I pm chiedono il processo per Grillo Jr e i suoi amici

La Procura di Tempio Pausania ha richiesto il rinvio a giudizio per Ciro Grillo e i suoi amici – Francesco Corsiglia, Edoardo Capitta e Vittorio Lauria – per l’accusa di violenza sessuale di gruppo. Sono due le contestazioni di cui dovranno rispondere. La prima, che coinvolge tutti e quattro, riguarda il presunto stupro di Silvia (nome di fantasia di S.R, studentessa milanese di 20 anni) al termine di una serata passata insieme alla discoteca Billionaire di Porto Cervo. Fatti aggravati dall’ “abuso delle condizioni di inferiorità fisica e psichica della vittima, dovuta all’assunzione di alcol”. La seconda – di cui rispndono solo a Grillo, Capitta e Lauria – è un’altra violenza sessuale, legata alle foto oscene scattate accanto a Roberta (R.M.), amica di Silvia, che in quegli scatti dorme senza accorgersi di cosa sta succedendo.

a quasi due anni dai fatti, era il 16 luglio del 2019, i magistrati chiudono dunque il cerchio: ce n’è abbastanza, secondo il procuratore capo Gregorio Capasso e il pm Laura Bassani, per portare i quattro giovani a processo. L’udienza preliminare è stata fissata il 25 giugno. Nei giorni scorsi il figlio del fondatore del Movimento Cinque Stelle si è ripresentato presso i carabinieri di Genova per farsi sentire un’altra volta. Oggi come allora Ciro e i suoi amici si proclamano innocenti. Secondo la loro versione quella notte si è consumato un rapporto consenziente.

La ricostruzione dell’accusa, invece, riconosce credibilità a quanto denunciato da Silvia, otto giorni dopo i fatti a Milano. Alla chiusura della discoteca le due ragazze, che avevano pernottato a Porto Pollo, avevano accettato l’invito dei coetanei a dormire nel loro appartamento a Porto Cervo, molto vicino al locale. Qui, dopo una cena imbastita intorno alle sei di mattina, Silvia sarebbe stata violentata una prima volta da Corsiglia. Nei momenti finali del rapporto compaiono anche i tre amici, che “entravano ed uscivano dalla stanza, ridendo tra loro, e ostruendo il passaggio a Silvia quando, divincolatasi, la ragazza tentava di allontanarsi, consentendo in tal modo a Corsiglia di raggiungerla nuovamente, e afferrarla”. La seconda presunta violenza avviene alle 9 di mattina, dopo che Silvia sarebbe stata costretta a bere altra vodka. A questo secondo rapporto, stavolta di gruppo, partecipano Grillo, Capitta e Lauria, che si riprendono anche con un cellulare. Quel video è ritenuto controverso: per l’accusa dimostra la violenza, per le difese è una prova a discarico.

Ci sono poi le immagini, in pose oscene, scattate mentre Roberta dorme. Un primo video riprende “Grillo e Lauria, alle 6.25”; una foto, alle 6.39, riguarda Lauria; altre due foto, alle 7.15, riprende “uno di loro”, di cui si vedono solo le parti intime. Fra le prove gli investigatori hanno depositato intercettazioni telefoniche e ambientali, messaggi e chat, una corposa analisi dei dati telefonici e informatici, consulenze informatiche e psicologiche.

Premiato il medico no-vax, che va a dirigere le emergenze

Una brutta storia che contiene una storia ancor più brutta. È quella di Amato De Monte, medico anestesista di Udine, catapultato dal presidente della Regione Friuli-Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga, e dal suo braccio destro per la sanità, Riccardo Riccardi, al vertice della Sores, la Struttura operativa regionale dell’emergenza sanitaria. Il fatto è che il nuovo capo delle emergenze in Friuli non solo è un gran tifoso dell’ozonoterapia, che considera – senza alcuna prova scientifica – la migliore delle cure per il Covid-19, ma è di fatto un no-vax. A chi gli era vicino, nei mesi scorsi lo diceva chiaramente: “Io non mi vaccino, non mi fido di questi prodotti che circolano”. Poi ha cominciato a dire che era in attesa di un nuovo, fantomatico vaccino cinese. Dopo che la sua situazione è diventata argomento di polemica pubblica, è corso ai ripari comunicando di avere prenotato la vaccinazione, per il prossimo 28 dicembre. Continua dunque a non essere vaccinato, dopo essere stato operativo in reparti Covid a Udine, dove è primario e direttore del dipartimento di anestesia e rianimazione. Il presidente nazionale degli Ordini dei medici, Filippo Anelli, ha reagito chiedendo che chi non si vaccina sia sospeso dall’attività professionale. L’ex ministro della Salute Beatrice Lorenzin e la senatrice Pd Tatjana Rojc hanno depositato interrogazioni sul suo caso alla Camera e al Senato.

Ma se questa è la prima storia, la seconda è perfino più imbarazzante. Perché De Monte dal 1º giugno è capo delle emergenze regionali, l’ex 118. Nominato dopo che era stato congelato un regolare concorso a cui non aveva partecipato. “Comandato” d’autorità da Giuseppe Tonutti, direttore generale di Arcs, l’azienda regionale che controlla anche le emergenze. La promozione è stata il premio per il sostegno dato ai vertici politici di centrodestra della Regione – sostengono molti colleghi medici e i partiti d’opposizione – durante i mesi più neri della pandemia, che ha visto il Friuli Venezia Giulia tra le regioni più colpite d’Italia. Il presidente regionale del sindacato dei medici anestesisti (Aaroi Emac), Alberto Peratoner, spiega che i numeri della pandemia in Fvg sono stati “addolciti” con stratagemmi (per evitare di entrare in zona rossa): “Alcuni reparti ospedalieri sono stati classificati di Terapia semintensiva, mentre in realtà erano a tutti gli effetti delle vere Terapie intensive gestite da anestesisti rianimatori, con pazienti gravi, ventilati e rapidamente intubati”. È successo a Gorizia e prima ancora a Palmanova, in un reparto di cui era responsabile proprio il dottor De Monte. Ora premiato.

Il gattopardo non fa nemmeno più la fatica di cambiare

Il ritorno dell’assessore indagato spacca la maggioranza e indigna l’opposizione. Dopo due mesi di purgatorio, il presidente dela Sicilia Nello Musumeci riabbraccia il figliol prodigo Ruggero Razza, consegnandogli per la seconda volta la Sanità dell’Isola dalla quale si era dimesso a marzo, dopo l’inchiesta di Trapani per i dati falsati e “spalmati” del Covid. “Indecente” e “arrogante” è stata la critica al governatore arrivata dai banchi dell’opposizione, da Claudio Fava, M5S, Pd e Iv, definendo la nomina “una guerra di potere e poltrone”. Ma la questione morale e la responsabilità politica non ha scalfito Musumeci: “Razza è una persona indagata come tanti altri all’Assemblea siciliana, gli ho chiesto di tornare al proprio posto perché ho sempre detto che un avviso di garanzia non è una condanna”.

Eppure si è formata più di una crepa nella coalizione del centrodestra, e tra gli alleati molti hanno storto in naso. Per il momento Musumeci può contare su un’ampia maggioranza, anche grazie al sostegno di Attiva Sicilia, il gruppo di 5 grillini “pentiti”, di cui fa parte anche Elena Pagana, oggi compagna proprio di Razza.

La Sanità targata Razza è stata costellata da molti flop, a partire dall’inizio della pandemia, quando l’isola venne colta impreparata, pur avendo avuto l’esempio della Lombardia. Sotto accusa finirono i direttori generali delle Asp di Enna, Siracusa e Messina, nominati da Razza, criticati dai sindaci, sindacati di medici e infermieri, e dalla cittadinanza per non essere stati in grado di prevenire cluster e focolai, o per aver annunciato posti letto in terapia intensiva inesistenti. Nessuno però ha pagato, anzi, i dg sono rimasti al loro posto blindati dalla Regione che ha mandato delle commissioni speciali per supportarli. Per non parlare dell’imbarazzo creato dall’audio del manager della sanità Mario La Rocca inviato su whatsapp ai dirigenti delle Asp siciliane per sollecitarli ad inserire in fretta più posti letto Covid e terapie intensive, per evitare restrizioni sulla Sicilia. Anche in questo caso, Razza e Musumeci hanno blindato il manager.

Infine c’è il mancato tracciamento dei contagi, con molti siciliani rientrati nell’isola che per settimane sono rimasti in quarantena aspettando che qualcuno li chiamasse. Oppure i tamponi rapidi fatti ai viaggiatori arrivati in aeroporto, senza poi essere richiamati dalle Asp di riferimento per un secondo controllo. Per non parlare della mitologica “Sicilia Sicura”, l’app isolana sorella di Immuni, voluta dal commissario Guido Bertolaso, e naufragata senza lasciare traccia.

Contagi e vittime in netto calo “Tre su quattro asintomatici”

L’Italia diventa più bianca: da lunedì via alle restrizioni (salvo mascherine e distanziamento) anche in Abruzzo, Liguria, Umbria e Veneto, che si aggiungono a Molise, Sardegna e Friuli-Venezia Giulia. Lì non ci sarà più il cosiddetto coprifuoco, che nelle Regioni gialle sempre da lunedì comincerà alle 24 e non più alle 23 per poi essere eliminato del tutto il 21 giugno. A quel punto però quasi tutto il Paese dovrebbe essere zona bianca.

La regola, faticosamente concordata con le Regioni che non volevano più dipendere dal tasso di riproduzione del virus Rt, vuole tre settimane sotto i 50 contagi ogni 100 mila abitanti ogni 7 giorni. A questo punto la media italiana è 30, l’incidenza è scesa molto rapidamente (nell’ordine del 30% a settimana) e c’è solo da augurarsi che la sorveglianza (i tamponi) rimanga intensa. Solo una Regione, la Val d’Aosta, è ancora appena sopra i 50 nuovi casi (56) per centomila abitanti nella settimana tra il 28 maggio e il 3 giugno secondo i dati del monitoraggio, diffusi ieri come ogni venerdì. I malati Covid negli ospedali sono in tutto 6.324 di cui 836 in terapia intensiva, dalla prima metà di ottobre non erano così pochi (il picco della seconda ondata sfiorò i 40 mila a fine novembre), sono diminuiti tra il 21 e il 24% in sette giorni e l’occupazione dei letti è poco sopra il 10%, lontanissima dalle soglie del 30% e del 40% che fanno scattare l’allerta. Ma anche il vituperato indice Rt, calcolato sui sintomatici, è in calo: si attesta a 0,68 (range 0,65-0,75) nel periodo 11-24 maggio, i valori più alti sono in Trentino (0,93) e Alto Adige (0,99). A Bolzano, comunque, intendono ridurre autonomamente le restrizioni. Tutte le Regioni sono a rischio basso, sono diminuiti del 30% i casi non associati a catene di trasmissione note. In Molise, Sicilia e Val d’Aosta si registra un leggero aumento nel tasso di positività dei tamponi, comunque su valori bassi; in Puglia una lieve flessione del tracciamento. Scendono anche i morti, di quasi il 50% in sette giorni: 496 nell’ultima settimana (media quotidiana 70,8) contro 891 la precedente (127,3).

Naturalmente tutto questo è in larga parte effetto della campagna vaccinale che prosegue rapidamente e ha coperto in particolare gli anziani e le persone più fragili. Scende anche l’età mediana dei contagi e dei ricoveri come era già successo all’inizio della scorsa estate. L’ha ricordato il professor Silvio Brusaferro, presidente dell’Istituto superiore di sanità, presentando i dati. Ha osservato anche che “tre quarti di chi contrae l’infezione è asintomatico o con pochi sintomi e i casi diminuiscono in tutte le fasce di età, incluse quelle più giovani.” Il professor Gianni Rezza, direttore della Prevenzione al ministero della Salute, ha detto che “ci sono tutti i segnali per avere fiducia e ottimismo. Però, visto che continuano a circolare diverse varianti Covid, meglio mantenere comportamenti individuali prudenti”. Si riferisce alla variante cosiddetta indiana (e ora rinominata “delta”) che in alcune zone della Gran Bretagna ha soppiantato quella detta inglese (“alfa”), ormai da tempo prevalente in Italia, perché è maggiormente trasmissibile. Si discute di quando sarà possibile eliminare o almeno attenuare l’obbligo di a mascherina, ma una data ancora non c’è. Un’altra complicata questione è quella del cosiddetto green pass, soprattutto per le implicazioni relative alla privacy sui dati sanitari. La questione resta aperta a livello nazionale ed europeo.

Per Rezza, come per il ministro Roberto Speranza, la priorità è favorire le campagna di vaccinazione anche “in Paesi poveri di risorse, perché se il virus continua a circolare in alcuni Paesi è possibile che si sviluppino nuove varianti. È pericoloso far correre il virus in Paesi densamente popolati” come è successo in India e prima in Brasile. Se ne è discusso anche al G7 Salute di Oxford, se ne parla nell’ambito dell’Unione europea anche nella prospettiva di più sostanziosi acquisti di vaccini destinati appunto ai Paesi poveri del programma Covax.

Vaccini, stop della Ue alla lotta sui brevetti: “Licenze obbligatorie”

Il voto del Parlamento è fissato per mercoledì prossimo a Strasburgo. Quel giorno i rappresentanti dei cittadini europei dovranno decidere sulla proposta di sospendere temporaneamente i brevetti sui vaccini e sugli altri prodotti anti-Covid, dando mandato alla Commissione europea di portare la posizione dell’Ue davanti all’Organizzazione mondiale del commercio (Wto). L’ultimo dibattito parlamentare, lo scorso 19 maggio, ha evidenziato una spaccatura netta tra favorevoli e contrari. Eppure, la Commissione guidata da Ursula von der Leyen – il potere esecutivo nell’Ue – ha già indicato la sua linea. Non appoggerà la proposta avanzata da India e Sudafrica per sospendere i brevetti: punterà sulle licenze obbligatorie.

La novità è stata annunciata ieri. La Commissione ha spiegato di aver presentato al Wto la sua proposta che si divide in tre punti. Primo: “Garantire che i vaccini anti-Covid, i medicinali e i loro componenti possano attraversare liberamente le frontiere”. Secondo: “Incoraggiare i produttori ad aumentare la produzione, garantendo al contempo che i Paesi più bisognosi di vaccini li ricevano a un prezzo accessibile”. Terzo: “Facilitare l’uso delle licenze obbligatorie nell’ambito dell’attuale accordo Wto sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio (Trips)”. È quest’ultimo punto il più controverso, perché alternativo alla sospensione dei brevetti.

Previste dagli accordi sulla proprietà intellettuale del Wto, le licenze obbligatorie autorizzano gli Stati, in certe condizioni, a far produrre vaccini e farmaci anche a chi non possiede i brevetti. Per esempio, invece di aspettare che sia Pfizer-BioNtech ad accordarsi liberamente con un’altra azienda farmaceutica, la Germania può imporlo. Il fine della proposta della Commissione è lo stesso perseguito da chi sostiene la necessità di sospendere i brevetti, ma con una differenza: “Se viene rilasciata una licenza obbligatoria, al titolare del brevetto deve comunque essere corrisposto un adeguato compenso”, spiega il Wto. Insomma, con la proposta di Bruxelles le case farmaceutiche titolari dei vaccini continuerebbero a incassare le royalties, cosa che invece non avverrebbe in caso di sospensione dei brevetti.

L’iniziativa di Von der Leyen non è piaciuta a tutti. “Sarebbe grave se il Parlamento europeo fosse stato scavalcato su un tema così cruciale nella lotta alla pandemia. La Commissione europea segua l’indirizzo che emergerà dal Parlamento europeo e non si rinchiuda in una torre d’avorio”, ha commentato Tiziana Beghin, capodelegazione del Movimento 5 Stelle al Parlamento europeo, da sempre favorevole alla sospensione dei brevetti.

La sospensione temporanea dei brevetti è stata proposta al Wto da India e Sudafrica nell’ottobre dell’anno scorso. L’hanno già sottoscritta 62 Paesi, a cui dovrebbero aggiungersi formalmente anche gli Usa dopo che Joe Biden ha detto di volerla sostenere.

Oltre che ai brevetti sui vaccini e ai vari componenti necessari (ogni vaccino è coperto da decine di brevetti), la proposta vuole estendere la sospensione anche ai trattamenti, alla diagnostica e ai dispositivi di protezione che riguardano il Covid. La moratoria priverebbe le aziende produttrici dei profitti derivanti dai diritti di sfruttamento dei brevetti e durerebbe almeno tre anni, dopodiché il Consiglio generale del Wto dovrebbe decidere se interromperla o prorogarla.

Oltre a Ue, Gran Bretagna e Giappone, tra i contrari alla sospensione ci sono anche i governi di Australia, Norvegia, Singapore, Corea del Sud, Svizzera e Taiwan, ha scritto nei giorni scorsi il quotidiano francese Le Figaro citando una fonte anonima del Wto. Per essere approvata, qualsiasi proposta sul tema richiede il voto unanime di tutti e 164 gli Stati che fanno parte del Consiglio generale del Wto.

La prossima riunione sul tema è prevista a Ginevra l’8 giugno, il giorno prima del voto al Parlamento europeo.

Salvini va sul carro di B. per scappare da Meloni

Una giornata campale, ieri, nel centrodestra. Dove si sono viste fibrillazioni altissime, al punto che Mara Carfagna e Anna Maria Bernini si sono prese a male parole durante una riunione via Zoom, alla presenza di Silvio Berlusconi. Che proprio in questo summit con lo stato maggiore è apparso tuttavia più perplesso sull’accelerazione arrivata da Matteo Salvini.

Tutto è iniziato ieri mattina, con il leader leghista che in un’intervista al Giornale ha proposto una federazione dei partiti di centrodestra che stanno al governo, ovvero Lega e FI con l’obiettivo di fare gruppi unici in Parlamento. “Spero di arrivare entro giugno alla federazione delle forze di centrodestra, almeno quelle che sostengono l’esecutivo Draghi. Così da rafforzare l’unità e arrivare a liste comuni nel 2023”, ha detto l’ex ministro dell’Interno. “Non voglio annettere FI, ma dobbiamo fare un passo in avanti”, ha aggiunto.

Il progetto non è nuovo ed è stato spesso accarezzato in passato dall’ala più filo-leghista del partito berlusconiano. Quella frangia che, oltretutto, col governo Draghi non ha toccato palla visto che ministri sono diventati Mara Carfagna, Renato Brunetta e Mariastella Gelmini, generando quasi una rivolta tra i “salviniani”.

Ma perché il Capitano rispolvera ora quel progetto? La certezza, tra i forzisti e non solo, è che sia il modo con cui il leader leghista pensa di stoppare l’avanzata di Giorgia Meloni che, secondo i sondaggi, è a un passo dalla Lega. Col 21,5% del Carroccio e il 7% di FI l’ex ministro tenterebbe di allontanare lo spauracchio del sorpasso o, comunque, di annacquarlo. “Salvini è terrorizzato dal sorpasso, forse non ci dorme la notte, ma dimentica due cose: le fusioni a freddo, come si è visto col Pdl, non funzionano. Inoltre in politica i voti non si sommano mai. Piuttosto c’è il rischio che sia la Lega sia FI perdano consensi…”, riflette un autorevole esponente azzurro.

Ma tra i berluscones si notano anche un altro paio di cose. L’intervista di Salvini è arrivata due giorni dopo un’intervista a Berlusconi, sempre al Giornale, in cui il leader azzurro era stato un po’ ambiguo sull’argomento: insomma, per qualcuno si tratta di un “piano” ideato a tavolino dall’asse Salvini-Ronzulli-Tajani-Bernini.

Inoltre arriva pure in un momento in cui la salute di Berlusconi è sempre più precaria, mentre FI è ancora frastornata per l’uscita di 12 deputati migrati verso la formazione di Giovanni Toti e Luigi Brugnaro. Una mini-scissione che ancora si fa fatica a digerire e che oltretutto colpisce la parte più “liberal” del partito, perché ad andarsene sono stati tutti esponenti anti-Lega. Quindi è chiaro che ora la corrente che fa capo a Carfagna e Gelmini si trova in un momento di debolezza. E infatti sono state proprio le due ministre, ieri, a insorgere. “Non ci faremo annettere dalla Lega. Questa è una decisione che va discussa nei gruppi”, hanno detto in coro.

“Federazione? Gli elettori liberali non capirebbero”, ha sottolineato poi Carfagna. Che durante la riunione ha aggiunto: “Sembra una decisione già presa. Poi non lamentiamoci se altri 50 parlamentari se ne andranno”. “Sembra un avvertimento mafioso!”, la reazione di Bernini. “Io la mafia la conosco bene, non farei paragoni..!”, ha ribattuto Carfagna. “Io invece non la conosco!”, ancora Bernini. Scintille. “Valutiamo con serenità l’idea della federazione. In futuro mi piacerebbe anche un partito unico, pure con FdI”, le parole, invece, di Berlusconi. Che nel pomeriggio ha avuto una telefonata con Salvini. Notizia che quest’ultimo si è subito affrettato a diffondere. “Telefonata affettuosa, positiva e con lo sguardo rivolto al futuro”, fanno sapere dalla Lega. Ma intanto il partito azzurro è esploso.

“Non esiste alcun Salvetta”. Ma Lega-Pd con Cartabia

Un conto è il dialogo, che è “necessario”, un altro il patto con il nemico Matteo Salvini. Che, assicura Enrico Letta di buon mattino, non c’è: “Non esiste alcun Salvetta” ha detto il segretario del Pd facendo riferimento alla prima pagina del Fatto di ieri in cui si facevano notare le nuove affinità, almeno sul tema della Giustizia, tra Letta e Salvini. E per dimostrarlo il segretario dem utilizza proprio il tema più caldo nelle ultime ore sulla giustizia cavalcato dal leader della Lega, ovvero i sei referendum proposti con i Radicali in chiave anti-pm tra cui la responsabilità civile dei magistrati e la separazione delle carriere. Quesiti che quest’estate potrebbero creare un grosso problema politico nella maggioranza visto che proprio a inizio luglio, quando Lega e Radicali inizieranno a raccogliere le firme, in Parlamento arriverà la riforma del processo penale firmata dal ministro della Giustizia, Marta Cartabia, che dovrà fare sintesi tra le idee opposte nella maggioranza.

E così, anche in risposta a chi, come Goffredo Bettini e l’ex capogruppo al Senato Andrea Marcucci, ha espresso il proprio parere favorevole ai quesiti, Letta ieri mattina ha spiegato che il Pd non sosterrà i referendum leghisti: “Il referendum è lo strumento sbagliato – ha detto il segretario dem a Mattino 5 – in Italia sono solo abrogativi e perché un referendum abbia successo bisogna che voti almeno il 50% dei cittadini. In 25 anni un solo referendum ha avuto il quorum, tuti gli altri sono falliti. È uno strumento per fare lotta politica e i tempi sono molto lunghi”. Poi Letta ha spiegato che il Pd preferisce riformare la giustizia in Parlamento: “A Salvini preferiamo Draghi e Cartabia e ci fidiamo di loro – ha concluso – siamo molto d’accordo con le loro proposte”. A stretto giro gli ha risposto Salvini: “Non ha letto i quesiti, non c’entrano niente con la riforma”. Ma se quello di ieri è un punto di chiarezza sulla questione dei referendum, dal Nazareno però confermano che nelle prossime settimane il Pd dovrà continuare a “dialogare” con la Lega sulla giustizia e sugli altri temi: “Senza la Lega questo Parlamento non farà la riforma della giustizia – è il ragionamento che fanno ai piani alti del Nazareno – per cui meglio trovare una sintesi adesso che rischiare di far saltare tutto e subire una riforma ancora più punitiva contro i pm con il prossimo governo”. Ma che nel Pd si voglia dare un segnale in senso garantista lo dimostra il fatto che nei prossimi giorni Letta affiderà all’ex sindaco di Lodi Simone Uggetti, condannato in primo grado e assolto in Appello dopo 5 anni, un incarico a livello nazionale.

Tra le forze di governo inoltre c’è un appeasement sulle vicende giudiziarie. Lo dimostra il caso delle condanne di giovedì nei confronti dei commercialisti della Lega Andrea Manzoni e Alberto Di Rubba per il caso della Lombardia Film Commission. I due erano i revisori contabili della Lega in Parlamento ma tra le forze di maggioranza nessuno ha chiesto conto a Salvini sul piano politico. Nemmeno i vertici del M5S che sulla “questione morale” hanno costruito il proprio successo. Un cambio di approccio influenzato anche dalla svolta garantista di Di Maio sul caso Uggetti. Il silenzio incrociato tra le forze di maggioranza nelle ultime settimane ha riguardato anche altre vicende giudiziarie. In primis il caso Durigon, il sottosegretario leghista che si vantava di controllare chi sta facendo le indagini sui 49 milioni della Lega (“Quello della Guardia di Finanza lo abbiamo messo noi”), su cui Letta non ha mai espresso pubblicamente la sfiducia, ma anche il caso Lotti: ad aprile il potente capocorrente dem è stato accusato di corruzione nell’ambito dell’inchiesta Open, ma né dalla Lega né dal M5S erano arrivati attacchi.

5S vicini all’accordo: il voto per Conte non su Rousseau

Stanno trattando. E l’armistizio, nero su bianco, ora pare più vicino, perché dopo un anno di guerra sono tutti esausti. È stanco l’Erede, sconfitto davanti al Garante della privacy ma ancora in grado di seminare ostacoli e tagliole nei tribunali. Ma è stufo anche il M5S, che non può più rinviare la rifondazione di Giuseppe Conte. Così si lavora sin nei dettagli all’accordo tra Davide Casaleggio e l’ex premier, il Conte capo in pectore dei 5Stelle, che da avvocato sugli arbitrati ci ha costruito una carriera. Ieri pomeriggio pareva tutto fatto, ma in serata sono riapparsi nuvoloni. Lo schema dell’intesa però c’è, con l’associazione Rousseau che consegnerebbe i dati degli iscritti al Movimento, così come deciso dal Garante, e si impegnerebbe a deporre l’arma di un’eventuale causa in sede civile. In cambio avrebbe una cifra tra i 150 e i 200mila euro (l’entità verrà coperta con una clausola di riservatezza), mentre il M5S è pronto a caricarsi le spese legali e quelle per le incombenze burocratiche. Punto essenziale, tra Rousseau e i 5Stelle si chiuderebbe così, per davvero: perché il nuovo M5S dovrebbe prendere forma con votazioni su una nuova piattaforma. Così vuole il reggente Vito Crimi, che ha rotto da tempo con Casaleggio. E così preferisce anche Conte, che ha bisogno di una svolta anche simbolica, per poi dare il via alla ricostruzione del Movimento.

Iniziando con un’assemblea generale dove presentare il nuovo M5S, a Roma, la prossima settimana. Probabilmente a Cinecittà, anche se l’avvocato e il suo staff riflettono anche sull’ipotesi di una piazza, seppure con numeri contigentati. Subito dopo arriverebbe la votazione sul web del nuovo assetto, con Conte capo politico e una segreteria a fargli da supporto, un nuovo Statuto e una Carta dei valori. A quel punto, l’ex premier potrebbe partire per un tour dell’Italia, per rilanciare la sua figura e promuovere i 5Stelle, anche in vista delle Comunali di ottobre.

Ma niente candidatura in Parlamento. Cimentarsi nelle suppletive in autunno nel collegio romano di Primavalle sarebbe rischiosissimo, e Conte sa di non potersi permettere un eventuale tonfo. Meglio pensare ad altro, al Movimento da rifare. Però prima bisogna chiudere la guerra con Casaleggio. D’altronde per la pace era tornato a spingere anche Beppe Grillo, su cui ieri è piombato il macigno del rinvio a giudizio del figlio. Un altro motivo per accelerare sulla rifondazione di Conte, con Grillo ormai preso soprattutto da altro. Quindi un’altra ragione per cercare l’intesa. Ora necessaria anche a Casaleggio, a cui il Garante giovedì ha rifiutato una dilazione sui tempi per consegnare i dei dati degli iscritti.

Soprattutto per questo, il patron di Rousseau ha riaperto la trattativa, vicina a un buon esito già lo scorso fine settimana. Ma la prima decisione del Garante, martedì, aveva congelato di nuovo tutto. Però gli sherpa non si sono mai fermati. Non a caso ieri pomeriggio con i suoi Di Maio insisteva: “Gli scontri ci penalizzano, dobbiamo coinvolgere tutti e fare squadra e poi blindare la leadership di Conte”. Ma in serata le cose si complicano un po’. In diversi notano le dichiarazioni a un’agenzia dell’avvocato che ha presentato il ricorso del M5S al Garante, Francesco Cardarelli: “Non si scappa, se Casaleggio non consegna i dati rischia fino a due anni e mezzo di carcere”.

E un 5Stelle vicino a Casaleggio commenta: “Parole così ora non aiutano”. Sta di fatto che la trattativa si fa improvvisamente più impervia. “Ma a questo punto è interesse di tutti chiudere l’accordo” sussurra un big.

In caso di intesa, Crimi è pronto ad andare già oggi assieme a due periti forensi a Milano, sede dell’associazione Rousseau, per farsi consegnare gli elenchi degli iscritti. Una volta acquisiti, spiegano, ci vorrebbero due o tre giorni per caricarli sulla nuova piattaforma: già pronta, come ha confermato al Fatto mercoledì il capogruppo del M5S alla Camera, Davide Crippa.

Del resto “non c’è più tempo” come ripetono 5Stelle di ogni ordine e grado, da settimane. Il nuovo Movimento di Conte deve partire. Anche per gestire le fibrillazioni interne, con una parte consistente del M5S che non nasconde più l’insofferenza per il governo Draghi (ieri è uscito allo scoperto l’ex sottosegretario Angelo Tofalo). Una delle mille spine per Conte: l’uomo della speranza, di non affondare.

Giustizia di classe

Dopo aver fatto inciuci con tutti e il loro contrario ed essersi ridotti a percentuali da prefisso, i Radicali sono atterrati in braccio a Salvini. Auguri a loro, ma soprattutto a lui. Il prestigioso sodalizio raccoglie firme per sei referendum che renderanno la giustizia – l’avreste mai detto? – “giusta”. Siccome i quesiti sono scritti in un idioma che fa apparire il sànscrito una passeggiata di salute (solo il secondo conta ben 1074 parole), ci siamo armati di un decrittatore per codici cifrati e li abbiamo tradotti.

1. Responsabilità civile dei giudici. Oggi chi ritiene di aver subìto un torto dalla giustizia può chiedere i danni allo Stato. Se vince il sì, potrà fare causa direttamente al magistrato. Così chiunque sarà condannato nel penale o si vedrà dar torto nel civile denuncerà i suoi giudici. Che saranno sepolti di denunce. O, per evitarle, non condanneranno più nessuno e, fra un potente e un poveraccio, daranno ragione al primo, a prescindere. Giustizia giusta?

2. Manette difficili. Si vuole abolire la custodia cautelare per i delitti puniti con pene sopra i 5 anni nonché per il delitto di finanziamento illecito dei partiti”. Quindi, se non si può più arrestare neppure per finanziamento illecito e per i reati gravi, i delinquenti in guanti bianchi (e pure di strada) resteranno liberi di inquinare le prove, fuggire e commettere altri reati. Giustizia giusta?

3. Separazione delle carriere fra pm e giudici. Se il pm ha fatto per un po’ il giudice, ha assorbito la cultura dell’imparzialità tra accusa e difesa (Falcone e Borsellino furono giudici istruttori e poi pm). Se invece fa solo il pm, assorbe la mentalità dell’accusa, tipica delle forze di polizia, non della magistratura. Quindi, una volta separati dai giudici, i pm saranno più “giustizialisti” di prima. Giustizia giusta?

4. Abolizione della Severino. L’altra sera dalla Gruber Salvini vaneggiava sulla barbarie di cacciare sindaci e amministratori locali condannati in primo grado. Forse non ha letto il quesito, che propone di abolire l’“incandidabilità e il divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi”: cioè vuole riportare in Parlamento, al governo e negli enti locali persino i pregiudicati (in Cassazione, non in primo grado) per reati gravi. Giustizia giusta?

5. Elezioni al Csm. Chi si candida non dovrà più raccogliere firme. Il che, con la giustizia giusta, non c’entra una mazza.

6. Consigli giudiziari. Nelle filiali locali del Csm che giudicano la bravura dei magistrati, avrebbero diritto di voto pure gli avvocati. Cioè, per dire, a Palermo a valutare la professionalità di Nino Di Matteo potrà esserci l’avvocato di Matteo Messina Denaro. “Giustizia giusta”, come no.

A maggio il crollo delle vendite ha raggiunto livelli record

Il mercato dell’auto italiano sta andando a picco. A maggio i numeri sono stati impietosi: -28% nelle immatricolazioni rispetto allo stesso mese del 2019. Sarebbe stato poco indicativo, infatti, confrontarli con quelli di un anno fa, mentre eravamo in piena pandemia.

Da inizio anno, poi, è andata persa una vettura su cinque.

E i dati sul semestre, attesi ai primi di luglio, se possibile saranno ancora peggiori, complice il venir meno degli incentivi e delle consegne (crisi dei chip permettendo, come leggete in questa pagina) degli ultimi ordini che hanno beneficiato dei sussidi statali relativamente alla fascia di auto con emissioni di CO2 contenute tra 61 e 135 gr/km, ovvero quella che il mercato ha dimostrato di prediligere rispetto a quella ancora acerba delle vetture 100% elettriche e ibride plug-in.

A tale proposito, l’unica misura che potrebbe limitare i danni è un rifinanziamento proprio di quella fascia intermedia. Nell’iter di conversione del dl Sostegni-bis c’è ancora spazio per un’iniziativa del genere, che oltretutto contribuirebbe al raggiungimento di un obiettivo importante: lo svecchiamento del parco auto italiano, tra i più vetusti d’Europa con i suoi 11 anni e 10 mesi di anzianità media. Perché, a ben vedere, l’aria si rende più pulita togliendo dalla circolazione i mezzi obsoleti e sostituendoli con qualcosa di più moderno e meno impattante sull’ambiente, magari anche sostenibile per le tasche della gente.