La foto è nitida, vigorosa, ma non smette di essere onirica nemmeno quando finisci di guardarla: un giovane turco si butta dal ponte Galata e spezza col suo volo la geometria simmetrica di Istanbul. Fuori dalla cornice dell’immagine, sotto di lui, c’è il mare del Corno d’Oro. Alle sue spalle la malinconia è quella struggente e rumorosa dei gabbiani e delle memorie rarefatte dello stretto del Bosforo, che forse, presto, non saranno più lì. Quegli adolescenti dalle vite al limite, dai destini che si esauriscono in fretta e miseria, ad Istanbul li chiamano tinerci, sniffatori di colla. Di atti estremi ne compiono tanti ogni giorno: per dimostrare ai loro amici di aver coraggio, perché usano sostanze a basso costo per sballo e adrenalina, perché appartengono all’umanità che la megalopoli ha dimenticato.
Quella curda, quella siriana, quella gay: tutte le Istanbul nascoste, una dopo l’altra, si svelano e si confessano a Jean-Marc Caimi e Valentina Piccinni, fotografi che hanno già raccontato conseguenze e contrasti di altre città in transizione. (Prima della città turca, il duo che lavora insieme dal 2013 ha documentato Roma e Napoli). Megalopoli tra le più popolose d’Europa, unica città al mondo ad appartenere a due continenti – quello europeo ed asiatico -, Istanbul è narrata con tratto immediato, raro coinvolgimento personale, vicinanza incondizionata ai soggetti “per penetrare la complessità della città in un drammatico momento di mutazione sociale e politica”. Gli scatti sono raccolti nel loro ultimo libro fotografico: Gule Gule, che in turco vuol dire “arrivederci”.
Al centro di un enorme progetto di riqualificazione urbanistica iniziato da più di un decennio, la mappa di Istanbul è plasmata da ambizioni politiche, gentrificazione brutale e nuova pianificazione urbana volta a svuotare i quartieri dalle comunità tradizionali e marginalizzare le classi più povere. Ma nelle sue stanze più nascoste, nei buchi e nei suoi vicoli ciechi, la città continua ad ospitare in grembo i suoi microcosmi, che sopravvivono a stento e male, ma resistono a tutto e, anche nello strazio, rivendicano con dignità la loro sopravvivenza. Povertà e disuguaglianze le subiscono anche i rifugiati scappati dal conflitto di Damasco. Orfana di entrambi i genitori morti durante la guerra in Siria, per le strade della città e le pagine di Gule Gule, c’è una bambina dagli occhi di colore diverso: uno è nero, l’altro è blu ed “è per questo che Allah l’ha salvata dalle bombe”. Lo hanno raccontato ai due fotografi gli amici di famiglia che adesso si prendono cura di lei a Tarablasi, quartiere trafitto da gru e demolizioni dal 2005, fotografato nel suo processo di metamorfosi con molti dettagli, quelli spesso necessari a ristabilire la verità dei fatti.
Onnipresente ed ubiquo, sovraesposto dalla sua propaganda e dalla luce al neon sotto la saracinesca di una delle sedi dell’Akp, Partito giustizia e sviluppo che ha fondato nel 2001, c’è il volto protervo dell’ex sindaco della città ed ora presidente del Paese: Recep Erdogan. Primo ministro dal 2003 e presidente dal 2014, Erdogan ha deformato prima la megalopoli in cui è nato nel 1954, poi la Turchia intera. Ha trasformato le case dei cittadini in celle e il Paese in un’enorme prigione per chi si oppone al suo potere: le carceri turche sono sature di chi ha provato a ribellarsi al suo modello di società omologata, islamica, conservatrice. Nonostante il colpo di Stato, rimane a capo di una nazione dove l’ultima grande battaglia, nel 2013, è scoppiata proprio per evitare che un centro commerciale sorgesse al posto di Gezi Park in pieno centro cittadino. Per frenare quelle dinamiche di cementificazione sfrenata che, pezzo dopo pezzo, smantellano interi rioni e cancellano le tracce di quanti li abitano, scesero in strada attivisti, kemalisti, studenti, sindacalisti e durante gli scontri con le forze dell’ordine furono 11 i morti, migliaia i feriti.
Da allora Istanbul, alla disperata ricerca di un equilibrio tra tutte le sue anime, sbircia il precipizio su cui si è spinta tra acqua e pietra, passato e futuro, aspirazioni democratiche e repressione della libertà, proprio come quel giovane turco che plana nella foto dal ponte Galata. E come lui è in attesa di capire se si tratti di una caduta. O un volo.