“Stop ai processi in piazza”. Quando l’ultrà era Casellati

“Partono tutti incendiari e fieri, ma quando arrivano sono tutti pompieri”. I versi di Rino Gaetano non avrebbero potuto descrivere meglio la metamorfosi, in meno di un decennio, di Maria Elisabetta Alberti Casellati, che dall’alto del suo “profilo istituzionale” di presidente del Senato, in un’intervista di ieri alla Stampa ha stigmatizzato “la barbarie” dei processi che “si celebrano sulle pagine dei giornali, in televisione, nelle piazze”, ricordando che “il tema della giustizia non può essere ridotto a una guerra tra opposte tifoserie”.

Peccato che le parole “piazza” e “tifoseria” si siano già incontrate nel corso della carriera politica di Casellati. Anche con un accenno, perché no, di “barbarie”. Guarda caso, quando c’è stato da difendere Silvio Berlusconi, in uno dei momenti clou della sua intensa vita giudiziaria. Otto anni fa, l’11 marzo 2013, l’attuale inquilina di Palazzo Madama – in quel momento appena rieletta in Senato e a un passo dall’entrare nell’ufficio di presidenza come segretaria d’aula – partecipava all’occupazione della scalinata del Palazzo di Giustizia di Milano, adattata a ideale gradinata della curva berlusconiana. Fra gli “ultras” azzurri, si riconoscono Denis Verdini, Carlo Giovanardi, Giacomo Caliendo, Michela Brambilla e Mariastella Gelmini. All’arrivo dell’allora segretario del Pdl, Angelino Alfano – un mese dopo diventato vicepremier del governo Letta e, a novembre, fondatore di Ncd – il gruppone ha prima intonato l’inno di Mameli e poi ha provato a sfondare (senza riuscirvi) il cordone di sicurezza davanti all’aula di tribunale dove in quel momento si stava celebrando il processo Ruby, dove Berlusconi non era presente perché affetto da uveite (ma il giudice non aveva accettato la richiesta di rinvio per legittimo impedimento). Uno spettacolo simile a quello cui si assiste la domenica allo stadio.

La giustizia d’altronde, è un tema che sta molto a cuore a Casellati. E di cui ha parlato nell’intervista alla Stampa, dove ha rivendicato come “positiva” la sua esperienza come membro del Csm. Nel libro-intervista Il Sistema di Alessandro Sallusti a Luca Palamara, Casellati non è mai nominata. Compare però – estranea all’inchiesta – nelle carte dei pm di Perugia sull’ormai ex magistrato, dalle quali si evince – secondo l’interpretazione dei pm – che Casellati si sia mossa per caldeggiare la nomina a presidente del Tribunale di Latina di Caterina Chiaravalloti. Quest’ultima è figlia di Giuseppe Chiaravalloti, ex presidente della Regione Calabria in quota Forza Italia. Casellati, però, ha sempre smentito. Dunque, no ai “processi in piazza” e “sui giornali”, perché “la gogna mediatica ha da sempre prodotto odio e violenza”. Ma solo se si parla dei suoi numerosi voli di Stato in periodo Covid, in quanto “non ho violato le norme” e “non decido io della mia sicurezza”. Se c’è di mezzo Berlusconi, invece, si può fare un’eccezione.

Lavoro, ambiente: Conte pronto a “sfidare” Draghi

Alzati gli occhi dal proprio ombelico, i 5 Stelle dicono che la prima cosa da cambiare sarà al governo: niente più ambiguità su chi debba essere titolato a trattare con Mario Draghi, sarà l’ex premier a confrontarsi con l’attuale capo del governo sulle richieste del Movimento nell’esecutivo. E così, come oggi è in programma un incontro tra il presidente del Consiglio e il segretario della Lega Matteo Salvini, si intuisce che – dopo la prossima legittimazione della base – avverrà lo stesso con Giuseppe Conte. I due si sono già sentiti nei giorni scorsi, ma ora che la partita con Casaleggio si è chiusa e il voto sulla nuova piattaforma è vissuto come una formalità, l’ex premier è intenzionato a rimettere in fila un po’ di questioni, dopo settimane di sbandamento. Le schermaglie interne hanno inciso non poco nella tenuta dei gruppi parlamentari M5S e anche al governo è mancata un’interfaccia “ufficiale”: i rapporti tra Mario Draghi e il capo delegazione Stefano Patuanelli si sono decisamente raffreddati, non solo per le politiche anti-Covid prese dal governo appena insediato in materia di scuola, ma anche per la difficoltà a confrontarsi con un esecutivo in cui i testi dei decreti arrivano sul tavolo del Consiglio dei ministri senza che vi sia prima il tempo e il modo di ragionarne assieme. Non a caso, nelle ultime partite delle nomine, Draghi aveva individuato nel ministro degli Esteri Luigi Di Maio il suo interlocutore di riferimento.

Ora, ragionano nel Movimento, questa “ambiguità” verrà superata e sarà Conte a confrontarsi direttamente con il capo del governo. A cominciare da due dossier considerati di particolare urgenza. Il primo è quello che riguarda il lavoro, in particolare in merito alla fine del blocco dei licenziamenti e alle ripercussioni che avrà in materia di occupazione. L’altro è l’ambiente: se i Cinque Stelle sono entrati al governo in nome della “transizione ecologica”, è ormai evidente ai più che quello che gli è stato concesso non va oltre aver dato un nuovo nome al ministero. Le scelte del titolare della materia, quel Roberto Cingolani che Beppe Grillo presentò come “uno dei nostri”, si scontrano ormai quotidianamente con la svolta green che Conte va ripetendo di voler imprimere al M5S.

Infine, ma questa è faccenda delle ultime ore, l’ex premier ha spiegato ai suoi di voler chiedere chiarimenti a Draghi anche sul “conflitto di interessi” appena sancito dal decreto Semplificazioni, secondo il quale controlli e verifiche anticorruzione passeranno dalla gestione dell’Anac, autorità indipendente, agli uffici del ministero della Funzione pubblica: ovvero sarà il governo a controllare se stesso.

Sono questi, dunque, i primi tasselli che Conte ha intenzione di rimettere in sesto. L’obiettivo è chiudere le questioni interne quanto prima, ma – come ha ricordato ieri Vito Crimi – per modificare lo Statuto serve “un preavviso di convocazione di almeno 15 giorni rispetto alla data della votazione”. Prima le nuove regole andranno illustrate agli iscritti: era già stata organizzata una kermesse negli studi di Cinecittà, con interventi video di attivisti e portavoce, ma – ora che quasi tutta l’Italia sarà zona bianca – si è valutato di virare sulla piazza, anche se ancora non si è deciso quale. Il “trasloco” dei dati degli iscritti è in corso, a gestirli saranno una società informatica viterbese, la Isa srl, e un’altra azienda con sede a Roma, Corporate Advisors-Trust company, già citate nel provvedimento del Garante per la privacy che ha obbligato Casaleggio alla consegna dei dati. “Non fatemi fare l’avvocato perché altrimenti divento cattivo”, aveva confidato Conte ai suoi nelle lunghe settimane di trattativa. Alla fine, ha vinto la mediazione: a Casaleggio resta il marchio Rousseau, al M5S la libertà di superare “l’anomalia” di un fornitore di servizi che in realtà esercitava un condizionamento politico costante. Anche se forse, sono pronti a giurare, il desiderio di fare politica non gli passerà.

 

I PARERI

Cosa deve fare il nuovo leader M5S?

 

Obiettivi. Rianimare la collettività in coma, Amnistia per gli espulsi

Giuseppe Conte non ha certo bisogno dei miei consigli e, infatti, ha già programmato un giro d’Italia estivo per ricordare chi sono i 5stelle ai tanti che pensano a un movimento in un declino inarrestabile, impegnato a dilaniarsi in squallide beghe da cortile. Inutile girarci attorno: dopo il tragico video di Beppe Grillo, le auto-flagellazioni non richieste di Luigi Di Maio, le risse mercantili con Casaleggio e Rousseau, i “non ci sto” dei Di Battista e associati, l’ex premier deve al più presto spendersi e spendere senza risparmio nome, esperienza e popolarità per rianimare una collettività politica in stato comatoso. Secondo. Una volta che l’M5S abbia ripreso i sensi occorre dare vita una normale struttura politica che preveda un dibattito interno trasparente e, quindi, la formazione di maggioranze e minoranze alla luce del sole. E quindi basta con la fenomenite di chi si reputa migliore del resto del mondo perché non è così. Terzo. Una grande amnistia secondo il precetto evangelico: lasciate che gli espulsi tornino a me. Amen.

Antonio Padellaro

 

Critiche. Non perdere tempo a scusarsi, anche se si resta al governo

Il movimento guidato da Giuseppe Conte non ha bisogno di passare il tempo scusandosi per quel che ha pensato o detto in passato, specie sulla giustizia, la povertà, la costruzione europea da riformare. Non porta fortuna essere riammessi nei salotti che comandano, come dimostrato dalla storia del Pd. Vale invece la pena riprendere le critiche radicali fatte all’Unione europea quando Conte negoziò il Recovery Plan e ottenne dalla Merkel, finalmente, l’accettazione di un debito comune e solidale. Il rischio, oggi, è che la parentesi virtuosa si chiuda, che Berlino torni all’ortodossia ordoliberale, all’austerità, al distruttivo scontro fra Stati creditori e debitori. Il rischio è quello di un’Europa neo-atlantica, che dilatando spese di difesa, commercio e armi, si unisca per strategie di regime change. Draghi è un garante di questa Restaurazione post-Covid, auspicata dall’ex ministro del Tesoro Schäuble. Tutto sta a non sprecare il tempo in autocritiche, anche se si resta nel governo.

Barbara Spinelli

 

Temi. Occupazione, green e salute: dia un motivo agli elettori per votare

Un consiglio gratis a Giuseppe Conte: la smetta subito di parlare di dati degli iscritti, piattaforme telematiche, Carta dei Valori, Garante della privacy, debiti con Casaleggio etc. Non se ne può più. La trasparenza, certo; ma a forza di essere trasparente il M5S si sta avviando alla metafisica mentre il Governo dei Migliori fa cose politiche travestite da tecniche. Cominci a parlare dell’orizzonte politico: “lotta alle disuguaglianze socio-economiche” è vago. Se il Pd ha avuto un’idea (tassa di successione) può ben partorirne una anch’esso. Che si fa dopo lo sblocco dei licenziamenti? Il Jobs Act, modificato in parte dal dl Dignità, è ancora in vigore: non va abolito? Conte è stato rimosso perché un preciso gruppo di potere non voleva che gestisse i soldi del Recovery e che gli fosse riconosciuto il merito di aver portato l’Italia fuori dalla pandemia: capitalizzi quell’esperienza di Sanità pubblica e la faccia valere davanti a Draghi. E la Transizione ecologica (al nucleare)? Gli 11 milioni di elettori del 2018 devono avere motivi veri per votare M5S, non basta “perché il Pd è invotabile” o “perché l’alternativa è Salvini”, visto che adesso ci governano insieme.

Daniela Ranieri

 

Sondaggi. Per miracolo superano ancora il 15%: solo Conte può salvarli

Ultimamente parlare di Movimento 5 Stelle non è solo noioso: è pure impossibile. Come fai a parlare del niente? Come lo racconti il sommamente evanescente? Servirebbe un filosofo, o meglio ancora un medium. Il M5S è entrato nel governo Draghi dopo una trattativa ridicola. Ha esultato pateticamente per la nomina del diversamente verde Cingolani, rivelatosi poi un ministro “grillino” quanto Gaia Tortora. Non sta toccando palla. Non ha anima. Non va in tivù per scelta (o per ammissione di evaporazione). Sui social è moscio come un post di Porro. Per mesi ce l’ha menata con la piattaforma Rousseau, per mesi ce la menerà (ancora!) col doppio mandato. Ha persino sdoganato il Ponte sullo Stretto e scoperto il fascino del garantismo in salsa Foglio. Noioso, esangue, caricaturale: il M5S è per distacco al suo minimo storico. Quindi tutto male? Tranne due aspetti. 1) Nonostante questa fase imbarazzante, stanno ancora sopra il 15%. 2) D’ora in poi deciderà tutto Conte. L’unico che può salvarli.

Andrea Scanzi

Ma mi faccia il piacere

Senti chi parla. “Basta con la barbarie giustizialista. Da troppo tempo i processi, prima che nei tribunali, vengono celebrati sulle pagine dei giornali, in televisione, nelle piazze” (Maria Elisabetta Casellati Alberti, FI, presidente del Senato, Stampa, 6.6). E chi era quella senatrice forzista che l’11 marzo 2013 manifestava in piazza davanti al Tribunale di Milano contro il processo Ruby che si celebrava regolarmente in aula? No, perché è proprio uguale uguale a lei.

Wazzamerega! “#ItalyGate is just fake news. Stupid fake news, not even funny. We believe in democracy, we are strong partners of USA, we don’t follow populism. #Friendship” (Matteo Renzi, Twitter, retwittato da Gianni Riotta, 6.6). Shish! Shock! Bichééése!

Gnammm! “Calenda: ‘Con il Pd, Sala e Carfagna può nascere il fronte repubblicano che sfida e batte i populisti’” (Repubblica, 6.6). Quindi molto meglio i populisti.

Totò premio Nobel. “Ho la sensazione, anzi è più che una sensazione, che siamo alla vigilia di un nuovo boom economico” (Renato Brunetta, FI, ministro Pa, Repubblica, 29.5). Mica per niente era lì lì per vincere il Nobel per l’Economia.

La gogna e la fogna. “Gogna e politica. Di Maio ha chiesto scusa e i giornali lo lodano. Quand’è che chiederanno scusa i giornalisti?” (rag. Claudio Cerasa, Foglio, 5.6). Tanto lui non c’entra.

L’imbucato. “L’ex portavoce di Forlani vittima di Mani Pulite: ‘Io, vittima della gogna, ora spero che si cambi’. Ci sono le condizioni’” (Enzo Carra, Giornale, 31.5). Per la cronaca, la vittima fu regolarmente condannata in via definitiva a 1 anno e 4 mesi per false dichiarazioni al pm sul caso Enimont.

Visioni. “Il direttore di Radio Maria: ‘Matteo ha fede, gli invio messaggi’” (Corriere della sera, 3.6). Ah, ma allora sei tu! Ora però smettila, perché quello ti scambia per la Madonna.

Pirlì. “Il Gay Pride mi ha sempre fatto schifo… Se dovessi avere un figlio omosessuale e lo vedessi su un carro del Gay Pride lo prenderei a calci nel culo con gli anfibi e gli spiegherei cosa significa essere omosessuali con dignità, senza bisogna di diventare un deficiente su un carro” (Nino Spirlì, Lega, presidente Calabria, La Zanzara, Radio24, 29.5). In effetti si può esserlo tranquillamente anche giù dal carro.

Fiatgolani. “L’auto elettrica non risolve tutti i problemi ambientali” (Roberto Cingolani, ministro Transizione ecologica, 26.5). Bene, così ci teniamo quelle a benzina e a gasolio.

Mercanti in Fiera. “La rivincita dell’Ospedale in Fiera. Nonostante le campagne diffamatorie ha curato 505 pazienti” Giornale, 5.6). Uno e mezzo al giorno: un trionfo.

Fracci e Betulle. “L’étoile morta a 84 anni: brava Carla Fracci, ma ci eri antipatica” (Renato Farina, Libero, 28.5). E lei che, poverina, era morta convinta di stare simpatica a Betulla.

Ossimori. “Sardegna zona bianca: discoteche riaperte, ma è vietato ballare” (Nuova Sardegna, 2.6). A pensarci prima, si potevano riaprire le piscine vietando di nuotare.

Psicogiustizia. “Alberi crollati, ora il processo al Campidoglio. I pm hanno chiuso le indagini nei confronti di sette funzionari” (Repubblica, 5.6). “Strage di alberi, il pm: ‘Processo al capo di gabinetto del Comune’” (Corriere della sera, 5.6). Si attende con ansia che arrivi l’autunno per il processo del secolo sulle foglie che cadono.

Bisogna accontentarsi. “Torna la politica, ma non con la ‘p’ maiuscola” (Roberto Formigoni, pregiudicato, Libero, 6.6). Per quella ci vorrebbero le sue tangenti con la “t” maiuscola.

Una bella perdita. “Lascio i 5S, non è più il Movimento. Nemmeno mio padre avrebbe riconosciuto questo partito. E se si cerca legittimazione in tribunale vuol dire che la democrazia interna è fallita” (Davide Casaleggio, Associazione Rousseau, 5.6). La democrazia interna è quella cosa dove comanda lui.

Il titolo della settimana/1. “Senza Conte si è potuto riaprire” (Massimiliano Fedriga, Lega, presidente Friuli Venezia Giulia, Verità, 6.6). Ma tu pensa: Draghi, col voto della Lega, ha richiuso l’Italia a marzo, ma Conte non l’avrebbe riaperta. Sicuro Fedriga di sentirsi bene?

Il titolo della settimana/2. “Nel derby fra giustizialisti e garantisti è in gioco la Costituzione” (Fabrizio Cicchitto, già tessera P2 numero 2232, Foglio, 5.6). Ma soprattutto il Piano di rinascita democratica.

Il titolo della settimana/3. “Perchè chi ritiene Vendola innocente non ha dubbi sui Riva patron dell’Ilva?” (Foglio, 2.6). Per la strage di Taranto si, non si esclude il suicidio di in massa.

Il titolo della settimana/4. “L’invidia degli incapaci nei confronti di Formigoni” (Fausto Carioti, Libero, 3.6). Quei gelosoni non sanno nemmeno rubare.

Il titolo della settimana/5. “Sono anarchico, scomodo, non frequento salotti, non mi frega di piacere a tutti, non appartengo a nessuno” (Massimo Giletti, Sette-Corriere, 4.6). Uahahahahahah.

Ginesio Fest 2021, per cinque giorni il teatro e gli attori trovano una loro casa

Far rinascere un borgo storico dell’entroterra maceratese colpito dal sisma nel 2016 e ora dal Covid. È questa la missione della seconda edizione del Ginesio Fest, il festival dello spettacolo dal vivo che si terrà anche quest’anno a San Ginesio dal 20 al 25 agosto. Come? Attraverso l’arte del teatro e il lavoro dell’attore; avvicinando i giovani a questo mestiere e facendo loro conoscere le figure che stanno dietro le quinte di uno spettacolo.

Il luogo non è casuale: “San Ginesio è il patrono degli attori, dei mimi e dei musici”, ha ricordato il sindaco Giuliano Ciabocco durante la conferenza stampa di presentazione del festival. Il paese prende infatti il nome da Ginesio di Roma, un attore cristiano fatto martirizzare da Diocleziano nel 303. “È un borgo che ha sempre dato il meglio di sé nei momenti difficili”, ha sottolineato il sindaco. E a distanza di 5 anni dal sisma, che colpì le regioni dell’Italia centrale, il paese intende rinascere proprio con l’arte della recitazione. L’evento prevede sei giorni di incontri e masterclass con attori e registi come Eleonora Danco, Gabriele Di Luca e Linda Dalisi. Ma sul palco questa volta salirà anche chi di solito rimane lontano dagli occhi del pubblico: scenografi come Francesco Calcagnini, sceneggiatori e costumisti. “Non esistono artisti di serie A e serie B – ha chiarito Vinicio Marchioni, attore e direttore artistico insieme alla moglie Milena Mancini – esistono solo persone che dedicano la vita a questo mestiere”. Anche la danza e la musica faranno da cornice al Ginesio Fest. Nel pomeriggio di mercoledì 25 agosto, il giorno della consegna del premio, ci sarà un omaggio a Lucio Dalla e la sera, dopo la premiazione, si esibirà la compagnia di danza aerea ResExtensa. “L’arte dello spettacolo dal vivo è considerata elitaria – ha spiegato Milena Mancini – ma noi vogliamo che i giovani possano incontrare gli artisti a 360 gradi”.

L’altro protagonista dello spettacolo, poi, sarà il pubblico: il quarto attore che va in scena, si dice. “Tutti potranno entrare in questo borgo e fare un’immersione completa nello spettacolo dal vivo”, ha assicurato l’attore. “Gli abitanti di San Ginesio vivono gli stessi problemi che viviamo noi artisti – ha aggiunto la Mancini – ci sentiamo persi, non abbiamo una casa”. Ma per garantire un futuro a un paese che, come molti nella zona, si sta spopolando, si devono coinvolgere le nuove generazioni. “Se vogliamo immaginare che ci sia un futuro per San Ginesio, bisogna partire dai giovani”, invita Marchioni. L’obiettivo del festival è infatti “far ascoltare e mescolarsi con le generazioni di attori con una grande carriera”. Gli eventi saranno gratuiti e ci si potrà prenotare sul sito del Ginesio Fest. “Il paese sarà chiamato il borgo degli attori”, è la speranza del sindaco. Anche se, in qualche modo, lo è già.

Dai Savi di Sion a quei Puffi da KKK: mondo di complotti

Prendiamo i Teletubbies, i teneri e colorati pupazzi della tv amati dai bambini. Il più famoso di loro, quello viola, Tinky Winky, ha spesso con sé una borsetta pur essendo un maschietto. Per taluni si tratta di propaganda gay occulta, un tentativo di instillare la teoria del gender nei più piccini. Ecco una tra le più strampalate cospirazioni che Errico Buonanno censisce nel suo Non ce lo dicono. Teoria e tecnica dei complotti dagli Illuminati di Baviera al Covid-19 (Utet). Lo scrittore e autore Rai – nella sua rincorsa dall’antica Roma fino alla campagna vaccinale di oggi – racconta ogni trama segreta consapevole che “nessuna prova contraria o dimostrazione razionale potrà convincere i dietrologi che il Grande Complotto non sia vero.” Per restare nel mondo dei cartoni animati come disilludere coloro che vedono nel cappuccio bianco dei Puffi un chiaro rimando al Ku Klux Klan o alla massoneria? Per non parlare di chi ravvisa nel Grande Puffo, con la sua barba bianca, lo spettro di Marx. L’autore ci scherza su: “Lavoratori di tutto il mondo, puffatevi!”. Come trattenere un moto di ilarità passando in rassegna le teorie complottiste sulle celebrità? Jim Morrison non è mai morto, si sarebbe fatto una plastica facciale e sarebbe ritornato sulle scene sotto le mentite spoglie di Barry Manilow; Paul McCartney sostituito da un sosia pure lui dopo essere rimasto decapitato in un incidente stradale nel 1996. O ancora: come non notare che cantanti come Adele o Rihanna fanno sfoggio di occhi sui loro album? Non sarebbero che riferimenti all’occhio onnisciente, simbolo massonico. Sarà che “bisogna trovare un’intenzionalità dietro il caos” ed ecco che per esempio davanti a un pericolo sanitario serve un capro espiatorio. Bill Gates è il regista occulto della pandemia con l’obiettivo ultimo di iniettarci attraverso il vaccino un microchip e controllare chiunque attraverso un software. “Serve un disegno razionale che ci fornisca la ragione di ciò che di bello o di brutto ci accade”, ergo impossibile credere allo sbarco sulla Luna del 1969 (solo un film girato per conto della Nasa nientemeno che da Kubrick). La paranoia macina qualsiasi tema: il David di Michelangelo non è altro che un uomo pietrificato con tecniche speciali; dietro al catalogo della casa editrice Adelphi si nasconde una sorta di piano per aprire le porte all’Anticristo; il gruppo Bilderberg – il think tank che riunisce i big della politica e della finanza – prepara una carestia mondiale attraverso la creazione di cibi Ogm per distruggere l’umanità. “Che cosa importa se tutto ciò non si verificherà mai? Il complottismo avanza tramite affermazioni che non possono essere smentite dai fatti, ma che hanno il potere di diventare vere per il solo fatto di pronunciarle, come formule magiche.” Nel corso dei secoli, dal Monita Secreta (falso opuscolo contro i Gesuiti accusati di tramare per il dominio mondiale ordito da uno studente gesuita del Seicento per vendicarsi di una bocciatura in teologia) agli Illuminati di Baviera (contro-complotto anch’esso fittizio di una massoneria segreta per controllare il potere. Nella versione contemporanea gli Illuminati sono extraterrestri rettiliani, alias tutti i potenti che governano il mondo: lucertoloni con fattezze umane che bevono sangue fresco), la dietrologia ha sempre avvelenato i pozzi. L’aberrazione è nei Protocolli dei Savi di Sion, ennesimo falso contro gli ebrei e strumento imperituro di persecuzione. “L’idea che qualcuno stia complottando nell’ombra è antica quanto l’umanità. L’uomo ha bisogno di nemici, e quei nemici, per essere tali, non devono essere semplicemente cattivi: devono sempre incarnare la quintessenza della malvagità.” Si racconta che Metternich, quando venne a sapere della morte dell’ambasciatore russo, commentò: “Quali saranno state le sue motivazioni?”. Buonanno smonta tutte le macchinazioni della storia senza mai dimenticare che “diffidare dei complotti non significa negare che il mondo sia complesso”.

 

“Le corse d’auto con Faletti, le folli critiche a noi Pooh e la ‘spettinata’ di Hendrix”

Dodi Battaglia è un juke-box vivente dei Pooh, è un portatore sano di melodie, arrangiamenti, parole e storia dei quattro (o cinque) splendidi cinquantenni (non come età anagrafica, ma per durata del sodalizio).

Dodi Battaglia ha sempre e ancora Tanta voglia di lei; di lei intesa come musica, così quando risponde, spesso intona, canticchia, cita, fissa le date della propria esistenza a seconda delle hit, degli album, o magari della tournée, come fossero Natale, Pasqua o Capodanno. “E infatti non ho ancora capito il motivo del nostro scioglierci”, ripete da anni, come un ritornello, appena qualcuno gli nomina il gruppo.

Il primo giugno ha compiuto settant’anni, “o sette punto zero”, come li definisce lui, e tutti i giorni abbraccia la chitarra “e la suono per almeno tre ore. Se invece ho dei concerti o un disco, mi preparo mattina, pomeriggio e sera”, con dinamiche da francescano in preghiera, “chiuso in una tavernetta perso tra i miei accordi”.

Guai a disturbarla.

No, con gli anni ho cambiato atteggiamento rispetto alla vita.

Cioè?

Conviene arrotondare gli angoli dell’esistenza; (pausa) quando i Pooh hanno deciso di smettere, sono rimasto spiazzato, non lo avrei mai immaginato, anche perché andavamo sempre alla grande, con concerti straordinari, eppure davanti a quella decisione non mi sono incazzato.

Passati cinque anni?

Mi sono organizzato con musicisti fantastici, ho realizzato dei bei dischi, tutti andati bene, ho almeno sessanta date l’anno e in bei spazi. Per me è la libidine vera; (ci pensa) a me i concerti per pochi intimi sono sempre interessati poco: ho bisogno dell’alito delle persone, voglio sentire la puzza del sudore, vedere gli occhi che brillano.

Si è mai lanciato sul pubblico?

(Ride) No, però sono caduto dal palco e a causa di un momento di estasi: guardavo la gente cantare e ho valutato male le distanze.

Bel rischio…

Il vero rischio è stato correre per vent’anni in macchina, mentre ero un Pooh.

La sua altra passione.

(Sorride) Da bravo emiliano credo nella musica, nella velocità e nella gnocca: ce l’abbiamo nel sangue.

Ha corso insieme a Giorgio Faletti.

Una delle persone più divertenti e intelligenti mai conosciute; a fine gara, la sera, restavamo con i tecnici e i meccanici a mangiare, noi sempre in tuta, sporchi, pieni di grasso, e lui a tenere banco con la sua profonda leggerezza; poi quando eravamo soli usciva il Giorgio in stile Minchia signor tenente.

Il brano presentato a Sanremo…

Pezzo bellissimo, ricordo ancora quando, serio, mi chiese di ascoltarlo, e non rimasi troppo stupito, perché conoscevo la sue qualità nascoste: ero già entrato con lui in sala d’incisione.

Oltreché con i Pooh, spesso ha inciso con altri artisti.

Se mi chiamano, vado, mi sento gratificato e arricchito; ed è stato così con Gino Paoli, Zucchero, Enrico Ruggeri, Mia Martini; ognuno di questi è una star, e passare del tempo con loro ti fa brillare della luce che li avvolge.

Anche lei è una star.

(Incerto) Sì, ma per me è diverso: ho iniziato a suonare quando avevo cinque anni, poi vengo da una famiglia di musicisti e gli strumenti sono parte di me, è qualcosa di naturale; una mattina papà portò a casa una fisarmonica, e la sera già la suonavo benissimo. Tutti sbalorditi.

Qualcuno dei figli ha ereditato questo dono?

Daniele (speaker radiofonico) sarebbe potuto diventare un gran bel cantante, e ci ha provato, ma alla fine non è stato corroborato dall’ossessione necessaria per tentare questa strada. Però sono contento così, ha trovato la sua strada.

Anni fa Guido Elmi, produttore di Vasco, al Fatto

(Ferma la domanda) Guido è stato un grande, un fratello, eravamo a scuola insieme, ed è stato lui a portarmi da Vasco per suonare tre brani.

Per Elmi non è mai esistita una scuola bolognese.

Perché qui siamo gentili, accoglienti, disponibili, ridiamo e scherziamo, ma alla fine ognuno resta a casa sua, ognuno ha il suo orticello; (cambia tono) abito a sessanta o settanta metri da Vasco, ma non ci vediamo; con Gianni (Morandi) siamo amici, ma stessa storia, così come con Gaetano Curreri.

Le dispiace?

Al di là di Bologna o non Bologna, tutti noi vogliamo essere il Re del quartierino, nessuno intende dividere la luce con altri artisti.

I Pooh, altro che quartierino…

La nostra forza è stata una peculiarità che spiego con un esempio: anni fa, con la mia compagna di allora, sono andato a un concerto di Franco Battiato ed ero tranquillo in platea, senza che nessuno mi fermasse per un autografo o una foto. Ero uno dei tanti. Se allo stesso concerto mi fossi presentato con gli altri componenti della band, sarebbero stati capperi, roba da servizio d’ordine.

Quindi?

In questi decenni mi sono permesso di passeggiare per i portici, di parlare con le persone, di ascoltare le loro storie, con una naturalezza non concessa ad altri artisti. Ed è stata una gran fortuna.

Battiato per lei.

Lui e Valerio Negrini sono riusciti, attraverso la canzone popolare, a raccontare storie straordinarie, e solo i grandissimi ci riescono; Pensiero raccontava la storia di un carcerato (e la canta)…

Baglioni per anni è stato ostracizzato perché non cantava brani politici. Voi?

Anche peggio, perché eravamo un gruppo; lui era un bravo ragazzo dalla faccia pulita, ed era quasi normale che non avesse l’aria del contestatore, mentre noi ci confrontavamo con il Banco o la Pfm. E la critica è stata spietata, ci accusava di tutto, ci accantonavano come serie B, quando un brano come Piccola Katy (la accenna) era e resta una fotografia dell’epoca, con le ragazzine che scappavano di casa per dimostrare il loro coraggio.

Lei è mai scappato?

(Silenzio) No, avevo altro da fare; (ritorna a prima) nel 1973, proprio per rispondere alle critiche, abbiamo inciso un album diverso dai precedenti, come Parsifal; (qui si scalda) e noi, a differenza dei Camaleonti o dei Dik Dik – lo dico con rispetto – non ci affidavamo alle cover, non chiedevamo i pezzi a Mario Lavezzi per poi andare a Sanremo, ma scrivevamo e producevamo da soli.

Le critiche del tempo ancora le bruciano.

Dopo anni i critici più importanti, come Mario Luzzatto Fegiz o Mangiarotti, su di noi hanno ammesso l’errore.

Il pubblico vi ha mai contestato.

Certo, è successo, ma senza grosse problematiche; (sorride) nel 1971, al Cantagiro, andò peggio a Gianni Morandi, con tanto di cariche della polizia; per sfuggire ai lacrimogeni mi rintanai dentro a un gabinetto.

Oltre a quei lacrimogeni, in questi 70 anni a cosa è sfuggito?

Voglio restare in quel periodo; dopo il successo di Piccola Katy il gruppo ha rischiato di mandare in pappa il cervello: la macchina nuova, le ragazzine, le feste. Da lì i Pooh hanno iniziato a perdere popolarità, con sempre meno pubblico ai concerti, meno richieste televisive. Poi nel 1971 è di nuovo cambiata la prospettiva grazie a Tanta voglia di lei, è tornato il successo e abbiamo capito la lezione e non l’abbiamo più mollato.

Professionisti…

Dei soldatini: dalla mattina alla notte in sala d’incisione.

Però Facchinetti sostiene: “Io ero il più serio a resistere alle tentazioni”.

Quali tentazioni?

Dica lei.

La più forte era quella femminile, e il migliore o peggiore scagli la prima pietra; poi quella di spendere i quattrini, per il resto basta, non ce ne fregava di altri aspetti.

Mai?

Allora chiarisco: ancora oggi mi bacio i gomiti tutte la mattine perché sono riuscito a far diventare una professione la mia passione. Questa è una fortuna straordinaria, l’ho capito subito e l’ho preservata; (cambia tono e scandisce) la mia famiglia proviene dalla campagna padana, dai campi di barbabietole, dalle mattine dove vedevi solo la nebbia.

Si è definito il peggior giudice di se stesso…

Sono un grande consigliere per gli altri: se un collega mi fa sentire cinque pezzi, colgo sempre quello giusto. Con me non sono in grado; quando ci riunivamo con i Pooh, ognuno si presentava con dieci brani e se ne sceglievano tre a testa: una volta, alla fine della riunione, prendo la chitarra e ne intono un altro, da me definita “cazzatina”. Era 50 primavere; (pausa) anche in quest’ultimo lavoro mi è mancato il loro apporto.

Di chi si fidava maggiormente?

Musicalmente di Roby (Facchinetti); sotto il profilo dei testi di Stefano (D’Orazio); Stefano era molto semplice nella sua bonarietà: per lui il pezzo era “bono” o non era “bono”. E ci prendeva (su D’Orazio, morto recentemente di Covid, gli si strozza la voce e cambia discorso)

Ha vinto vari premi come miglior chitarrista, eppure qualcuno “l’ha spettinata”. Parole sue…

Si riferisce a Jimi Hendrix?

Sì.

La copertina di un mio disco è dedicata proprio a lui, e quel giorno del 1968 non ha spettinato solo me, ma tutti i presenti nel palazzetto di Bologna.

Lei davanti al numero uno.

Ero un ragazzino di 16 anni incosciente e presuntuoso, e con la faccia come il culo ho deciso di suonare Foxy lady e poco prima della performance dello stesso Hendrix. Eppure tutti me lo avevano sconsigliato. Quando è salito lui sul palco abbiamo visto la magia, con tutti presenti uniti da uno stato catatonico di stupore.

Gli ha chiesto l’autografo?

Io? Troppo timido e riservato, figlio di genitori che avevano vissuto la guerra, quando i padri evitavano la carezza e tornavano la sera stanchi, magari dai campi. Solo con il tempo ho cambiato atteggiamento e mi sono ricostruito, sia con i miei figli, che con i fan.

Quindi nei live…

Nei primi anni ero molto composto, stavo sul palco concentrato su quanto dovevo suonare; con il passare del tempo ho acquisito sicurezza e mi sono lasciato andare.

Dopo 50 anni di carriera si è scocciato di alberghi e ristoranti?

No, mi rompe le palle solo la valigia sul letto (e cita Julio Iglesias). Arrivato alla mia età non ne posso più.

Se si gira indietro, cosa vede?

Io a tre anni che guardo un campanile in un paesino in provincia di Benevento. Ci salgo in cima per vedere la festa e lì mi fermo, folgorato, per ascoltare la banda suonare.

Lei chi è?

Quello che sto diventando.

(Cantano i Pooh in “50 primavere”: “E noi con tutto da imparare. Siam qui a improvvisare amor. Quel 25 aprile pioveva e gli invitati dicevano, ‘Che sposi fortunati’”)

 

Il segreto è il ritmo: anche per far ridere ci vuole orecchio

 

Isotopia della forma

Ogni forma espressiva possiede ricorrenze che ci permettono di riconoscervi un’isotopia di struttura: fonica (per esempio il sistema tonale), fonemica (un indice della coerenza e del tipo di testo), prosodica (per esempio l’isotopia del ritmo), figurale (isoplasmia, isotassia, isosemia, isologia), icono-plastica (i materiali e loro organizzazione), stilistica (metrica, maiuscole, punteggiatura; idioletto linguistico/musicale/plastico; genere), narrativa (ricorrenza della struttura narrativa), enunciativa (ricorrenza della struttura enunciativa), pragmatica (ricorrenza di pattern d’azione e/o di intenzione). Sono tutti bersagli possibili della prassi divertente. Avete mai visto una ballerina classica danzare con gli occhiali? È solo uno dei mille elementi parodiabili del frame “danza classica”. Questo esempio spassoso sulle isotopie della danza classica è di Jerome Robbins (Mistake Waltz, 1957): shorturl.at/fkAHT.

Gag musicali

La musica si presta ottimamente alla parodia formale. Gli esempi, innumerevoli, comprendono i commenti sonori di Carl Stalling ai cartoni animati della Warner Bros.(shorturl.at/kzBT0); composizioni di Erik Satie come Trois Morceaux en forme de poire (“Tre pezzi in forma di pera”: shorturl.at/hKQVW), una satira contro Debussy che l’aveva accusato di non curare la forma delle sue composizioni (poire in francese significa anche “zuccone”): vi troviamo dolci linee melodiche interrotte da accordi parossistici, una marcetta, evocazioni chiassose del Can-can, accordi dissonanti, plaghe tristissime, condotte astruse; e le stramberie mozartiane di Ein musikalischer Spaß (shorturl.at/guAZ7), uno spasso di melodie banali, contrappunti da dilettante, quinte parallele, linee di basso stupide, corni naturali che suonano come avessero una ritorta sbagliata, violini che si fermano ad accordarsi, una scala maggiore ascendente che d’un tratto diventa a toni interi, un’assurda, solitaria nota pizzicata, e un finale dissonante che anticipa di secoli Stravinskij (Adorno, 1949). Un formidabile parodista musicale fu Offenbach (l’operetta La bella Elena fa il verso a Rossini, ma anche all’opera romantica, e satireggia la società del suo tempo, gusto neoclassico incluso: shorturl.at/tuNY7). Non da meno fu Arthur Sullivan, che con il librettista William Gilbert creò operette straripanti di parodie musicali e letterarie, satira politica e di costume, giochi di parole, rime, nonsense: influenzarono Cole Porter a Ira Gershwin; e il Capitan Spaulding di Groucho Marx (shorturl.at/motzI) forse non esisterebbe senza il Major General dei Pirates of Penzance (shorturl.at/tzIN3, a 2’50”). Di recente, Nahre Sol ha parodiato lo stile di celebri compositori usando la musica di “Buon compleanno”: shorturl.at/nruES (ne fa le spese anche Erik Satie, a 12’10”). È la ripresa di una vecchia gag di Victor Borge (shorturl.at/bmQ12), che Nahre Sol trasforma da buffonesca (low comedy) a intellettuale (high comedy).

Musica e comicità

L’aspetto emotivo della musica è al servizio connotativo dei film; canzoni briose e strambe come What’s New, Pussycat? (bit.ly/3fR9dYg) sono perfette per i film comici. Quanto all’aspetto ritmico, è usato nella comicità fin dall’antichità (le plautine vanno immaginate come commedie musicali dell’epoca: vi si trovano, fra l’altro, scene comiche a ritmo di tarantella, di cui è un esempio il settenario trocaico di Saepe tritam saepe fixam saepe excussam malleo nei Menecmi); nonché agli albori del cinema muto (l’accompagnamento di pianoforte live a ritmo accelerato). Il commento sonoro dei cartoni animati, fatto di tratti parossistici e sottolineature strumentali in sincrono con l’azione dei personaggi, come nelle gag slapstick della Disney, fu definito da Ejzenštejn mickey mousing. Nei cartoon anni ’40 e ’50 della Warner Bros. era abituale il pun musicale (compare una bella ragazza, l’orchestra di Stalling suona Oh, You Beautiful Doll). Certe soluzioni, come la camminata in punta di piedi musicata con un violoncello in pizzicato, o l’incedere del personaggio obeso accompagnato da semiminime di tuba, col tempo sono diventate dei cliché. Un esempio alto di mickey mousing è la gag di Chaplin in cui il barbiere del film Il grande dittatore fa la barba al cliente coreografando la Danza ungherese n. 5 di Brahms: shorturl.at/nAJL9.

Toni, tempi e ritmi comici

Non è un caso se molti comici sono musicisti: toni, tempi e ritmi sono fondamentali per la riuscita delle gag, come dimostra qui il Trio Reno: bit.ly/3uDAFhB. Il tono serve a caratterizzare i personaggi; il tempo comico riguarda l’attacco, la velocità e la chiusura della gag; il ritmo comico scandisce la successione degli elementi di una gag, e la distribuzione delle gag in una narrazione. “Scrivere battute richiede orecchio. Come a un poeta, anche a un comico serve un certo numero di sillabe per far accadere le cose nel modo giusto, per ottenere il giusto ritmo” (Woody Allen). Anche una gag fisica richiede toni, tempi e ritmi giusti: l’azione comica è un’azione indaffarata, e per esibirla al meglio il comico deve scomporla nelle sue parti costitutive, e poi eseguirle senza sovrapporle, in una sequenza ordinata e comprensibile; inoltre, il momento in cui comincia e termina una gag dev’essere evidente e non va ritardato, altrimenti la gag perde efficacia. La perfezione è raggiunta da Jerry Lewis nella gag della macchina da scrivere: shorturl.at/fBKM5.

Oltre a rendere esplosiva la sorpresa delle gag, toni, tempi e ritmi comici contribuiscono all’atmosfera allegra della commedia. Ce ne dà un esempio Louis de Funès: bit.ly/3vyfgYx.

La regola del tre

Il ritmo è la struttura del piacere estetico. La ripetizione regolare di un evento fa percepire il ritmo; crea prevedibilità; e provoca l’attesa se gli eventi sono in numero pari o superiore a 3. La ripetizione semplice non provoca l’attesa: solo a partire da tre eventi, infatti, l’anticipazione può manifestarsi, poiché viene ripetuto anche l’intervallo (isocronismo). Una gag è una previsione ingannata: ecco perché nella comicità ricorre la regola del tre. “Non c’è niente di peggio, dopo una sbronza, che svegliarsi accanto a qualcuno e non essere in grado di ricordare il suo nome, o come l’hai incontrato, o perché è morto” (Laura Kightlinger).

(58. Continua)

Sassonia al voto: l’ultradestra dell’AfD toglie il sonno alla CdU

Èl’ultimo voto dell’‘era Merkel’ sulla via delle Politiche del 26 settembre: oggi urne aperte nella Sassonia-Anhalt, un Land dell’Est, dove la Cdu al governo è testa a testa nei sondaggi con l’ultradestra di Alternative für Deutschland, molto cresciuta nei Laender dell’Est negli ultimi anni e che ha impostato la sua campagna sul no alle restrizioni anti-pandemia. I sondaggi danno i cristiano-democratici del presidente uscente Reiner Haseloff avanti di una corta incollatura, 27% al 26%, o 29/ a 28/, a seconda delle fonti. Le precedenti elezioni regionali avevano fatto registrare per la Cdu il 29,8% dei consensi e l’AfD il 24,3%. Se l’estrema destra dovesse riuscire nel sorpasso, la regione di Magdeburgo, da dove viene la Merkel, sarebbe la prima a livello federale a vederli come forza politica di maggiore peso. Sarebbe una tegola per il candidato cancelliere Armin Laschet, uscito vincente ma debole dal duello con l’avversario bavarese della Csu Markus Soeder, che voleva candidarsi al suo posto suo. Una sconfitta aumenterebbe le tensioni interne e il fuoco amico. “Se l’AfD raggiungesse il primo posto in un Landtag (parlamento) tedesco sarebbe un problema per la democrazia in Germania e non solo per la Cdu” ha detto a un talk-show il presidente della Cdu Armin Laschet. Dal 2016, la Sassonia-Anhalt è governata da una coalizione tra Cdu, Spd e Verdi. Il capo del governo è Reiner Haseloff, esponente della Cdu, che ha già ricoperto l’incarico dal 2011 al 2016. In Sassonia-Anhalt gli altri partiti sono molto staccati: la Linke poco sopra il 10% assieme a Spd, seguita dai Verdi all’8%.

Siberia, un gulag è per sempre

La Russia che dice di amare tanto i suoi figli, ne ha dimenticati alcuni al confine delle città dove sorgevano i campi di lavoro forzati per i nemici del regime sovietico. Gli anni del terrore di Stalin sono finiti, ma non lo sono le conseguenze delle sue purghe sommarie. I deti gulag, i figli del gulag, nati prima o durante la prigionia a cui erano stati condannati i loro genitori, sono “vittime della repressione”, ma continuano a vivere in esilio. Non hanno mai fatto ritorno alle loro abitazioni, sebbene sia un loro diritto garantito dalla legge, come sancito da una sentenza della Corte costituzionale russa del 2019. Sulla piattaforma Change.org oltre 83mila persone hanno firmato una petizione per permettere a migliaia di anziani di rivedere città abbandonate con la forza moltissimi decenni fa. “Pensavamo che la repressione sovietica facesse ormai parte della storia, ma abbiamo scoperto che non è così”. È la prima frase che si legge nella lettera aperta pubblicata sul Kommersant e firmata da figure pubbliche, accademici, artisti e cittadini comuni, che chiedono giustizia al presidente Putin.

Ci sono i vecchi, ma potrebbero esserci presto anche i nuovi gulag. A causa della pandemia manca manovalanza a basso costo: i gastarbeiter, i migranti delle ex Repubbliche sovietiche che arrivavano per lavorare ad ogni latitudine, hanno fatto ritorno in patria, abbandonando tutti i lavori usuranti, dai salari bassissimi, che i cittadini della Federazione non accettano di svolgere. Forse anche per questo l’ente penitenziario statale ha deciso di lanciare un progetto pilota in cui saranno coinvolti inizialmente solo poche centinaia di detenuti: nei prossimi mesi, su base volontaria, i condannati per reati minori potranno raggiungere il cuore della Siberia per ristrutturare la linea Bam, la Bajkalo-Amurskaya maghistral’, una ferrovia parallela alla transiberiana, che collega il cuore gelido della Federazione con l’Estremo Oriente. Contro l’iniziativa della Fsin, Servizio penitenziario federale, le reazioni di oppositori ed attivisti per i diritti umani sono state nette: è ricreare il sistema dei gulag chiamandoli con un altro nome, un modo di obbligare al lavoro forzato ed è anche un metodo per giustificare una tragedia con cui la Russia non ha mai davvero fatto i conti. Perché oltre alla Bam, c’è un altro acronimo che i russi ricordano bene: Bamlag, il gulag dove venivano spediti i prigionieri impiegati nella costruzione della ferrovia. Per numero di reclusi, il campo di lavoro correzionale Bajkal-Amur era uno dei più estesi dell’Unione. Ricorda oggi il sacrificio di quelle centinaia di migliaia di innocenti una lapide che si trova nella città in cui fu costruito il campo, un luogo dal nome paradossale: Svobodniy, “libero”.

Giustizia malata e lassista: gli ‘Stati generali’ di Manu

L’affaire Halimi e le proteste sempre più imponenti della polizia francese contro la magistratura e il governo hanno accompagnato come un campanello d’allarme la presidenza di Emmanuel Macron fin dal suo inizio, ma solo ora il capo dell’Eliseo sembra accorgersene. Probabilmente a causa del fatto che Macron ha bisogno di recuperare la popolarità perduta per ricandidarsi l’anno prossimo alle elezioni con qualche chance di sconfiggere Marine Le Pen che ha immediatamente cavalcato gli strali dei poliziotti. Per questo il presidente ha incontrato gli alti magistrati della Corte di Cassazione per aprire un tavolo sulla riforma della giustizia. Nella nota diffusa dall’Eliseo si legge che il presidente “ha deciso di varare gli Stati generali della giustizia”, sottolineando il “profondo attaccamento” del Capo dello Stato alla “separazione dei poteri”, proprio mentre non solo i sindacati di polizia ma anche numerose personalità del mondo politico stanno criticando fortemente l’istituzione giudiziaria.

L’annuncio è stato dato venerdì sera durante un colloquio voluto da Chantal Arens, il primo presidente della Corte di cassazione, e François Molins, procuratore generale della Corte di cassazione. Molins, uno dei massimi magistrati francesi, a fine aprile in un’intervista a Le Monde aveva tuonato contro le polemiche suscitate dalla decisione della Cassazione di dichiarare penalmente irresponsabile l’assassino della cittadina francese di religione ebraica Sarah Halimi, massacrata di botte e gettata dalla finestra al grido di Allah u’akbar (Allah è grande) nel 2017. Lo scorso aprile anche la Cassazione aveva infatti spento le speranze dei familiari della maestra ebrea sessantenne. Come per i giudici del Tribunale e della Corte d’Appello anche per i colleghi della Cassazione, l’assassino, Kobili Traoré, di religione musulmana nonchè vicino di casa della vittima non può essere processato perché al momento dell’aggressione non sarebbe stato padrone dei propri atti a causa dell’hashish fumato prima di commettere il crimine e ai sensi dell’articolo 122 del Codice penale transalpino. In questi quattro anni, il dramma della famiglia Halimi è diventato sempre più chiaramente il simbolo della nuova ondata antisemita legata al montante radicalismo islamico e all’indifferenza, per usare un eufemismo, della giustizia francese in proposito. In un disegno satirico pubblicato da Actualité Juive si vede un poliziotto che ferma un’auto e dice al guidatore: “Ma lei sta fumando hashish al volante?!”. Risposta: “È per non avere problemi se metto sotto un ebreo!”. E a proposito di poliziotti, lo scorso maggio 19 maggio, decine di migliaia di agenti di polizia hanno manifestato davanti all’Assemblea nazionale alla presenza del ministro degli Interni, Gérald Darmanin, di molti eletti di LR e RN, ma anche di sinistra come il sindaco di Parigi Anne Hidalgo e l’eurodeputato di EELV Yannick Jadot. La partecipazione del ministro e della potente sindaca della gauche parigina sono il segno che l’esecutivo e la municipalità più pesante di Francia si sono accorti della pericolosità della situazione generata dalla miopia della giustizia e delle istituzioni nel loro complesso di fronte agli attacchi degli estremisti islamici contro ebrei e forze dell’ordine. La Francia sta vivendo un momento molto pericoloso della propria storia per il lassismo e lo strisciante antisemitismo della magistratura, che potrebbe aumentare il consenso degli elettori a favore di Marine Le Pen. Ora Macron se ne rende conto e promette una modifica del Codice penale.