“Mio padre, morto in fabbrica, nel silenzio di tre righe anonime”
Cara Selvaggia, volevo commentare i riflettori mediatici sulla morte della povera Luana, la ragazza deceduta sul posto di lavoro schiacciata da un macchinario. Ogni morte conta, ma qualcuna conta di più. L’idea del “capitale umano” riassume cinicamente tutto: le vite hanno più o meno valore a seconda di diversi parametri, dall’età al numero di figli al lavoro che si svolge. Lo stesso, come dicevi tu, vale per l’attenzione mediatica. Quelli giovani e belli come Luana avranno 100 volte lo spazio di un operaio vecchio e brutto (cui forse non accennerà nessuno). In questi giorni, accanto alla commozione per la morte di Luana, mi si è sciolto in gola così tanto dolore per le tante famiglie, come la mia, che hanno perso una persona cara sul lavoro.
Sei anni fa è capitato al mio papà, un operaio in gamba, una guida per chi doveva imparare il mestiere, un lavoratore instancabile. Non voleva neppure andare in pensione, tanto gli piaceva lavorare, tanto era devoto alla sua attività. Tanto sentiva la fabbrica come “la sua seconda casa”. La fabbrica, invece, l’ha tradito. Una leggerezza e una macchina difettosa me l’ha portato via per sempre. Una morte terribile. Come quella di Luana, del resto. Papà aveva 62 anni ed era un uomo profondamente buono, generoso, simpatico e altruista. La mia vita e quella della mia famiglia non sarà mai più come prima perché proviamo un senso di lutto costante. Pensiamo sempre a come sarebbe stata la sua vita in pensione, le gite con mia madre nel suo amato camper. Di mio padre non ha parlato nessuno. Tre righe nella cronaca locale, per giunta con le iniziali, come se non fosse degno di un nome e un cognome, una morte anonima. Nessuno ci ha chiamati, nessuno ha fatto domande ai proprietari della fabbrica. Era morto un signore non più giovanissimo, in circostanze sì tragiche ma uguali a quelle di tanti altri. Lo abbiamo seppellito nel silenzio più totale. E così, quando senti che nessuno (né lo Stato né le cronache) ti degna di uno sguardo, quando perdi una persona così meravigliosa, non resta che aggrapparsi alla giustizia e chiedere che almeno quella faccia il suo dovere. Papà credeva nel nostro Paese e io vorrei tanto che l’Italia non si dimenticasse di lui, né degli altri che hanno perso la vita lavorando.
C’è da dire che ogni volta, quando una morte bianca rompe il muro dei media, allora per giorni i telegiornali somministrano notizie di decessi sul lavoro: “Anche oggi un morto sul luogo di lavoro”, “Negli ultimi 4 giorni 5 morti sul lavoro!”. I riflettori restano accesi per un po’, una scia più corta di quella di un motoscafo. Poi silenzio…. e ricomincia il ciclo solo quando spunta una nuova vittima, molto giovane e molto bella, o con una storia affascinante per i giornali, magari con familiari che urlano e chiamano le redazioni.
Alla fine si parla di come era brava la vittima, di quello che sognava, di quanti anni ha suo figlio… e intanto, quello che conterebbe di più, ovvero il problema della sicurezza sul lavoro, è un tema che viene completamente ignorato. O finisce nella didascalia della foto. Questa lettera per dire che io piango per Luana assieme a tutti, ma avrei voluto che tutti piangessero con me la morte di mio padre. E che la sua morte avesse acceso una luce su un dramma che non va dimenticato, mai. Invece lui è morto al buio. Era un uomo fantastico e io lo amerò per sempre.
L.
Cara L., la morte di Luana mi ha addolorata, ma mi ha addolorata anche vedere rilanciati i suoi selfie ovunque, con approfondimenti francamente inutili e morbosi, dalle creme anticellulite che usava alle foto della sua camera. Una ricerca del clickbait che nulla racconta delle morti sul lavoro e molto del cinismo del giornalismo, per cui una vittima giovane e bella va sfruttata il più possibile, finché l’onda emotiva dura. Poi, finita quella, i vecchi e brutti, possono pure continuare a morire nel silenzio generale.
“Ddl Zan, l’arringa (fuori luogo) sul palco del primo maggio”
Cara Selvaggia, non ti sembra che quello che è accaduto con la morte della giovane Luana sia uno strano segno del destino? Voglio dire, succede che Fedez si prende il palco del primo maggio e parla di censura e ddl Zan, per cui tutto il resto passa in secondo piano. Manco mezza parola sulle condizioni dei lavoratori, lui e la Rai diventano il fulcro della discussione. Per carità, la lottizzazione della tv di stato è anche un tema importante, ma indiscutibilmente il lavoro resta senza titoli e fuori dal dibattito. Nell’anno in cui molti lavoratori sono a pezzi.
Finché non muore la giovanissima Luana, mentre lavorava a un macchinario per la produzione tessile. Accade pochi giorni dopo la sceneggiata di Fedez, con un tempismo che ha dello stupefacente. E il lavoro torna al centro delle cronache, una specie di deflagrazione, come un lampo che oscura tutto il resto (la Rai, Di Mare, Fedez, la Ferragni). Come se qualcuno, più in alto di noi, una specie di Dio dei lavoratori, avesse voluto ricordare a tutti che su quel palco si era dimenticato di parlare di chi per il lavoro vive e muore, di chi è sottopagato, sfruttato, maltrattato. Insomma, quella povera ragazza, ha rimesso al centro il lavoro, e spostato il resto un po’ più in là.
Valerio
Apprezzo il tentativo di cercare un senso ad una morte che non ha senso.