L’avvento di Draghi ha pressoché ammazzato la politica italiana. Detta così sembra una critica feroce nei confronti del presidente del Consiglio, ma il punto è un altro. Draghi ha una storia di innegabile prestigio, in termini di credibilità all’estero ne abbiamo guadagnato (a prescindere dal lavoro fatto prima di lui da Conte) e sulla vaccinazione sembra finalmente andare tutto bene.
Il problema non è Draghi, ma tutto quello che gli ruota attorno. La politica è morta, a partire da quel che resta del Movimento 5 Salme. Il Pd si è acquattato come quasi sempre fa, non appena entra in un governo (non) suo. Speranza è isolato, Bersani giganteggia in tivù ma in Parlamento può incidere come Syd Barrett in The Wall: ovvero poco o nulla. Meloni cresce in virtù della sua opposizione furbina e Salvini, sempre più pugile suonato, studia da finto moderato per fagocitare quel che resta di Forza Italia e limitare la crescita della (cosiddetta) alleata Donna Giorgia.
Il dibattito è rasoterra e non sono ammesse mezze misure: Draghi o lo ami (quasi tutti) o lo odi (non saprei chi). Se solo osi fare dei distinguo, cercando di elencare pregi e difetti, passi per disfattista. E i leccatori di professione partono subito con la mitraglia filogovernativa.
L’onestà intellettuale è sotto zero (persino più del solito) e l’italico correre in soccorso del vincitore ha raggiunto livelli di guardia. Ovviamente, a uscirne peggio, è la cosiddetta informazione italiana. O quel che ne resta. Draghi – immagino ben oltre i suoi desideri – viene adulato, mitizzato e santificato. Tutto in lui è Bellezza. Ogni cosa è illuminata e, anche se non lo fosse, ci penserebbe lui ad accenderla. Con la sola imposizione di un “Whatever it takes”.
La crisi politica più scellerata del mondo è già stata dimenticata da quasi tutti. A breve partiranno pure con gli applausi a Renzi, autore della defenestrazione di Conte e dunque in qualche modo dell’ascesa di San Draghi (e anzi qualcuno coi peana ha cominciato da un bel pezzo). Se qualcuno osa ricordare cosa è accaduto nei mesi scorsi, passa giocoforza per “vedovo di Conte”. Un giochino intellettualmente bieco, ma che viene bene per disinnescare quei tre o quattro eretici forse rimasti. In un clima di insistita poraccitudine spinta, l’unica cosa non indispensabile è la realtà dei fatti. È come se questo governo avesse finalmente messo a posto le cose per chi credeva che, con Conte al governo, fosse avvenuto un odioso rovesciamento bolscevico: finalmente è tornato il Gattopardo, finalmente è tornata la restaurazione. E pazienza se nel 2018 troppi italiani avevano “sbagliato” a votare: ora tutto è tornato al suo posto.
Il Recovery Plan è pressoché uguale a quello di prima, ma adesso va bene. Il Mes non c’è più, ma adesso è giusto così. Draghi è enormemente più accentratore di prima, ma adesso non ci sono più problemi. Eccetera. È tutto capovolto, ma se lo fai notare con garbo sei un provocatore.
Se con Monti il clima era mellifluo e insopportabile, ora siamo dentro una grande ammucchiata dove tutto è lecito. E dove è vietato disturbare il (bravo) conducente. È bellissimo tornare alla vita di prima, o anche solo avvicinarsi a essa. E certo Draghi ha in questo i suoi meriti, sebbene risulti difficile accreditare al premier persino l’avvento del caldo e dell’estate. È bellissima questa sensazione di rinascita. Ma è dannatamente claustrofobica, e insopportabilmente meschina, questa “pace terrificante” – per dirla con De André – che ci sta anestetizzando mente e cuore. Senza che neanche ce ne accorgiamo.