite, la filariosi e il virus del Nilo. La zanzara Aedes , di cui la zanzara tigre (Aedes aegypti) è un membro, trasmette la febbre gialla, la dengue, la chikungunya e l’encefalite. Il processo di trasmissione del parassita infettante è diverso per ciascuna malattia, ma in tutti i casi l’infezione avviene attraverso la fastidiosa puntura dell’insetto. Avvantaggiato da climi sempre più caldi e dalla riduzione dei climi estremi invernali che ne contenevano la diffusione, sta conquistando zone. Benché, a oggi, le malattie trasmesse da tali vettori non siano trasmissibili nel contatto uomo-uomo, sono estremamente temibili per l’assenza di vaccini e di terapie mirate. Non si combattono con le misure che abbiamo appreso durante la pandemia, ma è urgente provvedere con nuove tecniche tutte da esplorare, ma bisogna fare presto.
Dài, facciamo “i scherzi” alla destra
“La sinistra è gioco, divertimento, fantasia, alabarda spaziale!”, esultava Corrado Guzzanti nei panni eleganti di un Fausto Bertinotti burlone. Ricordate quando rivolto a Serena Dandini, il grande Corrado Bertinotti teorizzava che la sinistra “non può stare al governo ma all’opposizione perché deve fare ‘i scherzi”’? E infatti si divertiva da matti a far cadere i governi del povero Prodi. Poi, la sinistra trastullona, mutato bersaglio, ha cominciato a fare “i scherzi” alla destra alimentando gli incubi più agghiaccianti di Salvini, Sallusti e Del Debbio. Avete presente la “sostituzione etnica” che in pochi anni avrebbe comportato la pressoché completa sparizione degli italiani dall’Italia con l’avvento di un nuovo popolo composto da molteplici etnie africane sbarcate nottetempo? Oppure, la dittatura Lgbt che, complice la legge Zan, toglie il diritto di parola e punisce chi non è d’accordo che nelle scuole s’imponga l’insegnamento obbligatorio del cambiamento di sesso? Scherzi strepitosi per poi sghignazzare nascosti dietro i muri alle spalle di chi ci casca finché ecco il capolavoro. In un’uggiosa domenica di giugno si ha notizia che un gruppo di deputati di Pd, 5Stelle, Italia Viva e Leu hanno depositato alla Camera una proposta di legge per chiedere che Bella ciao sia considerata Inno della Resistenza e venga dunque eseguita ogni 25 aprile, dopo l’Inno di Mameli, in tutte le cerimonie ufficiali per la Festa della Liberazione. Bastava pazientare un attimo e infatti, patapunfete, ieri titolone in prima pagina del Giornale: “Follia sinistra. Vogliono farci cantare Bella ciao per legge”. Orrore, “una canzone partigiana utilizzata come stendardo politico contro chiunque non sia allineato e coperto a sinistra”. Corrado, Serena, forza, ritornate presto tra noi: il programma lo fanno loro.
Mail box
L’acquisizione di Aspi è un furto a noi cittadini
Ho letto l’articolo di Giorgio Ragazzi sul Fatto di ieri. Di fronte ad articoli come questo rimango letteralmente esterrefatto. Siamo in presenza di veri e propri furti a danno dei cittadini, eppure nessuno fiata. Possibile che non si possa procedere contro gli estensori delle convenzioni, per esempio quella che concede la maxi-multa in caso di rescissione anticipata, che i politici responsabili, e non solo loro, non debbano mai essere richiamati alle loro responsabilità?
Giuseppe Noera e Romano Lenzi
Sul caso di “Bella Ciao” vorrei solo dire due cose
Perdonatemi, non voglio rubare tempo a nessuno. Sono nato il 25 maggio 1934, a Manoppello (PE). Mio fratello Raffaele, classe 1926, ha fatto la Resistenza nella gloriosa Brigata Partigiana Maiella, negli anni 1944 e 1945, con tanto di attestato. All’epoca avevo 10-11 anni e ricordo con estrema lucidità che, quando veniva a casa, cantava la canzone del partigiano: Bella Ciao. Cantavo questa canzone in quarta elementare, il primo anno di scuola dopo l’invasione tedesca. Ho voluto raccontare questo episodio di testimonianza vissuta perché ancora non accetto che nel Canzoniere di Pasolini, o in riviste come Folklore, non sia comparsa la canzone Bella Ciao. Perdonatemi, ma in quell’epoca molte cose venivano volutamente ignorate o fatte scomparire da ex gerarchi fascisti travestiti da democristiani. Vi prego di far luce su questo argomento, perché ancora oggi stanno infangando quel passaggio storico. Sarei orgoglioso al solo pensiero che Bella Ciao possa diventare il secondo Inno nazionale dopo quello di Mameli. Un abbraccio a tutti voi del Fatto.
Santino D’Astolfo
Nemmeno la tassa al 15% può toccare i big del Web
Ci è voluto un summit internazionale per prospettare una tassazione del 15 per cento sui profitti dei potentati economici internazionali, che sino ad oggi se la sono cavata con aliquote del tutto irrisorie. Ma anche questa ipotesi appare del tutto inadeguata, se pensiamo che in Italia su un reddito di quindicimila euro si applica un’imposta del 23 per cento, per passare anche al 38 per cento sui redditi superiori ai ventisette. Pertanto è evidente che in tal modo non si vanno a toccare le rendite di posizione dei colossi del Web, e altrettanto chiara appare la necessità che il nostro Paese operi una rimodulazione delle aliquote Irpef, riducendo quelle sui redditi medio-bassi, ferma restando la progressività. Altrimenti i cittadini non potranno che pensare di essere costantemente presi in giro dai loro governanti.
Loris Parpinel-Prata
Centrosinistra o 5 Stelle, qualcuno batta un colpo
Cosa c’è dietro il comportamento di Letta e Salvini? Il caso Lotti, accusato di corruzione riguardo all’inchiesta Open; il caso Durigon, il quale ha dichiarato che “quello della finanza l’abbiamo scelto noi” per l’indagine dei 49 milioni della Lega. Nessuno attacca nessuno. Questi sono i presupposti per la riforma della Giustizia? Vedere la politica di un Paese lavorare così è lacerante. Se c’è qualcuno del centrosinistra, o dei 5 Stelle, batta un colpo. Noi cittadini ci sentiamo svuotati da questo cincischiare. La destra ci sta asfaltando, il Paese sta andando alla deriva. Rimane la speranza che l’ex presidente Conte faccia in tempo per metterci in salvo.
Roberto Mascherini
“Repubblica”, pubblicità al mondo conservatore
Condivido pienamente la lettera di domenica scritta sul Fatto da Biagio Passalacqua. Anche io, che negli anni 60 leggevo Paese Sera, ho atteso Repubblica di Eugenio Scalfari e l’ho letta per anni. Purtroppo il palese cambiamento che da giornale libero e indipendente ne ha fatto uno strumento di pubblicità del mondo conservatore, ha negato tutta la spinta innovativa e progressista che Scalfari le aveva dato. Repubblica è un giornale di 50 pagine piene di pubblicità palese e occulta che dimostra proprio chi e perché lo sovvenziona!
Licio Gelli o il convitato di pietra del Pnrr
Il Venerabile di Arezzo auspicava nel Piano di rinascita democratica la separazione delle carriere, la responsabilità civile dei giudici, la riforma del Csm, con l’obiettivo di ridurre l’autonomia dei magistrati ed allentare il controllo sulla politica. Oggi il governo Draghi si appresta a depotenziare l’accertamento dei reati economici finanziari e le proposte del ministro Cartabia somigliano stranamente a quelle di Gelli. Con un piccolo particolare, per me gravissimo, la signora Cartabia è un ex presidente della Corte costituzionale. Che ne pensano i 5 Stelle, se sono ancora in grado di pensare?
Antonella Jacoboni
I NOSTRI ERRORI
Sul Fatto di sabato, nell’articolo “Maresca, Brunetta, Toti: Rep vira a destra” per errore ho scritto che l’onorevole Elio Vito è “un fiero oppositore del ddl Zan”. Come evidente dalle numerose dichiarazioni pubbliche del deputato, il mio è stato un lapsus: Vito è fiero sostenitore del ddl Zan. Dell’errore mi scuso con l’interessato e con i lettori.
L. Giar.
“Troppi vincoli sulle riaperture: mio figlio disabile soffre l’isolamento”
Cara Redazione, continua il periodo di segregazione, di fatto, delle persone autistiche ospiti di Residenze sanitarie per disabili (Rsd). Dietro la cosiddetta discrezionalità delle Direzioni sanitarie vengono tollerati e coperti, dalle Istituzioni, protocolli come quelli emanati da una comunità di Torino di cui è ospite mio figlio, autistico adulto di quarant’anni. Tale protocollo, al punto “Rientri al domicilio” degli ospiti, prevede fra l’altro: “Al rientro l’infermiere esegue tampone antigenico rapido al paziente: in caso di esito negativo del tampone, la persona può essere ammessa in struttura rispettando nei successivi 3 giorni alcuni accorgimenti di ‘distanziamento’. A partire dal quarto giorno l’ospite verrà reinserito pienamente nelle attività previo tampone rapido negativo”. Detto che anche al momento del rientro a domicilio mio figlio è stato sottoposto a tampone rapido, aggiungo che l’uso indiscriminato di questi mezzi altamente invasivi per i soggetti autistici, quali sicuramente sono i tamponi antigenici (basterebbero i test sierologici, se non i tamponi salivari…), avviene nonostante gli ospiti siano stati vaccinati e abbiano in precedenza contratto il Covid. Siamo in presenza di aperture di facciata, che nelle intenzioni del “Team Covid” dovrebbero durare addirittura fino al 30 Luglio: mio malgrado, dopo l’ultimo weekend in cui mio figlio è stato a casa, sono stato costretto – la settimana dopo – a non farlo tornare tra i suoi affetti (come avrei voluto e soprattutto “come lui avrebbe desiderato”) perché ciò avrebbe comportato nell’arco di 14 giorni la bellezza di 6 tamponi e 6 giorni di cosiddetto distanziamento. Un trattamento che considero tanto più disumano in tempi in cui a tutti, all’esterno, è permessa e garantita ogni cosa. Occorre dire basta a provvedimenti così altamente coercitivi. In tempi di ritorno alla “normalità” è assurdo che a chi, evidentemente, non è ritenuto “normale” siano letteralmente negati i diritti primari. Occorre emanare immediatamente provvedimenti rispettosi della dignità di chi, ben prima che essere semplicisticamente etichettato come autistico, è innanzitutto una Persona che merita lo stesso rispetto che si deve a chiunque altro essere umano. A pochi giorni dal 2 Giugno mi sia consentito dire che trovo intollerabile e odioso discriminare tra i cittadini della Repubblica: da una parte, i cosiddetti “normali”, quelli di serie A; dall’altra, i “non normali”, i disabili, i più sfortunati e indifesi, relegati al ruolo di cittadini di serie B, a cui nulla è dovuto.
Gianfranco Vitale
Padre di Gabriele, Uomo autistico di 40 anni)