Il Vaticano, la pillola del giorno dopo, Fedez, la Rai e la censura

In Italia, da mo’, opera un sistema di sorveglianza e punizione per impedire che un intellettuale e/o un artista scantonino dall’andazzo vigente nei media di massa. Il protocollo, rodato, ha due scopi principali: 1) impedire o controllare l’espressione, nei media di massa, di libertà non concordata che si occupi di politica e di Vaticano; 2) bastonare chi riesce a esercitare nei media di massa il suo diritto di espressione non concordata su politica e Vaticano. Chiudendo il suo monologo satirico al Concertone, Fedez ha sganciato in diretta una bomba nucleare: “Il Vaticano ha investito milioni di euro in un’azienda che produce la pillola del giorno dopo”. Da subito, i giornaloni e le tv si sono concentrati sul detonatore, il tentativo di censura del monologo da parte degli organizzatori e della Rai; e sull’esplosivo, la Lega che si oppone al ddl Zan, con contorno di frasi immonde di politici leghisti contro gli omosessuali. Non si sono invece soffermati sul nocciolo radioattivo: il Vaticano ha investito milioni di euro in un’azienda che produce la pillola del giorno dopo. (Mia zia: “Adda venì Lutero!”). I giornalisti non ne hanno parlato perché hanno il vizio nobile della notizia, che il giorno dopo è già scaduta. Questo però può renderli ciechi a un evento che trasforma la notizia nota in qualcos’altro, come quando un rapper famosissimo, durante il Concertone su Rai 3, denuncia l’ipocrisia del Vaticano che ha investito milioni di euro in un’azienda che produce la pillola del giorno dopo (“un aborto chimico”, secondo la Chiesa). Un monologo satirico è un atto che produce effetti, e come ogni dispositivo culturale ha conseguenze sociali diverse a seconda del contesto in cui agisce. Una bomba satirica, a parità di chilotoni, ha un impatto devastante se la si sgancia, invece che sul web o sui giornali (un mare magnum che disperde l’uditorio), sulla Rai durante una diretta vista da milioni di persone. Chi è preposto a impedire gli impatti satirici nei media di massa lavora affinché il galateo reazionario in vigore non sia contraddetto. Un esempio recente è la sparizione, dal sito dalla pagina Fb del programma Le Iene, e da Mediaset Play, del servizio delle Iene sui voli di Stato di Maria Elisabetta Alberti Casellati: funziona così. E nessuno ha sottolineato la replica assurda di Davide Parenti, il capo delle Iene: “Non abbiamo avuto nessun problema a mandare in onda il servizio. Di telefonate io non ne ho ricevute. Poi non so… Non chiedete a me, posso solo dire che questa cosa è alquanto buffa.” Una censura clamorosa di natura politica, tipo Trotsky che scompare dalla foto con Lenin, lui la trova buffa. Speriamo possa continuare a fare Le Iene su Mediaset per altri 20 anni, impavido com’è davanti ai superiori.

Il protocollo italico del killeraggio mediatico contro chi riesce a esercitare nei media di massa la sua libertà di espressione non è una novità. Si rabbrividisce vedendo come i cinegiornali degli anni 60 sfottevano Pasolini: shorturl.at/xINSX.

Fra le prassi del sistema di sorveglianza e punizione, è giusta la richiesta delle tv di esaminare in anticipo il materiale da trasmettere: un editore deve cautelarsi da grane legali. Diventa però censura se il materiale non contiene nulla di illegale, e la decisione di cassarlo è motivata solo da ragioni ideologiche e/o da corbellerie come il vincolo del contraddittorio con chi ha pronunciato la frase “Se avessi dei figli gay li brucerei nel forno”. Alla fine, Fedez ha potuto fare il suo monologo come l’aveva pensato, ma ha anche diffuso un video della sua telefonata con due organizzatori del Concertone e una dirigente Rai, per documentare il loro tentativo, imbarazzante, di dissuasione. Boom! (6. Continua)

 

Quale sarà la soglia accettabile per vivere?

Tra misure di contenimento e rischio ragionato, chiusure e green pass, non abbiamo ancora risposto a una domanda essenziale. Qual è l’obbiettivo a cui stiamo mirando? Abbiamo ormai abbandonato l’idea che il virus possa sparire e aumenta la consapevolezza che dobbiamo organizzarci in modo da conviverci nel modo migliore. Sono parole, ma devono essere tradotte in numeri. Quanti infettati, quanti decessi siamo disponibili ad accettare? È appena stato pubblicato su Nature un articolo al riguardo: “Anche dopo le vaccinazioni di massa, alcuni ricoveri e decessi per coronavirus sono inevitabili, ma le opinioni divergono su quanti siano troppi per un ritorno alla relativa normalità”. Il punto è proprio questo, stabilire un prezzo pagabile per tornare alla normalità. Dice James McCaw, un epidemiologo dell’Università di Melbourne: “Dobbiamo accettare che le persone verranno infettate, andranno in ospedale e moriranno di Covid-19 in futuro”. Scienziati e funzionari della sanità pubblica stanno avviando discussioni sul livello di rischio accettabile, ma le decisioni coinvolgono fattori culturali, etici e politici. “Ogni paese stabilirà la propria soglia”, afferma Sylvie Briand, responsabile della gestione dei rischi infettivi presso l’Oms. Questo è diventato il pensiero ormai generalizzato. Più che il numero di infettati, il fattore che governerà un livello accettabile sarà la capacità del sistema sanitario, con particolare riguardo alle unità di terapia intensiva. Le persone potrebbero essere più disposte rispetto a prima a sopportare il rischio di un certo livello di ospedalizzazione e morte e la barra per imporre restrizioni sociali è ora più alta. Come accade per altre patologie, compresa l’influenza, che causano migliaia di morti ogni anno, anche per Covid si arriverà a una condizione simile. In Italia ogni anno muoiono dalle 8.000 alle 10.000 persone per cause riconducibili all’influenza. Spalmati sull’intero anno sono circa 27 decessi al giorno. Sarà questo il livello sopportabile per Covid-19?

Direttore microbiologia clinica e virologia del “Sacco” di Milano

Mourinho come Mario: il mister taumaturgico

Dal pomeriggio di martedì scorso, la tifoseria più depressa e frustrata del pianeta, quella della As Roma, appare come tarantolata da una tempesta magnetica ad altissimo voltaggio, alimentata da una centrale nucleare e da un deposito di nitroglicerina: sta per arrivare José Mourinho. Al di là dei meriti (e dei demeriti) dello Special One, onusto di gloria e di esoneri (tre negli ultimi anni), l’attesa messianica che si è impadronita di una moltitudine di individui (a cominciare da chi scrive), persone in genere sane di mente pur se incattivite dal cinismo della storia (secoli di pontefici e di imperatori, mica pizza e fichi) e dalle sconfitte, non ha precedenti. In poche ore la febbre per l’Allenatore della Provvidenza ha generato l’alleluja dell’informazione capitolina, un tripudio di cuoricini social e un nuovo gusto di gelato giallorosso (mango e fragola), intitolato al suddetto.

Un profeta, un apostolo a cui vengono attribuiti straordinari poteri taumaturgici visto che con la sola forza del pensiero ha fatto sì che una squadra imbrocchita dalle disfatte e dagli infortuni riuscisse, domenica scorsa, a battere l’ultima in classifica. Nel clima di sbornia collettiva si preferisce, naturalmente, dimenticare i meriti del mister congedato – anch’egli portoghese ma della riva sobria e malinconica del Tago – che in totale solitudine si era fatto carico di una situazione orrenda (aggravata da congiure di spogliatoio). Un signore che ha evitato il crollo definitivo della squadra e accolto il debordante successore con grande disponibilità e senza una parola fuori posto. Ora, è possibile che leggenda del santo allenatore, invocato e acclamato senza aver diretto neppure una sgambatura possa essere accostata a un’altra figura mitologica (peraltro tifoso romanista) il cui busto era stato collocato tra i grandi della storia patria e senza che ancora avesse messo piede a Palazzo Chigi (e tanti saluti al predecessore, rimasto al timone nell’annus horribilis). Tutto ciò senza sua colpa, naturalmente, mostrandosi anzi egli preoccupato per le eccessive attese suscitate. Non abbia timore: come insegna l’altro Special, quello del pallone, oggi vincere è secondario se il gusto del gelato è quello giusto.

Addio a Mineo, memoria storica del processo a Cosa Nostra

Era “l’uomo del bunker’’, la memoria storia del maxiprocesso a Cosa Nostra. Enzo Mineo avrebbe compiuto 70 anni a novembre, è morto d’infarto la notte scorsa. Dirigente della cancelleria della corte di assise, aveva collaborato con Falcone e Borsellino nella gestione del processo più impegnativo della nostra storia recente. Palermo perde così il personaggio che incarnava quell’epoca. Era divenuto interfaccia indispensabile per tutti i magistrati negli anni del maxiprocesso, in anni in cui a Palermo, come raccontò la direttrice degli Affari Penali, Liliana Ferraro, la carta per fotocopie e i toner erano spariti dalle cartolerie costringendola a trasferire a Roma la stampa della sentenza ordinanza. Enzo Mineo è rimasto nell’aula verde dell’Ucciardone anche dopo la sentenza finale della Cassazione, e si stava occupando della digitalizzazione di migliaia di atti che conosceva a memoria, per i cronisti era un punto di riferimento essenziale per ricostruire nomi, fatti, date, storie sepolte dalla polvere degli archivi ma sempre attuali, spesso unite da quel filo trasparente che lega la cronaca alla storia occulta di questo Paese. Colto, spiritoso, gentile, aveva mantenuto l’impegno civile degli anni giovanili della militanza tra i giovani comunisti (nel suo ultimo post aveva citato Lenin e le sue ‘Lettere da lontano’, ed era parente di Mario Alicata, che fu direttore de L’Unità) e quando l’infarto lo ha colto stava preparando il ricordo della strage di Capaci. Aveva collaborato anche con il giornale L’Ora, e a ricordarlo su Facebook ci ha pensato l’ultimo direttore, Vincenzo Vasile: “All’intitolazione di una strada al ‘nostro’ glorioso e defunto giornale mi sembrasti il più vitale, vispo, affettuoso e chiacchierone dei “pensionati’ dell’altra Palermo”. Lo ha ricordato anche Giovanni Paparcuri, il collaboratore del giudice Chinnici sopravvissuto all’attentato, oggi ‘custode’ del bunkerino che ospitò il lavoro di Falcone e Borsellino: “Fu anche grazie a lui che quel luogo è stato sottratto all’oblio’’.

Migranti: 20 sbarchi, 5 morti e un altro sos Salvini all’attacco, Lamorgese chiama l’Ue

Oltre duemila migranti arrivati in appena 24 ore a Lampedusa. Nell’ultima settimana, sono 20 i barconi partiti dalla Libia salvati e intercettati, altri cinque si trovano al momento a largo del Mediterraneo in attesa di essere recuperati. E sarebbero 5 i morti in acque libiche fra domenica e ieri, 500 dall’inizio dell’anno. Lampedusa torna al centro dei flussi migratori, mentre continua la campagna vaccinale, 3600 somministrazioni nel weekend, per diventare presto isola Covid free.

Della nuova ondata di sbarchi si è parlato nella telefonata tra il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese e la commissaria europea agli Affari interni, Ylva Johansson. La ministra ha chiesto che si attivi un meccanismo temporaneo di solidarietà volontaria tra gli Stati membri, disponibili per il ricollocamento dei migranti salvati in acque Sar, mentre la commissaria ha espresso “un riconoscimento di solidarietà per quello che sta facendo” l’Italia. Per la prossima settimana è previsto un viaggio in Tunisia, dove nel weekend sono stati bloccati dalla guardia costiera tunisina 12 imbarcazioni irregolari pronte a partite, con a bordo 345 persone. Secondo il Viminale, nelle coste italiane sono approdati quest’anno 12.894 migranti, il triplo rispetto ai 4.184 del 2020. Dei 3.881 arrivi di maggio, più della metà (2.146) si è concentrata negli ultimi due giorni. Ma per quanti riescano ad arrivare, sono migliaia a finire inghiottiti nel Mediterraneo. L’Unhcr denuncia che tra 2014 e il 2020, 16.400 persone sono scomparse o avrebbero perso la vita durante i viaggi della speranza, mentre nei primi mesi del 2021 sarebbero già 500 i morti, rispetto ai 150 registrati lo scorso anno (fonte Oim). “Il Mediterraneo si conferma tra le rotte più letali al mondo, mentre complice il bel tempo, le partenze dal Nord Africa stanno aumentando”, ha ribadito al Fatto Daniela Fatarella (Save the Children). “Troppi sbarchi” negli ultimi giorni per il leader del Carroccio Matteo Salvini, che è tornato in pressing sul premier Mario Draghi di fare come “la Grecia, la Spagna, la Francia o Malta” e “controllare le frontiere e bloccare gli sbarchi”. “Solo propaganda, questa situazione giova a chi non vuole affrontare il problema, Salvini è al governo, proponga atti concreti su come arginare il fenomeno – spiega Totò Martello sindaco di Lampedusa –, in rapporto allo scorso anno il numero degli sbarchi è aumentato, e il dato potrebbe aumentare ancora”. Intanto nella serata di ieri è arrivato un nuovo alert da parte di Alarm Phone: “75 persone in pericolo a sud di Malta! Sono una barca sovraffollata con poco carburante”. Poi l’appello a Ue e Malta: “Mettete le vite prima delle frontiere e salvateli!”.

Caivano, i rivali del clan “sciolti” nella vasca d’acido

Nella Champion’s League delle piazze di spaccio d’Europa corre per il titolo il Parco Verde di Caivano, controllato dal clan Ciccarelli-Sautto, sgominato ieri con l’esecuzione di una maxi ordinanza di custodia cautelare. Nelle carte dei 51 arresti e delle indagini dei carabinieri del nucleo investigativo di Castello di Cisterna, coordinati dal pm Liana Esposito e Ivana Fulco e dal procuratore aggiunto Rosa Volpe, emergono episodi da far accapponare la pelle. Killer nascosti per giorni dentro la scuola media del rione, armati di kalashnikov, per uccidere un boss rivale (piano poi annullato per l’intervento pacificatore di un altro boss); gente per bene che si lamentava della criminalità diffusa ‘punita’ con le auto bruciate, i parenti picchiati; un “capo piazza” pronto a sciogliere nell’acido un avversario in affari di droga. I carabinieri sono intervenuti quando la vasca era già pronta all’uso. La piazza di spaccio di Caivano lavora h24 e non ci sono giorni festivi. Funziona grazie al potere del clan e al terrore che sono capaci di suscitare. Un boss è stato intercettato mentre progettava di incendiare la casa di un signore, con la sua famiglia dentro, che sospettava lo avesse denunciato. Anche in questo caso gli inquirenti hanno dovuto accelerare gli arresti. I dettagli di questa complessa macchina di violenza e di affari sono stati rivelati da una cimice piazzata sulla loggia dove il boss Nicola Sautto riceveva i “capi piazza”. Era il “sistema Parco Verde”: 15 piazze di spaccio ognuna dotata di una sua autonomia. La droga era fornita esclusivamente dal clan Sautto-Ciccarelli, oppure pagando una quota mensile fino a 60mila euro al mese. Con la supervisione della cosca di Caivano, alla quale spettava l’ultima parola sugli orari, sulla modalità e sulla tipologia della droga da vendere.

Olbia, sequestrato il resort di punta della Gallura

Sequestrato il resort più importante della Gallura. Sono finiti agli arresti domiciliari ieri con l’accusa di turbativa d’asta Gavino e Fabio Docche, padre e figlio fondatori ed ex proprietari di “Geovillage”, un mega complesso turistico alle porte di Olbia, in Sardegna: 18 ettari di verde, 26mila mq di strutture all’aperto e 147 mila mc di volumetria, per un resort di lusso che offriva ai clienti campi da basket, tennis e volley, centri benessere, bar e ristoranti. L’area era stata ceduta loro in convenzione dal Consorzio industriale provinciale del nord est Sardegna (Cipnes) nel 2000. Nel 2016, il fallimento della società di Docche senior, Sviluppo Olbia, aveva determinato il passaggio alla società del figlio, Real Effegì, fallita poi lo scorso aprile. Ora i due sono accusati di aver tentato di mantenere illecitamente il controllo del complesso. Le indagini, coordinate dal procuratore di Tempio Pausania e condotte dalla Guardia di Finanza di Olbia, avrebbero svelato “accordi e collusioni finalizzati a turbare l’asta fallimentare per consentire agli ex proprietari di rientrare in possesso del compendio”. I due avrebbero agito con la complicità del direttore generale del Cipnes, Aldo Carta, e di un notaio romano, Vittorio Occorsio, ambedue indagati per concorso in turbativa. I Docche sono accusati di aver cercato un accordo con il Cipnes – che sarebbe potuto rientrare in possesso dell’area già dopo il primo fallimento – per condizionare l’individuazione del nuovo gestore, spingendo per un soggetto di loro gradimento, una new company extra Ue che avrebbe garantito loro nei fatti la continuità nel controllo. Gli imprenditori galluresi avrebbero tentato di approfittare dell’emergenza sanitaria per accedere a linee di credito agevolate. Ieri è scattata però l’esecuzione dell’ordinanza del gip di Tempio, nell’ambito dell’operazione “Bad Village”, che ha portato anche al sequestro dell’intera area del resort, per un valore totale di 60 milioni di euro.

Lipobay, dopo 22 anni la Bayer condannata a risarcire il medico “vittima” del farmaco

Una causa lunga 22 anni terminata con la condanna di uno dei più importanti colossi farmaceutici mondiali. La Bayer dovrà risarcire un medico italiano rimasto “vittima” del Lipobay, farmaco anticolesterolo che la casa tedesca ha ritirato dal mercato nel 2001. Roberto T., veneziano, aveva iniziato ad assumere il prodotto per poi sviluppare seri problemi ai muscoli e alla respirazione, con conseguenti ricoveri. La Corte di Cassazione ha stabilito che il bugiardino non fosse sufficientemente chiaro a informare dei rischi correlati all’assunzione farmaco, definito “dannoso e difettoso”. I giudici hanno stabilito “l’esistenza nella specie della difettosità del farmaco al momento della relativa commercializzazione a cagione del principio attivo (cerivastatina) in esso contenuto, determinante l’accentuato rischio di malattie del muscolo rispetto a dosi equipollenti di altre statine, e, pertanto, una minore sicurezza del medesimo rispetto ad altri farmaci della stessa categoria”, come evidenziato dalla consulenza tecnica.

Over 50, ordine sparso Piano Figliuolo a rilento

La condizione ottimale è annunciata da settimane, ma ancora non c’è. Dal 1° maggio a ieri solo due volte – giovedì e venerdì scorsi – le Regioni sono arrivate alla soglia delle 500 mila vaccinazioni al giorno. Il 6 aprile a oltre 506 mila somministrazioni, il giorno successivo a più di 523 mila. Per il resto si oscilla tra le 366 mila di domenica 2 e le poco più di 491 mila di sabato 8, mentre l’altro ieri si sono fermate a 369 mila. Va detto che per il weekend il target fissato dal commissario all’emergenza, il generale Francesco Paolo Figliuolo, è di 350 mila vaccinazioni al giorno, a differenza del resto della settimana (l’obbiettivo è mezzo milione giornaliere). E quel tetto, sabato e domenica, è stato superato. Ma ancora la campagna vaccinale non riesce a procedere a un ritmo costante. La struttura commissariale ripete che è necessario tenere conto delle dosi a disposizione. E che “non è possibile spingere di più la macchina: sarebbe del tutto inutile cercare di raggiungere le 700 mila somministrazioni al giorno, rischiando poi di inceppare e fermare l’ingranaggio perché mancano i vaccini”.

Per Figliuolo è già un ottimo risultato aver centrato l’obiettivo, nel periodo compreso tra venerdì 30 aprile e giovedì 6 maggio, le Regioni dovevano tagliare il traguardo di 3.250.800 somministrazioni: non ce l’hanno fatta ma sono comunque arrivate a poco più di 3.152.000. Mentre nei giorni compresi tra il 23 e il 29 aprile hanno centrato il 94,6% del target. In attesa di giugno, il mese che dovrebbe essere quello della svolta, ripetono i fedelissimi di Figliuolo, visto che è attesa la consegna di 27 milioni di vaccini, tra Pfizer Biontech, Moderna, AstraZeneca, Johnson&Johnson e CureVac (atteso l’ok dell’Ema). Mentre maggio viene considerato un mese di transizione: le dosi attese in totale sono 17 milioni e già questa settimana ne saranno consegnate 3 milioni.

Ieri sono partite le prenotazioni per gli over 50, così come disposto dallo stesso Figliuolo. In alcuni casi molto velocemente: questa volta bene la Lombardia, che ha dato il via libera alle adesioni domenica sera, in una notte ne ha raccolte più di 270 mila. Secondo i dati Istat la fase riguarda più di 9,5 milioni di persone. In realtà molte di loro appartenenti a categorie prioritarie – insegnanti, personale sanitario, forze dell’ordine, soggetti fragili – hanno già ricevuto la prima o entrambe le dosi (parliamo di quasi tre milioni di cinquantenni). Hanno anticipato le prenotazioni la Campania, il Veneto, il Lazio, il Piemonte, la Sicilia, la Provincia di Trento. Il Veneto, per esempio, è partito dal 7 maggio. Il Piemonte ha dato il via alle prenotazioni per quelli di età compresa tra i 55 e i 59 anni già dal 4 maggio. Il Lazio ha fatto scattare il servizio – per i 54enni e i 55enni – dall’8 maggio. Solo la Sardegna ha preso tempo.

Sulla campagna vaccinale pesa l’incognita AstraZeneca. Le resistenze a vaccinarsi con il siero della casa farmaceutica anglo-svedese potrebbero aumentare dopo la decisione della Ue di non rinnovare il contratto nel 2022.

Giorgetti-Big Pharma. È il leghista il nemico dell’addio ai brevetti

Il presidente del Consiglio, Mario Draghi, al vertice di Oporto, ha accolto con qualche riserva la proposta del presidente americano Joe Biden di sospendere temporaneamente i diritti sui vaccini anti-Covid per permettere la loro produzione in tutti i Paesi del mondo e arrivare il prima possibile a un alto tasso di immunità. Draghi, sulla linea del presidente francese, Emmanuel Macron, e a fronte della contrarietà della cancelliera tedesca, Angela Merkel (e, ovviamente, delle aziende di Big Pharma), ha detto che Biden “ha aperto una porta” e che “è giusto che le grandi case farmaceutiche restituiscano qualcosa dopo aver ricevuto sovvenzioni statali”, ma allo stesso tempo il premier italiano ha ostentato cautela: in primis, ha spiegato, perché liberalizzare i “brevetti non significa produrre vaccini” e poi perché, prima della sospensione dei diritti, servirebbe “rimuovere il blocco sulle esportazioni”. E se il premier si mostra prudente, anche per non andare a intaccare i rapporti di forza europei con Germania e Francia, chi nel governo italiano è contrario alla proposta di Biden è il ministro dello Sviluppo Economico leghista, Giancarlo Giorgetti.

Il numero due del Carroccio da quando si è insediato in via Veneto ha messo in piedi un tavolo con le grandi case farmaceutiche – con il presidente di Farmindustria e ad di Janssen Italia Massimo Scaccabarozzi si sono visti ogni settimana per tutto marzo e si sentono spesso – per portare in Italia una filiera industriale di vaccini Made in Italy: da Monza ad Anagni fino a Siena ci sono già una decina di aziende che entro l’anno inizieranno una produzione in proprio grazie agli accordi presi con le Big Pharma (tra cui AstraZeneca, Pfizer e J&J) o producendo il siero italo-svizzero ReiThera. In questi casi la supervisione spetta sempre alle aziende che detengono i brevetti e applicano un trasferimento solo della tecnologia. Un modo per aumentare le quantità di dosi e di velocizzare la distribuzione.

Giorgetti il 4 marzo aveva ricevuto al Mise anche il commissario agli Affari Interni dell’Ue, Thierry Breton, con cui ormai ha un rapporto consolidato e che lo aveva definito un “pragmatico” che “conosce i dossier e non è Marine Le Pen”, prima di incontrare in via Veneto anche il ministro dell’Economia francese, Bruno Le Maire, per mettere in piedi una strategia unitaria sulla filiera nazionale dei vaccini. Il governo per questo piano, grazie all’impegno del ministro Giorgetti, ha messo sul tavolo mezzo miliardo di euro. Ma il titolare del Mise sogna anche un “polo nazionale” sui vaccini sperando che l’Italia diventi il punto di riferimento per il Sud Europa e l’Africa sull’approvvigionamento dei sieri. Una strategia che però potrebbe fallire nel caso in cui diventasse realtà la liberalizzazione dei brevetti dei vaccini: a quel punto, sebbene non basti solo il brevetto per produrre il vaccino autonomamente, la produzione “autoctona” servirebbe solo all’Italia.

Tant’è che il 31 marzo scorso, durante un conferenza della “American Chamber of Commerce in Italy”, Giorgetti aveva spiegato che quello che lo Stato chiede alle case farmaceutiche è uno “sforzo” sul “trasferimento della tecnologia” ma non “la liberalizzazione dei brevetti” per “dare la possibilità nei dovuti modi e con le adeguate alleanze di produrre i vaccini anche in Italia e in Europa”.

Giorgetti condivide con Draghi una critica a Biden: prima di parlare di brevetti i Paesi produttori devono eliminare il blocco alle esportazioni. E che al Mise la proposta del presidente americano non sia ben vista lo dimostra anche l’editoriale di sabato sul Sole 24 Ore di Giovanni Tria, ex ministro dell’Economia del governo gialloverde e consulente di Giorgetti per i vaccini. Tria ha criticato la proposta di Biden definendola una “battaglia ideologica” che si traduce “in una corsa a posizionarsi astrattamente dalla parte dei buoni” perché non è detto che “la sospensione dei brevetti possa accelerare il processo produttivo”: per questo serve più impegnarsi per “trasferire la tecnologia” e garantire rapidi investimenti per le “imprese terziste”. La stessa posizione di Giorgetti. Dal Mise ieri hanno preferito non rispondere alle domande del Fatto.