In Italia, da mo’, opera un sistema di sorveglianza e punizione per impedire che un intellettuale e/o un artista scantonino dall’andazzo vigente nei media di massa. Il protocollo, rodato, ha due scopi principali: 1) impedire o controllare l’espressione, nei media di massa, di libertà non concordata che si occupi di politica e di Vaticano; 2) bastonare chi riesce a esercitare nei media di massa il suo diritto di espressione non concordata su politica e Vaticano. Chiudendo il suo monologo satirico al Concertone, Fedez ha sganciato in diretta una bomba nucleare: “Il Vaticano ha investito milioni di euro in un’azienda che produce la pillola del giorno dopo”. Da subito, i giornaloni e le tv si sono concentrati sul detonatore, il tentativo di censura del monologo da parte degli organizzatori e della Rai; e sull’esplosivo, la Lega che si oppone al ddl Zan, con contorno di frasi immonde di politici leghisti contro gli omosessuali. Non si sono invece soffermati sul nocciolo radioattivo: il Vaticano ha investito milioni di euro in un’azienda che produce la pillola del giorno dopo. (Mia zia: “Adda venì Lutero!”). I giornalisti non ne hanno parlato perché hanno il vizio nobile della notizia, che il giorno dopo è già scaduta. Questo però può renderli ciechi a un evento che trasforma la notizia nota in qualcos’altro, come quando un rapper famosissimo, durante il Concertone su Rai 3, denuncia l’ipocrisia del Vaticano che ha investito milioni di euro in un’azienda che produce la pillola del giorno dopo (“un aborto chimico”, secondo la Chiesa). Un monologo satirico è un atto che produce effetti, e come ogni dispositivo culturale ha conseguenze sociali diverse a seconda del contesto in cui agisce. Una bomba satirica, a parità di chilotoni, ha un impatto devastante se la si sgancia, invece che sul web o sui giornali (un mare magnum che disperde l’uditorio), sulla Rai durante una diretta vista da milioni di persone. Chi è preposto a impedire gli impatti satirici nei media di massa lavora affinché il galateo reazionario in vigore non sia contraddetto. Un esempio recente è la sparizione, dal sito dalla pagina Fb del programma Le Iene, e da Mediaset Play, del servizio delle Iene sui voli di Stato di Maria Elisabetta Alberti Casellati: funziona così. E nessuno ha sottolineato la replica assurda di Davide Parenti, il capo delle Iene: “Non abbiamo avuto nessun problema a mandare in onda il servizio. Di telefonate io non ne ho ricevute. Poi non so… Non chiedete a me, posso solo dire che questa cosa è alquanto buffa.” Una censura clamorosa di natura politica, tipo Trotsky che scompare dalla foto con Lenin, lui la trova buffa. Speriamo possa continuare a fare Le Iene su Mediaset per altri 20 anni, impavido com’è davanti ai superiori.
Il protocollo italico del killeraggio mediatico contro chi riesce a esercitare nei media di massa la sua libertà di espressione non è una novità. Si rabbrividisce vedendo come i cinegiornali degli anni 60 sfottevano Pasolini: shorturl.at/xINSX.
Fra le prassi del sistema di sorveglianza e punizione, è giusta la richiesta delle tv di esaminare in anticipo il materiale da trasmettere: un editore deve cautelarsi da grane legali. Diventa però censura se il materiale non contiene nulla di illegale, e la decisione di cassarlo è motivata solo da ragioni ideologiche e/o da corbellerie come il vincolo del contraddittorio con chi ha pronunciato la frase “Se avessi dei figli gay li brucerei nel forno”. Alla fine, Fedez ha potuto fare il suo monologo come l’aveva pensato, ma ha anche diffuso un video della sua telefonata con due organizzatori del Concertone e una dirigente Rai, per documentare il loro tentativo, imbarazzante, di dissuasione. Boom! (6. Continua)