M5S, qual è la verità tra i buoni sondaggi e chi li dà per morti?

Non so a voi, ma a me qualcosa non torna. Leggo i giornali, guardo la tv, do un’occhiata a Twitter e mi convinco che il Movimento cinque stelle sia ormai scomparso. Il brutto video di Beppe Grillo sull’inchiesta per violenza sessuale contro suo figlio, sommato alle dispute con Davide Casaleggio e l’eterna attesa per l’arrivo ai vertici del Movimento di Giuseppe Conte, è roba che ucciderebbe anche un toro. Anche perché, per il 90 per cento abbondante degli opinionisti, i pentastellati sono degli scappati di casa, incapaci, incoerenti e inconcludenti.

Se le cose stanno così, in un paese normale non li dovrebbe votare più nessuno: altro che il 17 per cento ottenuto con (la scoppola) delle Europee. Il loro destino dovrebbe essere al massimo un poco appassionante testa a testa con Italia Viva. E invece ogni volta che viene pubblicato un sondaggio quei maledetti (da tutti) sono sempre lì. Intorno al risultato delle Europee e qualche volta addirittura di più: Emg per la trasmissione Rai Agorà li dà addirittura al 18,4 per cento, terzo partito in un fazzoletto con Lega e Fratelli d’Italia, seguiti dal Pd al 16,9. Ancora più incomprensibile è ciò che accade a Roma.

Tutti ripetono che Virginia Raggi è il peggior amministratore di Capitale dai tempi di Nerone. Che la città fa schifo, che ha asfaltato il Tevere e non asfaltato le strade. Eppure quando la Repubblica, che non è mai tenera con la sindaca, commissiona a Izi una rilevazione, salta fuori che il 26,9 per cento dei romani la voterebbe ancora al primo turno, mentre solo il 23 per cento sceglierebbe Guido Bertolaso e appena il 18,5 per cento si schiererebbe con Roberto Gualtieri.

Poi c’è Giuseppe Conte. Il quale dovrebbe essere morto e sepolto: in tv sono pochissimi quelli che non lo accusano di essere responsabile della pandemia, della crisi economica, delle lentezze nella campagna di vaccinazione. Ma se guardi i sondaggi scopri che sebbene Conte sia pressoché scomparso dalla scena politica da tre mesi, resta per tutti gli istituti, tranne uno, il leader più amato dagli italiani. E che, secondo Piepoli, con il suo 58% di fiducia addirittura se la gioca con Sergio Mattarella (62%) e Mario Draghi (59%).

A questo punto non posso che avanzare tre ipotesi. La prima è quella classica: i sondaggi non servono a nulla, sono solo soldi buttati da parte di chi li commissiona e gli istituti di ricerca vanno tutti chiusi per abuso della credulità popolare. La seconda riguarda invece gli elettori. Come sosteneva Silvio Berlusconi quando parlava di chi votava a sinistra, tra di loro abbondano i co***oni. O quantomeno esiste un folto gruppo di italiani animati da forti tendenze masochistiche. Da irresistibili pulsioni che spingono a scegliere chi fa loro del male e li delude di continuo.

La terza ipotesi si incentra invece sugli opinionisti e molti giornalisti: i co***oni sono loro che scambiano le speranze loro e dei loro editori con la realtà, trasformando così la loro professione in un puro esercizio, non di cronaca e di analisi, ma di propaganda.

Intendiamoci, Fatti Chiari non sposa nessuna di queste ipotesi. Semplicemente le elenca perché chi legge se ne possa ricordare al momento opportuno. Il sottoscritto attende invece divertito le prossime elezioni. Che, come sempre, non saranno il giudizio di Dio, ma che forse ci serviranno per capire a chi spetta questa volta la palma del co***one.

 

Basta con i papocchi regionali, torniamo alla costituzione

Chi amava il Parlamento, quando vedeva nell’800 stravolto il suo modo di essere, alzava il grido “Torniamo allo Statuto”! Allo Statuto albertino continuamente piegato al trasformismo di Depretis o all’autoritarismo di Crispi che anticipava la dittatura mussoliniana. Adesso, di fronte all’autentico papocchio istituzionale, al “federalismo sanitario” al quale stiamo assistendo vien da invocare: “Torniamo alla Costituzione”, cioè a una Repubblica al massimo regionale. Non oltre. Per la verità la specialissima autonomia della Sicilia fu votata ancor prima della Carta costituzionale temendo il separatismo siciliano armato e fomentato dalla vecchia struttura mafiosa che l’Intelligence Service pensava di utilizzare (leggere due libri usciti per Chiarelettere, partendo da Colonia Italia di Mario José Cereghino e Giovanni Fasanella) in funzione anti-romana e anti-monarchica. Con Calogero Vizzini e altri capimafia sindaci dei “nuovi” Comuni. Ma a che serve oggi quell’autonomia? Ad avere un passivo di bilancio divorante e a presentare per la pandemia dati “truccati”? Tutte le autonomie speciali sembrano ormai anti-storiche specie se usate senza cervello: la Regione Sardegna – la cui maggioranza di centrodestra sembra avere la sola ossessione di smantellare l’esemplare Piano urbanistico Salvacoste di Soru – ha pensato bene di creare altre Province. Basso clientelismo locale. Anche il regime speciale di altre Regioni, dalla Valle d’Aosta al Friuli-Venezia Giulia, non ha oggi senso, dovendo l’Italia tutta entrare in Europa con pari dignità.

Ma il peggio è venuto di recente, quando alcune Regioni del Nord (Veneto, Lombardia, Emilia-Romagna) si sono date un regime del tutto particolare con “governatori” anziché presidenti, i quali, vedi Zaia, possono anche proporsi di trattare con Paesi stranieri l’acquisizione di vaccini. Le stesse riforme varate dal centrosinistra nella seconda metà degli anni 60, quali la riforma degli ospedali (spesso fermi alla Controriforma) e della sanità sono state manomesse. Al “celeste” Formigoni è stato consentito di privatizzare la sanità lombarda e al leghista Maroni di svellere la rete dei medici di base oggi rimpianta e anche in Emilia sono stati eliminati presidii locali dove i medici di base potevano avere un rapporto diretto con gli utenti. Non parliamo poi dell’urbanistica. La legge n.431 dell’85, detta anche Galasso dal nome del noto storico che la elaborò, fu approvata quasi all’unanimità (si badi bene) dopo un bellissimo intervento del grande storico dell’arte Giulio Carlo Argan il quale esaltò lo “straordinario palinsesto” costituito dal paesaggio, in particolare di quello agrario. Ma soltanto poche Regioni rispettarono tempi e regole della Galasso, che non prevedeva la sostituzione delle Regioni inadempienti con le Soprintendenze. I decreti detti “galassini” si aggiunsero per fortuna a quelli della legge n. 1497 Bottai del 1939 e coprono il 49 % del Paese.

Col Codice Rutelli del 2008 si stabilì che le Regioni dovevano co-pianificare col ministero dei Beni Culturali i loro piani paesaggistici. Quante lo hanno fatto? Una miseria. La Puglia dopo che Vendola l’aveva coperta di pale eoliche, la Toscana dopo furenti polemiche di ogni tipo di speculatore, il Piemonte e la Sardegna, con il Piano Salvacoste sempre in pericolo. Il Lazio ha approvato un piano con la Polverini senza co-pianificarlo col Ministero. Bocciato dal Consiglio di Stato. E purtroppo Nicola Zingaretti, col piano Casa, ha seguito quelle linee per il bel quartiere dei Villini che la speculazione vorrebbe “gonfiare” nelle cubature entrando in conflitto col Ministero. Ma si può? Può Roma Capitale essere il capoluogo del Lazio e nemmeno quello? A Berlino, a Parigi, a Londra, o a Madrid sorridono.

 

Non ci sarà transizione e tanto meno ecologica

Non ci sono più dubbi, il ministero per la Transizione ecologica è sempre il vecchio ministero dell’Ambiente. Non ci sarà transizione e tanto meno ecologica. Le scelte sul tipo di sviluppo del nostro Paese continueranno a essere fatte dal mercato, l’obiettivo da perseguire sarà sempre la crescita quantitativa, il dio Pil sarà sempre la nostra unità di misura e, al massimo, si darà una spolverata di verde purché sia “sostenibile”, e cioè sia compatibile con le esigenze del mercato e del profitto aziendale. Eppure, non ci vuole molto a capire che abbiamo già da tempo intaccato il capitale ambientale e che non si può continuare all’infinito a distruggere risorse e materie prime. Certo, ci sono alcune linee guida (non operative) interessanti in tema di economia circolare e qualcosa cambierà, specie per la cd. “transizione energetica” verso le rinnovabili, impostaci dalla Ue, che, tuttavia, appare incerta e inadeguata, e viene considerata come un fattore di mercato e non come piattaforma indispensabile per cambiare stili di vita e modello di sviluppo; dimenticando che, a questo proposito, la Ue, ben più coraggiosamente, precisa almeno che “serve una radicale transizione ecologica verso la completa neutralità climatica e lo sviluppo ambientale sostenibile per mitigare le minacce a sistemi naturali e umani”; evitando, cioè, “irreversibili e catastrofici cambiamenti del nostro ecosistema e rilevanti impatti socio-economici”. Non a caso nel Pnrr italiano si richiama più volte, come un mantra, il principio comunitario di “non arrecare danni significativi” all’ambiente, rivelando un intento di conservazione e non certo di rinnovamento e di “transizione” verso qualcosa di nuovo. L’importante è ricominciare a produrre e far ripartire presto i consumi, senza neppure distinguere i bisogni reali da quelli indotti attraverso un massiccio indottrinamento pubblicitario. E, se qualcuno obietta, ecco che si tira fuori la “decrescita felice”, confondendo il progresso con la crescita come precisato con chiarezza dall’enciclica Laudato si’, secondo cui “dobbiamo convincerci che rallentare un determinato ritmo di produzione e di consumo può dare luogo a un’altra modalità di progresso e di sviluppo”, in cui la tecnologia sia al servizio dell’uomo e non del profitto di pochi, la biodiversità sia sempre tutelata, e le diseguaglianze vengano ridotte.

E sempre pochi giorni fa, dinanzi alla Commissione ecomafia, Alessandro Bratti, direttore di Ispra (il massimo organo di ricerca e controllo sull’ambiente) ha denunciato senza mezzi termini il controsenso di “pensare di investire nel nostro Paese 300 miliardi parlando di transizione ecologica e non investire un euro nel sistema di protezione ambientale, che peraltro deve valutare tutte le opere che passano attraverso il Recovery”. In questa desolazione ci sono almeno tre cose che si possono salvare. La prima è la promessa di Draghi di inserire in Costituzione i concetti di ambiente e sviluppo sostenibile. Sarebbe un primo passo avanti importante da parte del Parlamento inserire nella Costituzione la specificazione che “la tutela dell’ambiente è fondata sui princìpi di precauzione, azione preventiva e sviluppo sostenibile. A tal fine la legge promuove le condizioni necessarie a rendere effettivo tale diritto e inserisce nel bilancio dello Stato opportuni parametri di benessere e di contabilità ambientale”; introducendo così, come linea guida per tutte le leggi ordinarie, anche l’importante principio della contabilità ambientale e di uno sviluppo non correlato solo all’aumento del Pil ma soprattutto al benessere (felicità?) dei cittadini.

La seconda consiste nella valorizzazione dell’investimento (3.3) del Piano dedicato a “Cultura e consapevolezza su temi e sfide ambientali” che “si propone di contribuire al raggiungimento di tre obiettivi prioritari: i) aumentare il livello di consapevolezza sugli scenari di cambiamento climatico e sulle relative conseguenze; ii) educare in merito alle opzioni a disposizione per l’adozione di stili di vita e consumi più sostenibili a livello di individui, famiglie e comunità; iii) promuovere l’adozione di comportamenti virtuosi, anche a livello di comunità”.

La terza consiste nella promessa riforma dell’attuale Ministero, che dovrebbe essere attuata attraverso un ampio rinnovamento del personale in base a scelte trasparenti di professionalità e di competenza; eliminando l’attuale sovrabbondanza di inutili burocrati che hanno come bibbia il Sole 24 Ore e che assicurano la loro sopravvivenza complicando gli affari semplici, imponendo, ad esempio, il rinvio a un incredibile numero di futuri decreti ministeriali per dare attuazione a una legge di salvaguardia ambientale che non ne avrebbe alcun bisogno.

 

Fedez, Freccero, la Rai, la censura e la proposta che non è mai arrivata

Intervistato sul caso Fedez, Freccero ha detto: “L’arte è come la satira, non puoi pensare di mettere i paletti’.”. Certo, Je suis Charlie; ma due anni fa, quando si bullò per mesi di riportarmi a Rai2 (https://bit.ly/3tJzLQ8), al nostro primo incontro Freccero esordì esprimendo la sua esigenza di “controllo editoriale”. Poiché controllare la satira è censura, proposi una soluzione che tutelava la Rai e me: avrei consegnato la registrazione della puntata del mio talk-show il giorno prima della messa in onda, Freccero avrebbe potuto decidere quali parti tagliare, e al loro posto avrei messo un riquadro nero con la scritta “materiale satirico giudicato non idoneo alla messa in onda”. (La censura deve essere vista, quando c’è: è questo che non vogliono farvi vedere: di qui lo scandalo Fedez.) Il programma, ovviamente, saltò. Ma vediamo come funzionò il micidiale protocollo di sistema. Al secondo incontro con Freccero, chiedo quale proposta economica mi facesse la Rai. Freccero e Lavatore (un funzionario Rai) mi dicono che non è competenza loro, c’è un ufficio preposto; ma si fanno dare dal mio avvocato la copia di una e-mail che avevamo inviato a un’altra casa di produzione, dove veniva indicato a titolo informativo quanto La7 mi dava per Decameron nel 2007 (12 anni prima!). Passa qualche giorno, e il contenuto di quella e-mail (una cifra che non è mai stata oggetto di trattativa con la Rai) è pubblicato da Repubblica, in un articolo secondo cui il mio rientro in Rai si fa difficile a causa della mia “richiesta economica eccessiva”. Il tutto utilizzando il solito condizionale paraculo (“Luttazzi avrebbe chiesto”). In gergo, questo si chiama “intrafottere”. A luglio, presentando il palinsesto, Freccero dichiara a Repubblica che le trattative con me si sono interrotte per tre motivi: 1) “Il poco tempo a disposizione, in quattro-cinque mesi non si possono fare miracoli.” Miracoli? A maggio già si poteva concludere l’accordo, se davvero avessero voluto. 2) “La richiesta economica elevata.” Ripeto: non c’era stata alcuna trattativa economica con la Rai. 3) “La satira di Luttazzi si basa su potere e sesso, che mi stanno bene, e sulla religione: in questa epoca pre-moderna ho ritenuto che quest’ultimo fosse un tema troppo difficile da affrontare.” E in ogni epoca, anche pre-moderna, questa si chiama censura. Pochi mesi dopo, Freccero dichiara a TvBlog: “Se mandassi in onda Luttazzi in questo contesto e alle condizioni economiche da lui imposte, i commenti il giorno successivo sarebbero più o meno del tenore: ‘Chi è questo Luttazzi, pagato come una superstar per insultare il pubblico con i suoi commenti politicamente scorretti?’ Il politicamente scorretto di Luttazzi non sarebbe valutato come espressione di libertà, ma come ‘turpiloquio inconcepibile in una Rete pubblica’. Ancora più scandalo farebbe il suo compenso completamente al di fuori delle leggi di mercato.” Notare le scelte lessicali e argomentative: “le condizioni economiche da lui imposte” (non ho imposto un bel nulla, e avevo chiesto a loro di propormi un compenso, ma non fu possibile alcuna trattativa: sparirono); “pagato come una superstar per insultare il pubblico con i suoi commenti politicamente scorretti”, “turpiloquio” (attribuisce a un pubblico ipotetico ipotetiche denigrazioni su di me, e sulla mia satira mai andata in onda). Il giornalista che fa da sponda senza obiettare è parte del sistema rodato. Altro esempio? La volta che Baudo (“Avrei spento le telecamere durante il discorso di Fedez”) mi tagliò al montaggio le battute dette in un’intervista sulla censura (https://bit.ly/2RQZKbm) e Repubblica scrisse che mi ero autocensurato: https://bit.ly/3f9THXg. A volte quasi rimpiango di non essere un criminale. (9. Fine)

Gl’imprevisti del suffragio universale

Quanto mai desiderosi di orientarci, in tempi di repentini e non sempre decifrabili sommovimenti, assai ci è mancata la voce del professor Sabino Cassese, sempre prodigo d’insegnamenti sul Foglio , dove tuttavia ci sembra meno assiduo (tutto bene?, non fateci stare in ansia). Poi, finalmente, ieri mattina, ecco un’intervista sul Messaggero dove le parole del giudice emerito della Consulta sono come schiocchi di frusta: “No a candidati inesperti, Roma esce da una guerra”. Sintesi mirabile di un giudizio severo espresso con l’accortezza di non pronunciare mai il nome e il cognome della inesperta guerrafondaia. Che, consci della responsabilità che ci assumiamo, faremo noi: Virginia Raggi.

Non avevamo finito di riflettere riguardo al tragico destino della Capitale quando l’occhio c’è caduto (letteralmente) sul sondaggio di Repubblica sulle elezioni amministrative a Roma del prossimo autunno: Raggi 26,9%; Guido Bertolaso 23%; Roberto Gualtieri 18,5%; Carlo Calenda 14,3%. Dunque – e non si sa se per autolesionismo oppure perché sotto la minaccia di droghe o di chissà quali nefande ritorsioni – esiste ancora una vasta porzione della cittadinanza dell’Urbe che aggirandosi tra macerie e crateri, dopo un quinquennio di bombardamenti del Campidoglio (più o meno come il conflitto in Siria), persevera nel volere dare il proprio voto a quella Erinni di nome Virginia. Senza contare che, stando a questi numeri, nel probabile ballottaggio con il candidato della destra, il Pd (con Gualtieri oggi in ritardo di otto punti) sarebbe costretto a versare altro sangue e altri voti per la catastrofica sindaca uscente.

Allibito, sgomento, nel cercare di dare una spiegazione razionale all’irrazionale ho pensato che sono questi gli effetti del suffragio universale. Mentre con il diritto di voto limitato al professor Cassese e agli editorialisti di Repubblica e del Foglio le cose andrebbero sicuramente meglio.

Ma le sorprese non sono finite perché da un altro sondaggio risulta che, in quanto a popolarità, Giuseppe Conte, il Peggiore, se la batte ormai con Mario Draghi, il Migliore. Eh sì, caro professore il mondo proprio gira all’incontrario.

Elisabetta, la donna che cammina all’alba

“Adora camminare, quando ancora Roma dorme”. I ritratti su Elisabetta Belloni, la prima donna posta da Mario Draghi a capo dei Servizi, si sciolgono leggeri tra poesia e adulazione, a metà strada tra il cielo e lo zerbino. Le sue aurore ce le racconta il Corriere della Sera. “Esce di casa alle prime luci dell’alba, tuta e scarpe da ginnastica, impiega un’ora per arrivare alla Farnesina. Ogni giorno, che sia sole o pioggia cambia poco”.

Ancora più entusiastica, se possibile, La Stampa: “Segretario o segretaria? Direttore o direttrice? Alla Farnesina il dibattito sugli asterischi non è mai entrato, perché alla fine, per farsi capire, si parlava sempre di Lei: ‘Lo ha detto Lei’, ‘A Lei non piace’, ‘Lei è d’accordo’, ‘Bisogna chiederlo a Lei’”. Belloni è donna “ferma e minuta, sempre piuttosto elegante, che dava la sensazione di avere sempre la situazione in mano, non una parola di meno, non una di troppo”. D’altra parte, non può essere un caso, “fu la prima donna a essere ammessa all’Istituto Massimo di Roma, lo stesso frequentato da Draghi”. La scuola dei migliori. Si poteva risparmiare un sacco di inchiostro scrivendolo su tutti i giornali, a colonne unificate: è me-ra-vi-glio-sa.

Sallusti adesso si sente “Libero”: giallo sull’addio al “Giornale”

Alla redazione de il Giornale ieri devono aver vissuto momenti come quelli passati a Libero quando, nel 2008, Vittorio Feltri e Alessandro Sallusti lasciarono il quotidiano per passare armi e bagagli proprio al Giornale. Che poi, dal dicembre 2010, Sallusti ha diretto in prima persona, fino a ieri, quando, a sorpresa, ha deciso di andarsene, lasciando spaesata la redazione. “Siamo caduti dalle nuvole e lui non ci risponde al telefono. Stiamo lavorando in autogestione”, fanno sapere da Via Negri. Sallusti, dunque, se ne va. Probabilmente per tornare a Libero. Dalla famiglia Angelucci filtra che stia “per assumere la direzione editoriale delle testate del gruppo, Libero e il Tempo”. Che Feltri e Sallusti, dopo anni di grande freddo, fossero tornati in buoni rapporti è cosa nota: negli ultimi mesi sono stati avvistati insieme e, giornalisticamente, si spalleggiavano. “Se venisse qui ne sarei molto lieto. La sua vicinanza non mi arrecherebbe fastidio, ma forse qualche conforto”, il commento, ieri, di Feltri. Se così fosse, però, Libero si ritroverebbe con tre direttori: Sallusti, Feltri (direttore editoriale) e Pietro Senaldi (direttore responsabile). Stesso overbooking al Tempo, dove già stazionano Franco Bechis e Francesco Storace.

Ma c’è anche un’altra possibilità: quella della candidatura a sindaco di Milano per il centrodestra. Fonti raccontano che, se prima Sallusti si era sempre sottratto alle sirene della politica, ora la cosa invece gli garberebbe. E non poco. Nonostante venga da un ottimo periodo, con le 260 mila copie vendute dal libro-intervista a Luca Palamara, in Via Negri Sallusti qualche problema ce l’ha, dovuto soprattutto alla lontananza di Berlusconi, sempre più defilato per motivi di salute. I rapporti con Marina non sono idilliaci. Tempo fa si era ipotizzata addirittura la cessione a una cordata Feltri-Sallusti. Tra i nomi per la successione, intanto, ci sono Paolo Liguori, Nicola Porro, Augusto Minzolini e Gian Marco Chiocci.

Ruby ter, ancora un rinvio per Berlusconi. Il pianista di Arcore condannato a 2 anni

È arrivata la prima condanna nel processo Ruby 3, quello che in tre città (Siena, Roma e Milano) sta giudicando le testimonianze, ritenute false, degli ospiti alle feste di Arcore del 2010. Il condannato, a 2 anni di reclusione per falsa testimonianza, è Danilo Mariani, il pianista che allietava con la sua musica le serate del bunga-bunga: i giudici di Siena hanno ritenuto false le sue risposte fornite ai magistrati che lo interrogavano sulle feste – a cui partecipava anche Karima El Mahroug detta Ruby Rubacuori, allora minorenne – raccontate come “cene eleganti” senza sesso e senza alcun contatto fisico.

Rinviato invece il giudizio per l’imputato principale, Silvio Berlusconi, accusato di corruzione in atti giudiziari. Le sue condizioni di salute hanno reso necessario – secondo i giudici di Siena – l’ottavo rinvio del processo in cui è imputato nella città toscana. Ieri il Tribunale ha accolto la richiesta di legittimo impedimento presentata dai suoi legali; ha respinto la domanda del pubblico ministero che chiedeva nuovi accertamenti medici; e ha deciso di emettere la sentenza per Mariani, limitatamente al reato di falsa testimonianza. Ha poi deciso lo stralcio, invece, per Berlusconi e per Mariani, per quanto riguarda l’imputazione più grave, quella di corruzione in atti giudiziari. La nuova udienza sarà il 21 ottobre, con lo stesso collegio giudicante o più probabilmente con un nuovo collegio. Non sarà comunque necessario ricominciare tutto da capo: varrà il lavoro processuale fin qui svolto. Lo stralcio e il lungo rinvio è stato deciso per le condizioni di salute di Berlusconi, di nuovo ricoverato, dall’11 maggio, all’ospedale San Raffaele di Milano. I suoi difensori hanno prodotto una documentazione firmata dai medici Alberto Zangrillo e Lorenzo Dagna, del San Raffaele, e Andrea Gentilomo, direttore di medicina legale all’università di Milano, in cui è indicata la necessità di almeno due mesi d’impedimento.

“Non fatemi parlare, altrimenti mi fanno un altro processo”, ha commentato Mariani, che secondo l’accusa avrebbe ricevuto da Berlusconi 170 mila euro per addomesticare le sue testimonianze sulle feste. Il processo è il troncone senese del Ruby 3, in cui il fondatore di Forza Italia è accusato di aver pagato una trentina di testimoni, tra cui Ruby. Gli altri due tronconi sono in corso a Roma, con il cantautore Mariano Apicella, e a Milano, con tutti gli altri coimputati e dove la prossima udienza sarà il 19 maggio.

Nominato Sozzani: da poco ha chiesto un patteggiamento

Il deputato di Forza Italia Diego Sozzani da un paio di giorni è stato nominato vicepresidente della commissione Trasporti di Montecitorio. L’indicazione è arrivata direttamente da Roberto Occhiuto, capogruppo azzurro alla Camera, generando un bel po’ di malumori all’interno dei berluscones. Già, perché Sozzani è freschissimo di richiesta di patteggiamento a 2 anni per corruzione e finanziamento illecito nell’ambito dell’inchiesta della Procura di Milano denominata “mensa dei poveri”. Tra gli indagati, il plenipotenziario varesino Nino Caianiello (che ha chiesto di patteggiare 4 anni e 10 mesi), Lara Comi, Pietro Tatarella e Fabio Altitonante. Nel settembre 2019 la Camera aveva negato la richiesta di arresto proprio nei confronti di Sozzani. Che ora chiede di patteggiare. “Si tratta solo di un tecnicismo deciso dal mio avvocato che ha provato a sondare gli umori della Procura”, ha spiegato il deputato. La decisione ora spetterà al giudice, il prossimo 8 luglio.

Piazza San Carlo, Appendino condannata perché fu sindaca “frettolosa e negligente”

Le parole delle motivazioni della condanna suonano più dure della sentenza con cui il Tribunale di Torino ha condannato con rito abbreviato, il 27 gennaio scorso, la sindaca di Torino Chiara Appendino, il suo ex braccio destro Paolo Giordana, l’ex questore Angelo Sanna e altre due persone a un anno e mezzo per disastro, omicidio colposo e lesioni colpose. Il gup Mariafrancesca Abenavoli parla di negligenze, fretta, disinteresse, imprudenze, elementi alla base degli incidenti del 3 giugno 2017 in piazza San Carlo, quando davanti al maxischermo della finale di Champions League tra Juventus e Real Madrid migliaia di persone rimasero ferite nella calca e due – Erika Pioletti e Marisa Amato – persero la vita. Il “peccato originale”, per il gup, è la fretta con cui è stato organizzato l’evento. “La decisione – scrive – è stata assunta dalla sindaca senza tenere in alcun conto gli aspetti legati alla sicurezza”. Siamo però in “particolare momento storico”, segnato dagli attentati terroristici, che “avrebbe dovuto indurre tutti i protagonisti della vicenda, a partire dalla sindaca (…) a porre la massima attenzione al tema della safety”. Appendino ha però avuto “un approccio frettoloso, imprudente e negligente”, decidendo di svolgere l’evento e delegando tutto a Giordana, “una fiducia non ben riposta”. Inoltre la prima cittadina era ed è “ufficiale di governo” e ha “funzioni di tutela della incolumità pubblica”, una risposta indiretta ad Antonio Decaro e ai sindaci che, dopo la sentenza, avevano sollevato questioni sulle responsabilità penali nelle “valutazioni non ascrivibili alle loro competenze”. Certo, la colpa non è stata solo di Appendino, ma anche degli altri imputati, tra cui l’allora questore Sanna, arrivato da meno di un mese in città: il gup ne sottolinea l’attendismo e le negligenze come ad esempio i mancati sopralluoghi congiunti con gli organizzatori di Turismo Torino e Provincia (Ttp). “Non era sfuggita alla questura l’approssimazione con la quale veniva portata avanti la gestione dell’evento e quanto fosse sottovalutata la sicurezza”, ma “l’unica reazione era stata quella di disinteressarsi”. La questura non ha valutato i rischi, non ha collaborato con Ttp e Sanna non ha promosso il coordinamento. Per gli stessi fatti altre nove persone stanno affrontando il dibattimento. I quattro rapinatori che scatenarono il panico sono stati condannati in primo grado a dieci anni per omicidio preterintenzionale.